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sezione II civile; sentenza 5 novembre 1998, n. 11118; Pres. Garofalo, Est. Spadone, P.M. Palmieri...

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sezione II civile; sentenza 5 novembre 1998, n. 11118; Pres. Garofalo, Est. Spadone, P.M. Palmieri (concl. conf.); Soc. Surgelfrigo di G. Trasforini &C. e altro (Avv. Maresca, Beccaria, Ferraris) c. Soc. Comtura. Cassa App. Milano 26 settembre 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 93/94-97/98 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193022 . Accessed: 25/06/2014 07:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.72.104 on Wed, 25 Jun 2014 07:20:08 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 5 novembre 1998, n. 11118; Pres. Garofalo, Est. Spadone, P.M.Palmieri (concl. conf.); Soc. Surgelfrigo di G. Trasforini &C. e altro (Avv. Maresca, Beccaria,Ferraris) c. Soc. Comtura. Cassa App. Milano 26 settembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 93/94-97/98Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193022 .

Accessed: 25/06/2014 07:20

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo e motivi della decisione. — Ritenu

to che, con decreto del 31 ottobre 1996, il presidente del Tribu

nale di Macerata, adito su ricorso di Ugo Regoli, socio (al qua ranta per cento) della Immobiliare Sibillini s.r.l. — premesso che «la predetta società è(ra) nell'impossibilità di funzionare per essersi verificata la causa di scioglimento di cui all'art. 2448, n. 4, c.c. (riduzione del capitale al di sotto del minimo legale) e che l'assemblea, nonostante la diffida del 20 settembre 1996,

è(ra) rimasta inattiva» — ha provveduto, ai sensi dell'art. 2450, 3° comma, c.c., alla nomina di un liquidatore (in persona del

dr. Angelo Francalancia); che avverso detto decreto Feliziano Giacomini, in proprio e

quale amministratore unico della Immobiliare Sibillini, e Fede

rico Compagnoni, socio della stessa, hanno proposto ricorso

per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost., addebitando al deci

dente di aver «dato per pacifica» l'asserita causa di scioglimen

to, oggetto viceversa di «specifico contenzioso»; con ciò, all'un

tempo, dando «contenuto sostanziale di sentenza» al riferito

decreto e incorrendo in violazione del citato art. 2450, 3° com

ma, c.c. che «subordina il potere del presidente del tribunale

di nominare i liquidatori di società di capitali all'accordo invece

dei soci sull'esistenza (o anche sulla gravità) della causa di scio

glimento»; che il Regoli si è costituito con notifica di controricorso.

Considerato che — contrariamente alla prospettazione dei ri

correnti — il decreto impugnato non ha natura decisoria;

che infatti — come già rilevato dalla Corte costituzionale con

la sent. n. 77 del 1968, Foro it., 1968, I, 2051, che ha dichiara

to non fondate questioni di legittimità del predetto art. 2450

c.c. — il presidente del tribunale, ai sensi di detta norma, «do

po un'indagine sommaria, analoga a quella che precede i prov vedimenti cautelari può nominare i liquidatori, sul presupposto che la società si sia sciolta . . ., ma, senza dubbio, non accerta

né l'intervenuto scioglimento, né le cause che lo avrebbero pro

dotto, tanto che, sulla questione, uno qualunque degli interes

sati potrà promuovere un giudizio ordinario e, provata l'insus

sistenza della causa di scioglimento, ottenere la rimozione degli

effetti del decreto»; che ciò appunto comporta — come affermato, da ultimo da

questa sezione con sent. n. 10718 del 2 dicembre 1996, id., Rep.

1997, voce Società, n. 841 — che il provvedimento presidenzia le in discussione «resta di volontaria giurisdizione, privo dei

caratteri decisori e preclusivi della sentenza sostanziale, anche

se pronunziato (come nella specie) in presenza di un già manife

stato contrasto dei soci circa l'avvenuto scioglimento»;

art. Ill Cost, ravvisato nella esplicita enunciazione di revocabilità e

modificabilità del provvedimento camerale; una posizione diversa è quella di V. Denti, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Riv. trim. dir.

e proc. civ., 1987, 328 ss., a parere del quale la natura di giurisdizione volontaria del provvedimento non precluderebbe l'esperibilità del ricor

so ex art. Ill Cost., che a sua volta non postulerebbe necessariamente

l'idoneità al giudicato del provvedimento impugnato, bastando l'inci

denza dello stesso anche in modo mediato su situazioni sostanziali.

Per quanto concerne poi l'indicazione, contenuta in motivazione, dei

rimedi praticabili da parte dei soci dissenzienti (che viene compiuta in

termini di obiter dictum, mediante la citazione del corrispondente passo di Cass. 2 dicembre 1996, n. 10718, cit., mia che invero aggiunge ulte

riori motivi di inammissibilità del ricorso, comportando l'esclusione del

carattere «definitivo» del provvedimento impugnato) può osservarsi, da

un lato, che il provvedimento di revoca ex art. 742 c.p.c. incontra co

munque il limite dei diritti acquistati in buona fede dai terzi e che, da altro lato, l'asserita reclamabilità del provvedimento al presidente della corte d'appello (in analogia dell'art. 739 c.p.c.) non trova riscon

tro nella giurisprudenza di merito (in tema, v. i richiami contenuti nella

nota di P. Gallo, cit.). In argomento resta solo da evidenziare che la particolare incisività

del provvedimento in discorso sul funzionamento delle società di capi tali (determinando la sostituzione degli organi sociali muniti del potere di rappresentanza) e la gravità delle questioni che vengono fatte deriva

re dalla necessità o meno del carattere pacifico dello scioglimento della

società (tutte tra loro logicamente consecutive: l'idoneità o meno al giu dicato della decisione, implicita o esplicita, circa l'avvenuto scioglimen

to, la natura decisoria o di volontaria giurisdizione del provvedimento

e, quindi, l'individuazione dei rimedi azionabili da parte dei soci dissen

zienti) rendono sempre meno tollerabili le oscillazioni giurisprudenziali sul punto e, al tempo stesso, ancora più urgente un intervento risoluti

vo che potrebbe, a questo punto, giungere dalle stesse sezioni unite

della Suprema corte. [P. Gallo]

Il Foro Italiano — 1999.

che, altrimenti, se si attribuisse, in caso di contrasto, natura

decisoria a detti provvedimenti, la tutela dei controinteressati

si esaurirebbe nell'esperibilità del ricorso per cassazione per vio

lazione di legge (al cui mancato riscontro seguirebbe il rigetto del ricorso); e l'effetto preclusivo della «cosa giudicata» potreb be così conseguire in esito a un procedimento svolto davanti

all'organo monocratico, in totale assenza di forme e di garanzia stessa del contraddittorio, sulla base di accertamenti di fatto

ivi assunti; che — a prescindere dalla individuazione dei rimedi alternati

vamente esperibili avverso un siffatto provvedimento di volon

taria giurisdizione atipico concesso dall'organo monocratico (po tendosi — sempre secondo la citata sent. 10718/96 — «al ri

guardo ipotizzare tanto la revocabilità del provvedimento stesso

nei limiti di cui all'art. 742 c.p.c., quanto l'estensione, in via

analogica, del mezzo del reclamo ex art. 742 bis, davanti al

presidente della corte d'appello») — sta di fatto, comunque,

per quel che qui rileva, che la «non decisorietà» del provvedi mento stesso ne esclude, appunto, la sua ricorribilità con il ri

medio straordinario di cui all'art. Ill Cost.; che possono compensarsi tra le parti le spese di questo giudizio;

per questi motivi, dichiara inammissibile il ricorso.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 5 no

vembre 1998, n. 11118; Pres. Garofalo, Est. Spadone, P.M.

Palmieri (conci, conf.); Soc. Surgelfrigo di G. Trasforini &

C. e altro (Aw. Maxesca, Beccaria, Ferraris) c. Soc. Com

tura. Cassa App. Milano 26 settembre 1995.

Mandato — Mandato senza rappresentanza — Azione diretta

del mandante contro il terzo — Limiti — Fattispecie (Cod.

civ., art. 1705).

Nel mandato senza rappresentanza, il mandante può agire con

tro il terzo in sostituzione del mandatario esclusivamente per

conseguire il soddisfacimento dei crediti sorti a favore di que st'ultimo in dipendenza delle obbligazioni assunte dal terzo

con la conclusione del contratto, ma non per esperire le azio

ni (nella specie, di risoluzione per inadempimento e risarci

mento dei danni) rivenienti dal contratto. (1)

(1) Con questa decisione la Suprema corte corrobora l'orientamento

prevalente, rimarcando, nei termini di cui in massima, il carattere ecce

zionale del principio posto dall'art. 1705, 2° comma, c.c. rispetto alla

regola generale, secondo cui il negozio concluso con il terzo contraente

ricade esclusivamente nella sfera giuridica del mandatario, senza che

si costituisca alcun rapporto tra mandante e terzo. V. Cass. 27 gennaio 1995, n. 1016, Foro it., Rep. 1995, voce Mandato, n. 6, in tema di

mandato senza rappresentanza, a cui dire il fatto che il mandante si

avvalga, ai sensi della norma de qua, della facoltà di sostituirsi al man

datario nell'esazione del credito derivante dall'esecuzione dell'incarico,

configura esercizio di una legittimazione propria di detto mandante, sì che ha portata interruttiva della prescrizione del diritto del mandante

stesso, ma non spiega, in difetto di espressa previsione, analoghi effetti

rispetto alle posizioni del mandatario verso l'altro contraente. Cfr., al

tresì, Cass. 22 aprile 1995, n. 4587, ibid., n. 12, per un'ipotesi in cui

al proprietario di un immobile locato da un mandatario senza rappre sentanza si è riconosciuta la possibilità, a seguito della revoca del man

dato, di esercitare ex art. 1705, 2° comma, ogni diritto di credito deri

vante dal rapporto obbligatorio posto in essere e, quindi, anche il dirit

to di ricevere il pagamento dei canoni dal conduttore, potendo, altresì,

legittimamente agire in giudizio a tutela dei diritti stessi. Nello stesso

senso, v. Cass. 24 febbraio 1993, n. 2278, id., Rep. 1993, voce cit., n. 14, che esprime indirettamente l'orientamento prevalente della giuris

prudenza, ponendo in risalto che il concreto esercizio, da parte del man

dante, del potere di far valere nei confronti dei terzi, sostituendosi al

mandatario, i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato,

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PARTE PRIMA

Svolgimento del processo. — Con atto del 9 febbraio 1988

la Compagnia estense costruzioni montaggi impianti (Cecmi) s.n.c. di Lino Trasforini e C. e la Surgelfrigo s.n.c. di Giuseppe trasformi e C. convenivano dinanzi il Tribunale di Milano la

Comtura s.r.l. esponendo che nel febbraio 1986 la prima aveva

incaricato la seconda di acquistare dalla convenuta materiali (flan

ge) da impiegare in un separatore di ammoniaca a sua volta

parte di un impianto di refrigerazione; i materiali, indicati nella

fattura 10 aprile 1986 n. 67 intestata alla Surgelfrigo erano stati

consegnati alla Cecmi; poiché presentavano difetti che li rende

vano inutilizzabili e la Comtura, pur avendoli riconosciuti non

aveva inteso riparare al proprio inadempimento chiedevano la

Cecmi e la Surgelfrigo la risoluzione del contratto quale risulta

va dall'ordine n. 95 del 5-6 marzo 1986 e il risarcimento dei

danni.

La convenuta resisteva alla domanda eccependo il difetto di

legittimazione attiva della Cecmi; la decadenza delle attrici dal

l'azione di garanzia; in via riconvenzionale chiedeva il paga mento della somma di lire 2.123.056 dovutole per la fornitura.

può essere opposto dal terzo al mandatario che agisce per la realizzazio ne di quel credito; 19 febbraio 1993, n. 2029, ibid., n. 10, a tenore della quale il mandante, proprietario di un immobile locato ad un terzo da un suo mandatario senza rappresentanza può, nel revocare il man

dato, sostituirsi al mandatario, ed esercitare ex art. 1705 , 2° comma, ogni diritto di credito derivante dal rapporto obbligatorio posto in esse re e, quindi, anche il diritto a ricevere il pagamento dei canoni diretta mente da parte del conduttore ed è legittimato ad agire in giudizio nei confronti di costui per la realizzazione di tale diritto; 7 gennaio 1993, n. 78, ibid., voce Rappresentanza nei contratti, n. 14, ove si afferma

che, nel caso in cui taluno, senza contemplano domini, abbia agito in nome proprio e per conto altrui, tutti gli effetti del contratto si pro ducono in capo al mandatario e nessun rapporto può costituirsi fra mandante e terzo contraente, non avendo rilevanza, ai sensi dell'art.

1705, l'eventuale conoscenza del mandato da parte di detto terzo. V., altresì, Cass. 13 gennaio 1990, n. 92, id., Rep. 1990, voce Mandato, n. 28, secondo la quale il mandante, a prescindere dalla conoscenza che i terzi abbiano del mandato, ha diritto, in via diretta, di far propri i diritti di credito sorti in capo al mandatario, assumendo l'esecuzione

dell'affare, a condizione che ciò non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso. Inoltre, con la sostituzione del mandante al mandatario, viene riconosciuta al terzo contraente la facoltà di rivolgersi direttamente contro il mandante. V., nello stesso

senso, anche App. Cagliari 2 dicembre 1988, id., Rep. 1989, voce Simu lazione civile, n. 6; Cass. 13 luglio 1982, n. 4128, id., 1982, I, 2163, e, infine, 20 luglio 1976, n. 2877, id., 1977, I, 691, con nota di richiami.

In dottrina, una corrente più risalente interpreta la norma in questio ne nel senso di riconoscere al mandante la legittimazione ad esperire azione surrogatoria. Così, G. Miner vini, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato Vassalli, Torino, 1957, 105; v., pure, C. San

taoata, Crediti ex mandato e sostituzione del mandante, in Riv. dir.

civ., 1963, I, 628, ove si evidenziano le difficoltà interpretative che han no indotto la dottrina più risalente a sostenere tale tesi. Critico nei confronti dell'orientamento giurisprudenziale oggi prevalente, anche A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1984, 209 ss., il quale configura (op. cit., 270 ss.) un trasferi mento del credito — dal mandatario al mandante — riveniente (ex art. 1376 c.c.) dal mandato, ma come effetto eventuale, nonché sospeso, sino alla decisione del mandante di rivelarsi al terzo, per cui l'a. parla di condicio iuris meramente potestativa. Lo stesso a. (op. cit., 206 ss.) rileva anche che, fino a quando il mandante non decida di sostituirsi al mandatario, il terzo debitore può adempiere al mandatario, mentre, verificandosi invece la sostituzione, viene paralizzata la legittimazione ad esigere del mandatario. Nel senso della giurisprudenza prevalente, cui si riallaccia la massima in rassegna, v. S. Pugliatti, Studi sulla

rappresentanza, Milano, 1965, 490 ss., e, più di recente, Zazzera, Le

gittimazione del mandante non rappresentato ad agire nei confronti de!

terzo, in Dir. e giur., 1971, 742; Giammaria, Azione de! mandante ver so il terzo nel mandato senza rappresentanza: la Cassazione non muta

orientamento, in Giusi, civ., 1991, I, 1557. Parte della dottrina propo ne di riconoscere la titolarità del credito al mandatario e di configurare il «potere di sostituzione» previsto dalla norma de qua come una spe ciale surrogatoria concessa al mandante: in tal senso G. Mirabelli, Dei singoli contratti, in Commentario Utet, Torino, 1968, IV, tomo 3, 564 ss. Altra tesi ritiene che il credito venga acquistato dal mandata rio, dal quale passerebbe, però, in modo automatico al mandante, in forza di una fattispecie traslativa la cui natura e composizione vengono variamente configurate dai singoli autori: v. R. Sacco, Principio con sensualistico ed effetti del mandato, in Foro it., 1966, I, 1391 ss., il

quale si richiama all'art. 1376 c.c., nonché, F. Ferrara jr.-F. Corsi, Gli imprenditori e le società10, Milano, 1996, 141, che parlano di tra sferimento ope legis.

Il Foro Italiano — 1999.

Espletata una prova testimoniale, con sentenza 12 marzo 1992

il tribunale accoglieva soltanto la domanda principale; dichiara

va la risoluzione del contratto e condannava la Comtura al ri

sarcimento dei danni con liquidazione in separato giudizio e

alle spese.

Proponeva impugnazione la soccombente lamentando che la

Cecmi non poteva ritenersi legittimata all'azione di risoluzione

essendo riconducibili al mandato senza rappresentanza i suoi

rapporti con la Surgelfrigo; che la prova del suo inadempimen to non risultava dai documenti prodotti; doveva accogliersi, con

seguentemente, la riconvenzionale proposta. Resistevano la Cecmi e la Surgelfrigo; con sentenza 26 set

tembre 1995 la Corte d'appello di Milano, accogliendo l'impu

gnazione, dichiarava il difetto di legittimazione attiva della Cec

mi; rigettava la domanda della Surgelfrigo; accoglieva quella della Comtura; condannava la prima al pagamento in favore

di quest'ultima della somma di lire 2.123.056 ed entrambe le

società attrici, in solido, alle spese. Osservava la corte che la Cecmi solo nella lettera 26 maggio

1984 dell'avv. Fulvio Ferraris alla Comtura era stata indicata

quale soggetto interessato alla composizione della lite fra detta

società e la Surgelfrigo; che per l'art. 1705, 2° comma, c.c.

la Cecmi avrebbe potuto agire unicamente in sostituzione della

Surgelfrigo; che pur avendo la Comtura consegnato flange di

qualità diversa da quella ordinata l'utilizzazione fattane dalla

Surgelfrigo ne aveva determinato l'inservibilità precludendole ex art. 1492, 3° comma, c.c. l'azione di risoluzione; fondata

era pertanto la riconvenzionale della Comtura.

Avverso la sentenza, notificata il 10 novembre 1995, hanno

proposto ricorso con atto del 9 gennaio 1996 e con due motivi

di censura la Surgelfrigo s.n.c. di Giuseppe Trasformi e C. in

liquidazione e la Compagnia estense costruzioni montaggi im

pianti (Cecmi) s.n.c. di Lino Trasforini e C.; la Comtura s.r.l.

non ha svolto difese.

Motivi della decisione. — Con il primo motivo denunciando

violazione e falsa applicazione dell'art. 1705 c.c. in relazione

all'art. 360, n. 3, c.p.c. le ricorrenti lamentano che la sentenza

impugnata, affermando, senza prendere posizione sull'oggetto delle rispettive azioni, che la Cecmi avrebbe potuto agire in so

stituzione ma non in aggiunta alla Surgelfrigo, non ha conside

rato che diverse erano le pretese fatte valere; la Cecmi aveva

proposto una domanda risarcitoria; la Surgelfrigo una doman

da di accertamento dell'inadempienza della Comtura al fine di

un esonero da responsabilità verso la società mandante.

Non poteva quindi configurarsi duplicazione della stessa do

manda in quanto la prima era di risarcimento del danno, la

seconda di risoluzione e andava affrontata la questione dei di

ritti tutelabili con l'art. 1705 c.c. sulla quale sono a tutt'oggi intervenute due pronunce contrastanti, la prima estensiva, Cass.

2504/55, Foro it., Rep. 1955, voce Mandato, nn. 40, 41; la

seconda, limitativa, Cass. 2877/76, id., 1977, I, 691. Il motivo è infondato.

Con l'atto di citazione 9 febbraio 1988 entrambe le società

ricorrenti avevano chiesto la risoluzione del contratto concluso

dalla Surgelfrigo risultante dalla fattura n. 86 del 10 aprile 1986

e il risarcimento dei danni; la sentenza impugnata non ha quin di confuso le rispettive pretese ed ha correttamente negato la

legittimazione della mandante Cecmi all'azione di risoluzione contrattuale.

Il mandato senza rappresentanza ipotizza un tipico caso di

interposizione reale di persona per cui il negozio nei rapporti del terzo contraente ricade esclusivamente nella sfera giuridica del mandatario e nessun rapporto si costituisce tra mandante

e terzo.

La disposizione del 2° comma — prima parte — dell'art. 1705

c.c. introduce, per ragioni di tutela dell'interesse del mandante, una eccezione al fondamentale principio di cui sopra enunciato

nel 1° comma dell'articolo per il quale il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti ed assume gli obblighi deri vanti dagli atti compiuti con i terzi anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato, consentendo al mandante di esercitare i diritti di credito derivanti al mandatario dall'esecuzione del

mandato.

Deve trattarsi di diritti che scaturiscono direttamente dal rap porto obbligatorio posto in essere dal mandatario nell'esplica zione dell'attività per conto del mandante; questi può agire contro il terzo in sostituzione del mandatario esclusivamente per esercì

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

tare tali diritti e cioè per conseguire il soddisfacimento dei cre

diti sorti a favore del mandatario in dipendenza delle obbliga zioni assunte dal terzo con la conclusione del contratto.

La natura eccezionale della norma, le finalità di tutela del

mandante, l'inequivocità della espressione «diritti di credito de

rivanti dall'esercizio del mandato» inducono ad escludere, al

di fuori dell'azione diretta al soddisfacimento di detti crediti, che il mandante possa esperire contro il terzo le azioni da con

tratto e, in particolare, com'è avvenuto nella specie, quelle di

risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni; opi nando diversamente la regola generale sancita dallo stesso art.

1705 c.c. resterebbe svuotata di contenuto.

Si condivide, in definitiva, sui limiti della legittimazione del mandante l'orientamento prevalente di questa corte espresso nelle

sent. 20 luglio 1976, n. 2877, cit.; 10 luglio 1974, n. 2039, id., Rep. 1974, voce cit., n. 7, e, indirettamente, in quelle 24 feb

braio 1993, n. 2278, id., Rep. 1993, voce cit., n. 14; 6 aprile

1977, n. 1323, id., Rep. 1977, voce Commissione, n. 3; 10 mag

gio 1965, n. 879, id., Rep. 1965, voce Mandato, nn. 13, 14; 9 novembre 1964, n. 2714, id., Rep. 1964, voce cit., nn. 17, 18.

Quello minoritario (sent. 2 agosto 1955, n. 2504, cit.; 17 set

tembre 1947, n. 1572, id., Rep. 1947, voce cit., n. 34) è meno

recente, mentre la pronunzia 4 giugno 1980, n. 3626, id., Rep.

1980, voce cit., n. 4, riguarda un'ipotesi in parte diversa atte

nendo ad un'azione intesa a negare la proroga legale di un con

tratto di locazione proposta dal mandante con l'espressa ade

sione del mandatario.

Con il secondo motivo denunciando insufficiente e contrad

dittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art.

360, n. 5, c.p.c.) le ricorrenti lamentano che la sentenza impu

gnata escludendo l'inadempimento della Comtura ha frainteso

le risultanze di alcuni documenti; in particolare, ha confuso il

telex n. 147/86 del 2 aprile 1986 di denunzia dei vizi che riguar dava una precedente fornitura del 20 marzo 1986 con quello n. 21051/86 del 6 maggio 1986 relativo al materiale per cui vi

è controversia; ha ritenuto smentite dal documento indicato le

testimonianze Bergonzini e Pavanelli circa l'impossibilità di sco

prire a vista che i materiali forniti erano diversi; ha ritenuto

che la Surgelfrigo dovesse conoscere i difetti non considerando

che il materiale era stato utilizzato dalla Cecmi; non ha consi

derato che la discrepanza fra quanto ordinato e quanto conse

gnato era stata scoperta solo alla ricezione dei certificati tecnici

il 6 maggio 1986 e denunciata lo stesso giorno a flange (conse

gnate il 10-11 aprile 1986) montate sull'impianto e a collaudo

non ancora avvenuto.

Il motivo è fondato.

L'erroneo richiamo nella sentenza impugnata per la denunzia

dei vizi al telex n. 147 del 2 aprile 1986 anziché a quello succes

sivo n. 21051 del 6 maggio 1986 avendo ad oggetto altri rappor ti ha fuorviato la decisione della corte di merito con riguardo

sia alla natura dei vizi del materiale fornito e alla loro possibili

tà di immediata scoperta, sia all'utilizzazione che la Cecmi ne

avrebbe fatto con conseguente preclusione per la Surgelfrigo del

l'azione di risoluzione contrattuale.

La sentenza dev'essere pertanto cassata con rinvio per nuovo

esame di tale punto della controversia ad altra sezione della

stessa corte d'appello.

Il Foro Italiano — 1999.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 2 no

vembre 1998, n. 10924; Pres. Meriggiola, Est. Vittoria, P.M.

Maccarone (conci, conf.); Menarbin (Avv. Berti, Brusa

din) c. Cremonese (Avv. Loiacono Romagnoli, Pesavento). Cassa App. Venezia 6 novembre 1996.

Contratti agrari — Mezzadria — Somme in restituzione dovute

al mezzadro — Rivalutazione monetaria (Cod. proc. civ., art.

409, 429).

Sulle somme dovute in restituzione dal concedente al mezzadro, che ha convertito il contratto in affitto, compete la rivaluta

zione monetaria. (1)

Svolgimento del processo. — 1.1. - Maurizio Menarbin, con

ricorso alla sezione specializzata agraria del Tribunale di Vicen

za, depositato il 28 febbraio 1995, proponeva in confronto di

Gianella Cremonese una domanda di condanna alla restituzione

di somme pagate in più del canone dovuto.

L'attore esponeva che, con sentenza del 4 settembre 1990 di

quel tribunale e con effetto dall'inizio dell'annata agraria

1982-1983, era stata dichiarata la conversione in affitto del con

tratto di mezzadria; che sino all'annata agraria 1989-1990 egli aveva eseguito i conferimenti in natura preveduti dal contratto

di mezzadria, per un valore superiore a quello del canone di

affitto.

L'attore indicava, annata per annata, l'ammontare dei confe

rimenti da lui eseguiti e delle spese sopportate dalla concedente,

nonché quello del canone; chiedeva che le somme a suo credito

fossero aumentate di rivalutazione ed interessi dalla data dell'il

legittimo conferimento a quella di restituzione; chiedeva che la

condanna fosse pronunciata per la somma di lire 73.800.510,

risultante dall'insieme del capitale di lire 27.630.029 nonché del

la rivalutazione e degli interessi sulla somma rivalutata, decor

(1) Il mezzadro, a cui era stata riconosciuta con sentenza del 1990

la conversione in affitto ex art. 25 1. 203/82 dall'annata agraria 1982/83, assumendo che sino all'annata agraria 1989/90 aveva eseguito i conferi

menti previsti dal contratto di mezzadria, per un valore superiore al

canone d'affitto, chiedeva al tribunale competente il pagamento delle

somme versate in eccedenza con rivalutazione monetaria.

La domanda veniva accolta dal tribunale adito, che però negava la

rivalutazione monetaria. Il giudice di appello confermava l'esclusione

della rivalutazione. La rivalutazione era stata esclusa dai giudici del merito perché quan

to richiesto era credito di valuta soggetto al principio nominalistico ed

inerente ad un rapporto che, dopo l'entrata in vigore della 1. 14 feb

braio 1990 n. 29, era sottratto all'applicazione degli art. 409, n. 2, e

429, 3° comma, c.p.c. La sentenza riportata ha richiamato Cass., sez. un., 2 febbraio 1977,

n. 464, Foro it., 1977, I, 629, che aveva ritenuto che i rapporti indicati

nel n. 2 dell'art. 409 entravano nella nuova disciplina, tranne per quan to riguardava la competenza, che rimaneva affidata alle sezioni specia lizzate agrarie. Del resto, questa interpretazione della norma, quando era stata formulata, era consonante con la precedente disciplina delle

controversie innanzi alle sezioni specializzate agrarie, a cui erano appli cabili le norme dettate dagli art. 429 ss. c.p.c.

Ha pertanto ritenuto la sentenza riportata che all'art. 9 1. 29/90 non

può essere attribuito il significato d'avere sottratto le controversie in

materia di contratti agrari alle disposizioni dettate in materia di rappor ti di lavoro, e quindi agli art. 409 ss. c.p.c.

È stata richiamata Cass., sez. un., 22 febbraio 1994, n. 1682, id.,

1994, I, 1765, con osservazioni di D. Bellantuono, secondo cui allor

ché il coltivatore nel rapporto associativo faccia valere il corrispettivo

spettantegli per la erogazione delle energie lavorative che a quella crea

zione di ricchezza hanno contribuito, la controversia, per sua natura, va ascritta tra quelle di lavoro, per cui legittimamente era stata disposta la rivalutazione del credito ex art. 429, 3° comma, c.p.c.

È stata altresì richiamata Cass. 4 gennaio 1995, n. 96, id., Rep. 1995,

voce Contratti agrari, n. 162, secondo cui l'art. 429, 3° comma, c.p.c. si applica all'affittuario nei confronti del concedente, qualora il credito

sia corrisposto dal primo in misura superiore a quello del canone legal mente dovuto.

Ha quindi ritenuto la sentenza riportata che la rivalutazione moneta

ria andava applicata al caso in esame, a decorrere dalla data di matura

zione del credito e sino alla data della sentenza di condanna che chiuda

il giudizio di merito, e che sul credito rivalutato spettano gli interessi

legali (Cass. 14 aprile 1986, n. 2622, id., Rep. 1986, voce Lavoro e

previdenza (controversie), n. 400; 3 novembre 1987, n. 8070, id., Rep.

1987, voce cit., n. 381; 12 febbraio 1993, n. 1771, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 154).

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