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sezione II civile; sentenza 8 novembre 1985, n. 5461; Pres. D'Avino, Est. Albanese, P. M....

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sezione II civile; sentenza 8 novembre 1985, n. 5461; Pres. D'Avino, Est. Albanese, P. M. Pandolfelli (concl. conf.); Soc. Omnia Orobica Export (Avv. Pedretti, Fustinoni) c. Soc. Marmorex (Avv. D'Astice, Tampoia). Cassa App. Milano 16 aprile 1982 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1986), pp. 1957/1958-1961/1962 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180754 . Accessed: 28/06/2014 08:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.156 on Sat, 28 Jun 2014 08:00:48 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II civile; sentenza 8 novembre 1985, n. 5461; Pres. D'Avino, Est. Albanese, P. M.Pandolfelli (concl. conf.); Soc. Omnia Orobica Export (Avv. Pedretti, Fustinoni) c. Soc.Marmorex (Avv. D'Astice, Tampoia). Cassa App. Milano 16 aprile 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1986), pp. 1957/1958-1961/1962Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180754 .

Accessed: 28/06/2014 08:00

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

do invece primaria la sua veste di organizzazione di impresa e di datore di lavoro degli eventuali collaboratori.

Pertanto né la permanenza nel tempo del rapporto con l'U.s.l., in conformità delle previsioni e direttive contenute nella conven zione regolatrice, né il soddisfacimento in via mediata delle finalità sanitarie proprie del servizio pubblico, sono sufficienti soddisfare la ratio dell'art. 409, n. 3, c.p.c. che, come si è visto, autorizza l'applicazione del rito del lavoro se ed in quanto la natura professionale delle prestazioni autonome possa essere ri condotta nel concetto di rapporto c.d. parasubordinato, mentre

nell'opera del titolare privato di farmacia resta pur sempre prevalente la caratteristica di attività imprenditoriale organizzata alla commercializzazione di prodotti farmaceutici, preconfezionati o galenici, nonché di prodotti dietetici cosmetici paramedicali e similari.

Si deve pertanto concludere, in accoglimento del ricorso ed in conformità delle conclusioni assunte dal p.g., che l'istanza di

regolamento di competenza proposta daU'U.s.l. di Taranto/5 va accolta nel senso che, ritenuta la estraneità della controversia in

oggetto alla materia del lavoro, deve affermarsi la competenza ratione valoris del Tribunale di Taranto. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 8 no vembre 1985, n. 5461; Pres. DAvino, Est. Albanese, P.M. Pandolfelli (conci, conf.); Soc. Omnia Orobica Export (Avv. Pedretti, Fustinoni) c. Soc. Marmorex (Avv. D'Astice, Tam

poia). Cassa App. Milano 16 aprile 1982.

Intervento in causa e litisconsorzio — Chiamata in garanzia —

Garanzia impropria — Insussistenza — Separazione delle cause — Inammissibilità della chiamata in garanzia — Insussistenza — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 103, 106).

Ove, a seguito del cumulo nel processo originario di una domanda di regresso proposta dal convenuto contro un terzo, venga disposta la separazione delle cause cosi cumulate, l'even tuale inammissibilità per difetto di connessione della chiamata in causa non determina l'invalidità della domanda proposta contro il terzo (nella specie, la società noleggiatrice, convenuta dalla società armatrice per il risarcimento dei danni da inadempi mento del contratto di noleggio, pretendeva di essere garantita da un'altra società con la quale aveva stipulato un contratto di fornitura per la cui esecuzione era stata noleggiata la nave). (1)

Svolgimento del processo. — La s.p.a. Marmorex, convenuta davanti al Tribunale di Milano dalla società armatrice Greamar Shipping Agency Ltd. con domanda di risarcimento di danni per

(1) La pronuncia che si riporta si segnala per la particolare soluzione del problema che affronta, sebbene con motivazione alquanto contorta. Sul punto non si rinvengono precedenti specifici.

Nel senso che non consegue la nullità della citazione se un terzo viene chiamato da una parte nel processo senza che ricorra il presupposto pervisto dall'art. 106 c.p.c., ma soltanto la possibilità per il terzo o per le altre parti di chiedere l'estromissione del chiamato, v. Cass. 9 maggio 1978, n. 2254, Foro it., Rep. 1978, voce Intervento in causa, n. 53. Cass. 6 luglio 1977, n. 2986, id., Rep. 1977, voce Procedimento civile, n. 201, nel considerare indipendenti la causa per il risarcimento danni derivanti da inadempimento contrattuale e la causa di garanzia impropria instaurata dal convenuto per la correlativa rivalsa nei confronti di terzi delle conseguenze dell'addebitato inadem pimento, ne trae la conseguenza della separazione a norma dell'art. 103 c.p.c.; sempre nel senso della separazione in ipotesi simile v. Cass. 24 gennaio 1973, n. 237, id., Rep. 1973, voce cit., n. 212.

Sul provvedimento di separazione delle cause riunite, nel senso che è privo di qualsiasi rilevanza ai fini della decisione dell'una o dell'altra causa: Cass. 26 novembre 1973, n. 3197, ibid., n. 218; 6 feb braio 1970, n. 253, id., Rep. 1970, voce cit., n. 209; 17 luglio 1967, n. 1806, id., Rep. 1967, voce cit., n. 94; 13 luglio 1959, n. 2263, id., Rep. 1959, voce cit., n. 110.

Non sembra essere stato oggetto di particolare attenzione in dottrina il problema dei possibili effetti del provvedimento di separazione di cause nel senso in cui si pronuncia la sentenza in epigrafe. Esprime dubbi sull'ammissibilità della separazione delle cause cumulate in via d'intervento (ma unicamente nel senso del carattere non definitivo della sentenza che decide sul rapporto d'intervento) Tommaseo, L'e stromissione di una parte dal giudizio, 1973, 73.

Per i problemi connessi a fattispecie di azioni di regresso nelle quali si è ritenuta sussistere la garanzia impropria v., da ultimo, A. Proto Pisani, Note in tema di limiti soggettivi della sentenza civile, in Foro it., 1985, I, 2385. [A. Di Ciommo]

Il Foro Italiano — 1986.

inadempimento di contratto di noleggio di nave, con citazione per intervento, notificata nel termine al fine concessole dall'istruttore della causa, chiamò nel processo la s.r.I. Omnia Orobica Export, chiedendo, in base ad addebito di inadempienza a stipulato contratto di fornitura di cementi per la cui esecuzione appunto era stata noleggiata la nave rimasta poi inutilizzata, sua condanna a tenerla indenne delle conseguenze pregiudizievoli di eventuale soccombenza nei confronti della società armatrice, nonché al risarcimento di ogni altro futuro danno, in misura da liquidare in separato giudizio.

La società Omnia Orobica Export, ritualmente costituendosi, eccepì pregiudizialmente l'inammissibilità della sua chiamata nel

processo e il difetto di giurisdizione del giudice italiano; e, contestando nel merito le pretese della società Marmorex, propo se in confronto di questa domanda riconvenzionali di risoluzione per (suo) inadempimento del contratto di fornitura di cementi e di risarcimento dei danni subiti a causa della relativa inesecuzione.

Il Tribunale di Milano con sentenza in data 5 maggio 1976 definì il giudizio nei rapporti tra le società Greamar Shipping Agency Ltd. e Marmorex, condannando questa al chiesto risarci mento, e con ordinanza di pari data dispose la separazione e l'autonoma prosecuzione della causa tra le società Marmorex e Omnia Orobica Export; causa che poi decise con sentenza in data 12 giugno 1980, con la quale affermò la propria giurisdizio ne e l'ammissibilità della disposta chiamata per intervento della società Omnia Orobica Export, respinse le domande riconvenzio nali da questa proposte, dichiarò risolto per suo inadempimento nel termine essenziale stabilito il contratto di fornitura di cementi e la condannò a risarcire alla società Marmorex (che aveva in tal senso precisato e unificato le iniziali domande) danni da liquidare in separato giudizio.

L'impugnazione di queste statuizioni (non estesa alla questione di giurisdizione) fu integralmente respinta dalla Corte d'appello di Milano con sentenza pubblicata il 16 aprile 1982.

Contro questa sentenza la società Omnia Orobica Export ha

proposto, deducendo cinque motivi di cassazione, ricorso al quale la società Marmorex resiste mediante controricorso.

Motivi della decisione. — Con la sentenza impugnata pronun ciata in grado d'appello (premesso il rilievo del carattere defini tivo ormai acquisito dalla intervenuta pronuncia sulla giurisdizio ne, non censurato e quindi non soggetto a questa sede a

controllo) sono state anzitutto respinte le difese della società ricorrente secondo cui, per considerazione dell'eccepito difetto dei

presupposti di comunanza di causa o di obbligo di garanzia, e in

particolare di garanzia propria per cui soltanto sarebbe stata consentita l'attuata deroga alle normali regole di competenza, la sua chiamata nel processo da altri promosso contro la società

controricorrente, avvenuta per iniziativa di questa, avrebbe dovu to essere riconosciuta inammissibile e dichiarata nulla, in contra rio non rilevando il fatto che il giudice di primo grado avesse separato e definito con successive distinte sentenze il procedimen to relativo alla causa principale, tra le sue parti originarie, e

quello relativo alla causa accessoria di garanzia. Al riguardo la corte del merito ha giudicato che « l'avvenuta

separazione dei giudizi... ha reso di per sé del tutto ininfluente una eventuale (e comunque non ricorrente) irritualità della chia mata in causa ... attesa l'autonomia processuale ormai assunta dal presente giudizio e considerato, ad ogni buon conto, che nessuna sanzione di nullità o annullabilità è prevista per una eventuale chiamata in giudizio in difetto dei presupposti di cui all'art. 106 c.p.c., risolvendosi la questione, sotto tale profilo, con l'esame, nel merito, della fondatezza o meno delle domande avanzate nei confronti del chiamato in causa. Detta questione può essere invece rilevante sotto il profilo dell'eccezione di incompetenza territoriale, ove si consideri che, in tema di garanzia impropria, è configurable il cumulo con la causa principale solo se, anche per l'obbligazione dedotta in ordine alla garanzia, la competenza spetti, secondo le normali regole, allo stesso giudice, altrimenti l'art. 32 c.p.c. non consente deroga e non attrae la competenza per l'ipotesi di garanzia impropria.

... Ad ogni buon conto va rilevato che l'eccezione di incompe tenza territoriale sollevata dall'appellante è tardiva, essendo stata formulata solo nel presente grado del giudizio e non, come prescritto dall'art. 38 c.p.c., nel primo atto difensivo del giudizio di primo grado ».

Con riferimento a tale giudizio la ricorrente, denunciando con il primo dei cinque motivi di impugnazione addotti violazione dell'art. 106 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 4, dello stesso codice, sostiene che, a pena di inammissibile sua lettura abrogan te, dalla norma che prevede e regola l'intervento coatto di terzi

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1959 PARTE PRIMA I960

nel processo a istanza di parte, e fissandone tassativamente i

presupposti consente che esso sia « autorizzato dal giudice » solo

quando sussista « la comunanza di causa con il terzo oppure la

possibilità per il chiamante di essere garantito dal terzo », deve « conseguire necessariamente che è illegittima ogni ipotesi di chiamata di terzo in causa al di là delle due ipotesi contemplate dall'art. 106 c.p.c., e quindi, se tale chiamata in causa è illegitti ma, la stessa deve intendersi nulla o quanto meno annullabile »

su eccezione di parte, e non suscettibile di valutazione sotto

profili sostanziali, perché « se, come scrive l'impugnata sentenza, una chiamata in giudizio in difetto dei pressupposti di cui all'art. 106 c.p.c. dovesse risolversi con l'esame nel merito della fonda tezza o meno delle domande avanzate, il legislatore si sarebbe limitato a precisare che in ogni caso un terzo può essere

chiamato in giudizio in una causa civile pendente », e non « si

sarebbe affannato » a stabilire le condizioni della chiamata. Deduce poi la ricorrente con il secondo motivo, denunciando

violazione dell'art. 103 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice, che la corte del merito ha errato nel giudicare che

fosse superfluo, a seguito e per effetto della disposta separazione di procedimenti, il chiesto controllo in ordine alla ritualità della

sua chiamata a scopo di garanzia in quello già da altri promosso in confronto alla controricorrente, e sostiene che invece deve

ritenersi che « se uno dei due giudizi un tempo riuniti sia affetto

da vizio di origine capace di rendere nullo l'intero procedimento,

quale una chiamata di terzo illegittimamente accordata, conservi

tale vizio, sia pure nella propria autonomia, allorché i due

giudizi vengano separati.

Ancora, con il terzo motivo, la ricorrente deduce che la corte

del merito è incorsa in vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, censurabile a norma dell'art. 360, n. 5,

c.p.c., perché ha dichiarato infondata l'eccezione di irritualità, e

conseguente nullità, della sua chiamata in causa senza alcuna

ragione o giustificazione di tale giudizio e senza pronunciare in

ordine alle difese con le quali essa aveva contestato la sussistenza

e configurabilità di una sua obbligazione di garanzia, propria o

impropria, o di qualsiasi obbligazione, e aveva rilevato che,

comunque, l'eventuale ricorrenza di una situazione di garanzia

impropria non valeva a legittimare la chiamata per intervento. I tre motivi, con i quali il riferito giudizio della corte del

merito è investito da connesse e interdipendenti, quando non

ripetitive, censure, possono, e per ovvia ragione di opportunità debbono, essere insieme esaminati, e debbono essere egualmente respinti, perché tutti egualmente destituiti di sostanziale fonda mento giuridico.

L'art. 106 c.p.c., invero, prevede che « ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa

o dal quale pretende essere garantita »; e in relazione il successi

vo art. 269 dispone che alla chiamata la parte che intende

procedervi « deve provvedere mediante citazione a comparire alla

prima udienza, osservati i termini stabiliti dall'art. 163 bis », e

che, in difetto, « il giudice istruttore, quando ne è richiesto nella

prima udienza, può concedere un termine per la chiamata del

terzo, fissando all'uopo una nuova udienza ».

Dalla coordinata lettura di tali disposizioni risulta inequivoco, come è pacificamente riconosciuto, che la chiamata del terzo costituisce una facoltà incondizionatamente attribuita alla parte di un processo già istituito, liberamente esperibile in base alla mera

enunciazione della ragione per cui è attuata (opinione della

ricorrenza di una situazione di comunanza di causa; pretesa di

garanzia), e non soggetta ad aprioristico controllo di quella ragione da parte del giudice, o a sua preventiva autorizzazione simili

significato e rilievo non potendosi riconoscere al provvedimento emesso sulla istanza di concessione di un termine e di fissazione di una nuova udienza per la chiamata, questo provvedimento attenendo al potere-dovere del giudice di regolare l'ordinato

svolgimento del processo (in correlazione con il potere di dispor re la riunione di procedimenti relativi a cause connesse o

dipendenti ovvero la separazione di cause insieme trattate in uno

stesso procedimento: art. 103, 274, 279 c.p.c.). L'effettiva sussistenza della dedotta comunanza di causa e la

fondatezza della pretesa garanzia formulata conseguentemente, sono questioni che debbono essere esaminate e decise nel merito

nel corso del giudizio instaurato mediante la chiamata del terzo:

e cosi, per ovvia esigenza logica, non possono costituire, come

infondatamente sostiene invece la ricorrente, presupposti o condi

zioni della chiamata, e tanto meno della sua validità, propria mente da verificare soltanto alla stregua delle norme che preve dono la rilevanza e la rilevabilità di inosservanza delle prescritte forme processuali, che sola è fonte di nullità e che, al caso, nelle

Il Foro Italiano — 1986.

successive fasi del giudizio mai è stata segnalata dalla ricorrente,

il cui riferimento alla nozione di nullità, pertanto, si appalesa

non pertinente. Ciò premesso, va poi subito precisato che l'esame del ricorso

deve operarsi con esclusivo riferimento alla chiamata a scopo di

garanzia, prescindendosi affatto da ogni considerazione inerente a

quella per comunanza di causa, la quale, sebbene con quella

unitariamente prevista, è ontologicamente differenziata e comporta

distinti problemi, per cui non riconducibile alla medesima disci

plina. La richiamata in garanzia di cui all'art. 106 c.p.c., cioè l'inter

vento coatto nel processo su istanza di parte del terzo sul quale

il soggetto passivo di una pretesa dedotta in giudizio mira a

riversare gli effetti pregiudizievoli della propria soccombenza

mediante azione esperita contestualmente nello stesso processo, è,

per ricevuta nozione, riferita, con le correlate previsioni di

proroga della competenza e di estromissione del garantito con

estensione ad esso degli effetti del giudicato formatosi in confron

to del garante (art. 32 e 108 c.p.c.), alla ipotesi della cosi detta

garanzia propria, che specificamente ricorre quando taluno per

diretta volontà di legge è obbligato a mantenere pacificamente,

contro le altrui pretese o molestie, nella situazione giuridicamente

rilevante in cui egli stesso lo ha costituito, il soggetto nei cui

confronti quella situazione appunto sia giudizialmente posta in

discussione o turbata e la cui ricorrenza si ravvisa dei pari

quando mediante la chiamata sia posta in essere una situazione

processuale tale che tra la causa, principale, di cui è parte colui

che pretende essere garantito, e quella, accessoria, che ha origine

dalla citazione del terzo per intervento sussista identità di titolo,

o che sussista connessione oggettiva dei titoli posti a fondamento

della domanda principale di garanzia, nel senso che l'uno sia

concatenato all'altro, ovvero, ancora, che sia unico il fatto genera

tore di responsabilità prospettato con l'azione principale e con

quella di garanzia (cfr. Cass. n. 220 in data 23 gennaio 1976,

Foro it., Rep. 1976, voce Competenza civile, n. 109).

È invece discusso se, oltre che nei casi anzidetti, l'intervento

coatto del terzo in un processo possa provocarsi sulla base di

una pretesa di garanzia cosi detta impropria, differenziata se pure

affine figura elaborata da risalente interpretazione con riferimento

alle diverse iniziative, legislativamente non previste ma note alla

pratica per cui il medesimo scopo di fare ricadere sul terzo le

conseguenze della propria soccombenza rispetto all'altrui pretesa

è perseguito (in difetto di uno specifico diritto derivante dalla

legge o da preesistente rapporto caratterizzato dai menzionati

elementi di connessione oggettiva) mediante formulazione di una

domanda, propriamente risarcitoria, di rivalsa o di essere tenuto

indenne, fondata su una generica autonoma obbligazione, di

rivalsa o indennizzo appunto, ovvero anche sull'addebito al terzo

di un fatto o comportamento, inerente a distinto rapporto,

contrattuale o non, occasionalmente e non casualmente collegato

a quello discusso nella causa principale, dal quale si faccia

dipendere l'esposizione del chiamante al danno costituito dalla

lite e, tanto più, dal suo esito favorevole, si che con la chia

mata del terzo a scopo di garanzia impropria si pone in es

sere una situazione di litisconsorzio (soggettivo e) oggettivo, di

cumulo di cause in un solo procedimento, in casi e su presuppo

sti — di connessione cosi detta impropria — diversi da quelli in

cui è dalla legge prevista e ammessa, per la disciplina datavi

sotto il profilo della competenza (art. 31, 32, 33, 103 e 104 c.p.c.).

Peraltro, per quanto interessa ai fini del giudizio, rileva che,

pur nella chiarita diversità, per il fondamento datovi, delle due

considerate figure di chiamata del terzo a scopo di garanzia

propria e a scopo di garanzia impropria (per cui quest'ultima,

quando si ritiene attuabile, si riconosce comunque soggetta a

differenziata disciplina, specificamente, sotto i profili che concre

tamente vengono in considerazione, per la non estensibilità ad

essa delle previsioni di proroga della competenza e della estro

missione del garantito), con l'una e con l'altra chiamata egual

mente il chiamante introduce nell'istituito processo relativo alla

causa principale, di cui egli è parte, una nuova causa accessoria,

a volta a volta connessa o soltanto collegata in via di fatto,

nell'intento e con la proposta di sua unitaria trattazione e

decisione con quella principale, nello stesso processo; proposta alla quale in ogni caso il giudice adito non è vincolato, potendo

sempre disporre la separazione delle cause cosi davanti a lui

riunite per iniziativa di parte.

Tale considerazione, invero, comporta che il problema dell'am

missibilità della chiamata — che ovviamente non si pone con

riferimento alla ipotesi di garanzia propria, espressamente con

templata — concretamente si risolve in quello della possibilità del

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

« simultaneo processo » che abbia a oggetto la causa principale e

quella accessoria; e conseguentemente comporta che il diniego di tale possibilità, e cioè il rilievo dell'inammissibilità della chiama ta tutte le volte che la causa che ne dipende non si esaurisca in una domanda condizionata all'esito della causa principale, e sia

per ciò priva di riconoscibile autonomia, ma si estenda all'accer

tamento e al regolamento giudiziale del rapporto sul quale la

pretesa di garanzia è fondata, si esprime mediante un provvedi mento formale di separazione della causa accessoria da quella

principale, per la sua trattazione e decisione in autonomo proce dimento, com'è possibile e dovuto perché, per ricevuto princi pio, l'irritualità della proposizione di una domanda, che comun

que non abbia impedito la sottoposizione della lite al giudice in situazione di regolare contraddittorio, non costituisce, in difetto di

espressa previsione, causa di nullità della domanda stessa, e del

procedimento in base ad essa istituito. Nella specie, la causa contro la ricorrente, sin dall'origine

avente per oggetto domanda non condizionata di carattere risarci

torio, è stata appunto separata da quella con la quale era inizialmente unita per effetto della proposizione mediante chiama ta in procedimento già istituito, ed è stata trattata in autonomo

procedimento, davanti al giudice per essa indiscutibilmente dotato di competenza quanto meno per difetto di tempestiva conte stazione della competenza per territorio.

In tutto corretto si appalesa pertanto il giudizio con il quale la corte del merito, in conformità agli esposti principi, ha escluso la nullità della chiamata di terzo e del procedimento seguitone, ed ha negato qualsiasi concreto rilievo alla ipotizzata inammissibilità della chiamata stessa tra l'altro, dopo la disposta separazione delle cause, eccepita in situazione di patente carenza di interesse.

Come si è anticipatamente detto, quindi, i tre motivi del ricorso debbono essere respinti. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 novem bre 1985, n. 5394; Pres. La Torre, Est. Maltese, P.M.

Martinelli (conci, conf.); Rocchi (Avv. Dente, Benincasa) c.

Fall. Rocchi (Avv. Bonaguori). Conferma App. Bologna 13 lu

glio 1982.

Fallimento — Società di persone — Concordato preventivo —

Insufficienza delle garanzie — Fallimento della società — Au tomatico fallimento personale del socio illimitatamente respon sabile — Necessità di nuova audizione in qualità di socio —

Esclusione (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimen

to, art. 15, 147, 162, 173). Fallimento — Società di persone — Consecuzione a concordato

preventivo — Dichiarazione — Fallimento dei soci illimitata mente responsabili — Necessità di separato giudizio — Esclu sione (Cod. proc. civ., art. 101, 102; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 15, 147, 161, 162, 173, 181).

Fallimento — Trasformazione di società di persone in società di

capitali — Mancato consenso dei creditori sociali — Fallimento della società di capitali — Estensione al socio già illimitata mente responsabile — Ammissibilità (Cod. proc. civ., art. 2313, 2362, 2498, 2499; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 147).

Il socio illimitatamente responsabile che sia stato convocato, in

qualità di rappresentante della società, nel corso della proce dura di concordato preventivo alla quale sia seguita la dichia

razione di fallimento non deve essere sentito anche in qualità di socio, per essere dichiarato fallito in proprio. (1)

In caso di fallimento di società di persone conseguente all'esito

negativo del procedimento concordatario non è necessario un

separato giudizio per la dichiarazione di fallimento personale dei soci illimitatamente responsabili (in motivazione si preci sa che la situazione giuridica cosi determinata non differisce da

quella del normale procedimento che, attraverso l'accertamento

dello stato d'insolvenìa, si conclude con la dichiarazione di fal limento della società e dei soci). (2)

(1-2) Con queste massime la Suprema corte, nel rafforzare alcuni concetti in tema di esercizio del diritto di difesa nella fase prefalli mentare ha implicitamente sottolineato il principio generale secondo cui la consecuzione del fallimento del concordato preventivo deve tendenzialmente avvenire, al di fuori dei casi in cui la legge dispone espressamente in maniera diversa (v. ad es. il richiamo contenuto nell'art. 186 1. fall., in tema di risoluzione del concordato), senza

Il Foro Italiano — 1986.

La dichiarazione di fallimento della società di capitali, costituente

prosecuzione dell'originaria società in accomandita semplice, ove

i creditori sociali non abbiano dato il consenso alla trasforma

zione, è compatibile con la dichiarazione di fallimento personale

del socio accomandatario illimitatamente responsabile, come tale,

delle obbligazioni sociali contratte nel periodo anteriore alla tra

sformazione, cui risale lo stato d'insolvenza. (3)

soluzione di continuità e, particolarmente, senza necessità di rinnovare

attività, quali l'audizione del fallendo, già eseguite in precedenza. In giurisprudenza è ormai pacifico che la convocazione disposta nel

corso del procedimento di ammissione al concordato preventivo, da

ritenersi obbligatoria a seguito della sentenza Corte cost. 27 giugno 1972, n. 110 (Foro it., 1972, I, 1902), assorbe anche l'obbligo di

audizione ex art. 15 1. fall, inquantoché il debitore, essendo a

conoscenza delle ineluttabili conseguenze dell'eventuale esito negativo della domanda, ha avuto la possibilità di svolgere ogni utile difesa

anche in ordine alla sua dichiarazione di fallimento.

In questo senso v. App. Roma 10 luglio 1982, id., Rep. 1983, voce

Fallimento, n. 182; Trib. Prato 4 giugno 1981, id., Rep. 1981, voce

cit., n. 156; App. Roma 13 aprile 1981, ibid., voce Concordato

preventivo, n. 45; Trib. Viterbo 7 luglio 1980, id., Rep. 1980, voce

cit., n. 78; Cass. 26 febbraio 1980, n. 1328, ibid., n. 77; 18 febbraio

1980, n. 1157, ibid., n. 15; App. Bologna 31 luglio 1979, id., Rep.

1981, voce cit., n. 46; Trib. Roma 23 luglio 1979, id., Rep. 1980, voce

cit., n. 80; Trib. Venezia 17 luglio 1979, ibid., n. 79; Trib. Viterbo 14

ottobre 1978, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 43, 47. In senso non del

tutto coincidente v. App. Ancona 17 novembre 1981, id., Rep. 1984, voce Fallimento, n. 170; App. Milano 28 settembre 1979, id., Rep.

1980, voce Concordato preventivo, n. 16.

In materia di amministrazione controllata v. l'identico orientamento

da ultimo espresso da Cass. 20 aprile 1985, n. 2619, ibid., Mass., 494.

A corollario e specificazione dell'indirizzo sostanzialistico assunto la

Cassazione, sul versante societario, ha precisato che il socio-rappresen tante convocato come sopra, nell'esercitare il diritto di difesa nell'inte

resse della società, tutela anche la sua personale posizione di socio

illimitatamente responsabile. Tale principio era già stato affermato da App. Bologna 13 luglio

1982, id., Rep. 1983, voce Fallimento, n. 582 (nel procedimento concluso dalla decisione in epigrafe); Cass. 10 aprile 1975, n. 1322,

id., Rep. 1975, voce cit., n. 638. La questione relativa all'automaticità del fallimento personale dei

soci illimitatamente responsabili rispetto al fallimento della società è

ormai positivamente superata da tempo poiché la giurisprudenza e la

dottrina largamente prevalente hanno escluso, sul presupposto che tale

effetto prescinde dalla qualità di imprenditore e dallo stato di

insolvenza dei singoli soci, la necessità di apposito e separato giudizio diretto ad accertarne l'assoggettabilità.

Sul punto vale la pena di ricordare che la Corte costituzionale, con

le sentenze 16 luglio 1970, n. 142, id., 1970, I, 2038, e 27 giugno

1972, n. 110, id., 1972, I, 1902, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 147

1. fall, nella parte in cui non consente ai soci illimitatamente

responsabili l'esercizio del diritto di difesa precisando, però, che tale

attività deve essere concessa nei limiti compatibili con la natura del

procedimento concorsuale.

(3) Con questa massima la Cassazione ricalca il proprio costante

orientamento secondo il quale i ritenuti effetti si realizzano al

concorrere delle seguenti condizioni: a) qualità di socio illimitatamente

responsabile rivestita dal fallito anteriormente alla trasformazione della

società; b) insolvenza (o, comunque, esposizione debitoria) risalente al

periodo precedente alla trasformazione stessa; c) mancato consenso dei

creditori sociali.

Ciò, secondo quanto è venuta precisando la giurisprudenza, per due

ordini di motivi il primo dei quali poggia sul rilievo che la società di

capitali susseguente alla trasformazione di una società di persone mantiene due regimi di responsabilità (passato e futuro), posto che la

trasformazione non comporta una alterazione del soggetto giuridico ma

soltanto un mutamento della sua struttura; il secondo fa riferimento

ad una interpretazione ampia, anziché formalistica, della norma del

l'art. 147, 1° comma, 1. fall.

Per una ricostruzione dell'orientamento descritto v., variamente, Cass.

6 dicembre 1984, n. 6429, Foro it., Rep. 1984, voce Fallimento, n.

496; 12 aprile 1984, n. 2369, ibid., voce Società, n. 831; Trib.

Genova 9 novembre 1982, ibid., voce Fallimento, n. 504;

App. Bologna 13 luglio 1982, id., Rep. 1983, voce cit-, n. 581; Trib.

Genova 2 luglio 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 500; Trib. Genova

1° giugno 1982, ibid., n. 503; Cass. 13 marzo 1982, n. 1632, id., Rep.

1982, voce cit., n. 528; 14 gennaio 1982, n. 198, ibid., voce Società, n.

369; 22 giugno 1981, n. 4065, ibid., n. 370; 11 maggio 1981, n. 3095,

ibid., voce Fallimento, n. 527; 11 gennaio 1979, n. 189, Giur. comm.,

1979, II, 523; 19 maggio 1977, n. 2071, Foro it., Rep. 1977, voce

Società, n. 408; 8 marzo 1977, n. 953, id., 1978, I, 206; App. Milano

24 dicembre 1974, id., 1975, I, 2799. In senso parzialmente diverso alla sentenza riportata v. Cass. 7

settembre 1970, n. 1287, id., 1971, I, 2862, con osservazioni di G.

Pezzano. L'orientamento sopra descritto viene disatteso dalla recente sentenza

Cass. 20 settembre 1985, n. 4810, id., 1985, I, 1430, con nota di

richiami ed osservazioni di Adiutori.

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