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Sezione II civile; sentenza 6 dicembre 1983, n. 7271; Pres. Carotenuto, Est. Rotunno, P. M.Grimaldi (concl. conf.); Canonico (Avv. Fassari, G. Ferrara) c. Giori e Rinaldi (Avv. Honorati,Raitè). Conferma App. Milano 30 settembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 2 (FEBBRAIO 1984), pp. 425/426-429/430Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175573 .
Accessed: 25/06/2014 10:13
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
non suscettibili, per qualsiasi ragione, di imposizione fondia
ria. Per questa via non possono perciò modificarsi le conclu
sioni relative alla nascita dell'obbligazione contributiva per effetto
dell'esistenza di un qualsiasi immobile che tragga utilità dall'opera
idraulica, alle quali si perviene correttamente mediante l'inter
pretazione letterale della norma.
Né può sostenersi che per gli immobili non soggetti ad imposta fondiaria manchi un criterio di determinazione dei contributi
consortili, in quanto il 1° comma del citato art. 18 dispone
espressamente ohe la partecipazione al consorzio dei proprietari e
possessori avviene « in proporzione del rispettivo vantaggio », e
stabilisce perciò un criterio sufficientemente preciso per determi
nare quantitativamente, in base a nozioni di ordine tecnico,
l'obbligazione contributiva.
In tal modo viene salvaguardato il criterio della riserva di
legge sancito dall'art. 23 Cost., il quale viene rispettato — per costante giurisprudenza della Corte costituzionale — ogniqualvol ta la legge indichi criteri idonei a delimitare la discrezionalità
dell'ente impositore, cosi da non lasciare all'arbitrio di quest'ulti mo la determinazione concreta della prestazione.
Giova inoltre rilevare, a conferma della tesi qui sostenuta, che
anche l'art. 868 c.c. prevede l'obbligatorietà della contribuzione
per opere idrauliche e, pur rinviando alla disciplina stabilita dalla
legislazione speciale, ricollega l'obbligazione contributiva alla pura e semplice proprietà degli immobili che dall'opera traggono utilità.
Né va trascurato di considerare che l'obbligo di contribuzione
per effetto della generica proprietà ammobiliare è stato già affer
mato in materia di consorzi di bonifica, i quali presentano strette
analogie con quelli per opere idrauliche.
Con riferimento ad una servitù di elettrodotto esercitata dal
l'E.n.el. mediante immobili costituenti un complesso di impianti
elettrici, questa Corte suprema ha, infatti, affermato il principio che sussistono i presupposti dell'obbligo contributivo alle spese di
bonifica anche quando, avendo i beni in relazione ai quali
vengono pretesi i contributi natura di costruzioni, i proprietari di
essi non siano pure proprietari dei fondi su cui le costruzioni
esistono, quale che sia il titolo in base al quale detta proprietà
separata da quella del suolo sia stata costituita e >venga mantenu
ta, sempreché gli immonili esistenti nel comprensorio abbiano
conseguito benefici dalle opere di bonifica (Cass. n. 183 del 1979,
Foro it., Rep. 1979, voce Bonifica, n. 5).
È ovvio che non è possibile estendere automaticamente tale
principio alla materia dei consorzi per opere idrauliche, i quali
sono soggetti ad una normativa specifica.
Tuttavia, è possibile rilevare che, nell'individuazione del crite
rio che presiede all'imposizione contributiva, il beneficio ricavabi
le dalla bonifica è pressocché identico a quello dell'utilità deri
vante dall'opera idraulica, talché non è azzardato riguardare le
due fattispecie in un'ottica comune.
È certo, comunque, che la tesi riduttiva e formalistica della
sentenza appellata produce il risultato di escludere dall'obbliga
zione contributiva degli immobili che traggono utilità dalle opere
idrauliche di competenza del consorzio; il che è inaccettabile
perché sarebbe manifestamente contrario ai principi sull'imposi
zione tributaria e sulla parità di trattamento per situazioni
identiche, sancito dall'art. 3 Cost.
È invece più coerente con la ratio legis ritenere che l'obbliga
zione contributiva riguardi tutti i beni immobili per i quali
l'opera idraulica sia stata di utilità, con la differenza ohe per i
terreni ed i fabbricati i contributi vanno ragguagliati all'imposta
fondiaria, mentre per gli altri il criterio di imposizione è quello
proporzionale rispetto ai vantaggi conseguiti; il che richiede una
determinazione concreta riferita al caso di specie, da effettuarsi
attraverso' un'indagine tecnica.
Non può perciò condividersi la tesi della corte torinese, secon
do cui i contributi consortili non sarebbero dovuti in relazione al
metanodotto di cui trattasi, non essendo lo stesso soggetto all'im
posta fondiaria. Deve invece ritenersi che anche esso sia soggetto
a contribuzione, stante la sua incontestata natura di bene immo
bile, condizionatamente all'accertamento che risenta un utile di
retto od indiretto, presente o futuro dall'esecuzione delle opere
idrauliche di competenza del consorzio.
In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va pertanto
cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di
Torino, la quale si atterrà ai principi sopra enunciati. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1984 Parte I-28.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 6 di
cembre 1983, n. 7271; Pres. Carotenuto, Est. Rotunno, P.M.
Grimaldi (conci, conf.); Canonico (Avv. Fassari, G. Ferrara)
c. Giori e Rinaldi (Avv. Honorati, Raitè). Conferma App.
Milano 30 settembre 1980.
Vendita — Vendita con patto di riscatto — Divieto del patto commissorio — Violazione — Nullità del contratto (Cod. civ., art. 1344, 1418, 1500, 2744).
La vendita con patto di riscatto è nulla per violazione del
divieto del patto commissorio ove, malgrado l'immediato trasfe rimento della proprietà, risulti l'intento delle parti di garantire, con il bene venduto, l'adempimento di un mutuo preesisten te. (1)
Svolgimento del processo. — Con scrittura privata del 15 febbraio 1973, riportante le sottoscrizioni autenticate da notaio, i
coniugi Emilio Giori e Anna Rinaldi dichiaravano di vendere per il prezzo di lire 7.500.000 ad Antonio Canonico un appartamento alla via Coloniola n. 20 di Como; con aitra scrittura in pari data,
gli stessi coniugi pattuivano con l'acquirente in loro favore la facoltà di riscatto, stabilendo per il relativo esercizio il termine di tre anni, ed inoltre, a loro carico, il versamento di interessi nella misura del 6 % a fondo perduto sino alla restituzione della somma di lire 7.500.000.
Successivamente, con citazione del 24 febbraio 1976 i coniugi Giori-Rinaldi, convenivano il Canonico davanti al Tribunale di
Como, per sentir dichiarare la simulazione del contratto, essendo si in realtà convenuto che l'immobile veniva dato allo stesso Canonico a garanzia di un mutuo di lire 7.500.000, col patto che
egli ne sarebbe divenuto proprietario in caso di mancata restitu zione della somma nel termine di tre anni. Il convenuto resisteva, deducendo che si era trattato di una vendita con patto di riscatto.
Il tribunale, con sentenza 21 igiugno-6 luglio 1978, rigettava la domanda.
Su appello dei coniugi Giori-Rinaldi, la Corte d'appello di
Milano con sentenza 30 settembre 1980 accoglieva la domanda, dichiarando nullo l'atto di compravendita immobiliare del 15 feb
braio 1973, dissimulante un mutuo con patto commissorio. La corte d'appello rilevava che era risultata da documenti la
preesistenza di un debito di lire 14.650.000 dei coniugi Giori-Ri naldi verso il Canonico e che il debito non era stato estinto nemmeno in parte con la compravendita del 15 febbraio 1973; che la persistenza del debito dopo la vendita era dimostrata anche della contemporanea pattuizione degli interessi a fondo
perduto a carico dei venditori; che questi ultimi avevano conser vato il godimento dell'immobile, continuando a comportarsi come
proprietari nei riguardi dei terzi; che tutto ciò, insieme con una lettera del 16 febbraio 1976 nella quale il Canonico si era dichiarato ancora creditore per la somma di lire 9.849.488, dimostrava che le parti avevano inteso sottoporre la vendita alla
condizione sospensiva della mancata estinzione del debito nel
termine pattuito e che, quindi, il trasferimento di proprietà dell'immobile si sarebbe dovuto verificare soltanto nel momento in cui fosse inutilmente decorso il termine per l'estinzione del debito.
Antonio Canonico ha proposto ricorso per cassazione. Resistono con controricorso i coniugi Giori-Rinaldi.
Motivi della decisione. — Con i tre motivi di ricorso, che
vengono esaminati insieme, il ricorrente, denunciando violazione
degli art. 1500, 2744 e 1362 c.c. in relazione all'art. 360, nn. 3 e
5, c.p.c., si duole che la Corte d'appello di Milano abbia erroneamente ravvisato un mutuo con patto commissorio, laddove si era trattato di un tipico negozio di vendita a scopo di garanzia operante l'immediato trasferimento della proprietà al compratore con la facoltà per il venditore di riottenere il bene attraverso la
restituzione della somma ricevuta. Richiamandosi alla giurispru denza di questo Supremo collegio sui criteri distintivi, con i
relativi diversi effetti, tra vendita con patto di riscatto a scopo di
garanzia e vendita dissimulante un mutuo con patto commissorio, sostiene che il divieto di tale patto non colpisce le vendite
<1) La Cassazione ribadisce, a breve distanza di tempo e con una
pregevole motivazione, arricchita da un breve excursus attraverso la
giurisprudenza precodicistica, il proprio mutamento di indirizzo relati vamente alla validità delle alienazioni concluse nella forma di vendita con patto di riscatto (ovvero con pactum de retrovendendo) ma con lo scopo di creare una garanzia reale in favore del mutuante-compra tore. La * sterzata ' si ascrive alla recentissima Cass. 3 giugno 1983, n. 3800, Foro it., 1984, I, 212, cui si rinvia per i necessari richiami alla precedente giurisprudenza e alla dottrina, da tempo favorevole alla soluzione ora fatta propria dai giudici di legittimità.
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PARTE PRIMA
operanti l'immediato trapasso del bene, nemmeno se ad esse
acceda un patto di riscatto destinato a realizzare un ritrasferi
mento del bene stesso col verificarsi di una particolare situazione entro un termine prefissato, ma soltanto quelle vendite, nelle
quali le parti concordano ohe il compratore diverrà proprietario solo in caso di mancato soddisfacimento del proprio credito nel
termine stabilito. Aggiunge che le affermazioni della corte milane
se circa l'intenzione delle parti di rinviare il trasferimento effetti
vo del bene « al momento in cui fosse inutilmente decorso il termine per l'estinzione del dubbio preesistente » potrebbero avere un senso, solo se le parti avessero mostrato di volere il trasferi mento del bene in -detto momento, mentre in realtà il negozio da esse prescelto aveva in se stesso la capacità di operare l'immedia to trasferimento del bene.
La complessa censura, che fa perno su una giurisprudenza di
questo Supremo collegio mantenuta omogenea per un lunghissimo
periodo, non coglie nel segno. Per meglio chiarire i termini del problema concernente il
rapporto, col divieto del patto commissorio, della vendita con
patto di riscatto (o con patto de retrovendendo) a scopo di
garanzia, si ritiene opportuno innanzitutto ripercorrere a grandi linee l'iter, in verità piuttosto travagliato, del predetto istituto nella nostra legislazione, nella giurisprudenza e nella dottrina.
Il patto commissorio affonda le sue radici nel diritto romano, nel quale, nel costituire il pegno, si soleva aggiungere la clausola
(o lex commissoria) — probabilmente derivata dai contatti con i
paesi dell'Oriente — secondo cui, se alla scadenza il creditore non fosse stato soddisfatto, la cosa sarebbe passata in proprietà di lui; ma la clausola fu poi vietata con una costituzione
dell'imperatore Costantino, che me sottolineava l'asperitas e l'op portunità di cancellarne nel futuro persino il ricordo: Quoniam inter alias captiones praecipue commissoriae pignorum legis cre scit asperitas, placet infirmari eam et in posterum eius memoriam aboleri (C. 8, 34, 3).
Il codice civile del 1865 sancì la nullità del patto commissorio
soltanto relativamente al pegno e all'anticresi (art. 1884 e 1894),
per cui si accese la disputa circa l'applicabilità dei divieto del
patto anche nel caso dell'ipoteca e, in genere, dell'attribuzione condizionata in proprietà a scopo di garanzia: le cassazioni
regionali del tempo si espressero per l'applicabilità del divieto, ma l'indirizzo fu mutato dalla Cassazione di Roma con sentenza 28 luglio 1923 (Foro it., 1923, I, 935), in una fattispecie di mutuo ipotecario accompagnato da patto commissorio; poi la Cassazione unica, con pronunzia 11 giugno 1926 (id., Rep. 1926, voce Mutuo, n. 6), ritenne valida la vendita con patto di riscatto dissimulante un patto commissorio e segui tale indirizzo per circa un ventennio; successivamente, sempre in riferimento al regime dettato dal vecchio codice, con la decisione del 16 aprile 1945, n. 259 (id., 1944-46, I, 34), e con altre, venne di nuovo affermata la -nullità -di siffatta vendita; ma con la pronunzia 1° luglio 1947, n. 1037 (id., 1947, I, 813), si tornò a ritenere la validità della vendita con patto di riscatto, ancorché dissimulante un mutuo con patto commissorio, e tale indirizzo rimase poi costante, essendo prevalsa la tesi della tassatività delle ipotesi di divieto
previste dal codice -del 1865 e, quindi, della piena validità della vendita immobiliare dissimulante un mutuo con patto commisso rio (tra -le più recenti pronunzie, Cass. 27 novembre 1956, n.
4315, id., Rep. 1956, voce Patto commissorio, n. 14; 11 luglio 1957, n. 2778, e 30 luglio 1957, m. 3229, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 14, 5; 8 febbraio 1960, n. 177, id., Rep. 1960, voce cit., n. 3).
La introduzione dell'art. 2744 nel nuovo codice civile venne considerata innovativa, per la estensione della nullità al patto commissorio aggiunto alla costituzione di ipoteca ed inoltre al
patto stipulato, per il pegno o per l'ipoteca, anziché in continenti,
posteriormente ossia ex intervallo; dello stesso articolo venne ritenuta applicazione la disposizione -dell'art. 1993 in tema di anticresi.
In dottrina, in base alla premessa della maggiore estensione data con l'art. 2744 al divieto del patto commissorio, si affermò la tendenza a ritenere nulla la vendita con patto di riscatto o di
retrovendita a scopo specifico di garanzia, o negandosi l'esistenza ■nel nostro ordinamento di una vendita a scopo di garanzia, o
sostenendosi che in detto negozio non si avrebbe più una vendita come contratto tipico bensì un'alienazione avente la garanzia come causa, o facendosi derivare la nullità dall'art. 1344 c.c. in
dipendenza dell'utilizzazione di un negozio in sé lecito ma posto in essere con l'intento di frodare la legge. Altri invece ritenne
valida la vendita con patto di riscatto a scopo di garanzia, inten
dendo questo soltanto come uno scopo ulteriore, indiretto, il
quale, lungi dall'escludere la volontà di stipulare una vendita,
presuppone la realtà di questa, che serve appunto come mezzo
per il raggiungimento dello scopo stesso.
In giurisprudenza, anche dopo l'ampliamento legislativo circa il
divieto del patto commissorio, si ritenne che tale divieto non costi
tuisse nel nostro ordinamento un principio di carattere generale, ap
plicabile in via analogica al di là delle ipotesi tassativamente previ ste dell'anticresi, dell'ipoteca e del pegno, per cui bisognava rico
noscere validità alla vendita con patto di riscatto a scopo di garan zia (Cass. 26 giugno 1946, n. 740, id., Rep. 1946, voce Tra
scrizione, n. 8; 17 marzo 1949, n. 594, id., Rep. 1949, vo
ce Patto commissorio, n. 81; 9 novembre 1959, n. 3314, id.,
Rep. 1959, voce cit., n. 3; 29 febbraio 1960, n. 361, id., Rep. 1960,
voce cit., n. 1; 30 marzo 1967, n. 689, id., Rep. 1967, voce cit., n.
3; 27 gennaio 1968, n. 264, id., Rep. 1968, voce cit., n. 2).
Si affermò quindi e fu costantemente mantenuto l'indirizzo, secondo cui la vendita ipuò ben essere stipulata fiduciae causa: in
tal caso, il negozio indiretto conserva piena validità, anche se
concluso non per un fine tipico (scambio) ma per uno scopo
atipico (garanzia), trattandosi di una vendita vera e reale, in cui
le parti stabiliscono che la proprietà passi senz'altro all'acquiren
te, salvo a ritornare al debitore con l'esercizio del diritto di
riscatto, se lo stesso, nel termine convenuto, paghi il suo debito.
Invece, se le parti, pur avendo dichiarato di stipulare una
compravendita, siano state in realtà d'accordo nel senso di far
sorgere una situazione giuridica corrispondente a quella della
vendita sotto condizione sospensiva, nel senso cioè che il compra tore-creditore diverrà proprietario dell'immobile solo se, nel ter
mine stabilito, non otterrà dall'altra parte il soddisfacimento del
debito, si ha quella discordanza fra volontà dichiarata e volontà
effettiva ohe caratterizza la simulazione: in tal caso, il negozio
dissimulato, se abbia per oggetto un immobile, adempie, oltre che
al risultato economico, alla funzione giuridica dell'ipoteca con
patto commissorio ed è nullo ai sensi dell'art. 2744 c.c.
Ed assurse a criterio distintivo tra la vendita fiduciaria a scopo di garanzia accompagnata da patto di riscatto <o da pactum de
retrovendendo) e vendita dissimulante un mutuo con patto com
missorio il fatto che la prima, vendita vera e reale sottoposta a
condizione risolutiva potestativa, produce il trapasso immediato
della proprietà dal venditore al compratore, salvo l'obbligo di
costui di ritrasferire la cosa stessa al venditore in seguito alla
tempestiva estinzione del debito, mentre sulla vendita dissimulan
te un mutuo con patto commissorio, che è vendita sotto condi
zione sospensiva, le parti, pur dichiarando rispettivamente di
voler vendere ed acquistare, in sostanza convengono che il
trapasso della proprietà abbia a verificarsi soltanto con l'inutile
decorso del termine per la restituzione della somma mutuata
(Cass. 14 maggio 1962, n. 1004, id., 1963, I, 365; 1° aprile 1965, n. 563, id., Rep. 1965, voce Frode e simulazione, n. 7; 23 ottobre
1965, n. 2219, ibid., voce Vendita, n. 72; 12 ottobre 1967, n. 2416,
id., Rep. 1967, voce cit., n. 93; 7 settembre 1968, n. 2896, id.,
Rep. 1968, voce cit., n. Ili; 17 maggio 1969, n. 1712, id., Rep. 1969, voce cit., n. 135; 19 giugno 1974, n. 1810, id., Rep. 1974, voce Patto commissorio, n. 3; 18 settembre 1974, n. 2498, ibid., n. 2; 20 maggio 1976, n. 1800, id., Rep. 1976, voce cit., n. 2; 14
dicembre 1978, n. 5967, id., Rep. 1978, voce Vendita, n. 95; 26 gennaio 1980, n. 642, id., Rep. 1980, voce cit., n. 23).
Non mancò tuttavia, anche nella giurisprudenza di questa corte, qualche sporadica pronunzia discorde, eco delle non supe rate perplessità e dei non sopiti contrasti in dottrina, come la
sentenza 10 febbraio 1961, n. 288 (id., 1961, I, 1155). In questa si afferma che « qualora, nonostante l'autonomia di carattere strutturale esistente tra vendita e pactum de retrovendendo, sia stata stabilita tra i due negozi una interdipendenza — per essere stati essi concepiti e messi in essere in stretta connessione ed
inseparabilmente l'uno dall'altro, in funzione di un unico scopo, che entrambi li pervade e di essi costituisce la ragione unica fondamentale — i due negozi risultano in tal caso avvinti da unico nesso logico e giuridico, e che, come presiede al loro
nascere, cosi li segue e li lega all'adempimento dello scopo, per il
quale vennero entrambi creati ed attuati, con la conseguenza che, se essi siano stati concepiti e posti in essere in stretta concomi tanza con la dazione a mutuo di una somma al fine specifico di costituire per il creditore una maggiore garanzia, in modo da assicurare a lui il trapasso irrevocabile della somma stessa, si rimane in tale ipotesi nell'ambito del mutuo con patto commisso
rio, il quale non è snaturato per avere voluto le parti il trasferimento effettivo della proprietà, posto che i negozi voluti e dichiarati servono soltanto per ottenere un effetto giuridico diver so ».
Da ultimo, questo Supremo collegio (sez. Ili 3 giugno 1983, n.
3800, id., 1984, I, 212), nel riconsiderare il problema, ha ritenuto
che, qualora mutuante e mutuatario abbiano inteso attuare una
garanzia reale a favore del primo, predisponendo uno strumento
negoziale idoneo a determinare il trasferimento definitivo del
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
bene concesso in garanzia solo in correlazione con l'inadempienza del debitore all'obbligo di puntuale pagamento della somma
mutuatagli e degli accessori, tutta la complessa convenzione è, in
realtà, permeata dall'intento primario delle parti di vincolare il
bene a garanzia e in funzione del rapporto di mutuo, per cui la
dichiarata volontà delle stesse di vendere e di acquistare il bene
appare, in entrambi i casi, subordinata, succedanea rispetto al l'altra preminente finalità: in tale situazione, la vendita con patto di riscatto ovvero con pactum de retrovendendo, se stipulata dal
debitore e dal creditore allo scopo di costituire una garanzia reale
a favore del secondo, è anch'essa qualificata dalla causa della
garanzia, al pari della vendita sottoposta a condizione sospensiva,
per cui appare ingiustificato sottoporre le diverse fattispecie
■negoziali a differenti discipline, nonostante abbiano in comune
l'identità della causa, e siano strutturate in modo da produrre gli stessi effetti.
Da tale orientamento sulla vexata quaestio questa sezione della
Corte suprema non intende discostarsi, riflettendo appunto come
per tanto tempo, in un'ottica influenzata dalle diversità puramente formali di struttura e di meccanismo tra la vendita con patto di
riscatto a scopo di garanzia e il mutuo con patto commissorio, gli effetti dell'immediato trasferimento della proprietà o del trasferi
mento differito e condizionato siano stati elevati al rango di
elementi decisivi per mantenere soltanto il primo negozio nel
l'ambito della legalità.
Una più attenta considerazione della ratio del divieto del patto
commissorio, specialmente in seguito all'ampliamento della dispo sizione dell'art. 2744 c.c. rispetto alla corrispondente del vecchio
codice (art. 1884), nello stesso tempo una giusta rivalutazione del
risultato pratico e sostanziale in senso conforme o difforme da
quello colpito col divieto in oggetto ed infine la equivalenza funzionale degli schemi negoziali utilizzati nell'una e nell'altra
fattispecie, svalorizzano l'importanza che al momento del prodursi di determinati effetti si è assegnata. In realtà, se si pone mente
che col divieto del patto commissorio il legislatore ha inteso
impedire che, attraverso una coazione morale, il debitore debba
sottostare alla volontà del creditore, conferendogli, spinto dal
bisogno, la possibilità di far propria la cosa data in pegno o in
ipoteca o in anticresi e di sottrarsi quindi alla regola del
soddisfacimento delle proprie ragioni attraverso la via normale
dell'esecuzione forzata in concorso con gli altri creditori; se, d'altra parte, si tien presente che, per rafforzare e garantire
meglio la posizione del creditore, opera ugualmente in suo favore
sia la garanzia apprestata attraverso la vendita con patto di
riscatto sottoposta come tale a condizione risolutiva, sia la
garanzia anch'essa reale apprestata attraverso il patto del successivo
trasferimento della proprietà in mancanza di adempimento del
creditore; se si considera che la vendita col patto di riscatto e il
patto commissorio non differiscono tra di loro nella funzione di
trasferimento della proprietà di una cosa verso il corrispettivo di
un prezzo, se non per il diverso momento del prodursi di tale
trasferimento; le differenze tra le due situazioni sfumano nel
diverso atteggiarsi delle rispettive condizioni, risolutiva per l'una
e sospensiva per l'altra, ma in ogni caso confluenti all'identico
risultato finale di definitiva attribuzione della proprietà al credito
re, realizzata, sempre in base alla mancata restituzione di somma
da parte del creditore nel termine fissato, nell'una delle situazioni
col consolidamento irreversibile degli effetti traslativi già soltan
to in via provvisoria anticipati e nell'altra con l'irrevocabile
prodursi degli stessi efletti.
Perciò, una volta che la convenzione, nell'una o nell'altra
forma, sia permeata dall'intento delle parti di costituire attraverso
la vendita una garanzia reale per il creditore e sia strutturata in
modo da far raggiungere allo stesso il medesimo risultato finale
di fronte alla mancata restituzione della somma entro un dato
termine, poco conta che questo evento funga ora da condizione
risolutiva ora da condizione sospensiva e nel contempo perde
valore anohe la diversità, in verità solo formale, dei mezzi
negoziali usati.
Poiché per l'una o per l'altra via viene a realizzarsi a carico
del debitore quel risultato, che la legge vuol evitare attraverso il
divieto del patto commissorio, e poiché tale divieto deve correlar
si al risultato piuttosto che al mezzo adottato e al meccanismo
prescelto, non si scorge perché non debbano equipararsi, sotto
l'insegna dello stesso vizio, le due fattispecie: quella della vendita
e del connesso accordo di retrocessione del bene, concepiti in
stessa reciproca interdipendenza oltre che in diretto collegamento
col mutuo e rivolti ad assicurare al creditore, in funzione di
maggiore garanzia, il trapasso della proprietà, se il debitore si
renderà inadempiente all'obbligo di restituzione della somma nel
termine fissato; e quella della convenzione, contestuale o succes
siva al mutuo cui è connessa, con la quale si stabilisca il
passaggio automatico al creditore della proprietà della cosa data
in garanzia nel caso di mancato soddisfacimento della ragione creditoria entro un certo termine.
Le due fattispecie, per l'equiparazione riconosciutane, non pos sono non richiedere nello stesso modo l'intervento della tutela
legislativa in favore del debitore coartato dal bisogno nella libertà
di contrattazione e devono perciò ritenersi ugualmente colpite dal
vizio di nullità; altrimenti, un diversificato trattamento si risolve
rebbe in un ingiustificato vantaggio a favore dei creditori più scaltri e avveduti, per la possibilità, loro offerta in tal caso, di
preferire il mezzo della vendita con patto di riscatto e con
pactum de retrovendendo, esposto soltanto al più difficile e più limitato esperimento dell'azione di rescissione per lesione.
Si conclude pertanto che anche la vendita con patto di riscatto
(o de retrovendendo), sottoposta quindi a condizione risolutiva, incorre nella sanzione di nullità dell'art. 2744 c.c., senza che
possa aver rilevanza l'immediato trasferimento effettivo della
proprietà al mutuante, ove risulti l'intento primario delle parti di
costituire con il bene una garanzia reale in funzione del mutuo
ed in relazione alla irrevocabilità del trasferimento solo al ve
rificarsi dell'inadempienza del venditore mutuatario, si da stabilire
un nesso teleologico e strumentale fra i due negozi di compra vendita e di mutuo.
Dalle considerazioni svolte si trae che l'argomento addotto dal
ricorrente circa la sussistenza di « un tipico negozio di vendita a
scopo di garanzia, la cui caratteristica saliente era quella di
operare l'immediato trasferimento della proprietà in favore del
compratore, in tal modo garantendo la posizione di quest'ultimo nei confronti del venditore », se dovesse trovare riscontro nella
realtà attraverso la verifica nella sede appropriata, non varrebbe a
sottrarre la causa all'esito lamentato col ricorso, prospettandosi infatti con esso una fattispecie concreta aderente allo schema
ipotizzato. Ma la corte d'appello ha ritenuto essersi trattato di « una
vendita che dissimula un mutuo con patto commissorio, colpito da nullità dall'art. 2744 c.c., poiché era comune intenzione delle
parti che il trapasso della proprietà avesse in realtà a verificarsi
soltanto nel momento in cui fosse inutilmente decorso il termine
per l'estinzione del debito preesistente»; ha ritenuto cioè la
ricorrenza di quell'altra ipotesi, per la quale la nullità è incontro
vertibile anche per il ricorrente: sotto l'apparenza della stipulata vendita con patto di riscatto si celava in realtà un vero e proprio
patto commissorio aggiunto a un preesistente mutuo.
La corte del merito è pervenuta a tale convincimento, dopo aver rilevato dalla produzione documentale la preesistenza di un
debito inadempiuto per lire 14.650.000 nei confronti dell'attuale
ricorrente e dopo aver constatato la permanenza della situazione
debitoria in base a una dichiarazione del creditore a tre anni di
distanza della asserita vendita che, se fosse stata reale, avrebbe
dovuto determinare, per la datio in solutum, l'estinzione almeno
di gran parte del predetto debito. Ed altri concludenti elementi di
prova ritrovò nella pattuizione, contestuale alla scrittura di vendi
ta, riguardante l'obbligo assunto dai coniugi Giori-Rinaldi di
pagamento di interessi a fondo perduto, in verità spiegabile solo
con la persistenza del debito; inoltre, nell'essere rimasti i predetti nel godimento dell'immobile, con un comportamento di proprieta ri anche nei riguardi di terzi.
Attentamente esaminate e valutate con spirito critico le risul
tanze probatorie, la corte milanese diede poi conto, con motiva
zione adeguata e coerente oltre che ispirata da corretti criteri di
logica, della strada seguita per la formazione del proprio convin
cimento. E l'accertamento che ne risulta, in quanto accertamento
di fatto compiuto nelle verificate modalità, è insindacabile in
questa sede, mentre il controllo di legalità ora esercitato sul
modo e sui mezzi adoperati dalla corte del merito nella motiva
zione delle fonti del suo convincimento esclude il lamentato vizio
di motivazione. In definitiva, il ricorso, riconosciuto infondato, va rigettato.
(Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione lavoro; sentenza 3 dicem
bre 1983, n. 7247; Pres. Dondona, Est. De Martini, P.M.
Caristo (conci, diff.); I.n.p.s. (Avv. Romoli, Procaccio) c.
Soc. Guffanti (Avv. Larato, Braccianti). Cassa Trib. Taranto
10 settembre 1980.
Previdenza sociale — Integrazione salariale straordinaria — Im
prese edili — Contributo addizionale — Applicabilità (L. 20
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