sezione II civile; sentenza 7 giugno 1993, n. 6360; Pres. D'Avino, Est. Paolini, P.M. Fedeli (concl.conf.); Soc. costruzioni generali C.G. (Avv. Signore) c. D'Elia e alri (Avv. Rubino). ConfermaTrib. Latina 14 marzo 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 10 (OTTOBRE 1993), pp. 2825/2826-2827/2828Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23187619 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cuzione delle opere di ripristino implica l'esplicazione di un'at
tività straordinaria e gravosa, si è in presenza di un facere al
quale il locatore non è tenuto secondo Vici quod plerumque ac
cidit, e pertanto legittimamente il locatore rifiuta l'offerta, fat
tagli dal conduttore, di restituzione della cosa locata in quello stato. Il rifiuto del locatore di ricevere la restituzione della cosa locata quando essa presenti deterioramenti dovuti all'omessa ese
cuzione delle riparazioni di piccola manutenzione è illegittimo, ma il locatore medesimo ha diritto al risarcimento del danno, consistente nella somma di denaro occorrente per l'esecuzione
delle riparazioni di piccola manutenzione omesse dal condutto
re e nel mancato reddito retraibile dalla cosa nel periodo di
tempo necessario per l'esecuzione dei lavori di riparazione e que sta seconda serie di danni va determinata in relazione all'epoca in cui i lavori possono essere iniziati dal locatore usando l'ordi
naria diligenza ed alla presumibile epoca del loro compimento.
Nell'ipotesi di legittimo rifiuto da parte del locatore dell'offerta
di restituzione della cosa locata per non conformità dello stato di essa a quello esistente all'inizio della locazione dipendente da trsformazioni od innovazioni apportate dal conduttore o dalla
mancata esecuzione contrattualmente assunta dal conduttore me
desimo, delle riparazioni eccedenti la piccola manutenzione, il
locatore ha diritto, ai sensi dell'art. 1591 c.c., al corrispettivo convenuto per la locazione e al maggior danno fino al momen
to in cui venga restituita la cosa nello stato suddetto».
Di questi principi non ha tenuto conto la corte di merito, la quale ha anche omesso di motivare in ordine alla quantità dei lavori necessari alla riduzione in pristino dell'immobile; tale
punto appariva decisivo, perché, in base alla richiamata giuris
prudenza di questa corte, dalla natura dei lavori dipendeva la
legittimità o meno del rifiuto dei locatori di ricevere la restitu
zione dell'immobile.
Entro tali limiti vanno accolti i primi due motivi del ricorso, rimanendo assorbite, per effetto delle osservazioni ora svolte, le censure mosse con l'ultima parte del primo motivo relativo
alla omessa considerazione da parte della corte dell'accertamen
to del primo giudice in ordine alla necessità di tener conto del
tempo necessario al ripristino dell'immobile.
Con il terzo motivo, denunciando violazione degli art. 1223
e 2056 c.c., nonché vizio di omessa, insufficientee contradditto
ria motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. i
ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto di
non liquidare gli interessi sulle somme dovute per occupazione
illegittima dalla data di scadenza di ciascun rateo, adducendo
una pretesa impossibilità, nella specie non esistente e comunque
superabile facendo ricorso all'ausilio di una consulenza tecnica; censurano altresì la sentenza per non avet fatto decorrere gli interessi sulle somme liquidate per il ripristino dalla data della
insorgenza del danno coincidente con quella di esborso delle
somme occorrenti.
La censura è fondata. Invero, con riferimento agli interessi
sulle somme determinate a titolo di risarcimento dei danni per ritardata restituzione, la globalità della liquidazione finale non
esclude che la stessa sia il frutto della somma delle annualità
singolarmente accertate sulle quali operare distinte decorrenze
di interessi, per cui priva di sostegno motivazionale appare l'af
fermazione della corte di merito, secondo cui per effetto di det
ta globale liquidazione «non sussisteva alcuna possibilità di sta
bilire importi e scadenze mensili».
Con riferimento poi alla decorrenza degli interessi sulle som
me riconosciute a titolo di risarcimento per il ripristino, del tut
to insufficiente appare la motivazione relativa alla impossibilità di determinare la data del fatto dannoso, poiché lo stesso, come
accertato dalla stessa sentenza, quantomeno coincideva con l'av
venuta riconsegna dell'immobile, per cui mai gli interessi avreb
bero potuto essere fatti decorrere dalla data della domanda.
Con il quarto motivo, denunciando violazione dell'art. 1571
c.c., dell'art. 2, 3° comma, 1. 26 novembre 1969 n. 833 e del
l'art. 6, 1° comma, 1. 22 dicembre 1973 n. 841, nonché vizio
di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in rela
zione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., i ricorrenti censurano la
sentenza impugnata, per aver negato il loro diritto al rimborso
dei maggiori costi relativi alla differenza tra l'ammontare degli oneri accessori, conglobati nel canone, corrisposto al momento
della stipulazione del contratto e quello superiore relativo al
periodo successivo.
La censura non può trovare accoglimento. La corte d'appello
Il Foro Italiano — 1993.
non ha negato, in linea assoluta, il diritto dei locatori ad otte
nere il rimborso dei maggiori costi degli oneri accessori ma ha,
invece, sostanzialmente ritenuto di non potere svolgere detto
accertamento in sede di richiesta risarcitoria avanzata ai sensi
dell'art. 1591 c.c.
Detta statuizione appare corretta perché, con riferimento al caso di specie, all'accertamento della corte, nei termini oggi pro
spettati con il ricorso, ostavano condizioni di procedibilità del
l'azione e ragioni di competenza, ai sensi degli art. 43 ss. 1.
27 luglio 1978 n. 392, dovendosi procedere in sostanza alla de
terminazione dell'ammontare del canone, ancorché per effetto
dei maggiori costi degli oneri accessori. Con il quinto motivo, denunciando violazione dell'art. 11 pre
leggi, degli art. 1571 e 1587 c.c., dell'art. 55 1. 26 ottobre 1972
n. 634, dell'art. 2 bis 1. 22 dicembre 1978 n. 841 e dell'art.
8 1. 27 luglio 1978 n. 392, nonché vizio di omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3
e 5, c.p.c., i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver respinto la loro domanda relativa al rimborso delle spese di registrazione del contratto.
La censura è infondata. L'art. 55, 6° comma, d.p.r. 26 otto
bre 1972 n. 634, cosi come modificato dall'art. 2 ter d.l. 10
novembre 1978 n. 693, stabilisce che nei contratti in cui è parte lo Stato, obbligata al pagamento dell'imposta (di registro) è uni camente l'altra parte contraente anche in deroga all'art. 8 1.
27 luglio 1978 n. 392.
Trattasi di norma palesemente di carattere imperativo, attesa
la sua formulazione e la ratio che la sorregge, per cui essa non
solo impedisce la possibilità di fissare pattuizioni contrarie in
sede di stipulazione di nuovi contratti, ma si sostituisce ad even tuali diverse pattuizioni contenute in contratti precedentemente
posti in essere, in base al disposto dell'art. 1339 c.c.
Il principio di irretroattività della legge, invocato dal ricor
rente al punto a) del motivo, opera limitatamente al pagamento della tassa di registro per il periodo anteriore all'entrata in vi
gore della legge, ma non può operare per il periodo successivo
qual è quello considerato dalla sentenza impugnata. Che la sostituzione imperativa della clausola possa comporta
re una modificazione dell'equilibrio del contratto — punto b) della censura — è cosa che non rileva nel giudizio, atteso che
esula dall'oggetto del contendere dedotto in causa.
Inammissibile, invece, appare la deduzione sub c) contenuta
nello stesso motivo (impossibilità dell'amministrazione di invo
care l'esonero per il periodo successivo alla dichiarazione di ri
soluzione del rapporto), perché la questione viene prospettata
per la prima volta in questa sede. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 7 giugno
1993, n. 6360; Pres. D'Avino, Est. Paolini, P.M. Fedeli
(conci, conf.); Soc. costruzioni generali C.G. (Avv. Signore) c. D'Elia e airi (Avv. Rubino). Conferma Trib. Latina 14
marzo 1989.
Edilizia e urbanistica — Distanza tra le costruzioni — Limiti
inderogabili — Pareti finestrate — Costruzione in aderenza — Divieto (Cod. civ., art. 873, 907; 1. 17 agosto 1942 n. 1150,
legge urbanistica; d.m. 2 aprile 1968, limiti inderogabili di
densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rap
porti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali
e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della for
mazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di
quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 1. 6 agosto 1967 n. 765,
art. 9).
La prescrizione della distanza di metri dieci tra pareti finestra
te, posta dall'art. 9, 1° comma, n. 2, d.m. 2 aprile 1968,
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2827 PARTE PRIMA 2828
in applicazione dell'art. 41 quinquies l. 1150/42 (e conferma ta dalle norme di attuazione del p.r.g. del comune dì For
mia), per i nuovi edifici ricadenti in zone territoriali diverse
da quelle che rivestono carattere storico, artistico o di parti colare interesse ambientale, comporta che nel caso di esisten
za sul confine tra due fondi di un fabbricato avente il muro
perimetrale fincstrato, il proprietario confinante non può co
struire in aderenza, neppure se la nuova costruzione sia desti
nata ad essere seminterrato e mantenuta ad una quota infe riore a quella delle finestre antistanti e ad una distanza dalla
soglia più prossima di queste, pur conforme all'art. 907, 3°
comma, c.c. (1)
Motivi della decisione. — Alessandro D'Urso, Angelo Filosa
Mario Petrone, Rachele e Giulia D'Elia, agendo nella veste di
partecipanti al condominio nell'edificio in Formia di cui in nar
rativa, nonché di possessori di tale immobile, hanno introdotto
un'azione di nunciazione, con la quale hanno chiesto inibirsi
alla «Società costruzioni generali C.G.» s.r.l., proprietaria di
un fondo confinante con uno dei muri perimetrali del cennato
stabile, e, più precisamente, con la parete finestrata posta sul
lato occidentale dello stesso, di realizzare sull'area ad essa ap
partenente, in aderenza al loro fabbricato, un locale seminterra
to sopraelevato rispetto al piano naturale di campagna. La sentenza impugnata ha accolto la pretesa in discorso, con
siderando, essenzialmente, trovarsi l'edificio ed il fondo in con
testazione in una zona del territorio del comune di Bormia clas
sificata nel piano regolatore come B/2, nella quale risulta, in
linea di principio, consentita dagli strumenti urbanistici adottati
da detto ente autarchico la costruzione di edifici contigui, e cioè
aderenti, e nella quale è, però, prescritto che la distanza mini
ma tra fabbricati con pareti finestrate debba essere di dieci me
tri; che, pertanto, nell'indiscussa presenza di finestre nel muro
perimetrale dello stabile degli attuali controricorrenti prospiciente sull'area della «Società costruzioni generali C.G.» s.r.l., questa non sia legittimata a realizzare il suo manufatto di cui è causa
in aderenza a detto muro, e debba, invece, tenerlo arretrato di almeno dieci metri dal medesimo.
La «Società costruzioni generali C.G.» s.r.l. critica la pro nuncia in questione accampando essere la medesima illegittima, ai sensi dell'art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazio
ne e falsa applicazione degli art. 873, 877 e 907, 3° comma,
c.c., nonché dell'art. 9, 1° comma, n. 2, d.m. 11.pp. 2 aprile 1968, in relazione agli art. 22 e 23 delle norme di attuazione
del piano regolatore di Formia, e per contraddittoria motivazio
ne di punto decisivo della controversia: più specificatamente, sul rilievo, pacifico, che la propria costruzione di cui trattasi, cosi come il fabbricato delle controparti «ricadono» in zona
del territorio di Formia classificata come «zona di completa
ci) Cfr. Cass. 6 luglio 1990, n. 7142, Foro it., Rep. 1990, voce Edili zia e urbanistica, n. 307; 9 maggio 1987, n. 4285, id., Rep. 1987, voce cit., n. 309.
Sulle condizioni di applicabilità della norma (nel senso che basta che anche uno solo degli edifici sia finestrate), v. Cass. 28 agosto 1991, n. 9207, id., Rep. 1991, voce cit., n. 242.
Sul punto dell'irrilevanza della diversa quota dei fabbricati da distan
ziare, anche le norme in materia di rapporti tra confinanti (art. 873 ss. c.c.) prescindono dalle differenti altezze tra gli edifici, nell'ottica di evitare dannose o pericolose intercapedini, sul presupposto della pos sibile sopraelevazione dell'edificio più basso: tant'è che dette norme non trovano applicazione riguardo a costruzioni interrate (Cass. 27 aprile 1989, n. 1954, id., Rep. 1990, voce Distanze legali, n. 5). Anche se tecnicamente la sopraelevazione dell'edificio minore sia impossibile, va tenuto conto della possibile demolizione e ricostruzione in modo da
permetterne la sopraelevazione (Cass. 21 marzo 1980, n. 1911, id., Rep. 1980, voce cit., n. 22).
Sull'efficacia precettiva (inderogabile), in sede di pianificazione, dei limiti di densità, altezza e distanza tra fabbicati, previsti dal d.m. 2 aprile 1968, v. Cass. 11 gennaio 1992, n. 249, id., 1992, I, 3029, con nota di richiami, cui adde, in materia di sopraelevazione, Cass. 22 apri le 1992, n. 4799, id., Rep. 1992, voce Edilizia e urbanistica, n. 283.
Sull'inapplicabilità del criterio della prevenzione (valido in materia di rapporti tra confinanti), per le distanze stabilite da norme urbanisti che, v. Cass. 28 aprile 1992, n. 5062, ibid., n. 285; 10 ottobre 1984, n. 5055, id., Rep. 1985, voce cit., n. 407; 29 giugno 1981, n. 4246, id., Rep. 1981, voce cit., n. 299.
Il Foro Italiano — 1993.
mento B/2», in relazione alla quale dai cennati art. 22 e 23
dei dianzi ricordati strumenti urbanistici locali è prevista, fra
l'altro, la «tipologia di edifici contigui», sicché resta consentito
ai proprietari di fondi confinanti di costruire in aderenza sulla
linea confinaria, ed altresì' sul presupposto, incontestato, che
il suo manufatto in discussione, una volta ultimato, dovrebbe aderire perfettamente alla parte inferiore del muro perimetrale dell'edificio dei controricorrenti, eretto sul confine delle aree
di cui trattasi, nel rispetto di una distanza di oltre tre metri
dalla soglia delle più basse finestre nello stesso aperte, sostiene, con articolate deduzioni, che, nella consentita facoltà di costruire
in aderenza sul confine, il tribunale avrebbe arbitrariamente ri
tenuto suscettibile di operare nella fattispecie la normazione pre scrivente il rispetto della distanza di dieci metri tra pareti fine
strate, a suo dire, non applicabile nel caso di costruzioni pro
gettate contigue. La censura non è fondata. L'art. 9, 1° comma, n. 2, del
ripetuto d.m. 11.pp. 2 aprile 1968, con disposizione tassativa ed inderogabile, detta che «negli edifici ricadenti» in zone del
genere di quella in cui risultano realizzati o in corso di realizza
zione i fabbricati oggetto della vertenza «è prescritta, in tutti
i casi, la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti fine
strate e pareti di edifici antistanti».
La disposizione in esame risulta puntualmente ribadita negli art. 22 e 23 delle prescrizioni di attuazione del piano regolatore del comune di Formia, i quali, con riguardo, appunto, alla zo
na territoriale in discussione, impongono una distanza minima
di dieci metri lineari tra le pareti finestrate di edifici frontistanti.
La prescrizione di distanza in questione, stante la sua assolu
tezza e inderogabilità (cfr. Cass. n. 7142 del 6 luglio 1990, Foro
it., Rep. 1990, voce Edilizia e urbanistica, n. 307; n. 4285 del
9 maggio 1987, id., Rep. 1987, voce cit., n. 309), e perché,
per di più, risultante da una fonte normativa, il citato regola mento statuale, sovraordinato rispetto agli strumenti urbanistici
locali (cfr. Cass. n. 1518 del 29 marzo 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 321), comporta che, nel caso di esistenza sul confi ne tra due fondi di un fabbricato avente il muro perimetrale
fincstrato, il proprietario dell'area confinante che voglia, alla
sua volta, realizzare una costruzione sul suo terreno deve man
tenere il proprio edificio ad almeno dieci metri dal muro altrui, restando esclusa, nel caso considerato, ogni possibilità di eserci
zio della facoltà di costruire in aderenza (esercitabile soltanto
nell'ipotesi di inesistenza sul confine di finestre altrui). Vale la pena di puntualizzare, a tale proposito, che stante
la inderogabilità della prescrizione di distanze in discorso, resta
irrilevante la dedotta circostanza che la nuova costruzione rea
lizzata nel mancato rispetto di essa sia destinata ad essere man
tenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle previsioni del
l'art. 907, 3° comma, c.c.
Nella pronuncia contestata, pertanto, non appaiono ravvisa bili né la denunciata violazione di legge, posto che il giudice del merito, nel rendere la sua decisione, si è rettamente attenuto ai principi fin qui enunciati, né il prospettato difetto di motiva
zione, avendo detto giudice sufficientemente e non contraddit
toriamente motivato la resa sentenza.
Il ricorso, di conseguenza, va rigettato.
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