Sezione II civile; sentenza 9 maggio 1960, n. 1060; Pres. Serra, Est. Danzi, P. M. Tavolaro (concl.conf.); Ente naz. assistenza lavoratori (Avv. Nelli, Cabibbo) c. Circolo cooperativo vinicoloMargherita di Savoia (Avv. Negretti, Piras) ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 5 (1960), pp. 723/724-725/726Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174897 .
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723 PARTE PRIMA 724
porti di lavoro subordinato, erano costituite, anteriormente
alla soppressione dell'ordinamento corporativo, avvenuta
col decreto legisl. luog. 20 luglio 1944 n. 162, dalle ordinanze
corporative (legge 5 febbraio 1934 n. 163) e dalle sentenze
della magistratura del lavoro (legge 3 aprile 1926 n. 563). Non rientravano invece tra le « norme equiparate » ai con
tratti collettivi gli accordi economici collettivi, i quali ul
timi non regolavano, come i primi, la materia dei rapporti di lavoro (cioè dei rapporti fra le contrapposte categorie dei
datori di lavoro e dei prestatori d'opera), ma la ben diversa
materia dei rapporti fra determinate categorie professionali
(art. 2063, n. 2, cod. civ.), stabilendo il contenuto dei rap
porti contrattuali fra imprenditori di diverse categorie in
tema di produzione e di scambio di prodotti. Di ciò costituisce esempio l'accordo economico in og
getto, che ha inteso disciplinare l'attivtà contrattuale degli
agenti e rappresentanti di commercio, cioè di date categorie
d'imprenditori, senza alcun riferimento a rapporti di lavoro
subordinato. Devesi, dunque, escludere che la soggetta materia sia regolata da « norme equiparate » ai contratti
collettivi.
Consegue, dalle suesposte ragioni, che, non rientrando
la controversia in oggetto fra quelle contemplate dal n. 1
dell'art. 429, esattamente la denunziata sentenza escluse
che potesse affermarsi, ex art. 434, la competenza territo
riale del Tribunale di Napoli, quale giudice del lavoro.
Fondata si ravvisa invece l'ulteriore tesi del ricorrente
che la competenza territoriale dell'adito Tribunale dovesse
esser riconosciuta quale forum destinatae solutionis, a norma
dell'art. 20 cod. proc. civ. Sfuggì, infatti, ai Giudici di merito
che l'obbligazione della convenuta, dedotta in giudizio dal
l'attore, concernente il pagamento di provvigioni ed inden
nità, spettanti a quest'ultimo, per l'attività svolta come
rappresentante di commercio, avendo carattere pecuniario, doveva essere adempiuta presso il domicilio del creditore
al tempo della scadenza (Napoli), giusta l'art. 1182, 3°
comma, cod. civ. Il che importava che, essendo in Napoli
eseguibile l'obbligazione dedotta in giudizio, colà veniva a
radicarsi, a mente del menzionato art. 20, il forum destinatae
solutionis.
Giustamente viene perciò censurata dal ricorrente la
declaratoria d'incompetenza territoriale emessa dal Tribu
nale di Napoli, pur essendo stato esso ritualmente adito
come foro facoltativo, ai sensi della richiamata norma pro cessuale.
Accogliendosi, dunque, il ricorso, va dichiarata la com
petenza territoriale del Tribunale di Napoli. Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 9 maggio 1960, n. 1060 ;
Pres. Serra, Est. Danzi, P. M. Tavolaro (conci, conf.) ;
Ente naz. assistenza lavoratori (Avv. Nelli, Cabibbo) c. Circolo cooperativo vinicolo Margherita di Savoia
(Avv. Negretti, Piras) ed altri.
(Conferma App. Torino 8 luglio 1958)
Usucapione — Usucapione abbreviata — Contratto
concluso da rappresentante senza potere — Inam
missibilità (Cod. civ., art. 1159, 1388, 1399).
Non è ammissibile la usucapione decennale a favore di chi
abbia contrattato con un rappresentante senza potere. (1)
(1) Vedi in conformità F. Greco, Proprietà, III, pag. 369
(in Commentario del codice civile, Torino, 1958), e, a proposito dell'art. 1153 cod. civ., Oass. 10 ottobre 1955, Foro it., 1956,
I, 1690, con osservazione adesiva di Gr. Stolfi.
Vedi in senso contrario Trib. Roma 9 marzo 1955, id., Rep.
1956, voce Usucapione, n. 10. Nel senso che l'usucapione decennale si verifica solo in
caso di acquisto a non domino, vedi Messineo, Manuale di
La Corte, ecc. — (Omissis). Con il terzo ed ultimo mezzo,
il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 1159 cod. civ.,
rilevando che la sentenza avrebbe dovuto accogliere l'ecce
zione di usucapione decennale sul rilievo che il rogito
Garlanda, a parte il difetto di procura, non poteva non pro durre gli effetti propri di un acquisto a non domino e che
ogni indagine sul presupposto della buona fede avrebbe
dovuto ritenersi superflua dal momento che il Circolo non
aveva sollevato in proposito alcuna eccezione.
La censura non appare fondata.
I Giudici d'appello hanno disatteso l'eccezione di usu
capione decennale sulla base di un triplice ordine di consi
derazioni. Anzitutto, perchè l'E.n.a.l. non era mai entrato
nel possesso dell'immobile de quo, rimasto sempre nella piena
disponibilità del Circolo il quale aveva continuato ad occu
parlo con la propria sede ; in secondo luogo, perchè l'acquisto da chi tratti senza poteri in nome dei proprietario non
è assimilabile all'acquisto a non domino, mentre la mancanza
dei poteri di rappresentanza costituisce un vizio estrinseco
del negozio che lo rende inidoneo al trasferimento della pro
prietà ; infine, perchè non può sostenersi l'acquisto in buona
fede da parte di colui che abbia concluso con chi si spacciava come rappresentante del donante senza verificare preventi vamente l'esistenza ed i limiti della procura.
Sull'accertato difetto del requisito del possesso conti
nuato per un decennio, è sufficiente osservare che trattasi
di giudizio di fatto adeguatamente motivato e perciò insin
dacabile in questa sede.
L'aspetto veramente delicato, e, per quel che consta, nuovo della questione , investe l'affermazione della sentenza
secondo cui non sono ravvisabili gli estremi dell'acquisto a non domino, che costituisce uno dei presupposti essenziali
dell'usucapione decennale, nell'acquisto avvenuto per tra
mite di un rappresentante senza poteri del vero proprie tario. Si osserva infatti che, nella detta ipotesi, è come se
l'acquisto seguisse direttamente dal proprietaiio. Brevi considerazioni valgono a dimostrare che la Corte
d'appello ha esattamente deciso. Secondo l'art. 1159, la
usucapione decennale è consentita, trascurando gli altri
requisiti richiesti da tale norma, a chi abbia acquistato un immobile da chi non è proprietario in forza di un titolo
idoneo, sotto ogni allro aspetto, a trasferirne immediata
mente la proprietà. Per determinare quale sia il contenuto
effettivo di questo presupposto, occorre chiarire che l'ido
neità del titolo ad operare il trasfeiimento della proprietà non può intendersi limitata alla mancanza di vizi di carat
tere formale, sotto lo specioso argomento che le deficienze
di tale natura sono le uniche agevolmente avvertibili dal
l'esterno, ma deve invece estendersi anche alla mancanza
di vizi di sostanza dell'atto giacché non è consentito all'in
terprete restringere arbitrariamente il significato della
espressione « titolo idoneo a trasferire la proprietà » usata
dalla legge per scolpire il concetto di titolo valido in tutti
i sensi, ma inabile a produrre immediatamente i normali
effetti traslativi in conseguenza dell'ai enità dell'immobile
al quale si riferisce l'acquisto. Ciò importa che non possa verificarsi l'usucapione abbreviata, non solo se il titolo sia
nullo o sia, successivamente, annullato, ma anche nella
ipotesi che lo stesso risulti semplicemente inefficace essendo
manifesto il proposito della legge di comprendere nel rife
rimento ogni possibile impedimento al passaggio immediato
della proprietà, che non sia quello della a'ienità dell'immo
diriito civile e commerciale, I, 1, pag. 300 e seg. ; Montel, Pos
sesso, n. 127 ; Trib. Melfi 7 maggio 1953, Foro it., Hep. 1953, voce cit., n. 1 ; Cass. 18 luglio 1953, ibid., n. 5 ; App. Lecce 15
aprile 1955, id., Rep. 1955, voce cit., n. 13. Sulla inammissi
bilità, della usucapione decennale in caso di acquisto a domino, vedi Trib. Palermo 12 aprile 1952, id., 1953, I, 898, con nota
di richiami.
V., per qualche riferimento, Cass. 20 ottobre 1955, n. 3333
(id., 1956, I, 8, e a col. 543, con nota critica di Falaschi), per la
quale la trascrizione, disposta nell'art. 2652, n. 6, cod. civ.,
riguarda le domande di nullità e di annullamento dei negozi giu
ridici, e quindi non è applicabile ai negozi inefficaci come
quello compiuto dal rappresentante senza potere.
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725 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 726
bile che forma oggetto del negozio traslativo. Il che può, come è noto, verificarsi anche rispetto a negozi validi per
ragioni ad essi estrinseche nei casi previsti dalla legge. Ferme queste premesse, va osservato che il negozio
concluso con il rappresentante è destinato normalmente
a produrre i propri effetti nei confronti diretti del rappre sentato. In forza di tale principio, un negozio traslativo
della proprietà di un immobile che sia stato concluso con il
rappresentante del proprietario spiega le medesime conse
guenze di quello stipulato direttamente con lo stesso pro
prietario. Il rappresentante del proprietario vale, rispetto a quel negozio, come suo alter ego onde chi acquista da lui,
acquista sostanzialmente a domino. Ma, ove, come nella
specie, risulti che la persona qualificatasi come rappresen tante del Circolo proprietario dell'immobile non era invece
munita del potere di consentirne la donazione all'O.n.d.
in nome e per conto del proprietario, la situazione che ne
deriva, rispetto agli effetti del negozio stipulato in tal guisa, non può assimilarsi correttamente a quella di un acquisto a non domino. In questo caso infatti l'inidoneità del negozio ad operare il trasferimento della proprietà dell'immobile
a favore del donatario spogliandone il donante non risiede
in un difetto di legittimazione del dante causa, che è paci fico essere stato il vero proprietario dell'immobile che figu rava donato, ma attiene ad una deficienza estrinseca, quale è quella del difetto di una procura che conferisse al Bor
rini il potere di donare l'immobile in nome del Circolo e che
determina l'inefficacia del negozio relativo. Infatti è chiaro
ohe il difetto di legittimazione del rappresentante è cosa
diversa dalla non titolarità dell'immobile alienato da chi
se ne affermi proprietario anche se, in entrambi i casi,
siano ugualmente impediti i normali effetti traslativi im
mediati del negozio di alienazione. Si deve quindi concludere
che l'usucapione abbreviata è possibile solo se l'inidoneità
del titolo derivi dal fatto che l'alienante ha disposto di un
immobile altrui e che in tutti gli altri casi di invalidità od
inefficacia del titolo l'usucapione si compia soltanto con il
decorso del termine ordinario.
È peraltro da aggiungere che, come bene ha ritenuto
la sentenza denunziata, nell'ipotesi di acquisto da rappre sentante privo del potere di disporre dell'immobile, l'usu
capione abbreviata non potrebbe aver luogo anche per di
fetto del requisito della buona fede. Non vale opporre su
questo punto che la questione della buona fede non sarebbe
stata sollevata dal Circolo, essendo noto che il giudice ha
il potere-dovere di esaminare, in ordine alla fattispecie
sottopostagli, se la stessa corrisponda o meno nei suoi ele
menti costitutivi a quella prevista dalla legge per il conse
guimento di un determinato effetto. Ora, la Corte d'appello ha stabilito, in linea di fatto^ che la buona fede dell'O.n.d.
fosse da escludere, rilevando che chi accetta di stipulare una donazione con la persona che si qualifica come rappre sentante del donante senza accertare preventivamente che
costui sia munito dei necessari poteri, non può dirsi certo
di non ledere l'altrui diritto. E non può dubitarsi che sif
fatto accertamento di merito, oltre che adeguatamente giu
stificato, sia conforme ad esatti criteri giuridici perchè colui che accetta una donazione immobiliare da chi agisca in rappresentanza del donante deve, secondo i dettami della
più elementare diligenza, verificare l'esistenza ed il conte
nuto della procura; onde l'aver trascurato tale cautela fa sì
che l'ignoranza dell'Ente donatario debba attribuirsi a
colpa grave con conseguente esclusione della buona fede
richiesta dalla legge per l'usucapione abbreviata.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CAS AZIONE
Sezione I civile; sentenza 6 maggio 1960, n. 1032; Pres.
Torrente P., Est. di Majo, P. M. Gedda (conci,
conf.) ; Belluzzi (Avv. Stoppani) c. Pres. Cons, ministri
(Avv. dello Stato Peronaci) e Fumarola (Avv. Pa
landri).
(Conferma App. Ancona 10 maggio 1958)
Farmacia — Concessionario di farmacia non di nnova
istituzione — Indennità di avviamento dovuta al
precedente titolare —- Determinazione — Cri
terio (R. d. 27 luglio 1934 n. 1265, t. u. delle leggi sa
nitarie, art. 110 ; r. d. 30 settembre 1938 n. 1706, rego
lamento per il servizio farmaceutico, art. 2).
L'accertamento dell'ammontare dell'indennità di avviamento
dovuta dal nuovo concessionaria di farmacia, non di
nuova istituzione, deve essere computato sulla base del
reddito di r. m. dell'ultimo quinquennio anteriore alla
declaratoria di decadenza del precedente titolare, e non
già del quinquennio immediatamente antecedente alla
data della concessione al nuovo titolare. (1)
La Corte, ecc. — Con il primo mezzo la Belluzzi denuncia
la violazione e falsa applicazione degli art. 110 t. u. sulle
leggi sanitarie 27 luglio 1934 n. 1265, e 2, 4, 11, 16, 17 e 18
relativo regolamento approvato con r. decreto 30 novembre
1938 n. 1706, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
per avere la Corte di appello ritenuto che l'indennità di
avviamento dovuta dal farmacista vincitore di concorso di
farmacia non di nuova istituzione debba essere computata sulla base del reddito medio di r. m. dell'ultimo quinquennio anteriore alla declaratoria di decadenza del precedente titolare anziché, come sostiene essa ricorrente, del quin
quennio immediatamente antecedente alla data dell'auto
rizzazione al nuovo titolare.
La censura è infondata perchè i Giudici del merito
hanno colto appieno il senso dell'art. 110 del citato t. u.
n. 1265 del 1934.
Non è inopportuno anzitutto premettere che la legge
sanitaria imprime carattere pubblicistico all'attività far
maceutica per le esigenze di ordine generale che essa è de
stinata a soddisfare nella sfera della sanità pubblica. Da qui la necessità dell'autorizzazione all'apertura dell'esercizio
di una farmacia, autorizzazione che si risolve in una con
cessione amministrativa mediante la quale viene attribuito
il diritto di esercitare l'attività farmaceutica soltanto a
coloro che in seguito a concorso siano ritenuti dalla pub
blica Amministrazione i più qualificati all'esercizio del
l'attività medesima.
Ma, considerata la farmacia nella sua insopprimibile entità giuridica di azienda commerciale (è previsto infatti
il fallimento del farmacista, art. 113 t. u.) al rapporto di
carattere pubblicistico non potevano non essere neces
sariamente connessi, nel sistema della legge, rapporti di
ordine patrimoniale, tra cui quello di cui è discussione sul
l'indennità di avviamento, il che spiega come quest'ultimi
vengano influenzati nella loro struttura dal preminente interesse pubblico che involge e colora tutto il regolamento
legislativo della materia (cfr. sent. n. 1029 del 1953, Foro
it., Rep. 1953, voce Farmacia, nn. 14-18). E di questa influenza è chiara applicazione il disposto
dell'art. 110 in esame. Esso stabilisce che l'autorizzazione
all'esercizio di una farmacia (che non sia di nuova istitu
(1) Questione nuova a.quanto ci consta. Per riferimenti sulla ratio dell'alt. 11(1 t. u. leggi sanitarie,
vedi le sentenze (ricordate nel testo) : Cass. 17 aprile 1953, n. 1029, Foro it., Rep. 1953, voce Farmacia, nn. 14-18 ; 16
giugno 1954, n. 2056, id.. Rep. 1954, voce cit., nn. 37, 38; 10 gennaio 1955, n. 12, id., 1955, I, 487 ; 24 agosto 1948, n. 1548,
id., 1949, I, 244 ; 30 gennaio 1951, id., 1951, I, 561, nonché
Trib. Bologna 17 maggio 1957, id., 1958, I, 489 ; Cass. 13 marzo
1957, n. 845, id., 1957, I, 758.
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