Sezione II civile; sentenza 7 novembre 1959, n. 3303; Pres. Di Pilato P., Est. Danzi, P. M. Pisano(concl. conf.); Soc. Oleifici Italia meridionale (Avv. Losacco) c. D'Attoma (Avv. Trisoro)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 2 (1960), pp. 225/226-227/228Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150962 .
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225 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 226
bligo che impedirebbe al conferente di proporre le azioni
medesime. Anche questa tesi è infondata.
Escluso che la mancanza della stima renda il conferi
mento inidoneo alla sua funzione tipica, in quanto essa non
impedisce il trasferimento del bene alla società e l'acqui sto della qualità di socio da parte del conferente, non può disconoscersi a quest'ultimo la legittimazione alle azioni
nascenti dalla situazione giuridica sorta per effetto del
conferimento.
Non si desume, poi da alcuna disposizione di legge che
la stima sia una condizione per l'esercizio di tali azioni, e, se la mancata redazione di essa può considerarsi inadempi mento di un obbligo imposto al conferente, ciò non significa che questi non possa proporre le azioni a tutela dei diritti
acquisiti per effetto del conferimento.
Fondato è, invece, il quarto motivo limitatamente alla
censura con cui si critica la sentenza impugnata per aver
ritenuto applicabile al contratto di società la risoluzione
per inadempimento. La Corte di merito ha ritenuto che la Società ricorrente
non aveva adempiuto all'obbligo assunto, con la delibera
zione dell'assemblea dei soci del 14 maggio 1945, di asse
gnare allo Sciarra un maggiore, proporzionale numero di
azioni, qualora dal collaudo fosse risultato che il secondo
gruppo elettrogeno da lui conferito alla Società aveva una
potenza maggiore di 450 HP e, conseguentemente, ha
dichiarato risoluto il conferimento e condannato la Società
alla restituzione dei beni conferiti e al risarcimento dei danni
derivati dall'inadempimento. Questa statuizione è manifestamente erronea.
Invero, avvenuto il conferimento, i beni entrano a far
parte del patrimonio sociale e il conferente, acquistata la qualità di socio, non può ottenerne la restituzione totale
o parziale prima dello scioglimento della società, nè, per
raggiungere tale scopo, può chiedere la risoluzione del rap
porto sociale, adducendo inadempienze della società, in
quanto la risoluzione per inadempimento non è applica bile al contratto di società, il quale non rientra nella cate
goria dei contratti con prestazioni corrispettive, ma va
inquadrato in quella dei contratti plurilaterali con comu
nione di scopo, essendovi in esso non interessi contrapposti, ma una pluralità di interessi convergenti in un fine comune
(v. in tale senso la sentenza di questa Corte 16 luglio 1958
n. 2603, Foro it., Rep. 1958, voce Società, n. 430) La Corte di merito, quindi, accertato che lo Sciarra aveva
consegnato alla Società frentana i due gruppi elettrogeni,
oggetto del suo conferimento, e ricevuto dalla stessa
un certo numero di azioni, doveva dichiarare inammissi
bile la domanda di risoluzione del conferimento da lui
proposta per la mancata consegna del maggior numero
di azioni che gli sarebbe spettato in virtù della cennata
deliberazione dell'assemblea della Società, in quanto tale
domanda implicava la risoluzione del rapporto sociale.
L'accoglimento della censura testé esaminata importa l'assorbimento di tutte le altre censure mosse contro la
sentenza impugnata, in quanto esse presuppongono l'am
missibilità della domanda di risoluzione del conferimento
proposta dalla ricorrente.
Consegue che si devono rigettare i primi due motivi
di ricorso, devesi accogliere per quanto di ragione il quarto
motivo, cassare la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto, rinviare la causa ad altro giudice, che si
uniformerà al principio, secondo cui la risoluzione per ina
dempimento non è applicabile al contratto di società.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezfone II civile; sentenza 7 novembre 1959, n. 3303 ; Pres. Di Pilato P., Est. Danzi, P. M. Pisano (conci, conf.) ; Soc. Oleifici Italia meridionale (Avv. Losacco) c. D'Attoma (Avv. Trisoko).
(Conferma App. Bari 14 novembre 1957)
Lavoro (contratto collettivo) — Contratto collettivo
postcorporativo — Contestazione dell'obbligato rietà — Onere eli deduzione tempestiva.
La parte, che intenda contestare Vobbligatorietà del contratto collettivo postcorporativo per il difetto d'iscrizione di uno o di entrambi i litiganti alle associazioni stipulanti, ha Vonere di dedurre tempestivamente il difetto stesso. (1)
(1) I. — In senso conforme, v. Cass. 20 novembre 1957, n. 4442, Foro it., Rep. 1958, Lavoro (contratto collettivo), n. 39 ; App. Firenze 1 aprile 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 26 ; App. Roma 28 giugno 1957, ibid., n. 27 ; App. Catanzaro 26 marzo 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 40.
Dalla natura privatistica del contratto collettivo postcor porativo la Cassazione ha sempre desunto che, sorgendo conte stazioni, al riguardo, l'onere della prova relativa all'adesione
all'organizzazione di categoria spetta alla parte che si è richia mata al contratto collettivo e ne ha chiesto l'applicazione (Cass. 29 marzo 1958, n. 1087, id., Rep. 1958, voce cit., n. 32 ; 11
giugno 1958, n. 1948, ibid., n. 33 ; 30 aprile 1956, n. 1354, id., Rep. 1956, voce cit., n. 32).
La stessa Cassazione esclude in generale che un fatto possa ritenersi pacifico se debba ritenersi logicamente contestato dal sistema difensivo della parte contro cui è dedotto (Cass. 29 marzo 1958, n. 1079, id., Rep. 1958, voce cit., n. 22). Nel senso che deve ritenersi pacifico il fatto quando la parte, che ha inte resse a contraddirlo, basi su altri elementi il proprio sistema
difensivo, v. Cass. 7 novembre 1958, n. 3642, ibid., n. 23.
II. — Per respingere il secondo motivo del ricorso della
Società, la Cassazione ha così motivato : « Con il secondo mezzo, la ricorrente deduce la violazione dell'art. 37 cod. proc. civ. e il vizio di motivazione contraddittoria in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.). Dopo aver premesso che, ai sensi dell'art. 14 del contratto
collettivo, i delegati d'impresa non possono essere licenziati senza il nulla osta delle organizzazioni sindacali territoriali che
rappresentano, rispettivamente, il lavoratore interessato e
l'azienda, e che, se il nulla osta viene concesso, il provvedi mento aziendale diviene operativo, mentre, se viene negato, il lavoratore interessato, con ricorso da lui sottoscritto, potrà ricorrere, tramite l'organizzazione cui è iscritto, avverso il
provvedimento aziendale, ad un collegio arbitrale, 'che accer terà se il licenziamento dipende o meno dall'esercizio da parte del lavoratore interessato degli specifici compiti spettanti ai
delegati d'impresa, si duole che la Corte d'appello, avendo ritenuto l'unicità del rapporto inter partes e il suo conseguente assoggettamento a tale norma del contratto collettivo, non abbia coerentemente dichiarato il proprio difetto di giurisdi zione, sul rilievo che il D'Attoma avrebbe dovuto adire il col
legio arbitrale e non il giudice ordinario. Aggiunge la ricorrente che l'iter logico della sentenza sarebbe stato viziato dall'erroneo
presupposto che il nulla osta al licenziamento non fosse stato
richiesto, mentre, dai documenti prodotti in giudizio e dei quali non si era tenuto alcun conto, risultava invece dimostrata l'osservanza di tale precetto, giacché, sia pure ad iniziativa del
D'Attoma, le organizzazioni sindacali interessate erano inter venute a soli due giorni dal licenziamento, restando in disac cordo sulla necessità del nulla osta, in guisa da rendere operante il diritto del D'Attoma di adire il collegio arbitrale per impe dire che il licenziamento divenisse efficace.
« La censura non ha fondamento. « È invero evidente che la stessa tende a superare la insin
dacabilità dell'accertamento relativo alla mancata richiesta, del nulla osta da parte della Società (la quale, del resto, rite neva di non esservi tenuta a seguito della asserita precedente interruzione del rapporto), e della interpretazione che la sen tenza ha dato dell'art. 14, affermando che la obbligatorietà del procedimento arbitrale doveva intendersi subordinata alla
preventiva richiesta di tale nulla osta da parte del datore di lavoro. Come bene rileva il resistente, la Società non indica
alcuna incongruenza logica od errore giuridico che possa con
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227 PARTE PRIMA 228
La Corte, ecc. — Con il primo mezzo la Società ricorrente, deducendo la violazione dell'art. 100 cod. proc. civ., in rela
zione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice, sostiene clie la Sen
tenza denunziata avrebbe dovuto dichiarare il difetto di legi timatio ad ca/usam del D'Attoma, perchè costui non aveva
dimostrato la propria appartenenza ad una delle organiz zazioni sindacali intervenute nella stipulazione dei contratti
ed accordi collettivi, invocati a fondamento delle domande
proposte nei confronti di essa Società, e rileva che, in ogni
caso, essendo tale legittimazione una condizione dell'azione
di ordine pubblico, la questione relativa può essere solle
vata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo con
la possibilità di esperire, anche in questa sede, le necessarie
indagini in fatto sulla base degli elementi già acquisiti al
processo, salvo che essa non sia ormai preclusa dal giudicato. La censura non merita accoglimento. In proposito sarebbe infatti sufficiente considerare che
la legitimatio ad causarti si identifica, salvo le eccezioni
previste dalla legge, come, ad es., quella della sostituzione
processuale, con la titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in lite che, nella specie, consiste nel rapporto di
impiego intercorso fra le parti, e che costituisce il titolo
delle domande spiegate dal D'Attoma. Ma, per rispondere alle inesatte affermazioni della ricorrente, sembra opportuno
aggiungere che il richiamo a determinate clausole dei con
tratti e degli accordi postcorporativi, dei quali è superfluo ricordare la natura privatistica e che sono stati invocati dal
D'Attoma a sostegno della asserita illegittimità del prov vedimento di riduzione dello stipendio e di quello di licen
ziamento, riguarda soltanto il merito della domanda come
argomento o prova dell'esistenza di quei presupposti di
fatto e di diritto, che sono richiesti per l'attuazione della
sentire il riesame di tale interpretazione, ma sostiene soltanto che la Corte di appello avrebbe dovuto adottare in proposito una interpretazione diversa, e favorevole alla sua tesi che la richiesta di nulla osta debba seguire e non precedere il licen ziamento la cui efficacia dovrebbe restare sospesa sino a che il nulla osta non sia concesso o il collegio arbitrale non si pro nunci.
« Non occorre poi sottolineare che, comunque, dalla even tuale inosservanza dell'art. 14 non poteva certo derivare il dedotto difetto di giurisdizione del magistrato ordinario e
neppure la sua incompetenza, giacché, secondo il ripetuto inse
gnamento di questa Suprema corte, essendo la materia dei
presupposti processuali di ordine pubblico, non possono le
parti subordinare inderogabilmente il diritto di azione al previo esperimento di procedure conciliative davanti ad organi pari tetici ».
Sul principio di diritto, ricavabile dall'ultimo periodo della
soprariportata motivazione, dal quale l'Ufficio massimario non ha peraltro estratto massima (le parti non possono inderogabil mente subordinare il diritto di azione al previo esperimento di procedure conciliative avanti ad organi paritetici), cons. Cass. 17 ottobre 1958, n. 3312, Foro it., Rep. 1958, voce Lavoro (com petenza e proc.), n. 48, la quale ammette peraltro che l'omis sione del tentativo di conciliazione può venire in considerazione
sotto l'aspetto della violazione di un obbligo contrattuale. Nel senso che le disposizioni che prescrivono genericamente l'espe rimento di un tentativo di conciliazione non danno luogo, nel caso di inosservanza, all'improcedibilità dell'azione e alla nullità del procedimento, v. App. Roma 27 febbraio 1957, id., Rep. 1958, voce cit., n. 41.
Sulla natura facoltativa del tentativo di conciliazione pre visto dall'Accordo 18 ottobre 1958, v. App. Firenze 8 ottobre 1957, ibid., n. 33
Per il carattere facoltativo del tentativo di conciliazione previsto dall'art. 3 decreto legisl. 15 aprile 1948 n. 381, v. Cass. 17 ottobre 1958, n. 3312, ibid., n. 47.
Invece, nel senso che l'esperimento di conciliazione, pre visto dal contratto individuale o collettivo, costituisce condi zione di procedibilità della domanda giudiziale, v. App. Lecce 31 gennaio 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 36 ; Trib. Milano 20 febbraio 1957, ibid., n. 37 ; Trib. Bergamo 3 agosto 1956, ibid., n. 38 ; Trib. Catanzaro 20 agosto 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 43 ; Trib. Roma 10 marzo 1956, ibid., nn. 46-48.
In argomento, v. Traversa, in Mass. giur. lav., 1957, 116 ; Rubino, in Foro nap., 1957, I, 195 ; Vincenzi, in Dir. economia, 1956, 982.
legge, cioè perchè l'attore possa ottenere una sentenza favo revole.
È peraltro evidente clie l'accertamento compiuto dalla Corte di appello, circa l'applicabilità alla fattispecie delle anzidette clausole dei contratti postcorporativi, costituisce un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede. Ne vale opporre, per infirmare tale insindacabilità, che la ricorrente eccepì in grado di appello che il D'Attoma non aveva dimostrato la propria appartenenza ad una delle
organizzazioni sindacali stipulanti di quei contratti ed
accordi, perchè la detta eccezione venne formulata dalla Società solo con la replica alla comparsa del D'Attoma, e
quindi tardivamente, mentre, durante tutto il corso del
giudizio di merito, questa aveva imperniato la propria difesa sul presupposto, del resto pacifico, che le dette norme
postcorporative fossero puntualmente applicabili alla fatti
specie, ma andassero tuttavia interpretate in senso favo revole alla convenuta.
Ciò posto, appare manifesto che la questione relativa
all'appartenenza o meno di una delle parti all'associazione sindacale stipulante, e al conseguente disconoscimento della
obbligatorietà di un contratto collettivo corporativo, attiene, come questa Suprema corte ha già avuto occasione di rite
nere, non all'ordine pubblico ma all'interesse privato della
parte, che contesti tale reciproca obbligatorietà, e che è
pertanto tenuta a sollevare tempestivamente la necessaria
eccezione, in mancanza della quale, anche ai fini essenziali del leale svolgimento del contraddittorio, è dato al giudice di ritenere come pacifica la sussistenza o, comunque, l'ac cettazione del vincolo collettivo, così come di ogni circo stanza di fatto o presupposto che non abbia formato oggetto di contestazione.
Ed è infine da rilevare che a torto la ricorrente addebita alla sentenza di avere affermato il principio, senza dubbio
erroneo, che l'appartenenza di una sola delle parti ad una delle organizzazioni stipulanti sarebbe condizione suffi ciente per ritenere, rispetto ad entrambi i soggetti del rap porto di lavoro, la obbligatorietà di un contratto collettivo
postcorporat ivo.
Tale inesatto rilievo muove da una falsa interpretazione di un inciso della sentenza, dove è detto che l'accertamento, richiesto dalla odierna ricorrente, della derogabilità o meno dell'art. 18 del contratto collettivo sarebbe stato per tinente, solo se la Società non fosse risultata iscritta alla associazione industriale stipulante, intendendo dire con ciò
che, data per pacifica l'applicabilità del contratto collettivo al D'Attoma, non poteva la stessa Società sottrarsi alla sua osservanza, sia per effetto della sua iscrizione alla orga nizzazione industriale, sia perchè nemmeno i contratti post corporativi possono essere derogati dal contratto individuale in senso sfavorevole al lavoratore. (Omissis)
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 5 novembre 1959, n. 3284 ; Pres. Lonardo P., Est. D'Armiento, P. M. Cutrupia (conci, conf.) ; Soc. cotonificio Conegliano (Avv. Costa) c. Fall. Soc. Samarengo (Avv. Caruba, Jona).
(Cassa App. Milano 10 dicembre 1957)
Mandato — Mandato « in rem propriam » — Falli mento del mandante — Estinzione del mandato — Esclusione (Cod. civ., art. 1723).
Il sopravvenuto fallimento del mandante non estingue il man dato conferito ili rem propriam o nell'interesse anche del terzo. (1)
(1) La sentenza cassata, App. Milano 10 dicembre 1057, e riassunta in Foro it., Rep. 1058, voce Fallimento, n. 433.
Nella giurisprudenza di merito in senso contrario alla sen tenza annotata, v. App. Trieste 1 aprile 1057, ibid., n. 58 ; Trib.
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