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Sezione III civile; ordinanza 14 marzo 1984, n. 155; Pres. Bile, Rel. Quaglione, P. M. Iannelli...

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Sezione III civile; ordinanza 14 marzo 1984, n. 155; Pres. Bile, Rel. Quaglione, P. M. Iannelli (concl. diff.); Capelloni e Aquilini (Avv. E. Romagnoli, Gorlani) c. Pelkmans (Avv. Pinna) Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1984), pp. 1855/1856-1859/1860 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23177213 . Accessed: 28/06/2014 10:53 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.129 on Sat, 28 Jun 2014 10:53:06 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione III civile; ordinanza 14 marzo 1984, n. 155; Pres. Bile, Rel. Quaglione, P. M. Iannelli(concl. diff.); Capelloni e Aquilini (Avv. E. Romagnoli, Gorlani) c. Pelkmans (Avv. Pinna)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1984), pp. 1855/1856-1859/1860Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177213 .

Accessed: 28/06/2014 10:53

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1855 PARTE PRIMA 1856

escluse dal beneficio le « aziende », che pur operando in mare

siano collegate al territorio favorito dallo sgravio, attraverso elementi che realizzano gli scopi della legge.

Il problema riguarda la sicurezza e la intensità del collegamen to.

£ il caso della « impresa armatoriale » che, avendo la sede e/o alcuni altri elementi aziendali a terra nel Meridione d'Italia, si

alimenta con l'impiego della nave armata, che costituisce della

stessa azienda altro elemento non localizzabile, ai fini della

questione de qua, là ove, per accertato, sicuro e persistente vincolo sostanziale, la nave faccia normale scalo in un porto del Meridione anche per il reclutamento dei marittimi iscritti in

quel compartimento, per gli approvvigionamenti e le riparazioni. Ora se ciò è vero in tale ipotesi minima, sul presupposto che

anche il mero trasporto è attività industriale nella soggetta materia, lo è a maggior ragione ove per la natura dell'impresa armatoriale (pesca in alto mare, posa di cavi, recuperi (marittimi, eoe.) e per la corrispondente attrezzatura della «ave, la localizza zione della complessa attività aziendale risulti ancorata ad un determinato scalo nel Meridione, come nella specie, coincidente con il centro di riferimento normale e necessario dell'attività stessa.

Nella specie i giudici di merito, esattamente qualificata come « industriale » l'attività pescherecdiia svolta dalla ditta De Giosa, ne hanno con giusto criterio logico e giuridico individuato la « localizzazione » nel Sud d'Italia, sulla base sia di criteri formali — quali: la sede legale dell'impresa e la iscrizione delle navi nel

compartimento marittimo di Bari — sia di elementi sostanziali,

quali: il completamento del ciclo produttivo dell'azienda in detta

località, sulla terraferma, nonché l'impiego di mano d'opera locale

(così in -mare come in terra). Ricorrevano pertanto le condizioni

previste dalla legge per il beneficio degli sgravi contributivi. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; ordinanza 14

marzo 1984, n. 155; Pres. Bile, Rei. Quaglione, P. M. Ian

nelli (conci, diff.); Capelloni e Aquilini (Avv. E. Romagnoli,

Gorlani) c. Pelkmans (Aw. Pinna).

Delibazione — Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 —

Pendenza del termine di opposizione all'esecuzione — Provve

dimenti conservativi — Attuazione — Disciplina — Rimessio

ne alla Corte di giustizia delle Comunità europee (L. 21 giugno 1971 n. 804, ratifica ed esecuzione della convenzione concer

nente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle sen

tenze in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a

Bruxelles il 27 settembre 1968: convenzione, art. 39; 1. 19

maggio 1975 n. 180, ratifica ed esecuzione dei protocolli adot

tati a Lussemburgo il 3 giugno 1971, attributivi di competenza alla Corte di giustizia CE per l'interpretazione della conven

zione del 29 febbraio 1968 sul reciproco riconoscimento delle

società e delle persone giuridiche e della convenzione del 27

settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e sull'esecuzio

ne delle decisioni in materia civile e commerciale: protocollo

relativo alla convenzione 27 settembre 1968, art. 3).

A norma dell'art. 3 del protocollo di Lussemburgo del 3 giugno 1971 va domandato alla Corte di giustizia delle Comunità

europee di pronunciarsi sui seguenti quesiti attinenti all'inter

pretazione dell'art. 39 della convenzione di Bruxelles del 27

settembre 1968: 1) se le misure conservative sui beni del

debitore, cui si può procedere nel caso di opposizione di

questi al provvedimento che concede la formula esecutiva alle

decisioni pronunciate in altro Stato aderente alla Comunità

economica europea, siano soggette alle norme processuali di

diritto interno quanto alle modalità di attuazione, alle condi

zioni di validità e all'efficacia del vincolo cautelare ovvero se

gli Stati aderenti alla convenzione di Bruxelles abbiano inteso

adottare uno strumento giuridico unico, uniforme in tutti gli Stati contraenti, rivolto ad assicurare medio tempore l'indispo nibilità dei beni da parte dell'obbligato, finalità che si soddisfa

con l'inizio dell'esecuzione forzata dopo l'esito negativo del

l'opposizione proposta ai sensi dell'art. 37 della convenzione di

Bruxelles, senza necessità, in particolare, di un giudizio di conva

lida del provvedimento conservativo; 2) se, malgrado sia stata

già dichiarata esecutiva in uno Stato contraente la sentenza emes

sa in altro Stato, sia necessario un provvedimento autorizzativo

della stessa autorità giurisdizionale per poter procedere ad atti

conservativi senza necessità di autorizzazione specifica; 3)

se siano applicabili anche ai casi regolati dall'art. 39 della

convenzione di Bruxelles le norme processuali dello Stato ove

si procede a provvedimenti conservativi le quali prevedono un

termine perentorio entro cui debbono essere iniziati o conclusi

gli atti conservativi con decorrenza dalla data nella quale il

richiedente ha la possibilità di procedere a quegli atti, ovvero

lo stesso possa procedervi, senza limitazioni di tempo, fino a

quando l'autorità giudiziaria competente non abbia deciso l'op

posizione di cui all'art. 37 della convenzione. (1)

Fatto. — Con provvedimento emesso il 19 dicembre 1980, ai

sensi dell'art. 26 della convenzione circa la competenza giurisdi zionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commer

ciale firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 e ratificata in Italia

con 1. 21 giugno 1971 n. 804, la Corte d'appello di Brescia

dichiarò esecutiva in Italia la sentenza in data 8 maggio 1979 con

la quale il Tribunale di Breda (Olanda) aveva condannato Pier

Luigi Capelloni e Fausto Aquilini a pagare a Johannes Pelkmans la somma di 127.400 fiorini olandesi oltre ai relativi interessi e alle spese legali.

Avverso detto provvedimento, notificato unitamente alla senten za del tribunale olandese al Capelloni e all'Aquilini, costoro

proposero opposizione, con atto 27 febbraio 1981, alla Corte

d'appello di Brescia, esponendo fra l'altro che — mentre era

pendente avanti al Tribunale di Brescia il giudizio da essi

intrapreso per sentir dichiarare insussistente il credito del Pelk

man — questi aveva loro notìficato atto idi precetto per il

pagamento di 127.400 fiorini olandesi, pari a lire italiane

97.795.262 e dei relativi accessori nonché l'atto di pignoramento immobiliare. Il Capelloni e l'Aquilini chiesero con quell'atto che — indipendentemente dall'opposizione all'esecuzione già proposta — fosse revocata, ai sensi dell'art. 36 detta convenzione 27 settembre 1968, la dichiarazione di esecutività in Italia della sentenza emessa dal Tribunale di Breda: 1) per la nullità di tutti gli atti compiuti dal difensore del Pelkmans — e quindi dello stesso provvedimento impugnato — in quanto eseguiti in forza di procura generale alle liti, del tutto generica, rilasciata dalla parte all'avv. Michele Vairano, inidonea a conferire lo ius

postulandi per i procedimenti speciali, che nella procura debbono

essere indicati specificamente; 2) per l'attuale pendenza, avanti al

giudice italiano, di una controversia avente ad oggetto l'accerta mento negativo della stessa pretesa creditoria cui il Pelkmans aveva dato esecuzione sulla base della sentenza di condanna ottenuta in

Olanda, cosicché tale « litispendenza » precludeva la possibilità di attribuire efficacia in Italia ad una pronuncia straniera.

(1) L'ordinanza in epigrafe merita attenzione sotto un duplice profilo. In primo luogo, è da sottolineare il fatto stesso della richiesta rivolta dalla Cassazione alla Corte di giustizia delle Comunità europee di una

pronuncia per l'interpretazione della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 al fine di un'applicazione uniforme della medesima.

Tale richiesta, invero, sembra dimostrare una maggiore disponibilità della Corte di cassazione alla cooperazione con il giudice comunitario nella materia in esame, a fronte di una prassi che aveva finora suscitato non poche perplessità sia per lo scarso ricorso da parte della Cassazione al meccanismo del rinvio pregiudiziale istituito dal proto collo ad hoc allegato alla convenzione (cfr., in particolare, la recente ordinanza 22 luglio 1982, n. 671, Foro it., 1982, I, 3034, con nota di C.M. Barone, con cui per la prima volta la Cassazione demanda alla Corte comunitaria l'interpretazione di una disposizione della convenzio ne, e, per la risposta, Corte giust. 14 luglio 1983, causa 201/81, id., 1984, IV, 130, con nota di richiami) sia per la correlativa tendenza della Suprema corte all'interpretazione autonoma, se non talora addirit tura nazionalistica, della convenzione {cfr. recentemente Cass. 18 novembre 1982, n. 6189, id., Rep. 1982, voce Giurisdizione civile, n. 62). Se cosi fosse, si confermerebbe l'impressione, già altrove espressa (cfr. Vassalli di Dachehnausen, The Convention of 27 September 1968 on Jurisdiction and the Enforcement of Judgments in Civil and Commercial Matters in Italian Case-Law, in Riv. dir. europeo, 1982, 353), di un progressivo mutamento di posizione da parte della Corte di cassazione.

Sotto un profilo più specifico, poi, che attiene cioè alla disposizione de qua, l'utilità della richiesta alla Corte di giustizia di chiarire la portata e le modalità di applicazione dell'art. 39 appare indubbia. Il punto relativo all'autorizzazione a procedere alle misure conservative ha infatti ricevuto finora interpretazioni divergenti, nel senso che ora si è affermata ora si è negata la necessità di uno specifico provvedi mento autorizzativo: cfr., in particolare, App. Firenze 21 marzo 1977, App. Milano 17 dicembre 1977, 4 aprile 1979, e 27 aprile 1979, in Pocar, Codice delle convenzioni sulla giurisdizione e l'esecuzione delle sentenze straniere nella CEE, 1980, 335 s., nonché App. Torino 18 aprile 1980, Foro it., Rep. 1981, voce Delibazione, n. 51.

In dottrina sulla questione cfr., specificamente, Pocar, Sull'autorizza zione di provvedimenti conservativi ai sensi dell'art. 39 della conven zione di Bruxelles del 27 settembre 1968, in Riv. dir. internaz. priv. e

proc., 1979, 495 ss.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Prima della costituzione in giudizio, il Pelkmans — avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 39 della convenzione 27 settembre 1968 — esegui, con le modalità della legge processuale italiana, il

sequestro conservativo sui beni immobili del Capelloni e dell'A

quilini; quindi, prima, con istanza al consigliere istruttore della causa e, poi, con la comparsa di costituzione in giudizio, il

Pelkmans chiese la convalida del sequestro, oltre al rigetto dell'opposizione proposta dal Capelloni e dall'Aquilini. Costoro, d'altro canto, chiesero ila revoca del sequestro perché eseguito senza autorizzazione del giudice.

In tale situzione le parti concordemente domandarono che le

questioni relative al sequestro fossero decise con sentenza prima del -merito.

Provvedendo sul punto, la Corte d'appello di Brescia, con sentenza non definitiva in data 16 luglio 1981, dichiarò inammis sibile l'istanza di convalida del sequestro oonserviativo eseguito dal Pelkmans e respinse le domande idei Capelloni e dell'Aquilini, riservando al giudizio definitivo ogni altro provvedimento. Osser vò la corte di merito: che l'ampiezza dei poteri conferiti dal Pelkmans al difensore con la procura generale prodotta includeva necessariamente anche l'incarico per i procedimenti speciali e per i provvedimenti conservativi; che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39 della convenzione di Bruxelles, resa esecutiva in Italia con la 1. 21 giugno 1979 n. 804, era manife stamente infondata in quanto la norma garantiva il pieno eserci

zio del diritto di difesa alle parti; che il citato art. 39 consente di procedere all'esecuzione di misure conservative, in pendenza del termine per proporre opposizione avverso il provvedimento di

esecutività della decisione del giudice straniero, fino a quando non sia stata adottata alcuna pronuncia in -merito, quindi anche

oltre il termine previsto dall'art. 675 c.p.c.; che, tuttavia, era

inammissibile l'istanza di convalida del sequestro in quanto la

misura cautelare di cui trattasi — eseguita in forza di una

disposizione di legge e non di un provvedimento giudiziario —

non comportava l'instaurazione di un -giudizio di -merito, che nella specie s'era già concluso avanti al giudice straniero.

Contro questa sentenza -il Capelloni e l'Aquilini -hanno proposto ricorso per cassazione, formulando sei motivi di censura, cui il

Pelkmans resiste -mediante controricorso.

I sei -motivi di ricorso sono cosi -formulati: 1) violazione e

falsa applicazione degli art. 24 e 39, 1° e 2° comma, della

convenzione d-i Bruxelles 27 settembre 1968 resa esecutiva in

Italia con 1. 21 giugno 1971 n. 804, degli art. 12 e 14 preleggi nonché degli -art. 671, 675 e 681 c.p.c., in relazione all'art. 360, n.

3, stesso codice, per avere la corte di Brescia erroneamente

ritenuto ammissibile l'esecuzione della misura cautelare senza un

atto autorizzativo del giudice italiano sebbene il oennato art. 39

preveda -la -possibilità di « -provvedimenti conservativi », termine

che -letteralmente richiama -il concetto di atti delle autorità statali

cioè, nel caso in esame, di provvedimenti degli organi -giurisdizio nali, di cui la sentenza straniera è solo il presupposto essenziale;

2) violazione e (falsa applicazione degli art. 12 e 14 preleggi, 39

della convenzione di Bruxelles 27 settembe 1968 e 671 c.p.c., in

relazione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice, per avere la corte

di merito, con criterio interpretativo egualmente erroneo, afferma

to l'inammissibilità di un giudizio di convalida del sequestro, a norma degli art. 680 ss. c.p.c , avendo ritenuto il provvedimento autorizzativo della -misura -cautelare implicito -nella stessa decisio

ne -del -giudice straniero e, perciò, contestuale al riconoscimento

della sussistenza del credito, mentre l'autorizzazione a porre in

essere la misura cautelare è sempre un provvedimento autonomo

che deve essere sottoposto, in ogni caso, ad un giudizio di

convalida, in conformità a quanto dispone l'ordinamento italiano, non derogato in -materia dalla convenzione inter-nazionale; 3) la

violazione e falsa applicazione degli art. 671 c.p.c. e 39 della

convenzione -di Bruxelles sotto l'ulteriore -riflesso che — sebbene

l'art. 39 preveda l'esistenza di un credito accertato giudizialmente — non è comunque concepibile l'esecuzione di una misura

cautelare senza la verifica del pericolo di perdere le -garanzie di

soddisfacimento del credito (periculum in mora), che è un

requisito distintivo dei provvedimenti cautelari, in genere; 4)

l'illogica e contraddittoria -motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., per aerve la corte di merito, da

un lato, disatteso la domanda -del Pelkmans di convalida del

sequestro e, dall'altro, consentito allo stesso di mantenere la

misura cautelare ritenuta legittima; 5) la violazione e falsa

applicazione nell'art. 675 cp.c., -in relazione al successivo art. 360, n. 3, per avere la corte di Brescia disatteso l'eccezione con cui il

Capelloni e l'Aquilini avevano sostenuto l'inefficacia del sequestro

per essere stato questo eseguito dal Pelkmans -ben oltre il termine

di trenta giorni dal provvedimento che aveva concesso -l'esecuzio

ne della sentenza emessa dal Tribunale di Breda; 6) la violazione

Il Foro Italiano — 1984 — Parte 1-119.

e falsa applicazione dell'art. 83 cp.c., in relazione al successivo art. 360, n. 3, per non avere la Corte d'appello di Brescia rilevato l'invalidità della procura generale ad lìtes rilasciata dal Pelkmans

al proprio difensore ai fini dell'esercizio del patrocinio in un

procedimento specialissimo, quale è quello che riguarda il rico

noscimento in Italia di sentenze emesse da giudici di uno Stato estero, sia per la mancata specificazione di detto procedimento sia

per l'omessa indicazione dell'autorità giudiziaria avanti alla quale l'incarico di difesa doveva essere- svolto.

Diritto. — Il motivo di ricorso n. 6 riguarda l'applicazione della legge processuale italiana, in particolare dell'art. 83 c.p.c. in ordine alla natura e al contenuto della procura necessaria per conferire ad avvocati l'incarico di difesa e di rappresentanza nei

procedimenti, da promuoversi in Italia, per l'esecuzione delle sentenze straniere a norma dell'art. 31 della convenzione di Bruxelles. La corte si riserva, perciò, di decidere tale questione all'atto di emettere la sentenza definitiva.

Gli altri motivi di ricorso riguardano, invece, l'interpretazione di norme contenute nella convenzione di Bruxelles del 27 set tembre 1968.

Con il motivo di ricorso n. 1 si pone il quesito « se, malgrado sia stata già dichiarata esecutiva in uno Stato contraente (nel caso di specie, in Italia) la sentenza emessa da uno Stato straniero, sia necessario un provvedimento autorizzativo della stessa autorità

giurisdizionale (italiana) per poter procedere a provvedimenti conservativi sui beni della parte contro cui è chiesta l'esecuzione ovvero se la parte richiedente possa dare corso direttamente agli atti conservativi senza necessità di autorizzazione specifica ».

Con il motivo di ricorso n. 5 si pone il quesito « se siano

applicabili anche ai casi regolati dall'art. 39 della convenzione di Bruxelles le norme processuali dello Stato ove si procede a

provvedimenti conservativi, le quali prevedono un termine peren torio entro cui debbono essere iniziati o conclusi gli atti conser vativi sui beni con decorrenza dalla data nella quale il richieden te ha la possibilità di procedere a quegli atti (nel caso in esame, l'art. 675 c.p.c. italiano secondo cui il provvedimento del giudice ohe autorizza il sequestro perde efficacia se non è eseguito entro trenta giorni dalla sua emissione) ».

La soluzione di questi due quesiti non sembra presentare difficoltà, in quanto: in ordine al quesito posto col motivo di ricorso n. 1, la formulazione letterale dell'art. 39, 2° comma, della convenzione di Bruxelles induce a ritenere che con tale norma si sia voluto esonerare la parte creditrice dal chiedere ai competenti organi giudiziari l'autorizzazione a procedere a provvedimenti conservativi sui beni della parte contro cui è chiesta l'esecuzione, data l'inutilità di un'ulteriore indagine circa la fondatezza della domanda di merito a fronte di una decisione già emessa in

proposito nello Stato estero; in ordine al quesito posto col motivo di ricorso n. 5 l'art. 39, 1° comma, della convenzione di Bruxelles dispone, testualmente, che chi abbia ottenuto l'esecutività della sentenza straniera può procedere a provvedimenti conservativi « fino a quando non sia stata adottata alcuna decisione » sull'op posizione proposta da colui contro il quale si intende agire.

Per contro, suscita dubbi interpretativi il quesito fondamentale prospettato con il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso. Sostengono, infatti, i ricorrenti che le decisioni pronunciate in altro Stato aderente alla CEE e rese esecutive in Italia consento

no, bensì, di procedre a misure conservative sui beni del debito re, nel caso di opposizione di questo al provvedimento che concede la formula esecutiva, ma dette misure sono poi soggette, quanto alle modalità di attuazione, alle condizioni di validità e alla persistente efficacia del vincolo cautelare, alle norme proces suali del diritto interno: in particolare, il sequestro conservativo dovrebbe essere sottoposto al vaglio del giudizio di convalida secondo le rigorose modalità previste dagli art. 680 ss. c.p.c., pena la sanzione di inefficacia della misura conservativa eseguita; ciò perché, fra l'altro, colui contro il quale è chiesta l'esecuzione

potrebbe dimostrare il compimento, da parte del creditore, di atti

illegittimi nel corso di attuazione del provvedimento conservativo

ovvero l'insussistenza del rischio di perdere le garanzie del

proprio oredito e, quindi, il carattere vessatorio della misura

cautelare attuata dal sequestrante. La formulazione dell'art. 39 della convenzione di Bruxelles non

dà tuttavia la certezza che la tesi sostenuta dai ricorrenti sia

esatta. Si può sostenere, in contrario, che gli Stati aderenti alla convenzione abbiano inteso adottare uno strumento giuridico unico rivolto ad assicurare medio tempore l'indisponibilità dei beni da parte dell'obbligato e, in relazione a tale finalità, la

quale si raggiunge e si esaurisce con l'inizio dell'esecuzione forzata su detti beni dopo l'eventuale esito negativo dell'opposi zione proposta ai sensi dell'art. 37 della convenzione, un giudizio di convalida del provvedimento conservativo potrebbe apparire

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1859 PARTE PRIMA 1860

del tutto superfluo di fronte ad una decisione -già emessa sui temi essenziali della controversia.

Ricorrono, dunque, le condizioni previste dall'art. 3 della

convenzione di Lussemburgo 3 giugno 1971 (resa esecutiva in Italia con la 1. 19 maggio 1975 o. 180) relativa all'interpretazione, da parte della Corte di giustizia della Comunità economica

europea, della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 con cernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle deci sioni in materia civile e commerciale per cui questa corte, reputando necessaria una decisione sul detto punto di dubbia

interpretazione, è tenuta a demandare alla Corte di giustizia di

pronunciarsi sulla questione.

Peraltro, data la necessità di tale rinvio alla Corte di giustizia, il collegio 'ritiene di rimettere alla stessa corte anche la decisione

sugli altri due quesiti in qualche modo connessi alla questione più importante, seriamente dubbia, per l'evidente convenienza di

consentire un'interpretazione organica e globale dell'intero sistema

normativo introdotto con l'art. 39 della convenzione di Bruxelles.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 12 marzo

1984, n. 1701; Pres. Carotenuto, Est. Pierantoni, P.M. Ca

risto (conci, diff.); Sarappa (Avv. Sarappa) c. De Ponte (Avv. Di Antonio). Cassa App. Napoli 14 novembre 1981.

Intervento in causa e litisconsorzio — Giudizio per la costitu

zione di servitù coattiva di passaggio — Interclusione — Li

tisconsorzio necessario — Fattispecie (Cod. civ., art. 1051; cod.

proc. civ., art. 102).

Nel giudizio instaurato per la costituzione di servitù coattiva di

passaggio, l'accertamento relativo allo stato di interclusione del

fondo (contestato dal convenuto, mediante l'affermazione che il

fondo dell'attore gode già di accesso alla pubblica via per l'esistenza, a favore di esso, di servitù di passaggio acquisita per

usucapione, attraverso altro fondo) non può avvenire incidenter

tantum, ma, costituendo un antecedente logico-giuridico della

pronuncia, viene ad essere necessariamente accertato con auto

rità di giudicato, e non può, di conseguenza, essere compiuto senza la partecipazione necessaria del terzo proprietario del

fondo sul quale graverebbe l'eccepita altra servitù nei cui con

fronti va pertanto disposta l'integrazione del contraddittorio. (1)

(1) La sentenza riportata segna un mutamento di giurisprudenza; precedentemente, infatti, la Cassazione (sent. 9 maggio 1977, n. 1797, Foro it., Rep. 1977, voce Servitù, n. 32 e 25 giugno 1981, n. 4133, id., Rep. 1981, voce cit., n. 55; non si rinvengono, peraltro, precedenti editi in extenso) aveva escluso che l'eccezione con la quale il convenuto per la costituzione di una servitù coattiva di passaggio afferma l'esistenza di altra servitù di passaggio a favore del fondo dell'attore comporti la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del terzo proprietario del fondo su cui tale servitù gravereb be, potendo condurre soltanto alla verifica dell'esistenza o meno del

presupposto per l'accoglimento della domanda, e non all'accertamento con effetti costitutivi del diritto di servitù eccepito.

Si considerino inoltre, Cass. 29 gennaio 1953, n. 233 (id., Rep. 1953, voce Procedimento civile, n. 60) la quale non ha ritenuto necessario integrare il contraddittorio nei confronti del comune in un'ac<(0 negatoria servitutis in cui era sorta questione sul carattere pubblico o privato della strada sulla quale veniva esercitato il passaggio contesta to; Cass. 29 ottobre 1974, n. 3285 (id., Rep. 1974, voce Intervento in causa, n. 9), che afferma l'insussistenza del litisconsorzio necessario con vocatio in ius del comune quando la questione della esistenza di servitù di uso pubblico sia stata dedotta in causa incidenter tantum, al solo scopo di contestare la fondatezza della domanda e non di ottenere sul punto una statuizione suscettibile di acquistare l'efficacia di giudicato; Cass. 5 gennaio 1980, n. 61 (id., Rep. 1980, voce cit., n. 7), nella quale si è parimenti escluso che, in un 'actio negatoria servitutis nella quale il convenuto aveva eccepito l'appartenenza al demanio comunale del fondo interessato dall'apertura di una veduta, dovesse instaurarsi il contraddittorio nei confronti del comune, dato il carattere incidentale della controversia circa l'asserita demanialità.

Secondo Cass. 26 settembre 1962, n. 2781 (id., Rep. 1962, voce

Servitù, n. 97) spetta a chi sia stato convenuto per la costituzione della servitù di passaggio coattivo l'onere di dimostrare che la dedotta interclusione non sussiste in concreto, perché a favore del fondo che si

pretende intercluso vi è già una servitù di passaggio che consente un accesso alla via pubblica idonea all'esigenza della coltivazione e del conveniente uso del fondo.

È giurisprudenza costante che non sussiste la necessità del litiscon sorzio nell'azione per la costituzione di servitù coattiva di passaggio tra tutti i proprietari dei fondi che circondano quello intercluso, e che potrebbero in astratto essere gravati da servitù coattiva, nel caso in cui il convenuto eccepisca di non essere tenuto a subire la servitù, potendo l'interclusione essere eliminata in modo più conveniente mediante la costituzione del passaggio su uno o più fondi di altrui

Svolgimento del processo. — Con citazione notificata in data 11 aprile 1978 Anna De Ponte, proprietaria di un terreno sito in

agro di Roccarainola, contrada Matierno, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Napoli Giovanni, Francesco, Domenico e Vittoria Sarappa, proprietari del fondo confinante e, assumendo che il .proprio fondo era intercluso, chiese costituirsi servitù

proprietà: Cass. 17 marzo 1975, n. 1019, id., Rep. 1975, voce cit., n. 84; 26 settembre 1962, n. 2781, cit.; 22 giugno 1957, n. 2380, id., Rep. 1957, voce cit., n. 143.

Nel caso di specie l'applicazione della regola della necessaria partecipazione di più parti al processo è imposta, secondo la Cassazio ne, dal fatto che' l'eccezione sollevata dal convenuto, e coinvolgente situazioni giuridiche di terzi, costituisce un antecedente logico-giuridico della pronuncia, « destinato a passare in cosa giudicata insieme con la statuizione espressa nel dispositivo ».

Tale affermazione costituisce l'ennesima applicazione di quell'indiriz zo che, pur in maniera non del tutto coerente, è consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, e secondo il quale, come si può leggere anche nella motivazione della sentenza che si riporta, « il giudicato opera non solo relativamente all'oggetto della controversia e alle ragioni fatte valere dalle parti (giudicato esplicito), ma anche con riguardo agli accertamenti che sono necessariamente ed inscindibilmen te collegati con la decisione, e di cui costituiscono il presupposto, sicché la cosa giudicata si forma non soltanto sulle statuizioni espresse nel dispositivo della sentenza, ma anche sulle affermazioni che si presentano come l'imprescindibile fondamento logico-giuridico della soluzione adottata». Nello stesso senso v., esplicitamente, fra le tante, Cass. 16 maggio 1973, n. 1406. id., 1974, I, 498, in motivazione; 5 maggio 1973 n. 1187, ibid., 1516; 18 gennaio 1960, n. 24, id., 1961, I, 322.

Con queste sentenze la Cassazione ha ritenuto preclusa la possibilità di far valere, in un secondo processo, una domanda avente come causa petendi un fatto che in un primo processo aveva costituito una questione pregiudiziale, e sulla quale il giudice non si era pronunciato con autorità di cosa giudicata. La fattispecie della sentenza qui ripor tata consiste invece in una situazione giuridica c.d. complessa, in cui cioè viene esaminata dal giudice una questione pregiudiziale che coinvolge soggetti diversi da quelli che hanno proposto la domanda, o nei confronti dei quali la domanda è stata proposta. In entrambi i casi, tuttavia, è agevole rilevare che il principio secondo cui il giudicato copre anche i presupposti logico-giuridici del decisum stra volge la disciplina processuale relativa all'accertamento incidentale, dettata dall'art. 34 c.p.c., e, con essa, la regola del litisconsorzio necessario alla quale è strettamente connessa {è chiaro infatti che « il litisconsorzio necessario sussiste ogniqualvolta occorre accertare, non incidenter tantum, ma con autorità di cosa giudicata, una situazione giuridica i cui elementi costitutivi sono diversi da quelli della situazio ne oggetto del processo»; G. Costantino, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, 474).

L'art. 34 c.p.c. impone al giudice di accertare con autorità di giudicato le questioni pregiudiziali soltanto in due casi: o quando si tratta di una di quelle questioni pregiudiziali che, per legge, non possono decidersi se non con efficacia di giudicato, oppure quando un'esplicita domanda di una delle parti esprima la volontà di ottenere, sulla questione pregiudiziale, un accertamento tale da far valere anche al di fuori della causa in cui avviene. Al di là di ciò, non è ammessa un'estensione del giudicato, pur se dettata, come nel caso di specie, da fondate esigenze di opportunità, potendosi e dovendosi risolvere le questioni pregiudiziali, in linea generale, con efficacia limitata al caso deciso, e, nel caso in cui il processo coinvolga situazioni giuridiche complesse, evitando di dare luogo ad un'ipotesi di « litisconsorzio necessario di natura sostanziale ». Su questa linea si pone del resto anche una consolidata giurisprudenza della Cassazione, nel momento in cui afferma che « fuori dai casi espressamente stabiliti dalla legge, si ha litisconsorzio necessario ogniqualvolta la sentenza emessa in assenza di una determinata parte sarebbe inutiliter data-, ciò non si verifica quando il giudice deve accertare in via meramente incidentale una situazione giuridica che riguarda anche l'assente, in quanto, mentre siffatto accertamento può compiersi, e produrre i suoi effetti tra le parti del processo, senza chiamare in giudizio altro soggetto, quest'ul timo non subirà alcun pregiudizio dall'accertamento incidentale, inido neo a costituire giudicato nei suo confronti»; cfr., da ultimo, sent. 6 febbraio 1982, n. 692, Foro it., Rep. 1982, voce Intervento in causa, n. 6; 27 maggio 1981, n. 3490, ibid., n. 24; 9 gennaio 1981, n. 190, id., Rep. 1981, voce cit., n. 7; 12 aprile 1980, n. 2330, id., Rep. 1980, voce cit., n. 4; 22 settembre 1978, n. 4270, id., Rep. 1979, voce cit., n. 13; 4 dicembre 1971, n. 3517, id., 1972, 1, 2154; un'ampia rassegna giuris prudenziale su questo tema è reperibile anche in Costantino, Contri buto allo studio, cit., 131, n. 32, 212, n. 118, 354, n. 175.

Anche con riguardo alle varie ipotesi di azione diretta, del resto, non si ravvisa, né da parte della giurisprudenza, né della dottrina, la necessità del litisconsorzio; ciò è generalmente motivato dal fatto che, quando la legge ha ritenuto opportuno che il rapporto pregiudiziale intercorrente con il primo debitore fosse accertato con autorità di cosa giudicata, ha richiesto, espressamente o quanto meno implicitamente, la partecipazione di questo al processo (v. art. 23 1. 990/69 e art. 148 C.C.). Cfr., inoltre, Costantino, Contributo allo studio, cit., 436 ss. e da ultimo 'Pret. Chivasso 12 dicembre 1983, Foro it., 1984, I, 872, con nota di richiami di dottrina e di giurisprudenza.

In dottrina, Costantino (Contributo allo studio, cit., 474) critica le decisioni con le quali la Cassazione ha esteso, al di là delle ipotesi di

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