+ All Categories
Home > Documents > Sezione II civile; sentenza 6 aprile 1964, n. 743; Pres. Gionfrida P., Est. Pedroni E., P. M. Pedace...

Sezione II civile; sentenza 6 aprile 1964, n. 743; Pres. Gionfrida P., Est. Pedroni E., P. M. Pedace...

Date post: 27-Jan-2017
Category:
Upload: doxuyen
View: 220 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
3
Sezione II civile; sentenza 6 aprile 1964, n. 743; Pres. Gionfrida P., Est. Pedroni E., P. M. Pedace (concl. diff.); Canevari (Avv. Giglia) c. Baratti (Avv. Mastrogiovanni, Sala) Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1169/1170-1171/1172 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23156174 . Accessed: 28/06/2014 18:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.50 on Sat, 28 Jun 2014 18:09:49 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: Sezione II civile; sentenza 6 aprile 1964, n. 743; Pres. Gionfrida P., Est. Pedroni E., P. M. Pedace (concl. diff.); Canevari (Avv. Giglia) c. Baratti (Avv. Mastrogiovanni, Sala)

Sezione II civile; sentenza 6 aprile 1964, n. 743; Pres. Gionfrida P., Est. Pedroni E., P. M. Pedace(concl. diff.); Canevari (Avv. Giglia) c. Baratti (Avv. Mastrogiovanni, Sala)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1169/1170-1171/1172Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156174 .

Accessed: 28/06/2014 18:09

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 185.31.195.50 on Sat, 28 Jun 2014 18:09:49 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: Sezione II civile; sentenza 6 aprile 1964, n. 743; Pres. Gionfrida P., Est. Pedroni E., P. M. Pedace (concl. diff.); Canevari (Avv. Giglia) c. Baratti (Avv. Mastrogiovanni, Sala)

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

considerarsi autonoma rispetto a quella originariamente proposta, va indubbiamente rigettata, poiché è in contrasto con i termini del giudizio, quali sono stati fissati al mo mento della conclusione del processo di primo grado.

Orbene, nella specie, la richiesta, formulata, dal Mar

coni, per la prima volta nel processo di appello, che, per l'attività che egli assumeva di avere svolto ai fini della conclusionale del contratto di mutuo Bonajuti-Tranqu Ili,

gli fosse riconosciuto e liquidato un compenso, quale cor

rispettivo dell'opera di mandatario, anziché a titolo di

mediazione, muta indubbiamente l'impostazione originaria della domanda, il tema sostanziale della causa, e, pur tendendo, sotto un certo aspetto, ad un risultato che po trebbe ritenersi analogo a quello prefissosi con la citazione introduttiva e perseguito nel processo di primo grado (cioè ottenere un corrispettivo per l'attività spiegata per la

conclusione del contratto di mutuo) costituisce in effetti una domanda autonoma, diversa essendo la causa petendi (mediazione, nel processo di primo grado, mandato, in

quello di appello) ed il petitum (la misura della provvigione di mediazione non poteva, ovviamente, coincidere con la

misura del compenso per l'incarico di agevolare la con

clusione dell'affare del mutuo) e diversi, altresì, i presup posti di fatto della domanda, per la deduzione di fatti

sostanzialmente diversi, in quanto è nota la differenza tra i due rapporti, consistendo la mediazione nella esplicazione di semplice attività materiale, per l'avvicinamento delle

parti, ed il mandato, invece, nel compimento di atti giu ridici.

A tale conclusione deve giungersi anche tenendo pre sente che questa Corte regolatrice, con ripetute decisioni

(vedi, ad es., sentenza n. 720 dell'anno 1961, Foro it.,

Rep. 1961, voce Appello civ., n. 75), ha affermato che sus

siste domanda nuova quando, pur restando fermo il pe titum, si deduce una diversa causa petendi, la quale non

costituisca semplice precisazione, ma che sia impostata su

presupposti di fatto e situazioni giuridiche non prospettate in primo grado. In base a tale principio, non può conte

starsi che il Marconi, deducendo in appello un rapporto

giuridico diverso, venne ad introdurre un nuovo tema di

indagine, alterando, così, l'oggetto sostanziale dell'azione

ed i termini della controversia, in quanto intendeva far

valere, in appello, una pretesa sostanzialmente diversa

da quella che era stata oggetto del giudizio di primo grado. Pertanto, esattamente i giudici di appello hanno ritenuto

che operasse il divieto sancito con la citata norma del

l'art. 345.

Per le considerazioni esposte, il ricorso va rigettato con tutte le conseguenze di legge relativamente al deposito

per soccombenza ed all'onere delle spese di questo grado del processo.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile ; sentenza 6 aprile 1964, n. 743 ; Pres.

Gionfrida P., Est. Pedroni E., P. M. Pedace (conci,

diff.) ; Canevari (Avv. Giglia) c. Baratti (Avv. Mastro

giovanni, Sala).

(Conferma App. Milano 16 giugno 1961)

Giudizio (rapporto) — Assoluzione per insufficienza

di prove —• Dubbio sull'accadimento di fatto ma

teriale — Autorità nel giudizio civile — Fatti

specie (Cod. proc. pen., art. 28).

Il dubbio sull'effettivo accadimento di fatto materiale (nella

specie, episodio addotto dall' imprenditore quale giusta causa del recesso immediato dal rapporto di lavoro) dichia

rato con sentenza di assoluzione per insufficienza di prove dal delitto di falsa testimonianza del teste escusso nel

giudizio civile, forma in quest'ultimo prova dell'inesistenza del fatto materiale da cui dipende il diritto controverso. (1)

La Corte, ecc. — Col primo motivo si deduce che, nel caso di assoluzione di un teste dal delitto di falsa testimo

nianza, l'autorità del giudicato penale si concreta sul punto della non falsità del testimonio e non già sul punto della insussistenza del fatto oggetto della deposizione, come ha ritenuto la corte d'appello, la quale, così argomentando, avrebbe finito con il considerare la sentenza assolutoria come una sentenza di condanna ed anziché ritenere come non falsa l'a severazione del teste incriminato l'avrebbe giu dicata assolutamente mendace.

Col secondo motivo il ricorrente si duole che la corte del merito abbia pretermesso quel riesame delle altre risul tanze testimoniali al quale con l'unico motivo di appello era stata sollecitata.

Le suesposte censure, il cui esame congiunto è suggerito dalla loro stretta interdipendenza, non meritano accogli mento.

Giova, anzitutto, premettere che a base della pretesa legittimità del licenziamento in tronco del dipendente, il

datore di lavoro aveva addotto uno specifico episodio di

insubordinazione commesso dal Baratti, il quale, redar

guito per l'incuria dimostrata nell'assolvimento del suo

lavoro, si sarebbe espresso in termini di minaccia verso il

suo imprenditore, episodio che fu confermato dalla depo sizione resa dal teste Mario Mainardi, incriminato perciò per il delitto di falsa testimonianza.

Va, poi, rilevato che la sentenza penale assolutoria del testimone per insufficienza di prove, sentenza ormai pas sata in giudicato, è sorretta dal preminente ed unico mo tivo che sulla base delle risultanze del giudizio « non era

stato possibile accertare se il dipendente licenziato avesse

effettivamente pronunziato le frasi offensive e tenuto l'at

teggiamento minaccioso verso il datore di lavoro ». Alla stregua di tali premesse di ineccepibile rigore giu

ridico si appalesa il riferimento fatto dai giudici di appello alla efficacia vincolante del giudicato penale a norma del

l'art. 28 cod. proc. penale. Premesso, invero, che in forza di questa disposizione la

sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione,

pronunciata a seguito di giudizio, ha autorità di cosa giu dicata nel giudizio civile, quando in questo si controverta

intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende dall'ac

certamento dei fatti materiali che formarono oggetto del

giudizio penale, la sentenza impugnata, considerato che il

giudicato penale era motivato dal rilievo che non era stata

raggiunta la prova sull'effettivo accadimento dell'episodio addotto dall'imprenditore a giustificazione del suo recesso

immediato dal rapporto di lavoro, ha ritenuto che tale

espressione di dubbio vincolava il giudice civile in termini

di accertamento negativo e cioè come accertamento della

insussistenza dell'episodio ascritto al dipendente. In tal guisa argomentando, la corte d'appello ha mo

strato di volersi attenere ad un principio elaborato soprat

(1) In senso conforme, Cass. 26 ottobre 1963, n. 2845, Foro it., Rep. 1963, voce Giudizio (rapp.), nn. 195, 196, ha di chiarato che nel giudizio civile l'accertamento da parte del giudice penale della insufficienza delle prove sulla sussistenza del fatto ha l'efficacia di prova della inesistenza del fatto.

In particolare, è stato ritenuto che, negata con sentenza penale, ed in forma dubitativa la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non è possibile al giudice civile ammettere prova testimoniale, valutare la stessa ed affermare l'esistenza di tale rapporto : Cass. 26 luglio 1963, n. 2075, ibid., nn. 163, 164 ; contra Cass. 17 maggio 1962, n. 1113, id., Rep. 1962, voce cit., n. 132.

Sulla portata in genere dell'art. 28 cod. proc. pen., cfr., C. conti, Sez. unite, 8 aprile 1963, in questo volume, III, 192, con ampia nota di richiami.

L'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 28 cod. proc. pen. è stata dichiarata manifestamente infondata da Cass. 13 settembre 1963, n. 2505, Foro it., Rep. 1963, voce cit., nn. 159-161 ; e non manifestamente infondata da Pret, Isernia 29 luglio 1963, retro, 240.

This content downloaded from 185.31.195.50 on Sat, 28 Jun 2014 18:09:49 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: Sezione II civile; sentenza 6 aprile 1964, n. 743; Pres. Gionfrida P., Est. Pedroni E., P. M. Pedace (concl. diff.); Canevari (Avv. Giglia) c. Baratti (Avv. Mastrogiovanni, Sala)

1171 PARTE PRIMA 1172

tutto dalla giurisprudenza di questo Supremo collegio, il

quale, con molteplici decisioni di data recente e remota, ha

avvertito che per accertamento di fatti materiali, di cui

all'art. 28 cod. proc. pen., si deve intendere non soltanto

l'accertamento positivo o negativo di un fatto, ma anche

l'accertamento della dubbiezza in ordine alla sussistenza o

meno del fatto medesimo nel senso che tale dubbiezza equi vale ad accertamento negativo. Dal che consegue che la

sentenza penale, con la quale viene dichiarata insufficiente

la prova relativa alla sussistenza dei fatti materiali, è desti

nata a costituire giudicato irretrattabile e, quindi, a spri

gionare forza vincolante nel successivo giudizio civile ove

si controverta intorno ad un diritto il cui riconoscimento

dipende dall'accertamento dei fatti materiali che forma

rono oggetto del giudizio penale, nel senso che per il giudice civile quei fatti materiali ritenuti dubbi in sede penale devono considerarsi inesistenti, in quanto non assistiti da

prova per come deciso dal magistrato penale. Al riguardo va, però, precisato che ovviamente il giu

dice civile resta vincolato al dubbio espresso dal giudice

penale, nel senso che non può attingere da altre fonti di

convincimento, in ordine alla sussistenza del fatto mate

riale, la prova ritenuta insufficiente dal giudicato penale, solo quando il fatto da cui dipende il riconoscimento del

diritto e la cui esistenza è stata posta in dubbio in sede

penale, rappresenti l'unico elemento ritenuto rilevante dal

giudice civile ai fini del decidere, come può dirsi per il caso

qui considerato. Il ricorrente reputa di dar fondamento alle censure for

mulate nei due mezzi del ricorso riportandosi alle decisioni

di questa Corte suprema, in cui si afferma che, nel caso di

assoluzione di un testimone dal delitto di falsa testimo

nianza, l'autorità del giudicato penale si concreta sul punto della non falsità del testimone, onde il giudice civile, vinco

lato unicamente su tale punto, può liberamente valutare

le risultanze processuali e su queste fondare la sua libera

decisione.

Senonchè, invocando tali precedenti giurisprudenziali, non si riflette che gli stessi non riguardano fattispecie

analoghe a quella in esame, non riguardano cioè il caso di

assoluzione per insufficienza di prove sull'esistenza di quel l'unico fatto materiale destinato a costituire la sola base

decisoria nella controversia civile.

Correttamente, adunque, sul piano giuridico la corte

d'appello ha ritenuto di doversi astenere da ulteriori ricerche

volte a risolvere il dubbio espresso dal giudice penale sul

reale accadimento del fatto materiale, avvertendo che

tanto le era precluso dal giudicato penale, da intendersi

come vincolante accertamento negativo del fatto stesso.

Il ricorso, per i rilievi suesposti, deve essere respinto con ogni conseguenza di legge.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione II civile sentenza 3 aprile 1964, n. 726 ; Pres. Gionfrida P., Est. Marchetti, P. M. Toro (conci, conf.) ; Fall. Pantheon film (Avv. A. Ungaro) c. Staiola

(Avv. Degli Uberti, Piccioni).

(Cassa App. Roma 31 maggio 1961)

Privilegio — Rapporto di lavoro — Tutela delle con dizioni di lavoro — Risarcimento per inosservanza — Natura chirograiaria — Esclusione (Cod. civ.,

art. 2087, 2099, 2110, 2751, n. 4).

Non è assistito da privilegio il credito vantato dal lavoratore subordinato nei confronti dell'imprenditore a titolo di risarcimento di danno per violazione dell'obbligo di tute lare l'integrità fisica del lavoratore medesimo. (1)

(1) Non constano precedenti specifici. Nel senso che il pri vilegio ex art. 2751, n. 4, riguarda solo la retribuzione, quale che

La Corte, eco. — Con il primo motivo il ricorrente de

nuncia la violazione degli art. 2751, n. 4, 2087 e 2110 cod.

civ. sostenendo che la corte d'appello avrebbe errato nel

ritenere assistito da privilegio il credito per il risarcimento

del danno da infortunio sul lavoro, giacché il privilegio dell'art. 2751, n. 4, riguarda le retribuzioni intese come

corrispettivo di lavoro e non può estendersi a tutte le pre stazioni e obbligazioni contrattuali. Inoltre, l'obbligazione che trova il suo titolo nell'art. 2087 non è contrattuale : la

responsabilità che deriva da detto articolo trova il suo

fondamento non tanto nel rapporto contrattuale quanto nel mancato esercizio di quel funzionamento dell'impresa, che può ricollegarsi alle responsabilità extracontrattuali degli art. 2043 e 2049. L'art. 2110, infine, non ha carattere

retributivo, ma provvede solo alla tutela del posto e l'in

dennità in esso considerata non può identificarsi con quelle accessorie.

Il motivo è fondato, anche se non tutti gli argomenti addotti dal ricorrente possono essere condivisi. Non è

esatto, infatti, che la responsabilità dell'imprenditore per la violazione degli obblighi posti dall'art. 2087 cod. civ.

sulla tutela delle condizioni di lavoro abbia natura extra

contrattuale. Al contrario, invece, trattasi di responsabi lità contrattuale, come altra volta ha ritenuto questa Corte di cassazione (cfr. sent. 21 aprile 1955, n. 1111, Foro it.,

Rep. 1955, voce Lavoro (rapp.), n. 831), rilevando che, ancor prima dell'entrata in vigore del vigente codice civile,

l'obbligo del datore di lavoro di predisporre le condizioni di lavoro idonee ad assicurare la tutela dell'integrità fisica

del lavoratore veniva desunta dai principi generali posti

dagli art. 1224 e 1225 cod. civ. abrogato ; che siffatta

responsabilità di natura contrattuale era stata gradual mente rafforzata da un obbligo di carattere pubblicistico, non rimanendo, però, esclusa, al di fuori dell'ambito di

applicazione delle leggi speciali, la normale responsabilità civile per violazione dell'obbligo contrattuale di adempiere con diligenza l'obbligazione.

Ma, pur riconosciuta natura contrattuale all'obbliga zione di risarcimento derivante dall'inosservanza degli ob

blighi previsti nell'art. 2087 cod. civ., non può ritenersi che il relativo credito sia assistito dal privilegio di cui all'art.

2751, n. 4, cod. civ. Perchè ciò fosse occorrerebbe che la norma in questione attribuisse il privilegio a tutti i crediti che trovano titolo nel rapporto di lavoro, mentre invece la norma stessa si riferisce esclusivamente alle « retribuzioni

dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro su bordinato per gli ultimi sei mesi e a tutte le indennità dovute

per effetto della cessazione del rapporto di lavoro ». Occor

rerebbe, perciò, per l'applicazione del privilegio ex art.

2751, n. 4, che la somma dovuta a titolo di risarcimento

per la violazione di un obbligo nascente dal contratto di lavoro potesse essere qualificata come « retribuzione » op

ne sia la forma, v. Trib. Palermo 6 aprile 1959, Foro it., Rep. 1959, voce Privilegio, n. 11. Per la esclusione dai l'ambito del privilegio delle indennità a titolo risarcitorio, v. Trib. Roma 5 giugno 1959, id., Rep. 1960, voce cit., n. 15.

Per Trib. Milano 1° luglio 1952,id., Rep. 1952, voce Lavoro (rapp.), n. 580, non è assistita dal privilegio la somma dovuta al lavoratore a titolo di risarcimento dei danni conseguenti alla anticipata risoluzione del contratto di lavoro a termine.

Si è escluso il privilegio per il credito vantato, per contri buti non versati, da un fondo di previdenza : App. Trieste 21 gennaio 1957, id., Rep. 1957, voce Privilegio, n. 32.

In dottrina sull'art. 2751, n. 4, cod. civ., v. Andrioli, Tutela dei diritti, in Commentario del cod. civ., a cura di A. SciALOJA e G. Branca, 1955, pag. 117-119, il quale reputa coperte dal pri vilegio anche le somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore verificandosi gli eventi di cui all'art. 2110 cod. civ., e in difetto di forme previdenziali o assistenziali ad hoc. Per i precedenti della disposizione, v. in particolare la nota di Reibaldi, in Riv. dir. lav., 1950, II, 151.

Per la qualificazione dell'obbligo di sicurezza facente ca rico al datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ. e per il carattere non innovativo della norma, v., da ultimo, Cass. 26 ottobre 1961, n. 2416, Foro it., 1962, I, 988, con nota di richiami.

In dottrina, sempre sul detto obbligo di sicurezza, v. Riva Sansbvbbino, Il lavoro nell'impresa, 1960, pagg. 392-393.

This content downloaded from 185.31.195.50 on Sat, 28 Jun 2014 18:09:49 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended