sezione II; parere 20 maggio 1998, n. 548/98; Pres. Quaranta; Min. beni culturali e ambientaliSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 325/326-333/334Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193772 .
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Quando questo ordine di considerazione viene a confrontarsi
con un dettato normativo che preordina, per taluni atti, un si
stema derogatorio di impugnazione, non può ritenersi che per il sol fatto che vengano abilitate talune sedi contenziose ecce
zionali rispetto al canone processuale generale, debba conseguirne che, per effetto di tale puntualizzazione, consegua un intento di cancellazione dello strumento straordinario, e ciò in quanto le sfere di operatività dei due mezzi di tutela sono differenti ed attengono altresì ad autonome e distinte finalità.
La previsione di competenza dell'autorità giudiziaria ordina
ria è dunque discriminativa rispetto alla giurisdizione ammini
strativa del plesso di giustizia relativo, ma non intacca l'opera tività di mezzi di tutela che attengono ad altre sfere dell'elabo
razione di volontà della pubblica amministrazione e che, in
ragione della loro precipua inerenza alla fase interna alla pub blica amministrazione, si pongono come indifferenti, rispetto ad ogni statuizione derogatoria della sede giurisdizionale ammi
nistrativa.
L'intangibilità della sede straordinaria, infatti, costruita in chia
ve di generalità di sistema è perciò momento istituzionale auto
nomo e si pone come «concorrente» di ogni altra forma di tute
la, con un differenziato livello di operatività, e senza essere in
cisa da fattori di mero ordine processuale.
Peraltro, se si ammette che il ricorso straordinario possa —
di norma — attenere ad ogni profilo di diritto soggettivo, si
può scorgere come esso sia istituzionalmente indifferente al ri
parto di giurisdizione e che la propria competenza incida siste
maticamente sulla competenza giurisdizionale dell'autorità giu diziaria ordinaria che, dunque, è fuori di simmetria rispetto al
gravame straordinario.
In qust'ultimo infatti si consuma un insieme complesso di
fattori che passano dal controllo dell'azione, alla funzione di
tutela, ma tuttavia in chiave di effetto indiretto, a chiusura,
cioè, di quel sistema di verifica che è stato sopra delineato e
che introduce un controllo delimitato, in sostanza, alla logica
complessiva dell'operato amministrativo ed alla sua motivazio
ne, così ponendosi in una sfera che non incide o pregiudica nessuna ulteriore competenza (fra cui l'autorità giudiziaria or
dinaria), ove eccezionalmente prevista e che resta totalmente in
differente rispetto al ricorso straordinario.
Ne deriva che soltanto un'espressa volontà eliminatoria del
ricorso straordinario possa assumere efficacia idonea ad esclu
dere il rimedio, non potendo assumere rilevanza, in tal senso, la mera precisazione legislativa di un sistema derogatorio di com
petenze contenzioso e che crea conflitto delimitato fra le sedi
giurisdizionali ordinarie ed amministrative, e non esteso ad al
tre aree.
Può quindi affermarsi che ove non sussista espressa norma
che escluda formalmente la ricorribilità al ricorso straordinario, non possa ricavarsi in via interpretativa, alcuna volontà di can
cellare la suddetta sede di legittimità. Conclusione questa che è anche avvalorata dal fatto che è
incontestata la promuovibilità del ricorso straordinario anche
nei casi in cui il legislatore ha conferito con espressa determina
zione la «giurisdizione esclusiva» del Consiglio di Stato, ciò che
sarebbe altrimenti, discriminatoria del gravame straordinario ove
fosse lecito desumere, dalla mera designazione di una compe tenza eccezionale, la cancellazione di ogni ulteriore forma di
impugnazione quale è l'impugnazione in sede straordinaria.
Nella specie, vertente in tema d'invalidità civile, ciò che rile
va nell'intento del legislatore, non è certamente l'istituzione di
una sede extra ordinem di gravame, quanto all'apertura del con
tenzioso al merito dell'atto, non altrimenti praticabile in seno
alla giurisdizione di legittimità, e ciò a maggior tutela del priva
to, la cui sfera viene ad arricchirsi di una potenzialità non altri
menti conseguibile in un contesto in cui il sindacato sarebbe
sicuramente più epidermico e meno appagante per l'interesse
del privato. Posto dunque che il ricorso straordinario trae le ragioni della
propria sopravvivenza e operatività, per virtù propria del carat
tere di rimedio generale di legittimità che lo assiste, resta da
definire quale possa essere il quadro di riferimento per l'ipotesi di adizione congiunta del ricorso straordinario e dell'autorità
giudiziaria ordinaria secondo la potenzialità offerta dalla norma.
È evidente che non operi in merito alcun criterio di alternati
vità in quanto l'istituto è legislativamente previsto nel solo rap
porto con il ricorso giurisdizionale amministrativo e non può trovare applicazione fuori di tale ambito.
Ne consegue che ove entrambi i rimedi avessero ad essere
Il Foro Italiano — 1999.
esperiti con esiti non omogenei, sarebbe comunque prevalente la pronunzia apud iudicem, in virtù dell'intrinseca forza del de
liberato, specie se pervenuto alla fase di giudicato. Si pensi peraltro al fatto che il ricorso straordinario, dopo
la consumazione della fase consultiva obbligatoria, non trova un limite vincolante assoluto, in quanto il parere espresso resta
comunque esposto a giudizio, potenzialmente discordante, del
consiglio dei ministri e si mantiene dunque — come esposto — nell'ambito di condivisione dell'amministrazione quale mo
mento interno di verifica, mentre la pronunzia giudiziaria che
la norma derogatoria abilita, al pari di ogni pronunzia giurisdi zionale, esprime un comando perentorio esterno, che prescinde da ogni possibile consenso o dissenso e determina autonoma
mente il mutamento nella situazione in atto.
Si deve conclusivamente ammettere che il ricorso straordina
rio costituisca rimedio ineliminabile dal sistema, ove non espres samente inibito da norma di legge, e che per il concorso che
esprime sul piano del riscontro dei valori della legittimità degli atti amministrativi, non trovi limiti nella designazione di sedi di tutela giurisdizionali derogatorie dell'ordine generale di riparto.
Il ricorso in atto è dunque ammissibile.
Nel merito il gravame si rivela fondato nella parte in cui non
ravvisa conferenti ragioni ostative nel contesto dell'atto impu
gnato e che perciò qualifica come carente di motivazione, spe cie se esaminato nel contesto delle ragioni esposte e che avreb
bero potuto condurre a determinazioni favorevoli in base allo
stato di fatto riconosciuto in essere dalla precedente ammini
strazione che ha ammesso un deficit invalidante del cento per cento, non giustificando tuttavia l'esclusione di indennità di ac
compagnamento. L'atto impugnato è dunque privo di appropriata motivazione
ed in quanto tale va annullato.
Restano salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione.
CONSIGLIO DI STATO; sezione II; parere 20 maggio 1998, n. 548/98; Pres. Quaranta; Min. beni culturali e ambientali.
Bellezze naturali (protezione delle) — Piani territoriali paesistici — Contenuto — Attuazione e specificazione del vincolo pae
saggistico — Difformità dal modello legislativo — Illegittimi tà — Fattispecie (L. 29 giugno 1939 n. 1497, protezione delle
bellezze naturali, art. 7; d.l. 27 giugno 1985 n. 312, disposi zioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse
ambientale, art. 1 bis).
È illegittimo il piano paesistico che, in difformità dalla funzio ne essenziale e tipica prescritta dal modello legislativo, anzi ché costituire uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico, mediante
l'individuazione delle incompatibilità assolute e dei criteri e
parametri di valutazione delle incompatibilità relative, con
tenga una deroga al medesimo vincolo (nella specie, è stato
annullato il piano territoriale paesistico n. 12 della Giara di
Gesturi, Genoni e Monte Arci, approvato dalla regione Sar
degna, che ha escluso la necessità dell'autorizzazione paesag
gistica ex art. 71. 29 giugno 1939 n. 1497 per gli «usi compa tibili» meglio individuati dalle previsioni del piano ed ha pre visto livelli di trasformabilità del territorio contrastanti con
la finalità di tutela delle caratteristiche naturali, ambientali
e paesaggistiche delle aree vincolate). (1)
(1) La decisione fa parte di un gruppo di pareri del Consiglio di Sta to con i quali, in sede di ricorso straordinario al capo dello Stato pro posto dall'associazione ambientalistica «Amici della Terra», sono stati annullati dodici piani territoriali paesistici, approvati dalla regione Sardegna.
Il parere assume notevole importanza per i principi affermati e ripor tati in massima nella parte in cui da un lato ribadisce i reciproci rappor ti tra pianificazione, vincolo ed autorizzazione paesaggistica e dall'al
tro, soprattutto, individua funzione e contenuto del piano territoriale
paesistico con compiti di omogeneizzazione per zone e categorie, ri
guardo agli insiemi protetti, determinandone i limiti di utilizzazione in una visione anticipata e d'insieme.
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PARTE TERZA
Premesso. — 1. - Il ministero per i beni culturali e ambientali
riferisce del ricorso straordinario dell'associazione Amici della
Terra avverso il piano territoriale paesistico n. 12 della Giara
di Gesturi, Genoni e Monte Arci (regione Sardegna). 2. - L'associazione ricorrente chiede l'annullamento, previa so
spensione, del decreto del presidente della giunta regionale 6 agosto
1993, portante la pubblicazione e la decretazione di esecutività
del piano territoriale paesistico n. 12 della Giara di Gesturi, Ge
noni e Monte Arci, approvato dalla giunta regionale con delibe
razione n. 28-12 del 3 agosto 1993 (pubblicato nel B.U.RA.S.,
supplemento n. 1 al n. 44, pp. I e II, del 19 novembre 1993). La ricorrente lamenta quanto segue:
1) eccesso di potere: errata valutazione dei dati e contraddit
torietà dell'atto.
Previsione nelle zone 1 (a conservazione integrale) di usi com
patibili di cui alla lett. A.\ (opere stradali aeroportuali, ferro
viarie, opere portuali ed annesse opere idriche, tutte le altre
opere di interesse pubblico o di prevalente interesse pubblico); D.d (dighe, sistemazione dei corsi d'acqua, acquedotti, traver
se); D.e (reti elettriche, telefoniche e simili). Previsione nelle zone 2.A (dove prevale l'esigenza di tutela
delle caratteristiche naturali e sono possibili, nel rispetto delle
direttive delle zone agricole, trasformazioni esclusivamente di
carattere agricolo pascolatico, ittico, zootecnico, agrituristico,
tecnologico, estrattivo, quanto espressamente previsto dal pia no delle cave — che, tuttavia, possiede natura economica —
ed altre attività che non modifichino in ogni caso sensibilmente
lo stato dei luoghi) gli usi compatibili di cui alle lett. A.l (depu
Quanto ai rapporti tra vincolo paesaggistico e pianificazione, la deci sione è conforme alla consolidata giurisprudenza amministrativa: Cons.
Stato, sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29, Foro it., 1993, III, 332, con nota di richiami, e, da ultimo, 4 aprile 1997, n. 553, id., Rep. 1997, voce Bellezze naturali, n. 55, secondo cui i piani paesistici territoriali di cui all'art. 1 bis 1. 8 agosto 1985 n. 431 non solo non fanno venir
meno, ma anzi presuppongono, l'esistenza del vincolo paesaggistico, tanto se lo stesso sia stato imposto dalla regione nell'esercizio delle fun zioni delegate con l'art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, quanto se esso sia stato imposto dall'amministrazione statale nell'esercizio del potere previsto dall'art. 82, 2° comma, lett. a), stesso d.p.r., tanto, infine, se discenda direttamente dalla previsione contenuta nel cit. art. 82, 5°
comma, nel testo introdotto dall'art. 1 d.l. 27 giugno 1985 n. 312. In senso conforme anche la giurisprudenza penale: Cass. 6 dicembre
1995, Leonardi, ibid., n. 45 (e Riv. pen. economia, 1996, 296, con nota di Marra), che ha affermato che il piano paesistico regionale non è in grado di costituire o escludere il vincolo ambientale, perché questo deriva direttamente dalla legge, pertanto un territorio coperto da bosco è da ritenere sottoposto a vincolo, ancorché non incluso tra i boschi dal piano paesistico regionale; v. pure Cass. 7 gennaio 1991, Zona, Foro it., Rep. 1992, voce cit., nn. 45, 73, 90.
La decisione in rassegna individua il modello legislativo del piano paesistico il cui nucleo essenziale è costituito dall'attuazione e specifica zione del reale contenuto precettivo del vincolo paesaggistico. A tale
scopo il piano deve essere rivolto all'individuazione degli usi del territo rio da ritenersi in via presuntiva assolutamente incompatibili con la con servazione e valorizzazione dei beni sottoposti a particolare tutela e, in secondo luogo, a fissare i criteri ed i parametri ai quali le autorità
preposte al rilascio delle autorizzazioni, dovranno rapportarsi nell'eser cizio della loro attività amministrativa, di carattere tecnico discreziona le, volta a valutare se le opere per le quali è richiesto il nulla-osta siano
compatibili con le caratteristiche naturali, ambientali e paesaggistiche presenti nella zona e che il vincolo intende tutelare.
In senso conforme, Tar Lazio, sez. II, 20 settembre 1989, n. 1270, id., 1991, III, 204, che, nei rapporti tra pianificazione paesistica e pia nificazione urbanistica, sostiene la tesi della possibilità che i piani paesi stici pongano condizionamenti rigidi e limiti inderogabili alle ammini strazioni comunali che possono giungere sino all'imposizione di vincoli assoluti all'utilizzazione edificatoria di alcune aree.
In tema di pianificazione paesaggistica, oltre alle decisioni citate in
motivazione, v. Tar Campania, sez. Salerno, 10 dicembre 1996, n. 950, id., Rep. 1997, voce cit., n. 29, che ha annullato il decreto del ministro
per i beni culturali ed ambientali di approvazione del piano territoriale
paesistico del Cilento, in sostituzione della regione inadempiente, per violazione del principio di leale cooperazione, essendo stato adottato senza il coinvolgimento degli enti locali nel relativo procedimento, in difformità da quanto previsto nel d.m. 24 maggio 1995; Tar Campania 10 settembre 1998, n. 2845, Trib. amm. reg., 1998, I, 4182, secondo cui il piano territoriale paesistico può legittimamente imporre all'attivi tà edificatoria divieti, limitazioni e prescrizioni al fine di impedire che delle zone vincolate sia fatto un uso suscettibile di arrecare pregiudizio agli interessi paesistico-ambientali; in dottrina, G. D'Angelo, Piano
paesistico e piano urbanistico: contenuti, funzioni e loro attualità, in Riv. giur. edilizia, 1996, II, 163; Id., Piani paesistici e legge Galasso: l'osservanza della legge è un «optional»?, id., 1998, I, 1452.
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ratori, discariche, inceneritori, fognature), D.C. (strade, ferro
vie, ecc.), D.D., D.E., E.C. (impianti destinati alla trasforma
zione agricola su scala industriale), E.E. (nuove costruzioni at
tinenti le attività lavorative sopra indicate, senza limiti), F.E.,
F.F., G.A. (cave e lavorazione materiale), G.D. (ricerche mine
rarie), H.D. (alberghi, residences, bungalows), H.F. (strutture residenziali stagionali, cioè seconde case).
In tutti questi casi verrebbero autorizzati «usi compatibili» che snaturerebbero le caratteristiche naturali, ambientali e pae
saggistiche che, invece, si afferma di volere tutelare e conservare.
Nell'ambito di una pianificazione tesa alla salvaguardia del
territorio non si comprende per qual motivo in zone destinate
alla conservazione totale ovvero al parziale utilizzo compatibile con l'ambiente siano rese possibili attività suscettibili di trasfor
mare in modo così incisivo il territorio;
2) violazione della 1. n. 241 del 1990: difetto di motivazione.
Manca del tutto, nell'atto impugnato, la motivazione che ha
portato l'amministrazione emanante a classificare quali trasfor
mabili in tutto o in parte delle zone tutelate con vincolo paesag
gistico, di destinazione ad area protetta (1. reg. n. 31 del 1989; 1. n. 394 del 1991), usi civici (illegittimità totale, come si vedrà più sotto), vincolo idrogeologico, vincolo archeologico, zone umi
de tutelate con la convenzione di Ramsar, vincoli ex art. 2 1.
reg. n. 23 del 1993; 3) violazione di legge: violazione r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537
e d.p.r. 1° dicembre 1949 n. 1142.
Nell'elaborazione dei piani territoriali paesistici, non ci si è
avvalsi dell'opera di ingegneri od architetti iscritti nei relativi
albi, al contrario di quanto prescritto dalle normative sopra in
dicate. Né i professionisti hanno sottoscritto i piani. Vi è stata inoltre l'attribuzione alla Progemisa s.p.a. anche
di compiti propri di liberi professionisti (parcellizzazione ed in dividuazione cartografica delle zone, ecc.), in violazione delle
normative sopra indicate;
4) violazione di legge: violazione 1. 16 febbraio 1927 n. 1766, art. 6, 12, 18; r.d. 26 febbraio 1928 n. 332.
Le norme sopra richiamate demandano al ministero per l'a
gricoltura e le foreste (allora ministero per l'economia naziona
le), ora all'assessorato regionale, all'uopo indicato, le compe tenze a fornire le necessarie autorizzazioni dirette ad affranca-, re, modificare nell'utilizzo, trasformare o alienare i terreni
sottoposti ad usi civici. Ora, mentre nei piani impugnati detti usi non vengono neppu
re individuati (tanto meno su base cartografica), è a porre in luce
come alcune prescrizioni pianificatone — già peraltro illustrate
al primo motivo di ricorso — consentano, in realtà, un utilizzo
non lecito o addirittura la trasformazione o il mutamento della
destinazione d'uso dei fondi sottoposti ad uso civico. Con l'ulte riore considerazione che, consistendo il piano territoriale paesi stico in uno strumento di programmazione urbanistica strettamente
legato alla 1. reg. n. 45 del 1989, l'utilizzo abnorme dei terreni
sottoposti a vincoli di tale specie sarà sicuramente consentito in
quanto rientrante nella pianificazione regionale territoriale;
5) eccesso di potere: mancata valutazione dei dati relativi alla edificabilità.
Nell'individuazione delle singole aree non vi è stata la previ sione del tetto massimo di volumetria edificabilc. Ora, un piano che abbia il compito di programmare la salvaguardia del territo rio non può esprimere tale carenza, giacché la stessa funzione di
programmazione finisce con il venire meno. È da rilevare, inol
tre, che nei Pp.tt.pp. (e quindi anche in quello oggetto del pre sente ricorso) vengono classificate come «edificabili» a vario ti tolo zone oggetto di convenzioni di lottizzazione, ma dove non vi è stato alcun legittimo inizio dei lavori di urbanizzazione pri ma del 17 novembre 1989; anzi, spesso l'inizio dei lavori è inizia to abusivamente (ad es., loc. «Pixinnì»: v. prot. I/SV 11 gennaio 1994 nota serv., vigilanza edilizia R.a.s). In questo caso, l'abusi vismo edilizio appare addirittura «premiato». Inoltre, zone che nei Pp.tt.pp. venivano classificate come «1» (di protezione inte
grale), vengono rese edificabili. Il caso più macroscopico è quel lo della zona Capo Spartivento-Malfatano, dove viene declassata a 2.C, da 1, la zona di proprietà della società Sitas. Le zone 2.D sono destinate dai Pp.tt.pp. (e quindi anche da quello oggetto del presente ricorso) ad edificazione mediante «accordi di pro gramma» (i quali, invece, sono eventuali strumenti attuativi del
P.u.c.); tale elemento appare quasi come una scorciatoia per evi tare i tempi dell'adozione definitiva del Pp.uu.cc. Si palesa quin di una «non programmazione», dove sono considerati edificabili terreni di altissimo valore paesaggistico ed ambientale.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
3. - La regione autonoma Sardegna, a mezzo dell'ufficio tu tela del paesaggio (nota n. 11508 del 22 novembre 1994) e del l'assessorato della difesa dell'ambiente (nota n. 7808 del 23 marzo
1994) ha contestato nel merito la fondatezza del ricorso. 4. - Il ministero per i beni culturali e ambientali, nel riferire,
richiamandosi alla nota n. 6293/1 del 17 gennaio 1997 della
soprintendenza archeologica di Cagliari e la nota n. 10815 del 15 settembre 1995 della soprintendenza B.a.a.a.s. di Cagliari, ne ha affermato invece la fondatezza.
Considerato. — 1. - La normativa di attuazione del piano ter
ritoriale paesistico in esame distingue (art. 12) tre ambiti di tutela:
1) gli ambiti di coservazione integrale (art. 13). Sono contras
segnati con il n. «1», e sono gli ambiti nei quali deve essere ga rantita la conservazione integrale dei singoli caratteri naturalisti
ci, storici, morfologici e dei rispettivi insiemi. Si tratta di aree che,
presentando eccezionali caratteristiche dal punto di vista natura
listico, storico, archeologico e scientifico, non ammettono altera zioni allo stato attuale dei luoghi e sono suscettibili dei soli inter venti volti alla conservazione, difesa, ripristino, restauro e frui
zione della risorsa. Tali ambiti comprendono altresì le aree
individuate dall'art. 21. reg. 7 maggio 1993 n. 23, senza pregiudi zio per le aree e gli interventi fatti salvi dalla medesima norma;
2) gli ambiti di trasformazione (art. 17). Sono contrassegnati con il n. «2», e sono gli ambiti per i quali sono ammessi inter
venti di trasformazione che si articolano in cinque progressivi
gradi di trasformabilità attribuiti ad aree distinte (sono infatti
sottoripartiti in 2a, 2b, 2c, 2d, 2e, a seconda del grado di tra
sformabilità accordabile);
3) gli ambiti di restauro e recupero ambientale (art. 23). Sono
contrassegnati con il grado «3» ed una successiva lettera dell'al
fabeto che indica i diversi gradi di recupero, e sono gli ambiti per i quali sono ammessi interventi di restauro e recupero ambientale.
Per ciascuno di questi tre ambiti, la normativa di attuazione
del P.t.p. stabilisce quali sono le tipologie di «usi consentiti»
facendo riferimento ad un'allegata «tabella degli usi compatibi li con i gradi di tutela paesistica», la quale distingue gli usi
in «A-uso di area protetta», «B-uso ricreativo culturale», «C
uso silvo-pastorale», «D-uso tecnologico», «E-uso agricolo», «F
uso pascolativo zootecnico», «G-uso estrattivo», «H-uso turi
stico», «I-uso produttivo e diversi», «L-uso insediativo».
2. Ciò precisato in ordine al modo della ripartizione del terri
torio compiuta dal piano territoriale paesistico in esame, si deve
passare alla considerazione dei singoli motivi di impugnazione. Il motivo che appare logicamente prioritario è il primo, con
il quale l'associazione ricorrente in sostanza lamenta anzitutto
che, per ambiti contrassegnati con il n. «1» (ambiti di conserva
zione integrale: art. 13 delle n.a.) siano previsti come usi com
patibili (art. 14) degli usi incisivi, che in realtà snaturerebbero
le caratteristiche naturali, ambientali e pesaggistiche: tali, per effetto del rinvio di cui all'art. 14, quelli di cui alla tabella alle
gata, e contrassegnati alla lett. A. 1 (tra cui interventi connessi
alla realizzazione di opere pubbliche o di preminente interesse
pubblico, quali: opere stradali aeroportuali, ferroviarie; opere
portuali e strutture funzionali al loro esercizio; opere pubbliche connesse al soddisfacimento del fabbisogno idrico regionale; ope re di urbanizzazione, di servizio pubblico o di preminente inte
resse pubblico); alla lett. D.d (traverse, dighe, sistemazioni idrau
liche dei corsi d'acqua, acquedotti), e alla lett. D.e (reti elettri
che, telefoniche, cabine e simili). Con il medesimo secondo motivo, l'associazione ricorrente
lamenta poi che, per ambiti rientranti tra gli ambiti di trasfor
mazione (art. 17 delle n.a.) e tra questi quelli aventi il minore
grado di trasformabilità (cioè gli ambiti contrassegnati con il
n. «2a») siano previsti come usi compatibili (art. 18) degli usi
parimenti incisivi, che in realtà snaturerebbero le caratteristiche
naturali, ambientali e paesaggistiche: tali, per effetto del rinvio
di cui all'art. 18, quelli di cui alla tabella allegata, e contrasse
gnati alla lett. ,4.1 (tra cui interventi connessi alla realizzazione
di opere pubbliche o di preminente interesse pubblico, quali:
opere stradali aeroportuali, ferroviarie; opere portuali e struttu
re funzionali al loro esercizio; opere publiche connesse al soddi
sfacimento del fabbisogno idrico regionale; opere di urbanizza
zione, di servizio pubblico o di preminente interesse pubblico), D.c (strade, ferrovie, impianti a rete), D.d (traverse, dighe, si
stemazioni idrauliche dei corsi d'acqua, acquedotti), D.e (reti
elettriche, telefoniche, cabine e simili), E.c (interventi diretti al la realizzazione di manufatti e impianti destinati alla lavorazio
ne e alla trasformazione dei prodotti agricoli, a scala azienda
le), E.e (rectius: E.d: nuove edificazioni, costruzioni attinenti
Il Foro Italiano — 1999.
l'esercizio dell'attività agricola e legate all'esercizio dell'attività di controllo e gestione della risorsa, ecc.), F.e (interventi atti a potenziare e migliorare l'attività produttiva, diretti anche alla realizzazione di impianti e manufatti destinati alla lavorazione e trasformazione dei prodotti, a scala aziendale), F.f (nuove edificazioni attinenti l'esercizio dell'attività zootecnica e residenze strettamente necessarie alla conduzione dell'azienda), G.a (esca vazione, lavorazione del materiale di cava, a norma delle vigen ti leggi in materia, con l'obbligo del successivo ripristino am bientale e lavorazione materiale), G.d (ricerche minerarie), H.d
(strutture ricettive quali alberghi, ostelli, residences e bungalows), H.f (strutture residenziali stagionali, cioè seconde case).
3. La censura appare fondata ed è, per il suo carattere fonda
mentale, assorbente rispetto alle altre. È anzitutto il caso di rilevare che la citata tabella degli usi
compatibili con i gradi di tutela paesistica, annessa al P.t.p.,
prescrive per i soli usi di cui alla lett. A (uso di area protetta) che «per tali opere è necessaria l'autorizzazione di cui all'art. 7 1. 1497/39». Per gli altri nulla dice, sicché — dato che fa
riferimento non agli ambiti vincolati, ma alle tipologie di opere — appare implicitamente escludere la necessità dell'autorizza
zione, pur negli ambiti vincolati, laddove l'uso sia qualificato, in base alle previsioni compiute dal piano, come compatibile. È il caso di rilevare che a ciò non può supplire il procedimento di studio e accertamento di compatibilità paesistico-ambientale, delineato dagli art. da 9 a 11 delle norme di attuazione, perché, a tacer d'altro (ad es. sulla natura non di discrezionalità tecnica dell'atto conclusivo), si tratta di procedimento ed atto non sot
toposto alle regole e ai controlli propri del procedimento di au
torizzazione paesistica (ivi incluso il potere ministeriale di an
nullamento ex art. 82, 9° comma, d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, come introdotto dall'art. 1, 5° comma, d.l. 27 giugno 1985 n.
312, convertito dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431, che vale anche
per la regione Sardegna: v. Corte cost. 18 ottobre 1996, n. 341, Foro it., Rep. 1996, voce Bellezze naturali, nn. 31-34).
Ciò posto, appare opportuno svolgere qui alcune considera
zioni di ordine generale inerenti contenuto e funzione dei piani
paesistici, e loro rapporto con i vincoli delle 1. 29 giugno 1939
n. 1497 e 8 agosto 1985 n. 431.
La giurisprudenza ha già approfondito diversi elementi dei
piani paesistici: è qui il caso, attraverso una ricognizione del
quadro delineato da questi approfondimenti, di procedere ad
individuare ulteriori elementi con quelli coerenti. Così, in parti colare, per quanto attiene a funzione e contenuto, e relativi li
miti intrinseci. Questi elementi essenziali del piano paesistico si definiscono an
zitutto in relazione ad altri istituti fondamentali che compongo no l'ordinamento settoriale paesaggistico-ambientale. Il piano pae
sistico, infatti, è un mezzo di tutela del paesaggio che, sia nel suo
momento genetico, che in quello funzionale, è connesso da un la
to con i vincoli paesistici, da un altro con l'autorizzazione pun tuale agli interventi, di cui all'art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497.
Ciò che se ne ricava è che, per effetto del sistema oggi defini
to dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431, la relazione giuridica tra vinco
lo paesaggistico-ambientale (di cui alle 1. n. 1497 del 1939 e
n. 431 del 1985) e piano paesistico è sia, in senso diacronico
e procedimentale, di presupposizione (Corte cost. 13 luglio 1990, n. 327, id., 1991, I, 2010; 7 novembre 1994, n. 379, id., 1995,
I, 21; 28 luglio 1995, n. 417, id., 1996, I, 422; Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29, id., 1993, III, 332; 14 novem
bre 1992, n. 873, id., Rep. 1993, voce cit., n. 72; 30 marzo
1994, n. 450, id., Rep. 1994, voce cit., n. 68; 4 aprile 1997, n. 553, id., Rep. 1997, voce cit., n. 55; 20 gennaio 1998, n.
106), sia, in senso gerarchico e sostanziale, di sottordinazione
del piano al vincolo, e di sovraordinazione del piano stesso al
l'autorizzazione: e ciò vuoi per il piano paesistico, vuoi per le
aree assoggettate a detti vincoli e limitatamente a ciò che attiene
alla gestione dei vincoli stessi, per il piano urbanistico-territoriale
con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali.
Per modo che il piano occupa, in questo sistema, una posizione intermedia tra il vincolo e l'autorizzazione.
La giurisprudenza, costituzionale e amministrativa, ha infatti
sostanzialmente individuato nel piano paesistico uno strumento
di attuazione del vincolo, in quanto atto inteso a disciplinarne
l'operatività (Corte cost. 13 luglio 1990, n. 327, cit.) e a deter
minare la portata, i contenuti, i limiti e gli effetti del vincolo
già imposto, concretando un momento logicamente successivo
della sua regolazione (Corte cost. 28 luglio 1995, n. 417, cit.), volto ad ulteriormente disciplinare, nel senso del superamento
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PARTE TERZA
dell'inevitabile episodicità derivante da un regime meramente
autorizzatone), l'operatività del vincolo paesistico, che in ogni caso permane e non viene meno (Cons. Stato, sez. VI, 14 gen naio 1993, n. 29, cit.; 20 gennaio 1998, n. 106, cit.).
Questa relazione contenutistica di progressiva specificazione è
coessenziale alla stessa relazione di presupposizione, secondo la
quale non può adottarsi un piano paesistico se non per aree che
già sono state assoggettate a un vincolo paesaggistico-ambientale. Se questa necessità ha infatti un significato, per cui il vincolo è
un inderogabile antecedente logico e giuridico del piano paesisti
co, è non solo nel senso formale che è l'esistenza del vincolo a
legittimare l'esercizio successivo della potestà di pianificazione pae
sistica, ma anche nel senso sostanziale che — data la reciproca distinzione e il diverso iter procedimentale — l'atto presupponente
(cioè il piano) non può, nell'esplicarlo, derogarlo, ma deve man
tenere intatto il contenuto precettivo dell'atto presupposto (il vin
colo), può porsi rispetto ad esso solo in senso derivativo, come
ulteriore precisazione della proprietà coercitiva del vincolo (co stituita dall'imposizione della previa valutazione di compatibilità
paesaggistico-ambientale degli interventi).
Dunque il piano paesistico, nel dettare la specifica normativa
d'uso del territorio vincolato, non può mai derogare, per por zioni di quel territorio, o per categorie di opere, alla necessità
dell'autorizzazione, perché la valutazione di compatibilità che
presiede all'autorizzazione costituisce l'effetto legale tipico del
vincolo, ed escluderla significherebbe derogare al vincolo stesso
affrancandone ambiti o interventi: cosa questa che solo la legge statale può fare (cfr. art. 1, penultimo cpv., 1. n. 431 del 1985, che l'esclude per ciò che attiene agli interventi di manutenzione
ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro
conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto este
riore degli edifici, nonché per l'esercizio dell'attività agro-silvo
pastorale che non comporti alterazione permanente dello stato
dei luoghi per costruzioni edilizie od altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idro
geologico del territorio). Diversamente, il piano paesistico rea
lizzerebbe l'effetto pratico non già di uno strumento di attua
zione, e dunque di realizzazione della funzione conservativa del
vincolo, ma uno strumento di attenuazione, e dunque al limite
di negazione o quanto meno di elusione, degli effetti conserva
tivi propri del vincolo e del suo regime. Il contenuto precettivo proprio del vincolo consiste, come ri
cordato, nell'imposizione del previo giudizio di compatibilità
dell'opera che si intende realizzare con le esigenze di conserva
zione dell'ambito protetto e dunque con i valori ambientali e
paesaggistici specifici della zona (Cons. Stato, sez. VI, 11 giu
gno 1990, n. 600, id., 1991, III, 125), giudizio che si estrinseca
nella concessione o nel diniego dell'autorizzazione dell'art. 7
1. 29 giugno 1939 n. 1497. Questo contenuto precettivo, che
è proprio del vincolo, resta fermo: il piano paesistico non può rimuoverlo, ma solo, in via generale e preventiva, omogeneiz zarlo per zone e per categorie, e riguardo agli insiemi protetti, determinandone i limiti di utilizzazione e superando così la vi
sione particolare e fatalmente discontinua insita nella tutela me
ramente provvedimentale; e ciò deve avvenire, grazie alla visio
ne anticipata e d'insieme che è propria di un piano, mediante
una considerazione previa e obiettiva, integrale e globale del
paesaggio tutelato e della tollerabilità delle trasformazioni futu
re, distante dalla pressione condizionante del singolo progetto. Pertanto, nella definizione del suo contenuto concreto, per ciò
che attiene all'uso, cioè alla trasformazione del territorio, il pia no deve anzitutto — per una evidente ragione di economia dell'a
zione pubblica successiva — individuare, in negativo, gli interventi
che, per la loro inconciliabilità con il contesto, si pongono in po sizione di incompatibilità assoluta con i valori salvaguardati dal
vincolo: per questi il piano introduce un regime di immodificabi
lità per determinate zone, o per categorie di opere che sono repu tate comunque incompatibili con i valori protetti, e dunque non
sono realizzabili: per queste zone, o opere, il giudizio di incom
patibilità viene effettuato una volta per tutte, sì che poi non può esservi più nemmeno luogo all'autorizzazione. È questa la prima valutazione da compiere nell'estrinsecazione della discrezionalità
tecnica che presiede alla funzione conservativa del vincolo.
Invece, per le restanti zone, come per le restanti opere, dove — non essendovi ragione di introdurre questa presunzione di
incompatibilità — la compatibilità continua a dover essere valu
tata in concreto, rimane necessario — per l'effetto proprio del
vincolo — il giudizio tecnico-discrezionale rispetto alla conser
vazione dei valori espressi da quelle località, da compiersi con
Il Foro Italiano — 1999.
la singola autorizzazione ex art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497:
per queste zone e opere il piano può piuttosto, ai fini della
omogeneizzazione degli interventi e dell'esercizio del potere au
torizzatone, stabilire criteri e parametri generali di giudizio e
imporre o vietare tipologie di materiali, elementi architettonici, elementi sintattici e porre cautele in genere a salvaguardia del
settore protetto, sempre però — al pari delle incompatibilità assolute — allo scopo conservativo di «impedire che le aree di
quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bel
lezza panoramica» (art. 5 1. 29 giugno 1939 n. 1497). Eguali considerazioni valgono per la specifica normativa di valorizza
zione ambientale, orientata essenzialmente al futuro ripristino e recupero paesistico-ambientale di aree degradate, che pure il
piano paesistico deve, secondo l'art. 1 bis, contenere.
In ciò si sostanzia la funzione di articolazione e specificazione del vincolo, attribuita al piano paesistico dall'art. 1 bis 1. 8 ago sto 1985 n. 431. Questo contenuto si aggiunge e si integra con
quello già tipizzato all'art. 23 r.d. 3 giugno 1940, n. 1357, e cioè
l'individuazione de: «1) le zone di rispetto; 2) il rapporto fra aree
libere e aree fabbricabili in ciascuna delle diverse zone della loca
lità; 3) le norme per i diversi tipi di costruzione; 4) la distribuzio
ne e il vario allineamento dei fabbricati; 5) le istruzioni per la
scelta e la varia distribuzione della flora»; e altresì con la ricogni zione ed individuazione (peraltro eventuale, non essendo esclusi
va del piano paesistico: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre
1990, n. 951, id., 1992, III, 12) di quei beni per i quali la legge aveva fornito un'individuazione soltanto generale, priva di pun tuali e precisi riferimenti spaziali e territoriali, quali ad es. i bo
schi (Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 1994, n. 794, id., Rep. 1994, voce cit., n. 30). E a tutto si aggiunge, dato che alla pianificazio ne paesistica è subordinata quella urbanistica, il condizionare, pre valentemente in negativo, la successiva attività di pianificazione del territorio interessato, per modo che il piano paesistico finisce
per avere una funzione di strumento di base di regolamentazione
globale del territorio vincolato (cfr. Corte cost. 28 luglio 1995, n. 417, cit.), e di contenimento dello sviluppo urbanistico entro
le condizioni che assicurano la compatibilità con la conservazio
ne della bellezza tutelata.
Vero è poi che la relazione di presupposizione non è necessaria
per il piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione
dei valori paesistici ed ambientali (art. 1 bis, 1° comma, ultima
parte), per cui questo può essere posto anche in assenza di un
preesistente vincolo e dunque riguardare anche ambiti non vin
colati; ma alle medesime conclusioni, per ciò che attiene alle aree
assoggettate ai vincoli e per ciò che attiene alla gestione dei vin
coli stessi, si giunge in virtù dell'equiordinazione tra i due stru
menti, riguardo al contenuto essenziale di specifica normativa di
uso e di valorizzazione ambientale del territorio, posta dall'art.
I bis, e rispetto alla quale essi rispondono al medesimo scopo ed
alle medesime esigenze (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 1992, n. 873; 14 gennaio 1993, n. 29; 30 marzo 1994, n. 450, cit.).
Il piano paesistico si colloca dunque tra vincolo paesaggistico ambientale e autorizzazione, in una posizione verticalmente in
termedia, obbligatoria (perché ne è obbligatoria l'adozione: Corte
cost. 27 giugno 1986, n. 153, id., 1986, I, 2689) ma non neces saria (perché il vincolo spiega comunque i suoi effetti anche in assenza del piano paesistico ed indipendentemente da esso). II piano contribuisce a definire il contenuto precettivo del vin
colo e, come espressione dell'autoregolamentazione preventiva
generale di alcuni elementi della discrezionalità tecnica, orienta, essenzialmente in negativo, il giudizio di compatibilità che pre siede all'autorizzazione ex art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497; esso
non può disporre della coercitività del vincolo, ma solo deve
svilupparla in senso conservativo e specificarla (analogamente alla relazione che intercorre tra lo strumento urbanistico gene rale e quello attuativo) per ciò che attiene all'uso e alla valoriz
zazione del territorio protetto (cioè, per ciò che attiene al quo modo, non per ciò che attiene all 'an della tutela).
Questo contenuto prescrittivo essenziale del piano, tale da con
dizionare il successivo esercizio del potere autorizzatorio, ha una
importante implicazione garantistica, dando certezze e prevedi bilità agli amministrati, che sono posti in condizione di cono scere previamente l'orientamento dell'amministrazione, di para metrarsi su questa conoscenza e di economizzare nella progetta zione dei loro interventi. Così non sarebbe, è il caso di osservare, se il piano potesse, arrestandosi al momento conoscitivo, avere un contenuto meramente descrittivo dei contesti protetti, cioè
solo ricognitivo dell'esistente: ma non è questa la funzione vo luta dal legislatore, che, nel rendere ormai obbligatorio questo
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
strumento, ha inteso porre, per la completezza dell'azione pub blica a tutela dell'interesse paesistico, la necessità della funzione
di specificazione del contenuto precettivo del vincolo.
Deriva in sintesi da tutto ciò che il piano paesistico, essendo in posizione inferiore, ha nel vincolo il suo titolo e il suo limite e non può modificarlo o derogare ad esso, ma può (anzi, ex art. 1 bis, deve, per ciò che attiene alla normativa di uso e di
valorizzazione ambientale del territorio) solo specificare i conte nuti precettivi, ed il contrasto tra i due va risolto in favore
del vincolo. Un piano che difetti di tali caratteristiche e di tali
contenuti, o superi questi limiti intrinseci, viene infatti meno alla sua funzione ed è quanto meno illegittimo per difformità
rispetto al modello legislativo, quando non addirittura inesistente in quanto tale (cioè in quanto effettivo, e non solo nominale,
piano paesistico) per assenza di realizzazione dalla funzione pre scrittiva assegnatagli dalla legge come necessaria.
Orbene, rapportando tali considerazioni al caso qui in esame, ne viene che il motivo di impugnazione è fondato, perché, in so
stanza, il piano territoriale paesistico impugnato appare realizza
re non già uno strumento di attuazione e di specificazione del con tenuto precettivo del vincolo, bensì una deroga ad esso: e questo sia con riferimento all'eliminazione della previsione della necessi
tà dell'autorizzazione ex art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497 per gli «usi compatibili» diversi da quelli sub «A-uso di area protetta», sia, in termini più sostanziali, con riferimento alla funzione di pro
gressione nella definizione del contenuto precettivo del piano. Non solo: le ampie categorie e tipologie di usi reputati come
compatibili con un contesto le cui caratteristiche di bellezza natu
rale debbono essere salvaguardate, sono in realtà di mole, impat to e rilevanza tale da comportare, sia nel loro insieme che una ad
una, con gli elevati livelli di trasformabilità del territorio che con
sentono, il denunciato snaturamento delle caratteristiche natura
li, ambientali e paesaggistiche che, invece, si afferma di volere tu
telare e conservare. In realtà, alcuni almeno degli usi in questio ne, soprattutto quelli compresi nelle classi AA, D.c, D.d, E.c, F.e,
F.f, G.a, H.d, H.f sembrano piuttosto in gran parte, da ritenere
assolutamente incompatibili per le zone più significative, quelle cioè degli ambiti di conservazione integrale, e per il resto di com
patibilità certamente da condizionare e limitare incisivamente quan to a tipologie di materiali e architettoniche, connessioni, quantità e ingombro e quant'altro necessario — da studiare, individuare
ed esternare come contenuto prescrittivo — per preservare effica
cemente i valori paesaggistici che si intendono tutelare.
A ben vedere, appare che la preoccupazione reale sia stata quella di contrastare, usando in modo improprio dell'occasione offerta
dalla pianificazione paesistica, gli effetti limitativi propri del vin
colo, garantendo comunque l'effettuazione di ponderosi interventi,
piuttosto che, al contrario, di definire i ristretti parametri di com
patibilità che consentano di mantenere, come risultato, inaltera
to il quadro complessivo dei valori paesistico-ambientali protetti. Il che è, dal punto di vista del contenuto, l'esatto rovesciamento
della funzione propria nel piano paesistico e realizza già, sotto que sto profilo, un evidente vizio funzionale dell'atto.
Ma vi è di più: in realtà, è la stessa metodologia dell'indivi
duazione di tipologie di interventi reputati come «compatibili», dei quali solo alcuni (quelli «A») previa autorizzazione, e altri
senz'altro, ad essere contrastante con la descritta corretta for
mazione del contenuto del piano: definire a priori un intervento
come compatibile significa o affermare che tutti gli altri inter
venti sono implicitamente vietati (il che non pare essere nelle
intenzioni), ovvero precostituire, dal punto di vista paesistico, le condizioni per l'affermazione della libertà dell'intervento (salva, nei limitati casi per cui è fatta restare, l'autorizzazione): il che
è il contrario esatto, in termini logici, della duplice operazione,
sopra descritta, di individuazione delle incompatibilità assolute, e dei criteri e parametri di valutazione delle incompatibilità re
lative. In realtà, ci si trova di fronte proprio al descritto, illegit timo scopo di deroga al vincolo, e dunque alla negazione della
funzione essenziale e tipica del piano paesistico, e ciò rende l'e
videnza — data anche l'ampiezza delle previsioni in questione — che con la pianificazione in oggetto si è inteso perseguire un fine effettivo di attenuazione, anziché puntualizzazione, del
l'effetto di vincolo: fine che è ben diverso da quello specifico
per cui il potere di pianificazione paesistica è dato.
Tutto ciò rende il contenuto del P.t.p. concretamente non
corrispondente con la funzione conservativa e specificativa del
vincolo attribuitagli dalla legge: sussiste pertanto in modo as
sorbente il denunciato vizio funzionale dell'eccesso di potere e
l'intero P.t.p. in esame va pertanto senz'altro annullato.
Il Foro Italiano — 1999.
CONSIGLIO DI STATO; sezione I; parere 9 aprile 1997, n.
372/97; Min. sanità.
Unione europea — Ce — Direttive comunitarie — Inadempi mento — Sentenza della Corte di giustizia — Effetti — Pro fessioni intellettuali — Odontoiatra — Normativa nazionale
confliggente — Inapplicabilità (Trattato Ce, art. 169, 171; di rettiva 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee del consiglio, concernen te il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di dentista e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera pre stazione di servizi, art. 19; direttiva 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee del consiglio, concernente il coordinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di dentista, art. 1; 1. 31 ottobre 1988 n. 471, norme
concernenti l'opzione, per i laureati in medicina e chirurgia, per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri, art. unico).
Unione europea — Ce — Normativa nazionale incompatibile con quella comunitaria — Atto amministrativo — Annulla mento in via di autotutela — Legittimità — Condizioni —
Professioni intellettuali — Odontoiatra — Albo — Iscrizione — Medici generici immatricolati al corso di laurea tra il 1980 e il 1985 — Cancellazione d'ufficio — Pubblico interesse —
Necessità (Direttiva 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee del consi
glio, art. 19; direttiva 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee del consi
glio, art. 1; 1. 31 ottobre 1988 n. 471).
Le sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee impongono alle autorità statali di non
applicare le disposizioni nazionali dichiarate incompatibili con la normativa comunitaria (nella specie, il principio è stato
enunciato dal Consiglio di Stato con riferimento alla sentenza 10 giugno 1995, causa C-40/93, con la quale la Corte di giu stizia ha statuito che prorogando, con la l. 31 ottobre 1988 n. 471, fino all'anno accademico 1984/85, nei confronti dei
laureati in medicina e chirurgia, il termine stabilito dall'art.
19 della direttiva del consiglio 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le in
combono ai sensi del detto articolo e dell'art. 1 della direttiva
del consiglio 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee, concernente il coor
dinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e am
ministrative per le attività di dentista). (1)
(1) Corte giust. 1° giugno 1995, causa C-40/93, Foro it., 1995, IV, 328, aveva condannato l'Italia per aver consentito, con l'art, unico 1. 31 ottobre 1988 n. 471, l'esercizio della professione di odontoiatra ai laureati in medicina e chirurgia abilitati, non specialisti in odontoiatria, che si fossero immatricolati negli anni accademici compresi fra il 1980-81 ed il 1984-85, mentre alla stregua delle direttive 78/686 e 78/687 la data di inizio della formazione universitaria di medico, a tal fine, avrebbe
potuto essere fissata «al più tardi» al 28 gennaio 1980. Sulla scorta della decisione dei giudici di Lussemburgo, Cass., sez.
un., 11 novembre 1997, n. 11131, id., 1998, I, 57, conformandosi al consolidato insegnamento della Corte costituzionale in tema di risolu zione dei conflitti fra norme comunitarie direttamente applicabili e di
sposizioni interne, ha ritenuto inapplicabile nella fattispecie controversa la 1. 471/88, e, conseguentemente, pur sussistendo le condizioni da que sta richieste, ha escluso il diritto del ricorrente ad essere iscritto nell'al bo degli odontoiatri.
Come ricordato nella nota di richiami a sez. un. 11131/97, cit., alla medesima conclusione attinta dal Supremo collegio, con riferimento ad una fattispecie analoga, era già pervenuto, in un certo senso anticipan do la pronuncia di condanna della Corte di giustizia, Trib. Roma 22
luglio 1994, id., 1995, I, 372. Relativamente all'obbligo, gravante sullo Stato riconosciuto inadem
piente ai sensi dell'art. 171 del trattato, di prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia importa (obbligo la cui inosservanza, alla stregua del testo dell'art. 171 così come novel lato dal trattato di Maastricht, comporta l'irrogazione di sanzioni pecu niarie: sul punto, per un primo commento, Mori, Le sanzioni previste dall'art. 171 del trattato Ce: i primi criteri applicativi, in Dir. Unione
europea, 1996, 1015), la giurisprudenza comunitaria è ferma nell'esige re che alla pronuncia sia data esecuzione in tempi il più possibile ristret ti (ex multis, Corte giust. 7 marzo 1996, causa C-334/94, Foro it., Rep. 1997, voce Unione europea, n. 632, e, in extenso, Riv. dir. internaz.
privato e proc., 1997, 195) ed attraverso l'adozione di disposizioni in terne vincolanti aventi lo stesso valore giuridico di quelle da modificare
(così, di recente, Corte giust. 4 dicembre 1997, causa C-207/96, e 13 marzo 1997, causa C-197/96, Foro it., 1998, IV, 50). La medesima
giurisprudenza, inoltre, non ha mancato di ribadire (così, tra le altre, Corte giust. 19 gennaio 1993, causa C-101/91, id., Rep. 1993, voce
cit., n. 348) che la declaratoria dell'inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi comunitari ad esso imposti, implica sia
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