Sezione II civile; sentenza 7 gennaio 1984, n. 103; Pres. Palazzolo, Est. Anglani, P. M. Nicita(concl. conf.); Soc. Ceria (Avv. Di Giorgio, Dodaro) c. Soc. Edil Steel (Avv. Cipriotti, Vichi).Regolamento di competenza avverso Trib. Lanciano 17 dicembre 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 2 (FEBBRAIO 1984), pp. 397/398-401/402Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175556 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
che ripropose tutte le eccezioni e difese formulate in primo
grado, la Corte d'appello di Catania con sentenza dei 28 marzo
1979, ora denunziata, confermò la sentenza del tribunale, ad
eccezione del capo relativo alle spese giudiziali, dichiarate total
mente compensate.
La corte di merito osservò tra l'altro che ad esoludere l'appli
cabilità del 2° comma dell'art. 764 non valeva la considerazione
che la transazione fosse coeva alla divisione, in quanto dall'esame
della scrittura privata e del successivo atto di permuta 27 luglio
1972 emergeva che « le parti avevano voluto porre fine alle
questioni insorte in ordine alla successione del de cuius e del
padre di quest'ultimo Zocco Feria Nicola ». Decisiva ai fini della
configurabilità di una transazione era la considerazione ohe le
parti, pur avendo il padre disposto dei propri beni con testamen
to, avevano rinunziato alla successione testamentaria dando luogo
d'accordo a quella legittima. Avverso questa sentenza Zocco Nicola ha proposto ricorso per
cassazione sulla base di due motivi con atto notificato anche a
Rizzo Ines consorte di lite nel giudizio di merito. L'intimato ha
resistito con controricorso ed ha proposto a sua volta ricorso
incidentale sulla base di due motivi. Il ricorrente principale ha
presentato memoria.
Motivi della decisione. — Va preliminarmente disposta la
riunione sotto il più antico numero di ruolo del ricorso principale
e di quello incidentale.
Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia « viola
zione e falsa applicazione degli art. 763 e 764 c.c. in relazione
all'art. 360, n. 3, c.p.c. » e, dolendosi della ritenuta inammissibili
tà dell'azione di rescissione, deduce che « con le pattuizioni
concluse con i citati atti non sono state risolte questioni relative
alla divisione, bensì soltanto questioni ad essa logicamente prece
denti, relative alle modalità dell'azione ereditaria ». Orbene « l'art.
764 escludendo l'impugnabilità per rescissione delle transazioni
con le quali si sia posto fine alle questioni insorte a causa della
divisione, implicitamente ammette l'esperimento dell'azione rescis
soria per lesioni oltre il quarto in relazione a quelle transazioni
che in se stesse hanno determinato, come nella specie, Io sciogli
mento della comunione ereditaria ».
Con il secondo motivo denuncia « violazione degli art. 1970 e
1448 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, cp.c. », deducendo che la
corte di merito ha erroneamente ritenuto che la qualificazione di
aleatoria data dalle parti ai contratti stipulati escludesse la loro
impugnabilità per lesione oltre il quarto, non considerando che
l'alea è caratteristica essenziale delle transazioni e che queste
possono essere soggette, nei limiti di cui al primo motivo,
all'azione di rescissione.
I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto investo
no un profilo di diritto sostanzialmente unico, sono infondati.
La corretta interpretazione del 2° comma dell'art. 764, secondo
cui « l'azione è ammessa contro la transazione con la quale si è
posto fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell'atto
fatto in luogo della medesima, ancorché non fosse a riguardo
incominciata alcuna lite », postula, da un lato, l'esame della
natura della rescissione divisoria, dall'altro l'esame del rapporto
tra la disposizione riferita e le norme che disciplinano la transa
zione, in particolare gli art. 1965 e 1970 c.c.
In ordine al primo punto è pacifico in giurisprudenza e in
dottrina, ed emerge peraltro chiaramente dalla lettera del 1°
comma dell'art. 763 che, anche nell'ordinamento vigente, la rescis
sione divisoria (al contrario dell'azione generale di rescissione
collegata anche alla sussistenza dei requisiti soggettivi dello stato
di bisogno del contraente danneggiato e dell'approffittamento di
tale stato da parte dell'altro contraente), conserva un carattere
essenzialmente oggettivo, nel senso che l'unico requisito richiesto
consiste nello squilibrio tra il valore della porzione effettivamente
attribuita al condividente impugnante e quello della quota corri
spondente che gli sarebbe spettata.
Quanto al secondo punto si osserva che nella struttura del
contratto di transazione costituisce elemento essenziale la reci
procità delle concessioni e non anche l'equivalenza economica
delle stesse, sicché proprio nella non rilevanza dello squilibrio
economico risiede la ratio dell'art. 1970, il quale dispone che la
transazione non può essere impugnata per cause di lesione.
II principio, come sopra codificato, della incompatibilità del
rimedio rescissorio con la struttura essenziale del contratto di
transazione, costituisce indubbiamente un principio di carattere
generale, che va opportunamente correlato al disposto del 2°
comma dell'art. 764, che esclude appunto l'azione di rescissione
riguardo alla transazione con cui « si è posto fine alle questioni
insorte a causa della divisione o dell'atto fatto in luogo delle
medesime, ancorché non fosse a riguardo incominciata alcuna
lite ».
Come è stato affermato da una parte della dottrina, la formula
adoperata nella citata norma — a differenza di quella contempla ta nell'art. 1039 c.c. abrogato che si riferiva inequivocabilmente alle sole transazioni successive al perfezionamento dell'atto divi sorio (o paradivisorio) — sembra riferirsi, sottraendoli al rimedio
della rescissione, a tutti gli accordi divisori transattivi, in qualsia si momento essi siano intervenuti: e quindi non solo alle transazioni successive all'atto di divisione (o all'atto a questo equiparato) inerenti ai contrasti insorti in sede di interpretazione e di esecuzione dei medesimi atti, ma anche alle transazioni concluse nel corso dell 'iter divisorio (ohe, sebbene intervenute
anteriormente, siano tuttavia destinate a riverberare necessaria mente i loro effetti sul contenuto del successivo atto di divisione), escludendo in tal modo che questo possa essere considerato
autonomamente, alla stregua di un atto divisorio puro e semplice non transattivo, soggetto come tale a rescissione secondo le regole sancite dagli art. 763 e 764, 1° comma, c.c.
Tanto premesso in diritto si osserva che nella fattispecie la corte d'appello ha accertato con apprezzamento sorretto da con
grua e logica motivazione e, comunque, non investito sul punto da specifica censura, che gli accordi conclusi dalle attuali parti con la scrittura del 31 marzo 1972 ed attuati con il mezzo
tecnico-giuridico della permuta conclusa con atto pubblico del 27
luglio 1972 e della contestuale dichiarazione (con cui si dava atto del carattere fittizio del conguaglio di lire 3.500.000 che era stato dichiarato nell'atto di permuta intercorso fra i fratelli Zocco), integravano gli estremi della transazione, scaturendo chiara « la volontà dei coeredi di pervenire ad uno scioglimento della comunione ereditaria per porre tra loro fine ad ogni possibile questione a causa della successione in oggetto, prevenendo in tal modo le liti che sarebbero potute insorgere in relazione ai medesimi rapporti ».
Secondo i giudici d'appello l'avvenuta effettuazione di conces sioni reciproche emergeva invero chiaramente dal fatto che le
parti — oltre a dichiarare formalmente di voler transigere tutte le loro pretese, ivi compresi i diritti 'vantati dal de cuius sulla successione del di lui genitore — stabilirono: che tutti i beni relitti da Zocco Calafato Salvatore fossero ripartiti tra i due figli, secondo le norme sulla successione legittima, anziché in base al testamento con il quale il predetto aveva disposto del proprio patrimonio; e che non si tenesse inoltre conto ai fini predetti di eventuali azioni di riduzione di altra eredità.
La natura transattiva degli accordi come intercorsi tra le parti emergeva infine, secondo gli stessi giudici, dalla espressa dichiara zione con cui le parti stesse si diedero reciprocamente atto che « mediante la presente convenzione restano definiti, come detto
sopra, transattivamente ed aleatoriamente tutti i rapporti eredita ri ». f
Risulta quindi evidente che se i condividenti con la concreta formazione delle quote reciprocamente assegnatesi a 'Scioglimento della comunione ereditaria, mediante la citata scrittura privata del 31 marzo 1972 e l'atto pubblico di permuta del 27 luglio successivo, intesero prevenire e risolvere transattivamente, in via
definitiva, ogni possibile controversia in ordine alla concreta determinazione delle porzioni corrispondenti alle quote da asse
gnare a ciascun condividente — come hanno accertato i giudici del merito —, la delegata rescindibilità degli atti su indicati che è
stata affermata in applicazione dell'art. 764, 2° comma, non può essere censurata sotto nessuno dei profili che sono stati dedotti dal ricorrente.
Pertanto il ricorso principale deve essere rigettato. {Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 7 gen naio 1984, n. 103; Pres. Palazzolo, Est. Anglani, P. M. Nicita
(conci, conf.); Soc. Ceria (Avv. Dr Giorgio, Dodaro) c. Soc.
Edil Steel (Aw. Cipriotti, Vichi). Regolamento di compe tenza avverso Trib. Lanciano 17 dicembre 1981.
Contratto in genere — Clausole predisposte — Deroga alla
competenza territoriale — Specifica approvazione per iscritto
(Cod. civ., art. 1341).
La clausola standardizzata, che stabilisca una deroga alla compe tenza per territorio dell'autorità giudiziaria, è efficace soltanto
se specificamente approvata per iscritto (nella motivazione si
precisa che non integra tale requisito di specificità la sottoscri
zione con la quale si accettano globalmente le clausole non
onerose e la clausola derogativa del foro competente). (1)
(1) iln senso conforme, v. Cass. 8 marzo 1982, n. 1467, Foro it., 1983, I, 172, con nota di richiami, cui adde, in dottrina, Le con
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PARTE PRIMA
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 30 dicembre 1980
la società Edil Steel a r.l. chiese al presidente del Tribunale di
Lanciano l'emissione nei confronti della società Ceria in acco
mandita semplice di un decreto ingiuntivo per l'importo di lire
2.909.093, quale corrispettivo di lavori eseguiti per conto della
ingiunta, in un cantiere di S. Giorgio di Susa ed un altro in
Sulmona.
Avverso il decreto ingiuntivo la soc. Ceria propose opposizione con atto notificato il 2 marzo 1981, eccependo preliminarmente
l'incompetenza per territorio in quanto competente il Tribunale di
Torino in virtù di clausola specificamente approvata e sottoscritta
contenuta nel contratto, il pagamento del cui corrispettivo era
stato richiesto con l'ingiunzione, contestando nel merito la fonda
tezza della pretesa e proponendo domanda riconvenzionale di
risarcimento dei danni in lire 9.176.535.
Costituitasi in giudizio, la società Edil Steel contestò la fonda
tezza dell'opposizione, deducendo, in ordine alla eccepita incom
petenza « la nullità o quanto meno la inefficacia della clausola di
deroga della competenza per territorio di cui all'art. 1341, 2°
comma, ex:. ».
Rimessa la causa dal giudice istruttore per la decisione della
questione di competenza l'adito tribunale con sentenza non
definitiva del 17 dicembre 1981 rigettò l'eccezione di incompeten za per territorio, disponendo la prosecuzione del processo.
Premise essere accertato il fatto che « le obbligazioni dedotte in
giudizio si riferivano ai contratti di appalto stipulati per iscritto
dai titolari delle società Edi! Steel e Ceria, le cui condizioni
generali, scritte a stampa e predisposte unilateralmente dalla socie
tà Ceria, erano elencate in un foglio separato con unica sottoscri
zione in calce di Verna Giuseppe, titolare della società Ceria.
L'ultima delle clausole elencate tra le dette condizioni generali, individuata con il n. 15 prevedeva ohe per qualsiasi contestazione
la sola autorità giudiziaria è quella del foro di Torino ».
Osservò quindi alla stregua di tale accertamento che ai fini
della invocata efficacia della clausola derogativa della competenza « l'esigenza di specifica approvazione scritta non poteva, nella
specie, ritenersi soddisfatta » posto che la clausola stessa « non
aveva avuto una collocazione autonoma e distinta dalle altre
clausole (onerose e non) elencate con numerazione progressiva nel
la condizione generale e non era stata sottoscritta autonoma
mente ».
Doveva perciò concludersi che la clausola non potesse mutuare
la sua efficacia dal solo fatto che Verna Giuseppe aveva apposto in calce al suo modulo a stampa la sua sottoscrizione di
approvazione globale delle condizioni generali del contratto ma
-non certamente delle clausole onerose tra esse elencate ».
Avverso questa sentenza la società Ceria ha proposto istanza di
regolamento. La società Edil Steel, resiste con memoria depo sitata ai sensi dell'art. 47 c.p.c. Il procuratore generale ha con
cluso per il rigetto del ricorso e la dichiarazione di competenza del Tribunale di Lanciano. La ricorrente ha successivamente de
positato memoria difensiva. Motivi della decisione. — Con l'unico motivo la ricorrente si
duole per la ritenuta inefficacia della clausola derogativa e
deduce:
1) Il tribunale nel ritenere necessaria, ai fini della validità ed
efficacia, « l'esistenza di una formale ed espressa accettazione
della clausola », ha attribuito « ingiustificatamente valore assoluto
alla disposizione dell'art. 1341 », non considerando che detta
norma va interpretata « tenendo conto del disposto degli art.
1322, 1368, 1371 e 2702 che costituiscono un sistema organico di
cui essa fa parte ».
I principi alla base di tale norme riguardano infatti « la libertà
di contrattazione e disposizione dei diritti senza essere vincolati al
rispetto di particolari forme, la rilevanza degli usi contrattuali,
l'obbligo di comportarsi secondo buona fede da parte del con
traente che abbia liberamente sottoscritto la clausola ». Detti
principi debbono essere, a maggior ragione, applicati quando si
tratta di contratti stipulati tra imprenditori e le clausole in
dizioni generali di contratto, a cura di C. M. Bianca, Milano, 1979, I, G. De Nova, Obbligazioni e contratti, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 10, Torino, 1982, 110 ss.
A titolo di curiosità comparatistica, sarà utile ricordare come, prim'ancora dell'AGB-Gesetz (che H. von Hippel, Die Schutz des
Scwacheren, Tiibingen, 1983, 43-44, non esita a definire « di limitata efficacia »), il legislatore tedesco avesse provveduto a metter al
bando — fatta eccezione per i rapporti contrattuali cui accedano
Vollkaufleute, commercianti a pieno titolo, e persone giuridiche di
diritto pubblico, nonché per un più limitato novero di casi specifici — le Gerichsstandsvereinbarungen, a prescindere dalla circostanza che esse facessero capo a condizioni generali di contratto o figurasse ro in pattuizioni individuali: cfr. W. Lòwe, Das neue Recht der
Gerichtsstandsvereinbarung, in NJW, 1974, 473.
discussione sono clausole d'uso costantemente inserite in tutti i
contratti di appalto, nei quali l'appaltatore debba eseguire più
lavori in località diverse, e sono dirette ad evitare l'eventualità
che l'impresa committente « debba agire o difendersi dinanzi a
più uffici giudiziari tra loro distanti ».
2) Il tribunale non ha considerato, in particolare, che « la
finalità dell'art. 1341 è soltanto quella di escludere ogni dubbio
sulla conoscenza della clausola attributiva della competenza esclu
siva ad un determinato foro » e che nel caso in esame doveva
ritenersi che il Verna Giuseppe — già imprenditore e, dopo la
costituzione della società Steel, amministratore unico della stessa — avendo sottoscritto numerosi contratti con la società Ceria per vari anni in proprio e nella successiva qualifica di amministratore « conoscesse perfettamente la sussistenza della clausola ed avesse ben valutato la convenienza di accettarla ».
3) Non ha considerato che l'art. 17 della convenzione di
Bruxelles del 27 settembre 1978, « che impegna i contraenti al
rispetto dei patti, comunque stipulati, derogativi della competen za » deve ritenersi quale norma comunitaria « recepita dal diritto
interno italiano ».
I rilievi della ricorrente, ispirati ad un interpretazione inesatta
dell'art. 1341, non sono fondati.
Come risulta dal chiaro testo legislativo, l'art. 1341, posto a
tutela del contraente il quale aderisce a clausole predisposte dall'altro contraente, disciplina in maniera diversa la validità ed
efficacia di tale clausole a secondo ohe le stesse debbano conside rarsi o meno onerose ai sensi del 2° comma.
Emerge in particolare dal 1° comma che l'efficacia delle
condizioni generali di contratto normali (ossia diverse da quelle elencate nel 2° comma) è subordinata alla conoscenza di esse o
quanto meno « alla conoscibilità in base all'uso di normale
diligenza » da parte del contraente per adesione.
In sostanza, una volta provata anche mediante presunzioni, quali ad es. la sottoscrizione (pura e semplice in calce al modulo in cui sono elencate, la conoscenza o conoscibilità delle condi zioni generali dei contratti, le stesse debbono considerarsi efficaci.
Per quanto riguarda invece le condizioni elencate nel 2°
comma (tra le quali quelle di deroga alla competenza dell'autorità
giudiziaria) la conoscenza è di per sé irrilevante ai fini del
l'efficacia, ove il contraente non le abbia « specificamente approva te per iscritto ». La necessità di una apposita ed espressa manife stazione di volontà emerge in -maniera inequivoca dal testo della
prima parte del 2° comma, ed in particolare dall'espressione « in
ogni caso non hanno efletto » la quale, essendo avversativa
rispetto alla frase dell'ultima parte del 1° comma « le ha cono sciute e avrebbe dovuto... », va intesa nel senso di « anche se conosciute » le condizioni (che stabiliscono ecc.) « non hanno effetto se ... ».
Da quanto sopra discende che, ferma restando per le clausole onerose la necessità di « un'approvazione specifica per iscritto »
occorre stabilire se nella singola fattispecie, risolvendo sostan zialmente una quaestio voluntatis, se possa ritenersi sussistente il
requisito della specifica approvazione. Al riguardo questa corte in numerose decisioni (cfr. fra le più
recenti Cass. 3 ottobre 1980, n. 5368, Foro it., Rep. 1980, voce Contratto in genere, n. 92) ha indicato alcuni criteri ai quali occorre attenersi in tale indagine.
È stato dalla citata decisione ritenuto che « non è necessario
che la distinta sottoscrizione segua una letterale enunciazione
della clausola ma è sufficiente che tale sottoscrizione sia apposta
dopo un'indicazione idonea quale quella consistente nel riferimen
to al numero che contraddistingue il patto nel modulo, mentre
resta irrilevante che la dicitura di espressa approvazione si riferisca anche ad altre clausole onerose, sempre richiamate con i
rispettivi numeri ».
Va rilevato infine che è fuori luogo il richiamo dell'art. 17
della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, giacché tale
convenzione concerne la competenza giurisdizionale e l'articolo
richiamato non contiene alcuna deroga alla disciplina del codice
civile relativa ai contratti per adesione.
Quanto sopra premesso il collegio procedendo con poteri di
giudice di fatto all'esame dei documenti esibiti nel giudizio di
merito osserva essere esatto quanto accertato in fatto dal tribuna
le, e cioè che a ciascuno dei contratti, le cui obbligazioni sono state dedotte in giudizio, risulta allegato un modulo intestato « condi zioni generali di contratto » scritto a stampa nel quale sono elencati 15 paragrafi, l'ultimo dei quali contrassegnato col n. 15 è del seguente tenore « per qualsiasi contestazione la sola autorità
giudiziaria è quella del foro di Torino», che una parte delle clausole non possono essere considerate onerose ai sensi del 2°
comma; che, in calce vi è la pura e semplice sottoscrizione « Verna Giuseppe ».
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Orbene — premesso esser pacifico ohe la clausola in esame
integra una deroga alla competenza territoriale, in quanto indica un foro esclusivo, ed elimina in tal modo la competenza concor rente di altro giudice — deve ritenersi che la sottoscrizione
apposta con le modalità di cui sopra, in mancanza di alcuna indicazione di collegamento con la citata clausola derogativa, e
potendosi riferire anohe alle clausole non onerose, non è sufficiente ad integrare il requisito di specificità di cui all'art.
1341, 2° comma.
Va pertanto, respingendosi l'istanza di regolamento, dichiarata la competenza per territorio del tribunale adito. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 5 gen naio 1984, n. 14; Pres. Sandulli, Est. Caturani, P.M. Ca
risio (conci, conf.); Gallo (Avv. Monelli) c. Pasqualini; Pa
squalini (Avv. Giove) c. Gallo. Cassa App. Roma 9 febbraio 1981.
Separazione di coniugi — Separazione consensuale — Omologa zione — Accordi non omologati — Inefficacia (Cod. civ., art.
158).
L'impegno assunto da uno dei coniugi di rimborsare all'altro
talune spese sostenute in favore dei figli è inefficace ove non
risulti riprodotto, o espressamente richiamato, nel verbale di
omologazione della separazione consensuale. (1)
Svolgimento del processo. — Il Tribunale di Roma, pronun ciando sulla domanda proposta da Luciano Gallo nei confronti
della moglie Maria Grazia Pasqualini per la modifica delle
condizioni della separazione consensuale di cui al verbale 3
ottobre 1974, omologata il 14 novembre successivo, con sentenza
8 luglio 1978 disponeva ohe la patria potestà sui figli minori
Alberto e Pierfranco affidati alla madre, fosse esercitata da
entrambi i genitori; che l'assegno di mantenimento di lire
800.000, già posto a carico del Gallo, fosse da considerarsi
attribuito, nella misura di lire 300.000 a ciascuno dei figli e nella
residua misura di lire 200.000 a favore della moglie; rigettava la
domanda di adeguamento dell'assegno alla sopravvenuta svaluta
zione monetaria e quella di rimborso della metà delle spese sostenute per la domestica, entrambe avanzate dalla donna in via
riconvenzionale.
Su gravame principale della Pasqualini ed incidentale del
Gallo, la corte di Roma con la sentenza in questa sede impugna
ta, in parziale accoglimento dell'appello incidentale, elevava di
lire 100.000 l'assegno dovuto dal Gallo alla moglie a far tempo dal 24 novembre 1975 e di altre lire 100.000 con decorrenza dal
29 giugno 1978, con gli interessi legali; condannava il Gallo al
rimborso della somma di lire 482.430 in favore della Pasqualini, con gli interessi legali sempre dalla data del 29 giugno 1978.
Rilevava la corte — per quanto interessa il presente giudizio — che ove una clausola inclusa nel ricorso per separazione
'(1) Non risultano precedenti specifici in termini ad eccezione di
Cass. 5 settembre 1968, n. 2859, Foro it., Rep. 1968, voce Separazio ne di coniugi, n. 32, dalla quale la corte si discosta, avendo cura di
precisare come la particolarità della fattispecie — mancata inclusione della pattuizione nel verbale per errore materiale — condizionasse la validità del principio affermato.
La sentenza può dirsi nondimeno esemplare (verrebbe fatto di definirla didattica) per l'esatta comprensione della funzione dell'omo
logazione degli accordi intercorsi fra i coniugi in sede di separazione consensuale. Nel cassare la decisione con cui i giudici d'appello, seguendo forse una logica fondamentalmente equitativa, avevano at tribuito rilevanza giuridica ad un impegno di rimborso assunto in via meramente epistolare, non trasfuso cioè nel verbale omologato di
separazione, i giudici di legittimità aderiscono all'opinione dottrinale
più accreditata secondo la quale l'omologazione ha preminente carat tere di controllo di conformità dell'accordo all'interesse soprattutto dei figli (v. Mandrioli, Il procedimento di separazione consensuale, Torino, 1962, 92 ss.; Azzolina, La separazione personale dei coniugi, Torino, 1966, 217 ss.; Grassetti, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo, Trabucchi, 1977, I, 1, 312 s.; Scardulla, La separazione personale dei coniugi e il divorzio, Milano, 1977, 95 ss.; da ultimo, Zatti e Mantovani, La separazione personale, (Padova, 1983, 386 s., con ampi riferimenti bibliografici e
giurisprudenziali, 389 ss., nonché Zatti, La separazione consensuale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 3, 1983, 123, 126
s.). Sulla separazione consensuale omologata quale fattispecie procedi
mentale di volontaria giuridizione v. Iannuzzi, Manuale della volon taria giurisdizione, Milano, 1977, 849 ss., 867 ss.
consensuale non risulti riprodotta nel verbale di separazione omo
logata, la medesima deve ritenersi d'accordo respinta ed elimina
ta; ohe peraltro era da ritenere valido l'impegno che, in aggiunta a quelli concordati in sede si separazione il Gallo aveva assunto, avente ad oggetto il rimborso di metà delle spese che la moglie sosteneva per la governante dei figli, Giulia Conti, e ciò anche
perché risultava che la stessa, giusta le condizioni poste dal
Gallo, aveva interrotto il rapporto di lavoro con costui e si era trasferita in casa della Pasqualini, per svolgere alle dipendenze della stessa le mansioni di govenante dei minori; che, tuttavia, poiché la Pasqualini non aveva provato l'ammontare del corri
spettivo versato alla Conti, a suo favore poteva essere disposto soltanto il rimborso di metà dei contributi previdenziali pagati.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre Luciano Gallo, sulla base di tre motivi; resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale, affidato ad unico motivo, Maria Grazia Pasqualini.
Motivi della decisione. — Il ricorso principale ed il ricorso incidentale perché proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti (art. 335 c^px.).
Con i primi due motivi del ricorso principale, denunziandosi anche difetto di motivazione, si assume ohe l'impugnata sentenza ha affermato apoditticamente l'efficacia dell'impegno del ricorrente
di rimborsare la metà delle spese sostenute dalla moglie per la
governante dei minori, di cui alla lettera inviata alla Pasqualini prima della omologazione della separazione consensuale e non
trafuso nel relativo verbale, pur dopo aver ammesso che le
eventuali clausole ivi non riprodotte dovevano intendersi elimina te di comune accordo. D'altra parte, si rileva che soltanto fatti
nuovi possono giustificare una modifica delle clausole della sepa razione consensuale.
Le censure sono fondate. Il problema dei rapporti tra l'accordo dei coniugi ed il provvedimento di omologazione del giudice ai sensi degli art. 158 c.c. e 711 cjp.c. in tema di separazione consensuale anohe dopo la recente riforma del diritto di famiglia, non consente dubbi circa la natura giuridica e funzione dell'in
tervento giurisdizionale in materia, mentre tuttora è aperto il
dissidio in ordine alla revocabilità del consenso da parte di uno solo dei coniugi nelle more del provvedimento giudiziario.
Ponendo da parte quest'ultimo quesito che non interessa ai fini
della decisione del ricorso, deve essere ribadito in questa sede
quanto la dottrina ha concordamente ritenuto circa la funzione di
controllo che l'omologazione del giudice esplica nei confronti
delle condizioni della separazione stabilite dai coniugi nei loro
rapporti reciproci e verso i figli in quanto si tratti di patti che
siano conformi agli interessi superiori della famiglia.
Trattasi pertanto, secondo l'indirizzo che appare preferibile, di
fattispecie complessa, nella quale il contenuto del regolamento concordato tra i coniugi se trova la sua fonte nel relativo accordo acquista efficacia giuridica soltanto in seguito al provve dimento di omologazione. Il giudice invero, se non può di sua
iniziativa mutare le condizioni della separazione consensuale, ha
il potere di indicare ai coniugi le modifiche da adottare nell'inte
resse dei figli ed in caso di inidonea soluzione può soltanto allo stato rifiutare l'omologazione (art. 158, 2° comma, c.c.). E questa possibilità di intervento si deve ritenere ovviamente estesa a
qualsiasi patto incluso nel relativo verbale riflettente le condizioni della separazione, anche cioè ai patti che attengono ai rapporti reciproci tra i coniugi (es. obbligo del (mantenimento).
Discende da quanto precede che non può confermarsi l'indiriz
zo accolto da questa corte con la non recente sentenza 5
settembre 1968, n. 2859 (Foro it., Rep. 1968, voce Separazione di
coniugi, n. 32), secondo cui la convenzione con la quale i
coniugi, prima della omologazione della separazione consensuale, si distribuiscono l'obbligo del contributo patrimoniale verso i figli e determinano l'ammontare dei relativi assegni ed il modo di
somministrarli, conserva validità anche dopo la successiva omolo
gazione della separazione consensuale, salvo che non sia stata
espressamente modificata.
Anche se, come risulta dalla motivazione del precedente accen
nato, l'assolutezza del principio è poi mitigata da un accertamen
to di fatto compiuto dai giudici del merito secondo cui i coniugi in realtà avevano voluto confermare in sede di omologazione anche il fatto omesso per mero errore materiale, è da ritenere
che se si accoglie la tesi innanzi svolta non è possibile riconosce
re efficacia giuridica tra i coniugi a condizioni della separazione consensuale diverse da quelle consacrate nel relativo verbale
omologato del tribunale, sulle quali non si è potuto svolgere l'attività di controllo per legge devoluta al giudice in sede di
giurisdizione volontaria (art. 711 c.p.c.). Non può quindi seguirsi la distinzione accolta dalla impugnata
sentenza tra condizioni della separazione consensuale contenute
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