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sezione II; parere 20 maggio 1998, n. 548/98; Pres. Quaranta; Min. beni culturali e ambientali

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sezione II; parere 20 maggio 1998, n. 548/98; Pres. Quaranta; Min. beni culturali e ambientali Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 325/326-333/334 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23193772 . Accessed: 28/06/2014 08:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.146 on Sat, 28 Jun 2014 08:34:43 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione II; parere 20 maggio 1998, n. 548/98; Pres. Quaranta; Min. beni culturali e ambientaliSource: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 6 (GIUGNO 1999), pp. 325/326-333/334Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193772 .

Accessed: 28/06/2014 08:34

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

Quando questo ordine di considerazione viene a confrontarsi

con un dettato normativo che preordina, per taluni atti, un si

stema derogatorio di impugnazione, non può ritenersi che per il sol fatto che vengano abilitate talune sedi contenziose ecce

zionali rispetto al canone processuale generale, debba conseguirne che, per effetto di tale puntualizzazione, consegua un intento di cancellazione dello strumento straordinario, e ciò in quanto le sfere di operatività dei due mezzi di tutela sono differenti ed attengono altresì ad autonome e distinte finalità.

La previsione di competenza dell'autorità giudiziaria ordina

ria è dunque discriminativa rispetto alla giurisdizione ammini

strativa del plesso di giustizia relativo, ma non intacca l'opera tività di mezzi di tutela che attengono ad altre sfere dell'elabo

razione di volontà della pubblica amministrazione e che, in

ragione della loro precipua inerenza alla fase interna alla pub blica amministrazione, si pongono come indifferenti, rispetto ad ogni statuizione derogatoria della sede giurisdizionale ammi

nistrativa.

L'intangibilità della sede straordinaria, infatti, costruita in chia

ve di generalità di sistema è perciò momento istituzionale auto

nomo e si pone come «concorrente» di ogni altra forma di tute

la, con un differenziato livello di operatività, e senza essere in

cisa da fattori di mero ordine processuale.

Peraltro, se si ammette che il ricorso straordinario possa —

di norma — attenere ad ogni profilo di diritto soggettivo, si

può scorgere come esso sia istituzionalmente indifferente al ri

parto di giurisdizione e che la propria competenza incida siste

maticamente sulla competenza giurisdizionale dell'autorità giu diziaria ordinaria che, dunque, è fuori di simmetria rispetto al

gravame straordinario.

In qust'ultimo infatti si consuma un insieme complesso di

fattori che passano dal controllo dell'azione, alla funzione di

tutela, ma tuttavia in chiave di effetto indiretto, a chiusura,

cioè, di quel sistema di verifica che è stato sopra delineato e

che introduce un controllo delimitato, in sostanza, alla logica

complessiva dell'operato amministrativo ed alla sua motivazio

ne, così ponendosi in una sfera che non incide o pregiudica nessuna ulteriore competenza (fra cui l'autorità giudiziaria or

dinaria), ove eccezionalmente prevista e che resta totalmente in

differente rispetto al ricorso straordinario.

Ne deriva che soltanto un'espressa volontà eliminatoria del

ricorso straordinario possa assumere efficacia idonea ad esclu

dere il rimedio, non potendo assumere rilevanza, in tal senso, la mera precisazione legislativa di un sistema derogatorio di com

petenze contenzioso e che crea conflitto delimitato fra le sedi

giurisdizionali ordinarie ed amministrative, e non esteso ad al

tre aree.

Può quindi affermarsi che ove non sussista espressa norma

che escluda formalmente la ricorribilità al ricorso straordinario, non possa ricavarsi in via interpretativa, alcuna volontà di can

cellare la suddetta sede di legittimità. Conclusione questa che è anche avvalorata dal fatto che è

incontestata la promuovibilità del ricorso straordinario anche

nei casi in cui il legislatore ha conferito con espressa determina

zione la «giurisdizione esclusiva» del Consiglio di Stato, ciò che

sarebbe altrimenti, discriminatoria del gravame straordinario ove

fosse lecito desumere, dalla mera designazione di una compe tenza eccezionale, la cancellazione di ogni ulteriore forma di

impugnazione quale è l'impugnazione in sede straordinaria.

Nella specie, vertente in tema d'invalidità civile, ciò che rile

va nell'intento del legislatore, non è certamente l'istituzione di

una sede extra ordinem di gravame, quanto all'apertura del con

tenzioso al merito dell'atto, non altrimenti praticabile in seno

alla giurisdizione di legittimità, e ciò a maggior tutela del priva

to, la cui sfera viene ad arricchirsi di una potenzialità non altri

menti conseguibile in un contesto in cui il sindacato sarebbe

sicuramente più epidermico e meno appagante per l'interesse

del privato. Posto dunque che il ricorso straordinario trae le ragioni della

propria sopravvivenza e operatività, per virtù propria del carat

tere di rimedio generale di legittimità che lo assiste, resta da

definire quale possa essere il quadro di riferimento per l'ipotesi di adizione congiunta del ricorso straordinario e dell'autorità

giudiziaria ordinaria secondo la potenzialità offerta dalla norma.

È evidente che non operi in merito alcun criterio di alternati

vità in quanto l'istituto è legislativamente previsto nel solo rap

porto con il ricorso giurisdizionale amministrativo e non può trovare applicazione fuori di tale ambito.

Ne consegue che ove entrambi i rimedi avessero ad essere

Il Foro Italiano — 1999.

esperiti con esiti non omogenei, sarebbe comunque prevalente la pronunzia apud iudicem, in virtù dell'intrinseca forza del de

liberato, specie se pervenuto alla fase di giudicato. Si pensi peraltro al fatto che il ricorso straordinario, dopo

la consumazione della fase consultiva obbligatoria, non trova un limite vincolante assoluto, in quanto il parere espresso resta

comunque esposto a giudizio, potenzialmente discordante, del

consiglio dei ministri e si mantiene dunque — come esposto — nell'ambito di condivisione dell'amministrazione quale mo

mento interno di verifica, mentre la pronunzia giudiziaria che

la norma derogatoria abilita, al pari di ogni pronunzia giurisdi zionale, esprime un comando perentorio esterno, che prescinde da ogni possibile consenso o dissenso e determina autonoma

mente il mutamento nella situazione in atto.

Si deve conclusivamente ammettere che il ricorso straordina

rio costituisca rimedio ineliminabile dal sistema, ove non espres samente inibito da norma di legge, e che per il concorso che

esprime sul piano del riscontro dei valori della legittimità degli atti amministrativi, non trovi limiti nella designazione di sedi di tutela giurisdizionali derogatorie dell'ordine generale di riparto.

Il ricorso in atto è dunque ammissibile.

Nel merito il gravame si rivela fondato nella parte in cui non

ravvisa conferenti ragioni ostative nel contesto dell'atto impu

gnato e che perciò qualifica come carente di motivazione, spe cie se esaminato nel contesto delle ragioni esposte e che avreb

bero potuto condurre a determinazioni favorevoli in base allo

stato di fatto riconosciuto in essere dalla precedente ammini

strazione che ha ammesso un deficit invalidante del cento per cento, non giustificando tuttavia l'esclusione di indennità di ac

compagnamento. L'atto impugnato è dunque privo di appropriata motivazione

ed in quanto tale va annullato.

Restano salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione.

CONSIGLIO DI STATO; sezione II; parere 20 maggio 1998, n. 548/98; Pres. Quaranta; Min. beni culturali e ambientali.

Bellezze naturali (protezione delle) — Piani territoriali paesistici — Contenuto — Attuazione e specificazione del vincolo pae

saggistico — Difformità dal modello legislativo — Illegittimi tà — Fattispecie (L. 29 giugno 1939 n. 1497, protezione delle

bellezze naturali, art. 7; d.l. 27 giugno 1985 n. 312, disposi zioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse

ambientale, art. 1 bis).

È illegittimo il piano paesistico che, in difformità dalla funzio ne essenziale e tipica prescritta dal modello legislativo, anzi ché costituire uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico, mediante

l'individuazione delle incompatibilità assolute e dei criteri e

parametri di valutazione delle incompatibilità relative, con

tenga una deroga al medesimo vincolo (nella specie, è stato

annullato il piano territoriale paesistico n. 12 della Giara di

Gesturi, Genoni e Monte Arci, approvato dalla regione Sar

degna, che ha escluso la necessità dell'autorizzazione paesag

gistica ex art. 71. 29 giugno 1939 n. 1497 per gli «usi compa tibili» meglio individuati dalle previsioni del piano ed ha pre visto livelli di trasformabilità del territorio contrastanti con

la finalità di tutela delle caratteristiche naturali, ambientali

e paesaggistiche delle aree vincolate). (1)

(1) La decisione fa parte di un gruppo di pareri del Consiglio di Sta to con i quali, in sede di ricorso straordinario al capo dello Stato pro posto dall'associazione ambientalistica «Amici della Terra», sono stati annullati dodici piani territoriali paesistici, approvati dalla regione Sardegna.

Il parere assume notevole importanza per i principi affermati e ripor tati in massima nella parte in cui da un lato ribadisce i reciproci rappor ti tra pianificazione, vincolo ed autorizzazione paesaggistica e dall'al

tro, soprattutto, individua funzione e contenuto del piano territoriale

paesistico con compiti di omogeneizzazione per zone e categorie, ri

guardo agli insiemi protetti, determinandone i limiti di utilizzazione in una visione anticipata e d'insieme.

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PARTE TERZA

Premesso. — 1. - Il ministero per i beni culturali e ambientali

riferisce del ricorso straordinario dell'associazione Amici della

Terra avverso il piano territoriale paesistico n. 12 della Giara

di Gesturi, Genoni e Monte Arci (regione Sardegna). 2. - L'associazione ricorrente chiede l'annullamento, previa so

spensione, del decreto del presidente della giunta regionale 6 agosto

1993, portante la pubblicazione e la decretazione di esecutività

del piano territoriale paesistico n. 12 della Giara di Gesturi, Ge

noni e Monte Arci, approvato dalla giunta regionale con delibe

razione n. 28-12 del 3 agosto 1993 (pubblicato nel B.U.RA.S.,

supplemento n. 1 al n. 44, pp. I e II, del 19 novembre 1993). La ricorrente lamenta quanto segue:

1) eccesso di potere: errata valutazione dei dati e contraddit

torietà dell'atto.

Previsione nelle zone 1 (a conservazione integrale) di usi com

patibili di cui alla lett. A.\ (opere stradali aeroportuali, ferro

viarie, opere portuali ed annesse opere idriche, tutte le altre

opere di interesse pubblico o di prevalente interesse pubblico); D.d (dighe, sistemazione dei corsi d'acqua, acquedotti, traver

se); D.e (reti elettriche, telefoniche e simili). Previsione nelle zone 2.A (dove prevale l'esigenza di tutela

delle caratteristiche naturali e sono possibili, nel rispetto delle

direttive delle zone agricole, trasformazioni esclusivamente di

carattere agricolo pascolatico, ittico, zootecnico, agrituristico,

tecnologico, estrattivo, quanto espressamente previsto dal pia no delle cave — che, tuttavia, possiede natura economica —

ed altre attività che non modifichino in ogni caso sensibilmente

lo stato dei luoghi) gli usi compatibili di cui alle lett. A.l (depu

Quanto ai rapporti tra vincolo paesaggistico e pianificazione, la deci sione è conforme alla consolidata giurisprudenza amministrativa: Cons.

Stato, sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29, Foro it., 1993, III, 332, con nota di richiami, e, da ultimo, 4 aprile 1997, n. 553, id., Rep. 1997, voce Bellezze naturali, n. 55, secondo cui i piani paesistici territoriali di cui all'art. 1 bis 1. 8 agosto 1985 n. 431 non solo non fanno venir

meno, ma anzi presuppongono, l'esistenza del vincolo paesaggistico, tanto se lo stesso sia stato imposto dalla regione nell'esercizio delle fun zioni delegate con l'art. 82 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, quanto se esso sia stato imposto dall'amministrazione statale nell'esercizio del potere previsto dall'art. 82, 2° comma, lett. a), stesso d.p.r., tanto, infine, se discenda direttamente dalla previsione contenuta nel cit. art. 82, 5°

comma, nel testo introdotto dall'art. 1 d.l. 27 giugno 1985 n. 312. In senso conforme anche la giurisprudenza penale: Cass. 6 dicembre

1995, Leonardi, ibid., n. 45 (e Riv. pen. economia, 1996, 296, con nota di Marra), che ha affermato che il piano paesistico regionale non è in grado di costituire o escludere il vincolo ambientale, perché questo deriva direttamente dalla legge, pertanto un territorio coperto da bosco è da ritenere sottoposto a vincolo, ancorché non incluso tra i boschi dal piano paesistico regionale; v. pure Cass. 7 gennaio 1991, Zona, Foro it., Rep. 1992, voce cit., nn. 45, 73, 90.

La decisione in rassegna individua il modello legislativo del piano paesistico il cui nucleo essenziale è costituito dall'attuazione e specifica zione del reale contenuto precettivo del vincolo paesaggistico. A tale

scopo il piano deve essere rivolto all'individuazione degli usi del territo rio da ritenersi in via presuntiva assolutamente incompatibili con la con servazione e valorizzazione dei beni sottoposti a particolare tutela e, in secondo luogo, a fissare i criteri ed i parametri ai quali le autorità

preposte al rilascio delle autorizzazioni, dovranno rapportarsi nell'eser cizio della loro attività amministrativa, di carattere tecnico discreziona le, volta a valutare se le opere per le quali è richiesto il nulla-osta siano

compatibili con le caratteristiche naturali, ambientali e paesaggistiche presenti nella zona e che il vincolo intende tutelare.

In senso conforme, Tar Lazio, sez. II, 20 settembre 1989, n. 1270, id., 1991, III, 204, che, nei rapporti tra pianificazione paesistica e pia nificazione urbanistica, sostiene la tesi della possibilità che i piani paesi stici pongano condizionamenti rigidi e limiti inderogabili alle ammini strazioni comunali che possono giungere sino all'imposizione di vincoli assoluti all'utilizzazione edificatoria di alcune aree.

In tema di pianificazione paesaggistica, oltre alle decisioni citate in

motivazione, v. Tar Campania, sez. Salerno, 10 dicembre 1996, n. 950, id., Rep. 1997, voce cit., n. 29, che ha annullato il decreto del ministro

per i beni culturali ed ambientali di approvazione del piano territoriale

paesistico del Cilento, in sostituzione della regione inadempiente, per violazione del principio di leale cooperazione, essendo stato adottato senza il coinvolgimento degli enti locali nel relativo procedimento, in difformità da quanto previsto nel d.m. 24 maggio 1995; Tar Campania 10 settembre 1998, n. 2845, Trib. amm. reg., 1998, I, 4182, secondo cui il piano territoriale paesistico può legittimamente imporre all'attivi tà edificatoria divieti, limitazioni e prescrizioni al fine di impedire che delle zone vincolate sia fatto un uso suscettibile di arrecare pregiudizio agli interessi paesistico-ambientali; in dottrina, G. D'Angelo, Piano

paesistico e piano urbanistico: contenuti, funzioni e loro attualità, in Riv. giur. edilizia, 1996, II, 163; Id., Piani paesistici e legge Galasso: l'osservanza della legge è un «optional»?, id., 1998, I, 1452.

11 Foro Italiano — 1999.

ratori, discariche, inceneritori, fognature), D.C. (strade, ferro

vie, ecc.), D.D., D.E., E.C. (impianti destinati alla trasforma

zione agricola su scala industriale), E.E. (nuove costruzioni at

tinenti le attività lavorative sopra indicate, senza limiti), F.E.,

F.F., G.A. (cave e lavorazione materiale), G.D. (ricerche mine

rarie), H.D. (alberghi, residences, bungalows), H.F. (strutture residenziali stagionali, cioè seconde case).

In tutti questi casi verrebbero autorizzati «usi compatibili» che snaturerebbero le caratteristiche naturali, ambientali e pae

saggistiche che, invece, si afferma di volere tutelare e conservare.

Nell'ambito di una pianificazione tesa alla salvaguardia del

territorio non si comprende per qual motivo in zone destinate

alla conservazione totale ovvero al parziale utilizzo compatibile con l'ambiente siano rese possibili attività suscettibili di trasfor

mare in modo così incisivo il territorio;

2) violazione della 1. n. 241 del 1990: difetto di motivazione.

Manca del tutto, nell'atto impugnato, la motivazione che ha

portato l'amministrazione emanante a classificare quali trasfor

mabili in tutto o in parte delle zone tutelate con vincolo paesag

gistico, di destinazione ad area protetta (1. reg. n. 31 del 1989; 1. n. 394 del 1991), usi civici (illegittimità totale, come si vedrà più sotto), vincolo idrogeologico, vincolo archeologico, zone umi

de tutelate con la convenzione di Ramsar, vincoli ex art. 2 1.

reg. n. 23 del 1993; 3) violazione di legge: violazione r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537

e d.p.r. 1° dicembre 1949 n. 1142.

Nell'elaborazione dei piani territoriali paesistici, non ci si è

avvalsi dell'opera di ingegneri od architetti iscritti nei relativi

albi, al contrario di quanto prescritto dalle normative sopra in

dicate. Né i professionisti hanno sottoscritto i piani. Vi è stata inoltre l'attribuzione alla Progemisa s.p.a. anche

di compiti propri di liberi professionisti (parcellizzazione ed in dividuazione cartografica delle zone, ecc.), in violazione delle

normative sopra indicate;

4) violazione di legge: violazione 1. 16 febbraio 1927 n. 1766, art. 6, 12, 18; r.d. 26 febbraio 1928 n. 332.

Le norme sopra richiamate demandano al ministero per l'a

gricoltura e le foreste (allora ministero per l'economia naziona

le), ora all'assessorato regionale, all'uopo indicato, le compe tenze a fornire le necessarie autorizzazioni dirette ad affranca-, re, modificare nell'utilizzo, trasformare o alienare i terreni

sottoposti ad usi civici. Ora, mentre nei piani impugnati detti usi non vengono neppu

re individuati (tanto meno su base cartografica), è a porre in luce

come alcune prescrizioni pianificatone — già peraltro illustrate

al primo motivo di ricorso — consentano, in realtà, un utilizzo

non lecito o addirittura la trasformazione o il mutamento della

destinazione d'uso dei fondi sottoposti ad uso civico. Con l'ulte riore considerazione che, consistendo il piano territoriale paesi stico in uno strumento di programmazione urbanistica strettamente

legato alla 1. reg. n. 45 del 1989, l'utilizzo abnorme dei terreni

sottoposti a vincoli di tale specie sarà sicuramente consentito in

quanto rientrante nella pianificazione regionale territoriale;

5) eccesso di potere: mancata valutazione dei dati relativi alla edificabilità.

Nell'individuazione delle singole aree non vi è stata la previ sione del tetto massimo di volumetria edificabilc. Ora, un piano che abbia il compito di programmare la salvaguardia del territo rio non può esprimere tale carenza, giacché la stessa funzione di

programmazione finisce con il venire meno. È da rilevare, inol

tre, che nei Pp.tt.pp. (e quindi anche in quello oggetto del pre sente ricorso) vengono classificate come «edificabili» a vario ti tolo zone oggetto di convenzioni di lottizzazione, ma dove non vi è stato alcun legittimo inizio dei lavori di urbanizzazione pri ma del 17 novembre 1989; anzi, spesso l'inizio dei lavori è inizia to abusivamente (ad es., loc. «Pixinnì»: v. prot. I/SV 11 gennaio 1994 nota serv., vigilanza edilizia R.a.s). In questo caso, l'abusi vismo edilizio appare addirittura «premiato». Inoltre, zone che nei Pp.tt.pp. venivano classificate come «1» (di protezione inte

grale), vengono rese edificabili. Il caso più macroscopico è quel lo della zona Capo Spartivento-Malfatano, dove viene declassata a 2.C, da 1, la zona di proprietà della società Sitas. Le zone 2.D sono destinate dai Pp.tt.pp. (e quindi anche da quello oggetto del presente ricorso) ad edificazione mediante «accordi di pro gramma» (i quali, invece, sono eventuali strumenti attuativi del

P.u.c.); tale elemento appare quasi come una scorciatoia per evi tare i tempi dell'adozione definitiva del Pp.uu.cc. Si palesa quin di una «non programmazione», dove sono considerati edificabili terreni di altissimo valore paesaggistico ed ambientale.

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

3. - La regione autonoma Sardegna, a mezzo dell'ufficio tu tela del paesaggio (nota n. 11508 del 22 novembre 1994) e del l'assessorato della difesa dell'ambiente (nota n. 7808 del 23 marzo

1994) ha contestato nel merito la fondatezza del ricorso. 4. - Il ministero per i beni culturali e ambientali, nel riferire,

richiamandosi alla nota n. 6293/1 del 17 gennaio 1997 della

soprintendenza archeologica di Cagliari e la nota n. 10815 del 15 settembre 1995 della soprintendenza B.a.a.a.s. di Cagliari, ne ha affermato invece la fondatezza.

Considerato. — 1. - La normativa di attuazione del piano ter

ritoriale paesistico in esame distingue (art. 12) tre ambiti di tutela:

1) gli ambiti di coservazione integrale (art. 13). Sono contras

segnati con il n. «1», e sono gli ambiti nei quali deve essere ga rantita la conservazione integrale dei singoli caratteri naturalisti

ci, storici, morfologici e dei rispettivi insiemi. Si tratta di aree che,

presentando eccezionali caratteristiche dal punto di vista natura

listico, storico, archeologico e scientifico, non ammettono altera zioni allo stato attuale dei luoghi e sono suscettibili dei soli inter venti volti alla conservazione, difesa, ripristino, restauro e frui

zione della risorsa. Tali ambiti comprendono altresì le aree

individuate dall'art. 21. reg. 7 maggio 1993 n. 23, senza pregiudi zio per le aree e gli interventi fatti salvi dalla medesima norma;

2) gli ambiti di trasformazione (art. 17). Sono contrassegnati con il n. «2», e sono gli ambiti per i quali sono ammessi inter

venti di trasformazione che si articolano in cinque progressivi

gradi di trasformabilità attribuiti ad aree distinte (sono infatti

sottoripartiti in 2a, 2b, 2c, 2d, 2e, a seconda del grado di tra

sformabilità accordabile);

3) gli ambiti di restauro e recupero ambientale (art. 23). Sono

contrassegnati con il grado «3» ed una successiva lettera dell'al

fabeto che indica i diversi gradi di recupero, e sono gli ambiti per i quali sono ammessi interventi di restauro e recupero ambientale.

Per ciascuno di questi tre ambiti, la normativa di attuazione

del P.t.p. stabilisce quali sono le tipologie di «usi consentiti»

facendo riferimento ad un'allegata «tabella degli usi compatibi li con i gradi di tutela paesistica», la quale distingue gli usi

in «A-uso di area protetta», «B-uso ricreativo culturale», «C

uso silvo-pastorale», «D-uso tecnologico», «E-uso agricolo», «F

uso pascolativo zootecnico», «G-uso estrattivo», «H-uso turi

stico», «I-uso produttivo e diversi», «L-uso insediativo».

2. Ciò precisato in ordine al modo della ripartizione del terri

torio compiuta dal piano territoriale paesistico in esame, si deve

passare alla considerazione dei singoli motivi di impugnazione. Il motivo che appare logicamente prioritario è il primo, con

il quale l'associazione ricorrente in sostanza lamenta anzitutto

che, per ambiti contrassegnati con il n. «1» (ambiti di conserva

zione integrale: art. 13 delle n.a.) siano previsti come usi com

patibili (art. 14) degli usi incisivi, che in realtà snaturerebbero

le caratteristiche naturali, ambientali e pesaggistiche: tali, per effetto del rinvio di cui all'art. 14, quelli di cui alla tabella alle

gata, e contrassegnati alla lett. A. 1 (tra cui interventi connessi

alla realizzazione di opere pubbliche o di preminente interesse

pubblico, quali: opere stradali aeroportuali, ferroviarie; opere

portuali e strutture funzionali al loro esercizio; opere pubbliche connesse al soddisfacimento del fabbisogno idrico regionale; ope re di urbanizzazione, di servizio pubblico o di preminente inte

resse pubblico); alla lett. D.d (traverse, dighe, sistemazioni idrau

liche dei corsi d'acqua, acquedotti), e alla lett. D.e (reti elettri

che, telefoniche, cabine e simili). Con il medesimo secondo motivo, l'associazione ricorrente

lamenta poi che, per ambiti rientranti tra gli ambiti di trasfor

mazione (art. 17 delle n.a.) e tra questi quelli aventi il minore

grado di trasformabilità (cioè gli ambiti contrassegnati con il

n. «2a») siano previsti come usi compatibili (art. 18) degli usi

parimenti incisivi, che in realtà snaturerebbero le caratteristiche

naturali, ambientali e paesaggistiche: tali, per effetto del rinvio

di cui all'art. 18, quelli di cui alla tabella allegata, e contrasse

gnati alla lett. ,4.1 (tra cui interventi connessi alla realizzazione

di opere pubbliche o di preminente interesse pubblico, quali:

opere stradali aeroportuali, ferroviarie; opere portuali e struttu

re funzionali al loro esercizio; opere publiche connesse al soddi

sfacimento del fabbisogno idrico regionale; opere di urbanizza

zione, di servizio pubblico o di preminente interesse pubblico), D.c (strade, ferrovie, impianti a rete), D.d (traverse, dighe, si

stemazioni idrauliche dei corsi d'acqua, acquedotti), D.e (reti

elettriche, telefoniche, cabine e simili), E.c (interventi diretti al la realizzazione di manufatti e impianti destinati alla lavorazio

ne e alla trasformazione dei prodotti agricoli, a scala azienda

le), E.e (rectius: E.d: nuove edificazioni, costruzioni attinenti

Il Foro Italiano — 1999.

l'esercizio dell'attività agricola e legate all'esercizio dell'attività di controllo e gestione della risorsa, ecc.), F.e (interventi atti a potenziare e migliorare l'attività produttiva, diretti anche alla realizzazione di impianti e manufatti destinati alla lavorazione e trasformazione dei prodotti, a scala aziendale), F.f (nuove edificazioni attinenti l'esercizio dell'attività zootecnica e residenze strettamente necessarie alla conduzione dell'azienda), G.a (esca vazione, lavorazione del materiale di cava, a norma delle vigen ti leggi in materia, con l'obbligo del successivo ripristino am bientale e lavorazione materiale), G.d (ricerche minerarie), H.d

(strutture ricettive quali alberghi, ostelli, residences e bungalows), H.f (strutture residenziali stagionali, cioè seconde case).

3. La censura appare fondata ed è, per il suo carattere fonda

mentale, assorbente rispetto alle altre. È anzitutto il caso di rilevare che la citata tabella degli usi

compatibili con i gradi di tutela paesistica, annessa al P.t.p.,

prescrive per i soli usi di cui alla lett. A (uso di area protetta) che «per tali opere è necessaria l'autorizzazione di cui all'art. 7 1. 1497/39». Per gli altri nulla dice, sicché — dato che fa

riferimento non agli ambiti vincolati, ma alle tipologie di opere — appare implicitamente escludere la necessità dell'autorizza

zione, pur negli ambiti vincolati, laddove l'uso sia qualificato, in base alle previsioni compiute dal piano, come compatibile. È il caso di rilevare che a ciò non può supplire il procedimento di studio e accertamento di compatibilità paesistico-ambientale, delineato dagli art. da 9 a 11 delle norme di attuazione, perché, a tacer d'altro (ad es. sulla natura non di discrezionalità tecnica dell'atto conclusivo), si tratta di procedimento ed atto non sot

toposto alle regole e ai controlli propri del procedimento di au

torizzazione paesistica (ivi incluso il potere ministeriale di an

nullamento ex art. 82, 9° comma, d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, come introdotto dall'art. 1, 5° comma, d.l. 27 giugno 1985 n.

312, convertito dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431, che vale anche

per la regione Sardegna: v. Corte cost. 18 ottobre 1996, n. 341, Foro it., Rep. 1996, voce Bellezze naturali, nn. 31-34).

Ciò posto, appare opportuno svolgere qui alcune considera

zioni di ordine generale inerenti contenuto e funzione dei piani

paesistici, e loro rapporto con i vincoli delle 1. 29 giugno 1939

n. 1497 e 8 agosto 1985 n. 431.

La giurisprudenza ha già approfondito diversi elementi dei

piani paesistici: è qui il caso, attraverso una ricognizione del

quadro delineato da questi approfondimenti, di procedere ad

individuare ulteriori elementi con quelli coerenti. Così, in parti colare, per quanto attiene a funzione e contenuto, e relativi li

miti intrinseci. Questi elementi essenziali del piano paesistico si definiscono an

zitutto in relazione ad altri istituti fondamentali che compongo no l'ordinamento settoriale paesaggistico-ambientale. Il piano pae

sistico, infatti, è un mezzo di tutela del paesaggio che, sia nel suo

momento genetico, che in quello funzionale, è connesso da un la

to con i vincoli paesistici, da un altro con l'autorizzazione pun tuale agli interventi, di cui all'art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497.

Ciò che se ne ricava è che, per effetto del sistema oggi defini

to dalla 1. 8 agosto 1985 n. 431, la relazione giuridica tra vinco

lo paesaggistico-ambientale (di cui alle 1. n. 1497 del 1939 e

n. 431 del 1985) e piano paesistico è sia, in senso diacronico

e procedimentale, di presupposizione (Corte cost. 13 luglio 1990, n. 327, id., 1991, I, 2010; 7 novembre 1994, n. 379, id., 1995,

I, 21; 28 luglio 1995, n. 417, id., 1996, I, 422; Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29, id., 1993, III, 332; 14 novem

bre 1992, n. 873, id., Rep. 1993, voce cit., n. 72; 30 marzo

1994, n. 450, id., Rep. 1994, voce cit., n. 68; 4 aprile 1997, n. 553, id., Rep. 1997, voce cit., n. 55; 20 gennaio 1998, n.

106), sia, in senso gerarchico e sostanziale, di sottordinazione

del piano al vincolo, e di sovraordinazione del piano stesso al

l'autorizzazione: e ciò vuoi per il piano paesistico, vuoi per le

aree assoggettate a detti vincoli e limitatamente a ciò che attiene

alla gestione dei vincoli stessi, per il piano urbanistico-territoriale

con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali.

Per modo che il piano occupa, in questo sistema, una posizione intermedia tra il vincolo e l'autorizzazione.

La giurisprudenza, costituzionale e amministrativa, ha infatti

sostanzialmente individuato nel piano paesistico uno strumento

di attuazione del vincolo, in quanto atto inteso a disciplinarne

l'operatività (Corte cost. 13 luglio 1990, n. 327, cit.) e a deter

minare la portata, i contenuti, i limiti e gli effetti del vincolo

già imposto, concretando un momento logicamente successivo

della sua regolazione (Corte cost. 28 luglio 1995, n. 417, cit.), volto ad ulteriormente disciplinare, nel senso del superamento

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PARTE TERZA

dell'inevitabile episodicità derivante da un regime meramente

autorizzatone), l'operatività del vincolo paesistico, che in ogni caso permane e non viene meno (Cons. Stato, sez. VI, 14 gen naio 1993, n. 29, cit.; 20 gennaio 1998, n. 106, cit.).

Questa relazione contenutistica di progressiva specificazione è

coessenziale alla stessa relazione di presupposizione, secondo la

quale non può adottarsi un piano paesistico se non per aree che

già sono state assoggettate a un vincolo paesaggistico-ambientale. Se questa necessità ha infatti un significato, per cui il vincolo è

un inderogabile antecedente logico e giuridico del piano paesisti

co, è non solo nel senso formale che è l'esistenza del vincolo a

legittimare l'esercizio successivo della potestà di pianificazione pae

sistica, ma anche nel senso sostanziale che — data la reciproca distinzione e il diverso iter procedimentale — l'atto presupponente

(cioè il piano) non può, nell'esplicarlo, derogarlo, ma deve man

tenere intatto il contenuto precettivo dell'atto presupposto (il vin

colo), può porsi rispetto ad esso solo in senso derivativo, come

ulteriore precisazione della proprietà coercitiva del vincolo (co stituita dall'imposizione della previa valutazione di compatibilità

paesaggistico-ambientale degli interventi).

Dunque il piano paesistico, nel dettare la specifica normativa

d'uso del territorio vincolato, non può mai derogare, per por zioni di quel territorio, o per categorie di opere, alla necessità

dell'autorizzazione, perché la valutazione di compatibilità che

presiede all'autorizzazione costituisce l'effetto legale tipico del

vincolo, ed escluderla significherebbe derogare al vincolo stesso

affrancandone ambiti o interventi: cosa questa che solo la legge statale può fare (cfr. art. 1, penultimo cpv., 1. n. 431 del 1985, che l'esclude per ciò che attiene agli interventi di manutenzione

ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro

conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto este

riore degli edifici, nonché per l'esercizio dell'attività agro-silvo

pastorale che non comporti alterazione permanente dello stato

dei luoghi per costruzioni edilizie od altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idro

geologico del territorio). Diversamente, il piano paesistico rea

lizzerebbe l'effetto pratico non già di uno strumento di attua

zione, e dunque di realizzazione della funzione conservativa del

vincolo, ma uno strumento di attenuazione, e dunque al limite

di negazione o quanto meno di elusione, degli effetti conserva

tivi propri del vincolo e del suo regime. Il contenuto precettivo proprio del vincolo consiste, come ri

cordato, nell'imposizione del previo giudizio di compatibilità

dell'opera che si intende realizzare con le esigenze di conserva

zione dell'ambito protetto e dunque con i valori ambientali e

paesaggistici specifici della zona (Cons. Stato, sez. VI, 11 giu

gno 1990, n. 600, id., 1991, III, 125), giudizio che si estrinseca

nella concessione o nel diniego dell'autorizzazione dell'art. 7

1. 29 giugno 1939 n. 1497. Questo contenuto precettivo, che

è proprio del vincolo, resta fermo: il piano paesistico non può rimuoverlo, ma solo, in via generale e preventiva, omogeneiz zarlo per zone e per categorie, e riguardo agli insiemi protetti, determinandone i limiti di utilizzazione e superando così la vi

sione particolare e fatalmente discontinua insita nella tutela me

ramente provvedimentale; e ciò deve avvenire, grazie alla visio

ne anticipata e d'insieme che è propria di un piano, mediante

una considerazione previa e obiettiva, integrale e globale del

paesaggio tutelato e della tollerabilità delle trasformazioni futu

re, distante dalla pressione condizionante del singolo progetto. Pertanto, nella definizione del suo contenuto concreto, per ciò

che attiene all'uso, cioè alla trasformazione del territorio, il pia no deve anzitutto — per una evidente ragione di economia dell'a

zione pubblica successiva — individuare, in negativo, gli interventi

che, per la loro inconciliabilità con il contesto, si pongono in po sizione di incompatibilità assoluta con i valori salvaguardati dal

vincolo: per questi il piano introduce un regime di immodificabi

lità per determinate zone, o per categorie di opere che sono repu tate comunque incompatibili con i valori protetti, e dunque non

sono realizzabili: per queste zone, o opere, il giudizio di incom

patibilità viene effettuato una volta per tutte, sì che poi non può esservi più nemmeno luogo all'autorizzazione. È questa la prima valutazione da compiere nell'estrinsecazione della discrezionalità

tecnica che presiede alla funzione conservativa del vincolo.

Invece, per le restanti zone, come per le restanti opere, dove — non essendovi ragione di introdurre questa presunzione di

incompatibilità — la compatibilità continua a dover essere valu

tata in concreto, rimane necessario — per l'effetto proprio del

vincolo — il giudizio tecnico-discrezionale rispetto alla conser

vazione dei valori espressi da quelle località, da compiersi con

Il Foro Italiano — 1999.

la singola autorizzazione ex art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497:

per queste zone e opere il piano può piuttosto, ai fini della

omogeneizzazione degli interventi e dell'esercizio del potere au

torizzatone, stabilire criteri e parametri generali di giudizio e

imporre o vietare tipologie di materiali, elementi architettonici, elementi sintattici e porre cautele in genere a salvaguardia del

settore protetto, sempre però — al pari delle incompatibilità assolute — allo scopo conservativo di «impedire che le aree di

quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bel

lezza panoramica» (art. 5 1. 29 giugno 1939 n. 1497). Eguali considerazioni valgono per la specifica normativa di valorizza

zione ambientale, orientata essenzialmente al futuro ripristino e recupero paesistico-ambientale di aree degradate, che pure il

piano paesistico deve, secondo l'art. 1 bis, contenere.

In ciò si sostanzia la funzione di articolazione e specificazione del vincolo, attribuita al piano paesistico dall'art. 1 bis 1. 8 ago sto 1985 n. 431. Questo contenuto si aggiunge e si integra con

quello già tipizzato all'art. 23 r.d. 3 giugno 1940, n. 1357, e cioè

l'individuazione de: «1) le zone di rispetto; 2) il rapporto fra aree

libere e aree fabbricabili in ciascuna delle diverse zone della loca

lità; 3) le norme per i diversi tipi di costruzione; 4) la distribuzio

ne e il vario allineamento dei fabbricati; 5) le istruzioni per la

scelta e la varia distribuzione della flora»; e altresì con la ricogni zione ed individuazione (peraltro eventuale, non essendo esclusi

va del piano paesistico: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre

1990, n. 951, id., 1992, III, 12) di quei beni per i quali la legge aveva fornito un'individuazione soltanto generale, priva di pun tuali e precisi riferimenti spaziali e territoriali, quali ad es. i bo

schi (Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 1994, n. 794, id., Rep. 1994, voce cit., n. 30). E a tutto si aggiunge, dato che alla pianificazio ne paesistica è subordinata quella urbanistica, il condizionare, pre valentemente in negativo, la successiva attività di pianificazione del territorio interessato, per modo che il piano paesistico finisce

per avere una funzione di strumento di base di regolamentazione

globale del territorio vincolato (cfr. Corte cost. 28 luglio 1995, n. 417, cit.), e di contenimento dello sviluppo urbanistico entro

le condizioni che assicurano la compatibilità con la conservazio

ne della bellezza tutelata.

Vero è poi che la relazione di presupposizione non è necessaria

per il piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione

dei valori paesistici ed ambientali (art. 1 bis, 1° comma, ultima

parte), per cui questo può essere posto anche in assenza di un

preesistente vincolo e dunque riguardare anche ambiti non vin

colati; ma alle medesime conclusioni, per ciò che attiene alle aree

assoggettate ai vincoli e per ciò che attiene alla gestione dei vin

coli stessi, si giunge in virtù dell'equiordinazione tra i due stru

menti, riguardo al contenuto essenziale di specifica normativa di

uso e di valorizzazione ambientale del territorio, posta dall'art.

I bis, e rispetto alla quale essi rispondono al medesimo scopo ed

alle medesime esigenze (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 1992, n. 873; 14 gennaio 1993, n. 29; 30 marzo 1994, n. 450, cit.).

Il piano paesistico si colloca dunque tra vincolo paesaggistico ambientale e autorizzazione, in una posizione verticalmente in

termedia, obbligatoria (perché ne è obbligatoria l'adozione: Corte

cost. 27 giugno 1986, n. 153, id., 1986, I, 2689) ma non neces saria (perché il vincolo spiega comunque i suoi effetti anche in assenza del piano paesistico ed indipendentemente da esso). II piano contribuisce a definire il contenuto precettivo del vin

colo e, come espressione dell'autoregolamentazione preventiva

generale di alcuni elementi della discrezionalità tecnica, orienta, essenzialmente in negativo, il giudizio di compatibilità che pre siede all'autorizzazione ex art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497; esso

non può disporre della coercitività del vincolo, ma solo deve

svilupparla in senso conservativo e specificarla (analogamente alla relazione che intercorre tra lo strumento urbanistico gene rale e quello attuativo) per ciò che attiene all'uso e alla valoriz

zazione del territorio protetto (cioè, per ciò che attiene al quo modo, non per ciò che attiene all 'an della tutela).

Questo contenuto prescrittivo essenziale del piano, tale da con

dizionare il successivo esercizio del potere autorizzatorio, ha una

importante implicazione garantistica, dando certezze e prevedi bilità agli amministrati, che sono posti in condizione di cono scere previamente l'orientamento dell'amministrazione, di para metrarsi su questa conoscenza e di economizzare nella progetta zione dei loro interventi. Così non sarebbe, è il caso di osservare, se il piano potesse, arrestandosi al momento conoscitivo, avere un contenuto meramente descrittivo dei contesti protetti, cioè

solo ricognitivo dell'esistente: ma non è questa la funzione vo luta dal legislatore, che, nel rendere ormai obbligatorio questo

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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA

strumento, ha inteso porre, per la completezza dell'azione pub blica a tutela dell'interesse paesistico, la necessità della funzione

di specificazione del contenuto precettivo del vincolo.

Deriva in sintesi da tutto ciò che il piano paesistico, essendo in posizione inferiore, ha nel vincolo il suo titolo e il suo limite e non può modificarlo o derogare ad esso, ma può (anzi, ex art. 1 bis, deve, per ciò che attiene alla normativa di uso e di

valorizzazione ambientale del territorio) solo specificare i conte nuti precettivi, ed il contrasto tra i due va risolto in favore

del vincolo. Un piano che difetti di tali caratteristiche e di tali

contenuti, o superi questi limiti intrinseci, viene infatti meno alla sua funzione ed è quanto meno illegittimo per difformità

rispetto al modello legislativo, quando non addirittura inesistente in quanto tale (cioè in quanto effettivo, e non solo nominale,

piano paesistico) per assenza di realizzazione dalla funzione pre scrittiva assegnatagli dalla legge come necessaria.

Orbene, rapportando tali considerazioni al caso qui in esame, ne viene che il motivo di impugnazione è fondato, perché, in so

stanza, il piano territoriale paesistico impugnato appare realizza

re non già uno strumento di attuazione e di specificazione del con tenuto precettivo del vincolo, bensì una deroga ad esso: e questo sia con riferimento all'eliminazione della previsione della necessi

tà dell'autorizzazione ex art. 7 1. 29 giugno 1939 n. 1497 per gli «usi compatibili» diversi da quelli sub «A-uso di area protetta», sia, in termini più sostanziali, con riferimento alla funzione di pro

gressione nella definizione del contenuto precettivo del piano. Non solo: le ampie categorie e tipologie di usi reputati come

compatibili con un contesto le cui caratteristiche di bellezza natu

rale debbono essere salvaguardate, sono in realtà di mole, impat to e rilevanza tale da comportare, sia nel loro insieme che una ad

una, con gli elevati livelli di trasformabilità del territorio che con

sentono, il denunciato snaturamento delle caratteristiche natura

li, ambientali e paesaggistiche che, invece, si afferma di volere tu

telare e conservare. In realtà, alcuni almeno degli usi in questio ne, soprattutto quelli compresi nelle classi AA, D.c, D.d, E.c, F.e,

F.f, G.a, H.d, H.f sembrano piuttosto in gran parte, da ritenere

assolutamente incompatibili per le zone più significative, quelle cioè degli ambiti di conservazione integrale, e per il resto di com

patibilità certamente da condizionare e limitare incisivamente quan to a tipologie di materiali e architettoniche, connessioni, quantità e ingombro e quant'altro necessario — da studiare, individuare

ed esternare come contenuto prescrittivo — per preservare effica

cemente i valori paesaggistici che si intendono tutelare.

A ben vedere, appare che la preoccupazione reale sia stata quella di contrastare, usando in modo improprio dell'occasione offerta

dalla pianificazione paesistica, gli effetti limitativi propri del vin

colo, garantendo comunque l'effettuazione di ponderosi interventi,

piuttosto che, al contrario, di definire i ristretti parametri di com

patibilità che consentano di mantenere, come risultato, inaltera

to il quadro complessivo dei valori paesistico-ambientali protetti. Il che è, dal punto di vista del contenuto, l'esatto rovesciamento

della funzione propria nel piano paesistico e realizza già, sotto que sto profilo, un evidente vizio funzionale dell'atto.

Ma vi è di più: in realtà, è la stessa metodologia dell'indivi

duazione di tipologie di interventi reputati come «compatibili», dei quali solo alcuni (quelli «A») previa autorizzazione, e altri

senz'altro, ad essere contrastante con la descritta corretta for

mazione del contenuto del piano: definire a priori un intervento

come compatibile significa o affermare che tutti gli altri inter

venti sono implicitamente vietati (il che non pare essere nelle

intenzioni), ovvero precostituire, dal punto di vista paesistico, le condizioni per l'affermazione della libertà dell'intervento (salva, nei limitati casi per cui è fatta restare, l'autorizzazione): il che

è il contrario esatto, in termini logici, della duplice operazione,

sopra descritta, di individuazione delle incompatibilità assolute, e dei criteri e parametri di valutazione delle incompatibilità re

lative. In realtà, ci si trova di fronte proprio al descritto, illegit timo scopo di deroga al vincolo, e dunque alla negazione della

funzione essenziale e tipica del piano paesistico, e ciò rende l'e

videnza — data anche l'ampiezza delle previsioni in questione — che con la pianificazione in oggetto si è inteso perseguire un fine effettivo di attenuazione, anziché puntualizzazione, del

l'effetto di vincolo: fine che è ben diverso da quello specifico

per cui il potere di pianificazione paesistica è dato.

Tutto ciò rende il contenuto del P.t.p. concretamente non

corrispondente con la funzione conservativa e specificativa del

vincolo attribuitagli dalla legge: sussiste pertanto in modo as

sorbente il denunciato vizio funzionale dell'eccesso di potere e

l'intero P.t.p. in esame va pertanto senz'altro annullato.

Il Foro Italiano — 1999.

CONSIGLIO DI STATO; sezione I; parere 9 aprile 1997, n.

372/97; Min. sanità.

Unione europea — Ce — Direttive comunitarie — Inadempi mento — Sentenza della Corte di giustizia — Effetti — Pro fessioni intellettuali — Odontoiatra — Normativa nazionale

confliggente — Inapplicabilità (Trattato Ce, art. 169, 171; di rettiva 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee del consiglio, concernen te il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di dentista e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera pre stazione di servizi, art. 19; direttiva 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee del consiglio, concernente il coordinamento delle

disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di dentista, art. 1; 1. 31 ottobre 1988 n. 471, norme

concernenti l'opzione, per i laureati in medicina e chirurgia, per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri, art. unico).

Unione europea — Ce — Normativa nazionale incompatibile con quella comunitaria — Atto amministrativo — Annulla mento in via di autotutela — Legittimità — Condizioni —

Professioni intellettuali — Odontoiatra — Albo — Iscrizione — Medici generici immatricolati al corso di laurea tra il 1980 e il 1985 — Cancellazione d'ufficio — Pubblico interesse —

Necessità (Direttiva 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee del consi

glio, art. 19; direttiva 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee del consi

glio, art. 1; 1. 31 ottobre 1988 n. 471).

Le sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee impongono alle autorità statali di non

applicare le disposizioni nazionali dichiarate incompatibili con la normativa comunitaria (nella specie, il principio è stato

enunciato dal Consiglio di Stato con riferimento alla sentenza 10 giugno 1995, causa C-40/93, con la quale la Corte di giu stizia ha statuito che prorogando, con la l. 31 ottobre 1988 n. 471, fino all'anno accademico 1984/85, nei confronti dei

laureati in medicina e chirurgia, il termine stabilito dall'art.

19 della direttiva del consiglio 25 luglio 1978 n. 78/686/Cee, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le in

combono ai sensi del detto articolo e dell'art. 1 della direttiva

del consiglio 25 luglio 1978 n. 78/687/Cee, concernente il coor

dinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e am

ministrative per le attività di dentista). (1)

(1) Corte giust. 1° giugno 1995, causa C-40/93, Foro it., 1995, IV, 328, aveva condannato l'Italia per aver consentito, con l'art, unico 1. 31 ottobre 1988 n. 471, l'esercizio della professione di odontoiatra ai laureati in medicina e chirurgia abilitati, non specialisti in odontoiatria, che si fossero immatricolati negli anni accademici compresi fra il 1980-81 ed il 1984-85, mentre alla stregua delle direttive 78/686 e 78/687 la data di inizio della formazione universitaria di medico, a tal fine, avrebbe

potuto essere fissata «al più tardi» al 28 gennaio 1980. Sulla scorta della decisione dei giudici di Lussemburgo, Cass., sez.

un., 11 novembre 1997, n. 11131, id., 1998, I, 57, conformandosi al consolidato insegnamento della Corte costituzionale in tema di risolu zione dei conflitti fra norme comunitarie direttamente applicabili e di

sposizioni interne, ha ritenuto inapplicabile nella fattispecie controversa la 1. 471/88, e, conseguentemente, pur sussistendo le condizioni da que sta richieste, ha escluso il diritto del ricorrente ad essere iscritto nell'al bo degli odontoiatri.

Come ricordato nella nota di richiami a sez. un. 11131/97, cit., alla medesima conclusione attinta dal Supremo collegio, con riferimento ad una fattispecie analoga, era già pervenuto, in un certo senso anticipan do la pronuncia di condanna della Corte di giustizia, Trib. Roma 22

luglio 1994, id., 1995, I, 372. Relativamente all'obbligo, gravante sullo Stato riconosciuto inadem

piente ai sensi dell'art. 171 del trattato, di prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia importa (obbligo la cui inosservanza, alla stregua del testo dell'art. 171 così come novel lato dal trattato di Maastricht, comporta l'irrogazione di sanzioni pecu niarie: sul punto, per un primo commento, Mori, Le sanzioni previste dall'art. 171 del trattato Ce: i primi criteri applicativi, in Dir. Unione

europea, 1996, 1015), la giurisprudenza comunitaria è ferma nell'esige re che alla pronuncia sia data esecuzione in tempi il più possibile ristret ti (ex multis, Corte giust. 7 marzo 1996, causa C-334/94, Foro it., Rep. 1997, voce Unione europea, n. 632, e, in extenso, Riv. dir. internaz.

privato e proc., 1997, 195) ed attraverso l'adozione di disposizioni in terne vincolanti aventi lo stesso valore giuridico di quelle da modificare

(così, di recente, Corte giust. 4 dicembre 1997, causa C-207/96, e 13 marzo 1997, causa C-197/96, Foro it., 1998, IV, 50). La medesima

giurisprudenza, inoltre, non ha mancato di ribadire (così, tra le altre, Corte giust. 19 gennaio 1993, causa C-101/91, id., Rep. 1993, voce

cit., n. 348) che la declaratoria dell'inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli obblighi comunitari ad esso imposti, implica sia

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