sezione II penale; sentenza 6 aprile 1999; Pres. Zingale, Est. Esposito, P.M. Galgano (concl. diff.);ric. Cuzzocrea. Annulla App. Messina, ord. 23 settembre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 9 (SETTEMBRE 1999), pp. 507/508-511/512Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193660 .
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PARTE SECONDA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II penale; sentenza 6 aprile 1999; Pres. Zingale, Est. Esposito, P.M. Galgano (conci,
diff.); ric. Cuzzocrea. Annulla App. Messina, ord. 23 settem
bre 1998.
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Ricusa
zione — Interesse nel procedimento — Estremi — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 36, 37).
Poiché l'interesse nel procedimento, cui fa riferimento l'art. 36, 1° comma, lett. a), c.p.p., richiamato dal successivo art. 37, 1 ° comma, lett. a), è da ravvisare nella possibilità per il giu dice di rivolgere a proprio vantaggio, economico o morale, l'attività giurisdizionale che è chiamato a svolgere nel proces so, deve ritenersi che un interesse di siffatta natura è configu rabile in capo al giudice che, sottoposto a procedimento di
sciplinare per comportamenti attinenti ad attività e provvedi menti giurisdizionali in precedenza adottati nell'ambito di un
procedimento penale, sia poi nuovamente chiamato a pronun ciarsi nello stesso procedimento penale in relazione ai medesi mi fatti. (1)
In data 13 marzo 1998 il p.g. presso la Corte d'appello di
Messina richiedeva al g.i.p. del tribunale di quella città il rinvio a giudizio di Cuzzocrea Dino imputato, in concorso con altri, dei reati di cui agli art. 110, 319, 322, 353, 355 e 640, cpv., c.p., nell'ambito di un procedimento penale avente ad oggetto illeciti nella gestione della farmacia del policlinico universitario di Messina.
In data 19 settembre 1998 il Cuzzocrea presentava — ai sensi del combinato disposto degli art. 36, 1° comma, lett. a), e 37, 1° comma, lett. a), c.p.p. — dichiarazione di ricusazione nei confronti del G.u.p., dott. Ada Vitanza portando a conoscenza della corte d'appello che, da notizie apparse sulla stampa, il ministro di grazia e giustizia, a seguito d'inchiesta ispettiva con dotta su uffici giudiziari di Messina, aveva richiesto al p.g. presso la Corte di cassazione di iniziare procedimento disciplinare nei confronti di numerosi magistrati messinesi, tra i quali la dott.
Vitanza, in relazione a comportamenti dagli stessi tenuti nella
gestione del suddetto procedimento penale a carico di esso Cuz zocrea e altri.
All'istanza di ricusazione, il ricorrente allegava, non solo la documentazione giornalistica riportante la suindicata notizia, ma anche la relazione della commissione parlamentare antimafia, prodotta dal p.g. all'udienza preliminare del 18 settembre 1998, contenente, a dire del ricusante, «durissime e nette censure ri
spetto ai comportamenti tenuti dalla dott. Vitanza sulla qualità di g.i.p. nell'ambito del medesimo procedimento», e, precisa mente, in ordine ai tempi ed alle modalità del decreto di archi
ci) Non constano precedenti specifici. Come risulta dalla sentenza in epigrafe, un riferimento al procedi
mento disciplinare, ma nel contesto di una fattispecie tutt'affatto diver sa, è contenuto anche in Cass. 11 giugno 1996, Lignola, Foro it., Rep. 1997, voce Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice, n. 149, per la quale in tema di ricusazione, l'interesse che il giudice ricusato nutre, quale persona, all'esercizio del diritto di difesa in un eventuale procedimento disciplinare, non è in conflitto con il suo dovere d'impar zialità nell'esercizio della sua funzione nel processo, ma anzi ne presup pone l'osservanza, che implica anche la sua estraneità al procedimento incidentale di ricusazione, il cui svolgimento può impedire con l'adem pimento dell'obbligo di astensione.
Nel senso che l'interesse di cui all'art. 36, 1° comma, lett. a), c.p.p., richiamato dal successivo art. 37, 1° comma, lett. a), è da ravvisare in qualsivoglia vantaggio, economico o morale, che il giudice possa trarre dall'attività giurisdizionale che è chiamato a svolgere nel processo, v. Cass. 11 maggio 1998, Cuccurullo, Ced Cass., rv. 211132; 14 novembre 1997, Strazzullo, id., rv. 210839.
In dottrina, v. Barone, in Commentario del nuovo codice di proce dura penale diretto da E. Amodio e O. Dominioni, Milano, 1989, I, 233 s.; La China, Giudice (astensione e ricusazione), voce del Digesto civ., Torino, 1993, IX, 26; Mazza, Garanzie d'indipendenza e d'impar zialità degli organi giurisdizionali, in Protagonisti e comprimari del pro cesso penale - Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, Torino, 1995, 35 s.; Rafaraci, in Commento al nuovo codice di proce dura penale coordinato da M. Chiavario, Torino, 1989, I, 207; Tre visson Lupacchini, La ricusazione del giudice nel processo penale, Mi lano, 1996; Zappalà, La ricusazione del giudice penale, Milano, 1989.
Il Foro Italiano — 1999.
viazione emesso in data 22 ottobre 1996 dalla stessa dott. Vi
tanza avente ad oggetto, sostanzialmente, i medesimi fatti per i quali era chiamata a giudicare all'udienza preliminare del 18
settembre 1998.
Riportava, in proposito, il ricusante taluni passi della relazio ne in cui la commissione antimafia aveva stigmatizzato il com
portamento della dott. Vitanza, e precisamente: a) «con sor
prendente rapidità (dati i tempi della nostra giustizia), in data 22 ottobre 1996, ad appena undici giorni dalla richiesta del p.m., il g.i.p. dott. Ada Vitanza, trovava il tempo di esaminare deci ne di faldoni di atti ed emettere il decreto di archiviazione (an che, per il reato di falso ritenuto esplicitamente sussistente nella
richiesta di archiviazione), motivato in appena dodici righe, con
pieno accoglimento delle argomentazioni del p.m.» (pag. 15);
b) «argomentava, dunque, il g.i.p. che la richiesta di archivia zione avanzata dal p.m. si doveva presumere aderente in fatto al dato processuale e che ogni suo controllo sarebbe stato al
quanto inutile poiché il processo, sempre a seguito di tale ri
chiesta, sarebbe sicuramente naufragato in dibattimento: ma,
allora, c'è da chiedersi a cosa dovrebbero servire nel nostro si stema processuale il vaglio del g.i.p. e del dibattimento!» (pag. 22).
Ed invero, come risulta sempre dalla relazione in questione, la commissione antimafia rilevava che il g.i.p., dott. Vitanza «in data 15 settembre 1997 rigettava la richiesta (di proroga del p.m.) con un decreto nel quale manifestava anche un certo
disappunto sia per la richiesta in sé, con la quale le si chiedeva di prorogare dopo quattro anni le indagini già ampiamente sca
dute, che per la precedente archiviazione (excusatio non perita)». «Si legge, infatti, nell'ordinanza di rigetto che il p.m. non
avrebbe potuto chiedere la proroga in quanto: a) si trattava del medesimo fatto diversamente qualificato; b) in relazione ai reati oggetto dell'archiviazione doveva pri
ma chiedere la riapertura delle indagini come suggeritogli dal
p.g.»; «... A proposito del decreto di archiviazione emesso da questo
g.i.p., va puntualizzato che, pur convinti dell'obbligo del g.i.p. di esaminare tutti gli atti — ancorché sia difficile orientarsi in una marea di carte e faldoni spesso affastellati in maniera cao tica e disordinata — di fatto, i limitati poteri del g.i.p., il quale non può svolgere di propria iniziativa attività istruttoria, rendo no in concreto svuotato di ogni significato il potere di controllo del g.i.p.».
«Infatti, di fronte ad una richiesta di archiviazione, specie se per fatti assai complessi, il g.i.p. non può che prendere atto della motivazione del p.m. — che si presume aderente in fatto al dato processuale — e dell'affermazione dello stesso, secondo cui gli atti non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio, essendo prevedibile che una richiesta di archiviazione da parte del p.m., ogano dell'accusa e dominus del dibattimento, finirà inevitabilmente con il compromettere gli ulteriori sviluppi del
processo». Per mera completezza espositiva, va rilevato che — dopo che
la dott. Vitanza aveva disposto l'archiviazione degli atti in ordi ne a numerosi reati (art. 318, 333, 323, 485 c.p.) — il p.m., a sua volta, aveva trasmesso il fascicolo processuale, per com
petenza, relativamente a vari episodi di truffa, alla procura del la repubblica presso la Pretura circondariale di Messina che ave
va, però, elevato conflitto di competenza, risolto dalla procura generale di Messina la quale, dopo aver ravvisato nei fatti an che reati di competenza superiore, aveva, nella inerzia del p.m., evocato gli atti richiedendo, quindi, il rinvio a giudizio degli imputati — ivi compreso il Cuzzocrea — in ordine ai reati di cui agli art. 110, 319, 322, 323, 353, 355, 479 e 640, cpv., c.p., per complessivi settantotto capi di imputazione e per i quali era stata, appunto, fissata l'udienza preliminare innanzi alla dott. Vitanza in data 18 settembre 1998.
Ciò esposto, riteneva il ricusante che «gli accadimenti sopra ricordati determinavano certamente un interesse del g.i.p. nel
procedimento poiché la nozione di interesse di cui all'art. 36, 1° comma, lett. a), c.p.p. — richiamato dal successivo art. 37, 1° comma, lett. a) — includeva sicuramente i casi in cui anche
per un coinvolgimento soltanto morale, poteva sorgere pregiu dizio per l'imparzialità del giudice. Era indubbio, infatti, sulla circostanza che la dott. Vitanza era attualmente fortemente con
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GIURISPRUDENZA PENALE
dizionata da censure mosse al suo operato con conseguente tra
smissione di atti al procuratore generale della Cassazione per il promovimento dell'azione disciplinare. In una situazione sif
fatta, qualunque attività di giudizio, poteva apparire interessa
ta: per dimostrare che non vi erano state passate leggerezze e
superficialità ma anche per ribadire risoluzioni già adottate al
solo scopo di confermare ponderatezza ed equanimità deci
sionale».
La Corte d'appello di Messina, con ordinanza del 23 settem
bre 1998, dichiarava inammissibile la dichiarazione di ricusazio
ne proposta dal Cuzzocrea che condannava al pagamento della
somma di lire tre milioni a favore della cassa delle ammende.
Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Cuzzocrea de
ducendo, innanzitutto, ai. sensi dell'art. 606, 1° comma, lett.
b), c.p.p., la violazione dell'art. 37, 1° comma, lett. a), in rela
zione all'art. 36, 1° comma, lett. a), c.p.p.
Ribadisce, in proposito, il ricorrente che «gli accadimenti so
pra ricordati (l'avvio di un procedimento disciplinare a seguito delle durissime censure espresse dalla commissione antimafia
aventi ad oggetto la precedente gestione del procedimento da
parte del medesimo giudice) determinavano, contrariamente al
l'apodittico assunto dell'ordinanza impugnata, un 'interesse' del
g.u.p. nel procedimento, atteso che la nozione di interesse di
cui all'art. 36, 1° comma, lett. a), c.p.p. — richiamato dal suc
cessivo art. 37, 1° comma, lett. a) — era sicuramente riconduci
bile ai casi in cui, anche per un coinvolgimento soltanto di ordi
ne 'morale', poteva insorgere pregiudizio per l'imparzialità del
giudice». Lamentava il ricorrente che «l'interesse denunciato in sede
di richiesta di ricusazione non era stato valutato dalla corte d'ap
pello nella sua sostanza ma escluso sulla scorta del riferimento
ad una massima giurisprudenziale che sembrava attinente alla
fattispecie da deliberare soltanto perché estrapolata dal conte
sto della decisione in esame». In sostanza, «la corte aveva omesso
di valutare la portata della questione sottoposta alla sua delibe
razione e l'importanza dell'evidente 'interesse' non solo di ordi
ne morale volto all'eliminazione di sospetti in relazione al pro
prio operato ma anche concreto, posto che dalle censure e dal
sospetto era sorto un procedimento disciplinare con tutte le im
plicazioni, anche di carattere sanzionatorio, da esso scaturenti».
Deduce, ancora, il ricorrente, ai sensi dell'art. 606, 1° com
ma, lett. c), c.p.p., il vizio di motivazione risultante dal testo
del provvedimento. Mancanza - manifesta illogicità della moti
vazione.
«La motivazione del provvedimento impugnato consisteva nel
pedissequo richiamo di due massime giurisprudenziali, peraltro
non attinenti alla fattispecie deliberata.
Si trattava di una non motivazione caratterizzata dall'assolu
ta assenza dei passaggi necessari e delle argomentazioni indi
spensabili al fine di rendere comprensibile l'intero iter logico
seguito dal giudice per giungere alla conclusione adottata.
La decisione, peraltro, lungi dal contenere un solo riferimen
to alle deduzioni difensive, conteneva la trascrizione di massime
giurisprudenziali tratte da decisioni assunte dal Supremo colle
gio nell'ambito di fattispecie assolutamente diverse da quella
che ne occupa». Tanto esposto chiede il ricorrente l'annullamento senza rin
vio dell'impugnato provvedimento. Il ricorso è fondato.
Nella dichiarazione di ricusazione l'istante aveva esplicitamente
evidenziato — e lo ha ribadito nel ricorso per cassazione —
che «gli accadimenti sopra ricordati (l'avvio di un procedimen
to disciplinare a seguito delle durissime censure espresse dalla
commissione antimafia aventi ad oggetto la precedente gestione
del procedimento da parte del medesimo giudice) determinava
no un 'interesse' del g.u.p. nel procedimento, atteso che la no
zione di interesse di cui all'art. 36, 1° comma, lett. a), c.p.p. — richiamato dal successivo art. 37, 1° comma, lett. a) — era
sicuramente riconducibile ai casi in cui anche per un coinvolgi
mento soltanto di ordine 'morale' può insorgere pregiudizio per
l'imparzialità del giudice». «Appariva fuori di ogni ragionevole dubbio che la dott. Vi
tanza, sottoposta a procedimento disciplinare a cagione dell'as
serita irregolare gestione del medesimo procedimento, era forte
II Foro Italiano — 1999.
mente condizionata nella sua azione di giudizio poiché qualun
que atto sarebbe apparso 'interessato' e volto ad escludere pre cedenti leggerezze e superficialità ovvero a ribadire risoluzioni
già adottate al solo scopo di confermare ponderatezza ed equa nimità decisionale».
Aveva, in tal modo, il ricusante posto un problema, di non
poco rilievo, giuridicamente configurabile, che doveva essere af
frontato e risolto, in concreto, dalla corte d'appello che — pur avendo dato atto, in conformità dei principi affermati da que sta corte di legittimità, che l'interesse cui fa riferimento l'art.
36, 1° comma, lett. a) c.p.p., è quello per il quale il giudice ha la possibilità di rivolgere attività giurisdizionale a proprio
vantaggio anche se esso è di natura morale — si è limitata, in motivazione, a trascrivere massime di questa corte regolatrice
(enunciate, peraltro, nell'esaminare fattispecie del tutto diverse) senza svolgere alcun accertamento atto a verificare, se, di fatto,
quell'assunto interesse di ordine morale — astrattamente ido
neo a realizzare la previsione di cui all'art. 36 — fosse concreta
mente ravvisabile.
Riteneva, invero, la corte di merito che non ricorreva, nella
specie, la denunziata ipotesi di ricusazione prevista dall'art. 36, 1° comma, lett. a), del codice di rito, e, richiamandosi a due
decisioni di questa Suprema corte di legittimità, così motivava: — «che 1"interesse del procedimento', cui fa riferimento l'art.
36, 1° comma, lett. a), c.p.p., è quello per il quale il giudice ha la possibilità di rivolgere a proprio vantaggio economico o
morale l'attività giurisdizionale che è stato chiamato a svolgere nel processo oppure quello che si è venuto a creare sulla base
di rapporti personali svoltisi al di fuori del processo, mentre
tale nozione è esclusa qualora il giudice abbia legittimamente svolto precedenti funzioni giurisdizionali non interferenti con
i suoi personali interessi (cfr. Cass. 14 novembre 1997, Straz
zullo, Foro it., Rep. 1998, voce Astensione, ricusazione e re
sponsabilità del giudice, n. 120)»; — «che, specificamente, l'interesse che il giudice destinatario
di dichiarazione di ricusazione nutre, quale persona, all'eserci
zio del diritto di difesa in un eventuale procedimento disciplina
re, non è in conflitto con il suo dovere d'imparzialità nell'eser
cizio della sua funzione nel processo, ma anzi ne presuppone
l'osservanza (cfr. Cass. 11 giugno 1996, Lignola, id., Rep. 1997,
voce cit., n. 149); — «che, pertanto, deve ritenersi la manifesta infondatezza
dell'istanza».
È facile, quindi, rilevare come la corte di merito abbia esauri
to la sua motivazione con il limitarsi a richiamare astrattamente
due massime di questa corte regolatrice, le quali, peraltro, non
riguardavano la concreta fattispecie in questione essendo stata
la prima estrapolata da una decisione avente ad oggetto la ricu
sazione del giudice il quale, chiamato a giudicare di un appello
cautelare, aveva in precedenza partecipato al giudizio di riesa
me vertente sulla medesima misura, e la seconda estrapolata
da una decisione che escludeva la legittimazione del giudice ri
cusato a intervenire nel procedimento incidentale di ricusazione
(ivi compresa la fase del gravame avverso il provvedimento che
accoglieva la ricusazione) non essendo egli portatore di esigenze
personali da far valere in quella sede e non venendo, in tal
modo, limitato il suo diritto di difesa nel futuro (eventuale)
procedimento disciplinare. Del resto, il principio enunciato nella prima massima riporta
ta dalla corte di merito era proprio quello di cui la corte stessa
avrebbe dovuto verificarne la concreta ricorrenza avendo il ri
corrente posto, come si è già osservato, il problema che l'inte
resse previsto dall'art. 36 c.p.p., ben poteva essere anche di
natura morale e che di un interesse di tale natura poteva, nella
concreta fattispecie, essere portatore il giudice ricusato.
Ciò posto, ritiene questa corte regolatrice che deve essere ri
badito il principio, già più volte affermato, che «l'interesse nel
procedimento previsto dall'art. 36, 1° comma, lett. a), c.p.p.,
consiste nella possibilità per il giudice di rivolgere a proprio
vantaggio l'attività giurisdizionale che è chiamato a svolgere nel
processo, vantaggio che non deve essere necessariamente econo
mico ma che ben può essere anche solo di ordine morale» (Cass.
14 novembre 1997, Strazzullo, cit.; 11 maggio 1998, Cuccurul
lo, id., Rep. 1998, voce cit., n. 121).
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PARTE SECONDA
Conseguentemente, deve affermarsi che un interesse di siffat
ta natura è senz'altro ravvisabile in capo al giudice che — sot
toposto a procedimento disciplinare per comportamenti attinen
ti ad attività e provvedimenti giurisdizionali in precedenza adot
tati nell'ambito di un procedimento penale — sia, poi, nuova
mente chiamato a pronunziarsi nello stesso procedimento pena le in relazione ai medesimi fatti. Non vi è dubbio, infatti, che
egli sia, in tal caso, condizionato dalla pendenza del procedi mento disciplinare instaurato in conseguenza della sua prece dente decisione essendo egli, inevitabilmente, portato a porsi il problema della possibile incidenza sul procedimento discipli nare della nuova decisione.
Invero, il g.u.p., che già abbia emanato un provvedimento
(nella specie: decreto di archiviazione), in ordine al quale sia
scaturito e sia pendente a carico dello stesso giudice un procedi mento disciplinare, diventa — ove, per il successivo evolversi
dell 'iter processuale, sia nuovamente chiamato a pronunziarsi sui medesimi fatti — portatore di un «interesse alla decisione»
da poter far valere nel procedimento disciplinare nel quale il
nuovo provvedimento può produrre effetti ai fini della valuta
zione del precedente comportamento processuale. In tale situa
zione di diretto coinvolgimento egli non è, e non può essere — come deve, invece, essere — rigorosamente «neutro» (privo,
cioè, di qualsivoglia interesse) rispetto alla decisione da adotta
re con conseguente vulnerazione del principio di garanzia del
l'imparzialità e terzietà del giudice alla cui tutela e osservanza
presiedono le norme sull'astensione e ricusazione del giudice. Così correttamente inquadrato il problema giuridico solleva
to dal ricorrente, è evidente che la corte territoriale non ha for
nito alcuna adeguata risposta al quesito sottopostole dal ricu
sante, incorrendo così nel vizio di omessa motivazione.
Avrebbe dovuto la corte di merito — e dovrà farlo il giudice del rinvio — accertare se un siffatto interesse, giuridicamente
rilevante, fosse concretamente ravvisabile in relazione al «pub blicizzato» procedimento disciplinare in ordine al quale andava
no acclarati sia l'effettiva sussistenza e attualità della pendenza
(a carico del g.i.p. ricusato) sia i termini e il contenuto dell'in
colpazione con particolare e rigoroso accertamento dell'attinen
za e dipendenza di essa con la pregressa attività giurisdizionale svolta dal giudicante in ordine agli stessi fatti oggetto di quel medesimo procedimento nel quale si è poi innestata la presente dichiarazione di ricusazione, in maniera da pervenire, non a
generiche e apodittiche affermazioni di principio, ma a stabili
re, in concreto, se il giudice ricusato, sulla base dell'esito degli accertamenti prima indicati, sia effettivamente portatore di un
interesse giuridicamente rilevante tale da coinvolgerlo nella vi
cenda processuale in modo da rendere l'attività giurisdizionale che egli è chiamato a svolgere obiettivamente suscettibile di pro
curargli un vantaggio sia pure non economico ma soltanto di
ordine morale (quale è sicuramente quello che possa riflettersi su di un procedimento disciplinare).
L'impugnata ordinanza deve, quindi, essere annullata con rin
vio alla Corte d'appello di Messina per nuovo esame.
Il Foro Italiano — 1999.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 12
marzo 1999; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Sciuto, P.M.
(conci, diff.); Min. tesoro in c. Sciamanna e altro. Conferma
App. Roma, ord. 22 gennaio 1998.
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Presentazione della domanda — Difen
sore con procura — Ammissibilità (Cod. proc. pen., art. 315,
645).
In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, occorre distin
guere tra proposizione della domanda (che il soggetto legitti mato può porre in essere, a pena d'inammissibilità, solo per sonalmente o a mezzo di procuratore speciale) e sua presenta
zione; quest'ultima, a differenza della prima, è attività mate
riale cui ben può ritualmente provvedere, oltre che l'interessato
medesimo, anche il difensore di questi, in forza della sempli ce procura ad litem conferitagli dal proprio assistito. (1)
Svolgimento del processo. — Il ministero del tesoro ha pro
posto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza 22 gennaio 1998
della Corte d'appello di Roma, che ha accolto la domanda di
riparazione per ingiusta detenzione proposta congiuntamente da
Nazzareno Sciamanna e Sante Formichetti.
Il ricorrente denuncia l'inosservanza e la violazione degli art.
315, 1° e 3° comma, e 645, 1° comma, c.p.p., per non avere
la corte d'appello esaminato la questione, pur rilevabile d'uffi
cio, concernente l'ammissibilità della domanda, depositata in
cancelleria non dagli interessati personalmente né da un loro
procuratore speciale nominato nelle forme di cui all'art. 122
c.p.p., bensì dal difensore nominato per mandato in calce al
l'atto introduttivo.
Con memoria difensiva i richiedenti hanno contestato le ar
gomentazioni addotte a sostegno del ricorso, rilevando prelimi narmente l'inammissibilità di questo per mancanza di mandato
alle liti dell'avvocatura erariale.
La quarta sezione penale, alla quale il ricorso era stato asse
gnato, ha rilevato il perdurare del contrasto giurisprudenziale
(pur dopo la sentenza delle sezioni unite del 26 novembre 1997,
Gallaro, Foro it., Rep. 1998, voce Errore giudiziario, nn. 8,
(1) La pronuncia, che si innesta nel poliedrico e tormentato capitolo della disciplina del procedimento per la riparazione dell'ingiusta deten
zione, dirime un contrasto — dai cospicui risvolti di ordine pratico —
profilatosi nell'ambito della stessa giurisprudenza delle sezioni unite:
Cass., sez. un., 14 dicembre 1994, Scacchia (Foro it., 1995, II, 145, con nota di richiami), nell'escludere che il difensore munito di generico mandato ad litem potesse validamente sottoscrivere la domanda ripara toria, aveva tuttavia ammesso la materiale presentazione della stessa, ritualmente sottoscritta dall'interessato o da procuratore speciale, da
parte del patrocinatore medesimo; la più recente Cass., sez. un., 26 novembre 1997, Gallaro (id., Rep. 1998, voce Errore giudiziario, nn.
8, 9), valorizzando un dato testuale traibile dall'art. 645, 1° comma, c.p.p. (applicabile, sotto clausola di compatibilità, al rito della ripara zione per ingiusta detenzione ex art. 315, 3° comma, c.p.p.), aveva di contro fatto proprio un (assai) più restrittivo indirizzo, ritenendo che anche alla materiale presentazione dell'istanza l'extraneus (fosse an che il difensore dell'istante) potesse validamente provvedere solo se mu nito di procura speciale. La pronuncia in epigrafe (su cui cfr., per primi rilievi, Amato, Quando la sostanza prevale sui formalismi: così la Cas sazione supera il contrasto, in Guida al dir., 1999, fase. 27, 83 s.), nel ribadire la correttezza del primo indirizzo interpretativo, ha stigma tizzato l'eccessivo formalismo — che finisce, invero, per apparire con tra tenorem rationis — ispiratore del più recente approccio: se l'impian to tende, invero, a garantire la personalità della domanda riparatoria, tale esigenza appare di per sé soddisfatta dalle formalità previste ai fini della proposizione dell'atto; quanto alla presentazione dello stesso, sostanziandosi essa nel compimento di un'attività di tipo materiale, ben
può provvedervi — ribadiscono adesso le sezioni unite — il difensore dell'interessato (pur se privo di procura speciale), che in tal senso costi tuisce affidabile (e bastevole) trait d'union tra l'istante e il giudice della
riparazione; una diversa lettura del sistema finirebbe, invero, per im
porre talora oneri esorbitanti al soggetto interessato, ponendosi perciò in contrasto con le logiche di fondo — improntate ad un essenziale favor legis: cfr., in tal senso, Corte cost. 30 dicembre 1997, n. 446, Foro it., 1998, I, 325, con nota di richiami, citata in motivazione —
che sorreggono l'accesso al meccanismo riparatorio.
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