sezione II civile; sentenza 5 novembre 1998, n. 11118; Pres. Garofalo, Est. Spadone, P.M.Palmieri (concl. conf.); Soc. Surgelfrigo di G. Trasforini &C. e altro (Avv. Maresca, Beccaria,Ferraris) c. Soc. Comtura. Cassa App. Milano 26 settembre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 1 (GENNAIO 1999), pp. 93/94-97/98Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193022 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo e motivi della decisione. — Ritenu
to che, con decreto del 31 ottobre 1996, il presidente del Tribu
nale di Macerata, adito su ricorso di Ugo Regoli, socio (al qua ranta per cento) della Immobiliare Sibillini s.r.l. — premesso che «la predetta società è(ra) nell'impossibilità di funzionare per essersi verificata la causa di scioglimento di cui all'art. 2448, n. 4, c.c. (riduzione del capitale al di sotto del minimo legale) e che l'assemblea, nonostante la diffida del 20 settembre 1996,
è(ra) rimasta inattiva» — ha provveduto, ai sensi dell'art. 2450, 3° comma, c.c., alla nomina di un liquidatore (in persona del
dr. Angelo Francalancia); che avverso detto decreto Feliziano Giacomini, in proprio e
quale amministratore unico della Immobiliare Sibillini, e Fede
rico Compagnoni, socio della stessa, hanno proposto ricorso
per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost., addebitando al deci
dente di aver «dato per pacifica» l'asserita causa di scioglimen
to, oggetto viceversa di «specifico contenzioso»; con ciò, all'un
tempo, dando «contenuto sostanziale di sentenza» al riferito
decreto e incorrendo in violazione del citato art. 2450, 3° com
ma, c.c. che «subordina il potere del presidente del tribunale
di nominare i liquidatori di società di capitali all'accordo invece
dei soci sull'esistenza (o anche sulla gravità) della causa di scio
glimento»; che il Regoli si è costituito con notifica di controricorso.
Considerato che — contrariamente alla prospettazione dei ri
correnti — il decreto impugnato non ha natura decisoria;
che infatti — come già rilevato dalla Corte costituzionale con
la sent. n. 77 del 1968, Foro it., 1968, I, 2051, che ha dichiara
to non fondate questioni di legittimità del predetto art. 2450
c.c. — il presidente del tribunale, ai sensi di detta norma, «do
po un'indagine sommaria, analoga a quella che precede i prov vedimenti cautelari può nominare i liquidatori, sul presupposto che la società si sia sciolta . . ., ma, senza dubbio, non accerta
né l'intervenuto scioglimento, né le cause che lo avrebbero pro
dotto, tanto che, sulla questione, uno qualunque degli interes
sati potrà promuovere un giudizio ordinario e, provata l'insus
sistenza della causa di scioglimento, ottenere la rimozione degli
effetti del decreto»; che ciò appunto comporta — come affermato, da ultimo da
questa sezione con sent. n. 10718 del 2 dicembre 1996, id., Rep.
1997, voce Società, n. 841 — che il provvedimento presidenzia le in discussione «resta di volontaria giurisdizione, privo dei
caratteri decisori e preclusivi della sentenza sostanziale, anche
se pronunziato (come nella specie) in presenza di un già manife
stato contrasto dei soci circa l'avvenuto scioglimento»;
art. Ill Cost, ravvisato nella esplicita enunciazione di revocabilità e
modificabilità del provvedimento camerale; una posizione diversa è quella di V. Denti, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Riv. trim. dir.
e proc. civ., 1987, 328 ss., a parere del quale la natura di giurisdizione volontaria del provvedimento non precluderebbe l'esperibilità del ricor
so ex art. Ill Cost., che a sua volta non postulerebbe necessariamente
l'idoneità al giudicato del provvedimento impugnato, bastando l'inci
denza dello stesso anche in modo mediato su situazioni sostanziali.
Per quanto concerne poi l'indicazione, contenuta in motivazione, dei
rimedi praticabili da parte dei soci dissenzienti (che viene compiuta in
termini di obiter dictum, mediante la citazione del corrispondente passo di Cass. 2 dicembre 1996, n. 10718, cit., mia che invero aggiunge ulte
riori motivi di inammissibilità del ricorso, comportando l'esclusione del
carattere «definitivo» del provvedimento impugnato) può osservarsi, da
un lato, che il provvedimento di revoca ex art. 742 c.p.c. incontra co
munque il limite dei diritti acquistati in buona fede dai terzi e che, da altro lato, l'asserita reclamabilità del provvedimento al presidente della corte d'appello (in analogia dell'art. 739 c.p.c.) non trova riscon
tro nella giurisprudenza di merito (in tema, v. i richiami contenuti nella
nota di P. Gallo, cit.). In argomento resta solo da evidenziare che la particolare incisività
del provvedimento in discorso sul funzionamento delle società di capi tali (determinando la sostituzione degli organi sociali muniti del potere di rappresentanza) e la gravità delle questioni che vengono fatte deriva
re dalla necessità o meno del carattere pacifico dello scioglimento della
società (tutte tra loro logicamente consecutive: l'idoneità o meno al giu dicato della decisione, implicita o esplicita, circa l'avvenuto scioglimen
to, la natura decisoria o di volontaria giurisdizione del provvedimento
e, quindi, l'individuazione dei rimedi azionabili da parte dei soci dissen
zienti) rendono sempre meno tollerabili le oscillazioni giurisprudenziali sul punto e, al tempo stesso, ancora più urgente un intervento risoluti
vo che potrebbe, a questo punto, giungere dalle stesse sezioni unite
della Suprema corte. [P. Gallo]
Il Foro Italiano — 1999.
che, altrimenti, se si attribuisse, in caso di contrasto, natura
decisoria a detti provvedimenti, la tutela dei controinteressati
si esaurirebbe nell'esperibilità del ricorso per cassazione per vio
lazione di legge (al cui mancato riscontro seguirebbe il rigetto del ricorso); e l'effetto preclusivo della «cosa giudicata» potreb be così conseguire in esito a un procedimento svolto davanti
all'organo monocratico, in totale assenza di forme e di garanzia stessa del contraddittorio, sulla base di accertamenti di fatto
ivi assunti; che — a prescindere dalla individuazione dei rimedi alternati
vamente esperibili avverso un siffatto provvedimento di volon
taria giurisdizione atipico concesso dall'organo monocratico (po tendosi — sempre secondo la citata sent. 10718/96 — «al ri
guardo ipotizzare tanto la revocabilità del provvedimento stesso
nei limiti di cui all'art. 742 c.p.c., quanto l'estensione, in via
analogica, del mezzo del reclamo ex art. 742 bis, davanti al
presidente della corte d'appello») — sta di fatto, comunque,
per quel che qui rileva, che la «non decisorietà» del provvedi mento stesso ne esclude, appunto, la sua ricorribilità con il ri
medio straordinario di cui all'art. Ill Cost.; che possono compensarsi tra le parti le spese di questo giudizio;
per questi motivi, dichiara inammissibile il ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 5 no
vembre 1998, n. 11118; Pres. Garofalo, Est. Spadone, P.M.
Palmieri (conci, conf.); Soc. Surgelfrigo di G. Trasforini &
C. e altro (Aw. Maxesca, Beccaria, Ferraris) c. Soc. Com
tura. Cassa App. Milano 26 settembre 1995.
Mandato — Mandato senza rappresentanza — Azione diretta
del mandante contro il terzo — Limiti — Fattispecie (Cod.
civ., art. 1705).
Nel mandato senza rappresentanza, il mandante può agire con
tro il terzo in sostituzione del mandatario esclusivamente per
conseguire il soddisfacimento dei crediti sorti a favore di que st'ultimo in dipendenza delle obbligazioni assunte dal terzo
con la conclusione del contratto, ma non per esperire le azio
ni (nella specie, di risoluzione per inadempimento e risarci
mento dei danni) rivenienti dal contratto. (1)
(1) Con questa decisione la Suprema corte corrobora l'orientamento
prevalente, rimarcando, nei termini di cui in massima, il carattere ecce
zionale del principio posto dall'art. 1705, 2° comma, c.c. rispetto alla
regola generale, secondo cui il negozio concluso con il terzo contraente
ricade esclusivamente nella sfera giuridica del mandatario, senza che
si costituisca alcun rapporto tra mandante e terzo. V. Cass. 27 gennaio 1995, n. 1016, Foro it., Rep. 1995, voce Mandato, n. 6, in tema di
mandato senza rappresentanza, a cui dire il fatto che il mandante si
avvalga, ai sensi della norma de qua, della facoltà di sostituirsi al man
datario nell'esazione del credito derivante dall'esecuzione dell'incarico,
configura esercizio di una legittimazione propria di detto mandante, sì che ha portata interruttiva della prescrizione del diritto del mandante
stesso, ma non spiega, in difetto di espressa previsione, analoghi effetti
rispetto alle posizioni del mandatario verso l'altro contraente. Cfr., al
tresì, Cass. 22 aprile 1995, n. 4587, ibid., n. 12, per un'ipotesi in cui
al proprietario di un immobile locato da un mandatario senza rappre sentanza si è riconosciuta la possibilità, a seguito della revoca del man
dato, di esercitare ex art. 1705, 2° comma, ogni diritto di credito deri
vante dal rapporto obbligatorio posto in essere e, quindi, anche il dirit
to di ricevere il pagamento dei canoni dal conduttore, potendo, altresì,
legittimamente agire in giudizio a tutela dei diritti stessi. Nello stesso
senso, v. Cass. 24 febbraio 1993, n. 2278, id., Rep. 1993, voce cit., n. 14, che esprime indirettamente l'orientamento prevalente della giuris
prudenza, ponendo in risalto che il concreto esercizio, da parte del man
dante, del potere di far valere nei confronti dei terzi, sostituendosi al
mandatario, i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato,
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con atto del 9 febbraio 1988
la Compagnia estense costruzioni montaggi impianti (Cecmi) s.n.c. di Lino Trasforini e C. e la Surgelfrigo s.n.c. di Giuseppe trasformi e C. convenivano dinanzi il Tribunale di Milano la
Comtura s.r.l. esponendo che nel febbraio 1986 la prima aveva
incaricato la seconda di acquistare dalla convenuta materiali (flan
ge) da impiegare in un separatore di ammoniaca a sua volta
parte di un impianto di refrigerazione; i materiali, indicati nella
fattura 10 aprile 1986 n. 67 intestata alla Surgelfrigo erano stati
consegnati alla Cecmi; poiché presentavano difetti che li rende
vano inutilizzabili e la Comtura, pur avendoli riconosciuti non
aveva inteso riparare al proprio inadempimento chiedevano la
Cecmi e la Surgelfrigo la risoluzione del contratto quale risulta
va dall'ordine n. 95 del 5-6 marzo 1986 e il risarcimento dei
danni.
La convenuta resisteva alla domanda eccependo il difetto di
legittimazione attiva della Cecmi; la decadenza delle attrici dal
l'azione di garanzia; in via riconvenzionale chiedeva il paga mento della somma di lire 2.123.056 dovutole per la fornitura.
può essere opposto dal terzo al mandatario che agisce per la realizzazio ne di quel credito; 19 febbraio 1993, n. 2029, ibid., n. 10, a tenore della quale il mandante, proprietario di un immobile locato ad un terzo da un suo mandatario senza rappresentanza può, nel revocare il man
dato, sostituirsi al mandatario, ed esercitare ex art. 1705 , 2° comma, ogni diritto di credito derivante dal rapporto obbligatorio posto in esse re e, quindi, anche il diritto a ricevere il pagamento dei canoni diretta mente da parte del conduttore ed è legittimato ad agire in giudizio nei confronti di costui per la realizzazione di tale diritto; 7 gennaio 1993, n. 78, ibid., voce Rappresentanza nei contratti, n. 14, ove si afferma
che, nel caso in cui taluno, senza contemplano domini, abbia agito in nome proprio e per conto altrui, tutti gli effetti del contratto si pro ducono in capo al mandatario e nessun rapporto può costituirsi fra mandante e terzo contraente, non avendo rilevanza, ai sensi dell'art.
1705, l'eventuale conoscenza del mandato da parte di detto terzo. V., altresì, Cass. 13 gennaio 1990, n. 92, id., Rep. 1990, voce Mandato, n. 28, secondo la quale il mandante, a prescindere dalla conoscenza che i terzi abbiano del mandato, ha diritto, in via diretta, di far propri i diritti di credito sorti in capo al mandatario, assumendo l'esecuzione
dell'affare, a condizione che ciò non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso. Inoltre, con la sostituzione del mandante al mandatario, viene riconosciuta al terzo contraente la facoltà di rivolgersi direttamente contro il mandante. V., nello stesso
senso, anche App. Cagliari 2 dicembre 1988, id., Rep. 1989, voce Simu lazione civile, n. 6; Cass. 13 luglio 1982, n. 4128, id., 1982, I, 2163, e, infine, 20 luglio 1976, n. 2877, id., 1977, I, 691, con nota di richiami.
In dottrina, una corrente più risalente interpreta la norma in questio ne nel senso di riconoscere al mandante la legittimazione ad esperire azione surrogatoria. Così, G. Miner vini, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato Vassalli, Torino, 1957, 105; v., pure, C. San
taoata, Crediti ex mandato e sostituzione del mandante, in Riv. dir.
civ., 1963, I, 628, ove si evidenziano le difficoltà interpretative che han no indotto la dottrina più risalente a sostenere tale tesi. Critico nei confronti dell'orientamento giurisprudenziale oggi prevalente, anche A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1984, 209 ss., il quale configura (op. cit., 270 ss.) un trasferi mento del credito — dal mandatario al mandante — riveniente (ex art. 1376 c.c.) dal mandato, ma come effetto eventuale, nonché sospeso, sino alla decisione del mandante di rivelarsi al terzo, per cui l'a. parla di condicio iuris meramente potestativa. Lo stesso a. (op. cit., 206 ss.) rileva anche che, fino a quando il mandante non decida di sostituirsi al mandatario, il terzo debitore può adempiere al mandatario, mentre, verificandosi invece la sostituzione, viene paralizzata la legittimazione ad esigere del mandatario. Nel senso della giurisprudenza prevalente, cui si riallaccia la massima in rassegna, v. S. Pugliatti, Studi sulla
rappresentanza, Milano, 1965, 490 ss., e, più di recente, Zazzera, Le
gittimazione del mandante non rappresentato ad agire nei confronti de!
terzo, in Dir. e giur., 1971, 742; Giammaria, Azione de! mandante ver so il terzo nel mandato senza rappresentanza: la Cassazione non muta
orientamento, in Giusi, civ., 1991, I, 1557. Parte della dottrina propo ne di riconoscere la titolarità del credito al mandatario e di configurare il «potere di sostituzione» previsto dalla norma de qua come una spe ciale surrogatoria concessa al mandante: in tal senso G. Mirabelli, Dei singoli contratti, in Commentario Utet, Torino, 1968, IV, tomo 3, 564 ss. Altra tesi ritiene che il credito venga acquistato dal mandata rio, dal quale passerebbe, però, in modo automatico al mandante, in forza di una fattispecie traslativa la cui natura e composizione vengono variamente configurate dai singoli autori: v. R. Sacco, Principio con sensualistico ed effetti del mandato, in Foro it., 1966, I, 1391 ss., il
quale si richiama all'art. 1376 c.c., nonché, F. Ferrara jr.-F. Corsi, Gli imprenditori e le società10, Milano, 1996, 141, che parlano di tra sferimento ope legis.
Il Foro Italiano — 1999.
Espletata una prova testimoniale, con sentenza 12 marzo 1992
il tribunale accoglieva soltanto la domanda principale; dichiara
va la risoluzione del contratto e condannava la Comtura al ri
sarcimento dei danni con liquidazione in separato giudizio e
alle spese.
Proponeva impugnazione la soccombente lamentando che la
Cecmi non poteva ritenersi legittimata all'azione di risoluzione
essendo riconducibili al mandato senza rappresentanza i suoi
rapporti con la Surgelfrigo; che la prova del suo inadempimen to non risultava dai documenti prodotti; doveva accogliersi, con
seguentemente, la riconvenzionale proposta. Resistevano la Cecmi e la Surgelfrigo; con sentenza 26 set
tembre 1995 la Corte d'appello di Milano, accogliendo l'impu
gnazione, dichiarava il difetto di legittimazione attiva della Cec
mi; rigettava la domanda della Surgelfrigo; accoglieva quella della Comtura; condannava la prima al pagamento in favore
di quest'ultima della somma di lire 2.123.056 ed entrambe le
società attrici, in solido, alle spese. Osservava la corte che la Cecmi solo nella lettera 26 maggio
1984 dell'avv. Fulvio Ferraris alla Comtura era stata indicata
quale soggetto interessato alla composizione della lite fra detta
società e la Surgelfrigo; che per l'art. 1705, 2° comma, c.c.
la Cecmi avrebbe potuto agire unicamente in sostituzione della
Surgelfrigo; che pur avendo la Comtura consegnato flange di
qualità diversa da quella ordinata l'utilizzazione fattane dalla
Surgelfrigo ne aveva determinato l'inservibilità precludendole ex art. 1492, 3° comma, c.c. l'azione di risoluzione; fondata
era pertanto la riconvenzionale della Comtura.
Avverso la sentenza, notificata il 10 novembre 1995, hanno
proposto ricorso con atto del 9 gennaio 1996 e con due motivi
di censura la Surgelfrigo s.n.c. di Giuseppe Trasformi e C. in
liquidazione e la Compagnia estense costruzioni montaggi im
pianti (Cecmi) s.n.c. di Lino Trasforini e C.; la Comtura s.r.l.
non ha svolto difese.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo denunciando
violazione e falsa applicazione dell'art. 1705 c.c. in relazione
all'art. 360, n. 3, c.p.c. le ricorrenti lamentano che la sentenza
impugnata, affermando, senza prendere posizione sull'oggetto delle rispettive azioni, che la Cecmi avrebbe potuto agire in so
stituzione ma non in aggiunta alla Surgelfrigo, non ha conside
rato che diverse erano le pretese fatte valere; la Cecmi aveva
proposto una domanda risarcitoria; la Surgelfrigo una doman
da di accertamento dell'inadempienza della Comtura al fine di
un esonero da responsabilità verso la società mandante.
Non poteva quindi configurarsi duplicazione della stessa do
manda in quanto la prima era di risarcimento del danno, la
seconda di risoluzione e andava affrontata la questione dei di
ritti tutelabili con l'art. 1705 c.c. sulla quale sono a tutt'oggi intervenute due pronunce contrastanti, la prima estensiva, Cass.
2504/55, Foro it., Rep. 1955, voce Mandato, nn. 40, 41; la
seconda, limitativa, Cass. 2877/76, id., 1977, I, 691. Il motivo è infondato.
Con l'atto di citazione 9 febbraio 1988 entrambe le società
ricorrenti avevano chiesto la risoluzione del contratto concluso
dalla Surgelfrigo risultante dalla fattura n. 86 del 10 aprile 1986
e il risarcimento dei danni; la sentenza impugnata non ha quin di confuso le rispettive pretese ed ha correttamente negato la
legittimazione della mandante Cecmi all'azione di risoluzione contrattuale.
Il mandato senza rappresentanza ipotizza un tipico caso di
interposizione reale di persona per cui il negozio nei rapporti del terzo contraente ricade esclusivamente nella sfera giuridica del mandatario e nessun rapporto si costituisce tra mandante
e terzo.
La disposizione del 2° comma — prima parte — dell'art. 1705
c.c. introduce, per ragioni di tutela dell'interesse del mandante, una eccezione al fondamentale principio di cui sopra enunciato
nel 1° comma dell'articolo per il quale il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti ed assume gli obblighi deri vanti dagli atti compiuti con i terzi anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato, consentendo al mandante di esercitare i diritti di credito derivanti al mandatario dall'esecuzione del
mandato.
Deve trattarsi di diritti che scaturiscono direttamente dal rap porto obbligatorio posto in essere dal mandatario nell'esplica zione dell'attività per conto del mandante; questi può agire contro il terzo in sostituzione del mandatario esclusivamente per esercì
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tare tali diritti e cioè per conseguire il soddisfacimento dei cre
diti sorti a favore del mandatario in dipendenza delle obbliga zioni assunte dal terzo con la conclusione del contratto.
La natura eccezionale della norma, le finalità di tutela del
mandante, l'inequivocità della espressione «diritti di credito de
rivanti dall'esercizio del mandato» inducono ad escludere, al
di fuori dell'azione diretta al soddisfacimento di detti crediti, che il mandante possa esperire contro il terzo le azioni da con
tratto e, in particolare, com'è avvenuto nella specie, quelle di
risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni; opi nando diversamente la regola generale sancita dallo stesso art.
1705 c.c. resterebbe svuotata di contenuto.
Si condivide, in definitiva, sui limiti della legittimazione del mandante l'orientamento prevalente di questa corte espresso nelle
sent. 20 luglio 1976, n. 2877, cit.; 10 luglio 1974, n. 2039, id., Rep. 1974, voce cit., n. 7, e, indirettamente, in quelle 24 feb
braio 1993, n. 2278, id., Rep. 1993, voce cit., n. 14; 6 aprile
1977, n. 1323, id., Rep. 1977, voce Commissione, n. 3; 10 mag
gio 1965, n. 879, id., Rep. 1965, voce Mandato, nn. 13, 14; 9 novembre 1964, n. 2714, id., Rep. 1964, voce cit., nn. 17, 18.
Quello minoritario (sent. 2 agosto 1955, n. 2504, cit.; 17 set
tembre 1947, n. 1572, id., Rep. 1947, voce cit., n. 34) è meno
recente, mentre la pronunzia 4 giugno 1980, n. 3626, id., Rep.
1980, voce cit., n. 4, riguarda un'ipotesi in parte diversa atte
nendo ad un'azione intesa a negare la proroga legale di un con
tratto di locazione proposta dal mandante con l'espressa ade
sione del mandatario.
Con il secondo motivo denunciando insufficiente e contrad
dittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art.
360, n. 5, c.p.c.) le ricorrenti lamentano che la sentenza impu
gnata escludendo l'inadempimento della Comtura ha frainteso
le risultanze di alcuni documenti; in particolare, ha confuso il
telex n. 147/86 del 2 aprile 1986 di denunzia dei vizi che riguar dava una precedente fornitura del 20 marzo 1986 con quello n. 21051/86 del 6 maggio 1986 relativo al materiale per cui vi
è controversia; ha ritenuto smentite dal documento indicato le
testimonianze Bergonzini e Pavanelli circa l'impossibilità di sco
prire a vista che i materiali forniti erano diversi; ha ritenuto
che la Surgelfrigo dovesse conoscere i difetti non considerando
che il materiale era stato utilizzato dalla Cecmi; non ha consi
derato che la discrepanza fra quanto ordinato e quanto conse
gnato era stata scoperta solo alla ricezione dei certificati tecnici
il 6 maggio 1986 e denunciata lo stesso giorno a flange (conse
gnate il 10-11 aprile 1986) montate sull'impianto e a collaudo
non ancora avvenuto.
Il motivo è fondato.
L'erroneo richiamo nella sentenza impugnata per la denunzia
dei vizi al telex n. 147 del 2 aprile 1986 anziché a quello succes
sivo n. 21051 del 6 maggio 1986 avendo ad oggetto altri rappor ti ha fuorviato la decisione della corte di merito con riguardo
sia alla natura dei vizi del materiale fornito e alla loro possibili
tà di immediata scoperta, sia all'utilizzazione che la Cecmi ne
avrebbe fatto con conseguente preclusione per la Surgelfrigo del
l'azione di risoluzione contrattuale.
La sentenza dev'essere pertanto cassata con rinvio per nuovo
esame di tale punto della controversia ad altra sezione della
stessa corte d'appello.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 2 no
vembre 1998, n. 10924; Pres. Meriggiola, Est. Vittoria, P.M.
Maccarone (conci, conf.); Menarbin (Avv. Berti, Brusa
din) c. Cremonese (Avv. Loiacono Romagnoli, Pesavento). Cassa App. Venezia 6 novembre 1996.
Contratti agrari — Mezzadria — Somme in restituzione dovute
al mezzadro — Rivalutazione monetaria (Cod. proc. civ., art.
409, 429).
Sulle somme dovute in restituzione dal concedente al mezzadro, che ha convertito il contratto in affitto, compete la rivaluta
zione monetaria. (1)
Svolgimento del processo. — 1.1. - Maurizio Menarbin, con
ricorso alla sezione specializzata agraria del Tribunale di Vicen
za, depositato il 28 febbraio 1995, proponeva in confronto di
Gianella Cremonese una domanda di condanna alla restituzione
di somme pagate in più del canone dovuto.
L'attore esponeva che, con sentenza del 4 settembre 1990 di
quel tribunale e con effetto dall'inizio dell'annata agraria
1982-1983, era stata dichiarata la conversione in affitto del con
tratto di mezzadria; che sino all'annata agraria 1989-1990 egli aveva eseguito i conferimenti in natura preveduti dal contratto
di mezzadria, per un valore superiore a quello del canone di
affitto.
L'attore indicava, annata per annata, l'ammontare dei confe
rimenti da lui eseguiti e delle spese sopportate dalla concedente,
nonché quello del canone; chiedeva che le somme a suo credito
fossero aumentate di rivalutazione ed interessi dalla data dell'il
legittimo conferimento a quella di restituzione; chiedeva che la
condanna fosse pronunciata per la somma di lire 73.800.510,
risultante dall'insieme del capitale di lire 27.630.029 nonché del
la rivalutazione e degli interessi sulla somma rivalutata, decor
(1) Il mezzadro, a cui era stata riconosciuta con sentenza del 1990
la conversione in affitto ex art. 25 1. 203/82 dall'annata agraria 1982/83, assumendo che sino all'annata agraria 1989/90 aveva eseguito i conferi
menti previsti dal contratto di mezzadria, per un valore superiore al
canone d'affitto, chiedeva al tribunale competente il pagamento delle
somme versate in eccedenza con rivalutazione monetaria.
La domanda veniva accolta dal tribunale adito, che però negava la
rivalutazione monetaria. Il giudice di appello confermava l'esclusione
della rivalutazione. La rivalutazione era stata esclusa dai giudici del merito perché quan
to richiesto era credito di valuta soggetto al principio nominalistico ed
inerente ad un rapporto che, dopo l'entrata in vigore della 1. 14 feb
braio 1990 n. 29, era sottratto all'applicazione degli art. 409, n. 2, e
429, 3° comma, c.p.c. La sentenza riportata ha richiamato Cass., sez. un., 2 febbraio 1977,
n. 464, Foro it., 1977, I, 629, che aveva ritenuto che i rapporti indicati
nel n. 2 dell'art. 409 entravano nella nuova disciplina, tranne per quan to riguardava la competenza, che rimaneva affidata alle sezioni specia lizzate agrarie. Del resto, questa interpretazione della norma, quando era stata formulata, era consonante con la precedente disciplina delle
controversie innanzi alle sezioni specializzate agrarie, a cui erano appli cabili le norme dettate dagli art. 429 ss. c.p.c.
Ha pertanto ritenuto la sentenza riportata che all'art. 9 1. 29/90 non
può essere attribuito il significato d'avere sottratto le controversie in
materia di contratti agrari alle disposizioni dettate in materia di rappor ti di lavoro, e quindi agli art. 409 ss. c.p.c.
È stata richiamata Cass., sez. un., 22 febbraio 1994, n. 1682, id.,
1994, I, 1765, con osservazioni di D. Bellantuono, secondo cui allor
ché il coltivatore nel rapporto associativo faccia valere il corrispettivo
spettantegli per la erogazione delle energie lavorative che a quella crea
zione di ricchezza hanno contribuito, la controversia, per sua natura, va ascritta tra quelle di lavoro, per cui legittimamente era stata disposta la rivalutazione del credito ex art. 429, 3° comma, c.p.c.
È stata altresì richiamata Cass. 4 gennaio 1995, n. 96, id., Rep. 1995,
voce Contratti agrari, n. 162, secondo cui l'art. 429, 3° comma, c.p.c. si applica all'affittuario nei confronti del concedente, qualora il credito
sia corrisposto dal primo in misura superiore a quello del canone legal mente dovuto.
Ha quindi ritenuto la sentenza riportata che la rivalutazione moneta
ria andava applicata al caso in esame, a decorrere dalla data di matura
zione del credito e sino alla data della sentenza di condanna che chiuda
il giudizio di merito, e che sul credito rivalutato spettano gli interessi
legali (Cass. 14 aprile 1986, n. 2622, id., Rep. 1986, voce Lavoro e
previdenza (controversie), n. 400; 3 novembre 1987, n. 8070, id., Rep.
1987, voce cit., n. 381; 12 febbraio 1993, n. 1771, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 154).
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