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Sezione III civile; sentenza 1° giugno 1968, n. 1637; Pres. Cannizzaro P., Est. Poddighe, P. M....

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Sezione III civile; sentenza 1° giugno 1968, n. 1637; Pres. Cannizzaro P., Est. Poddighe, P. M. Caldarera (concl. conf.); Castagna (Avv. Spiazzi) c. Peterlini (Avv. Canfora, Visonà) Source: Il Foro Italiano, Vol. 91, No. 10 (OTTOBRE 1968), pp. 2547/2548-2553/2554 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23157444 . Accessed: 25/06/2014 02:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.92 on Wed, 25 Jun 2014 02:15:01 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione III civile; sentenza 1° giugno 1968, n. 1637; Pres. Cannizzaro P., Est. Poddighe, P. M. Caldarera (concl. conf.); Castagna (Avv. Spiazzi) c. Peterlini (Avv. Canfora, Visonà)

Sezione III civile; sentenza 1° giugno 1968, n. 1637; Pres. Cannizzaro P., Est. Poddighe, P. M.Caldarera (concl. conf.); Castagna (Avv. Spiazzi) c. Peterlini (Avv. Canfora, Visonà)Source: Il Foro Italiano, Vol. 91, No. 10 (OTTOBRE 1968), pp. 2547/2548-2553/2554Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23157444 .

Accessed: 25/06/2014 02:15

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2547 PARTE PRIMA 2548

requisiti postulati dall'art. 809 cod. proc. civ., a pena di nul

lità. In tal guisa argomentando, non si avverte anzitutto che al

l'arbitrato estero non possono essere estese le regole dettate dal

l'ordinamento interno a disciplina dell'arbitrato da compiersi

nell'ambito nazionale, salvo il rispetto di quelle disposizioni che attengono all'ordine pubblico, e soprattutto non si riflette

che, comunque, nella clausola compromissoria in esame la pre scrizione di rigore dell'art. 809 su citata risulta pienamente

osservata, in quanto è stato previsto sia il numero degli arbi

tri, limitato ad uno, sia il modo di nominarlo e cioè mediante

la designazione della Camera internazionale di commercio di

Parigi.

Sostiene, infine, la resistente che, essendo stata radicata ad

opera di essa società presso lo stesso Tribunale di Busto Arsi

zio altra causa relativa ad altro distinto contratto di vendita

alla società Sonobel di mille magnetofoni, la giurisdizione dell'arbitro estero dovrebbe restare, per efletto di connessione,

assorbita ed esclusa da quella del giudice ordinario chiamato

a conoscere della causa connessa.

Anche tale assunto è di agevole confutazione, essendo suf

ficiente rilevare, per dimostrarne tutta la inconsistenza, che

nella fattispecie prospettata non è configurabile un caso di con

fessione con la inerente vis attractiva, traendo origine le due

cause da titoli diversi e ciò nella ipotesi non accettabile che

l'attrazione per connessione delle due cause presso il giudice ordinario possa operare non solo sul terreno della competenza, nel caso di arbitrato nazionale, ma anche sul terreno della giu risdizione nell'ipotesi, qui ricorrente, di arbitrato estero.

Non resta, pertanto, che dichiarare, in accoglimento del ri

corso, il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ita

liana con le conseguenziali disposizioni relative alla restitu

zione del deposito ed all'onere delle spese, che vanno addos

sate alla società resistente.

Per questi motivi, dichiara il difetto di giurisdizione del

l'autorità giudiziaria italiana per essere la causa proposta dalla

società Incis dei fratelli Seregni avanti al Tribunale di Busto

Arsizio devoluta alla cognizione di arbitro estero.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione III civile; sentenza 1° giugno 1968, n. 1637; Pres.

Cannizzaro P., Est. Poddighe, P. M. Caldarera (conci,

conf.); Castagna (Avv. Spiazzi) c. Peterlini (Avv. Canfora, Visonà).

(Cassa App. Trento 1" febbraio 1965)

Giudizio (rapporto) — Assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto — Esperibilità dell'azione civile per fatto diverso — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 25).

Giudizio (rapporto) — Autorità del giudicato penale nel giu dizio civile — Indagine su fatti diversi da quelli presi in

esame dal giudice penale — Preclusioni — Insussistenza

(Cod. proc. pen., art. 27). Giudizio (rapporto) — Autorità del giudicato penale nel giu

dizio civile — Applicabilità (Cod. proc. pen., art. 28). Giudizio (rapporto) — Autorità del giudicato penale nel giu

dizio civile — Fatti materiali accertati dal giudice penale — Libertà di apprezzamento del giudice civile (Cod. proc. pen., art. 28).

Non è preclusa dall'art. 25 cod. proc. pen. l'indagine istituita in sede civile e volta ad accertare la responsabilità indi

retta, alla stregua dell'art. 2048, 2° comma, cod. civ., di

chi sia stato assolto, per non aver commesso il fatto, dalla

imputazione di omicidio colposo contestatagli per essere

stato alla guida di un veicolo dal quale la vittima era stata

investita. (1) L'art. 27 cod. proc. pen. inibisce al giudice civile ogni inda

gine sulle circostanze che siano state oggetto del giudizio

penale quando su di esse quel giudice abbia espressamente

pronunciato o si tratti di circostanze necessariamente con

nesse con la decisione penale, ma nessuna preclusione sus

siste per le indagini su fatti e circostanze sulle quali il giu dice penale non abbia avuto occasione di pronunciarsi o

che non abbiano alcuna attinenza con la decisione penale. (2) L'art. 28 cod. proc. pen. è applicabile non solo all'azione ci

vile proposta contro l'imputato per oggetto diverso da

quello relativo alla restituzione e al risarcimento dei danni

derivanti dal reato, ma anche all'azione proposta contro

persone diverse dall'imputato ed avente per oggetto resti

tuzioni o risarcimento di danni derivanti direttamente o

indirettamente dal reato. (3) L'autorità del giudicato penale, nel caso dell'art. 28 cod. proc.

pen., è limitata a ciò che concerne l'accertamento dei fatti

identificati nella sentenza penale, ma non impedisce al

giudice civile una diversa valutazione giuridica dei fatti stessi per le conseguenze di ordine civile (o amministrativo) in altro giudizio. (4)

(1) Sostanzialmente conf. Cass. 29 aprile I960, n. 952, Foro it., Rep. 1960, voce Giudizio (rapporto), n. 81; v. anche Cass. 20 luglio 1960, n. 2025, id., 1961, I, 312, con ampia nota di richiami.

Nella prima, in particolare, si sostiene che « l'assoluzione per non aver commesso il fatto », non preclude l'azione civile che trovi radice per altro verso nel fatto.

Secondo Cass. 19 maggio 1964, n. 1232, id., Rep. 1964, voce cit., n. 30, « al fine di determinare se il giudicato penale inibisca in concreto l'esperimento dell'azione civile, il giudice civile deve cogliere la vera portata del giudicato medesimo, e, pertanto, considerare il dispositivo della sentenza penale in rapporto alla motivazione, per accertare se vi è identità tra i fatti posti a base dell'azione civile e quelli che hanno costituito obiettivo del l'accertamento da parte del giudice penale». In tal senso v. pure Cass. 9 ottobre 1964, n. 2558, ibid., n. 31; Cass. 9 aprile 1957, n. 1226, id., Rep. 1957, voce cit., n. 62.

Cass. 13 settembre 1963, n. 2505, id., Rep. 1964, voce cit., n. 33, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costi tuzionalità dell'art. 25 cod. proc. pen., in riferimento all'art. 24 della Costituzione, in quanto, realizzando l'articolo in parola l'unità della giurisdizione e stabilendo che resta precluso l'esercizio del l'azione civile nei confronti dell'imputato assolto per le ragioni e con le formule in esso indicate, non importa violazione dei diritti di difesa del cittadino.

(2) V. Cass. 13 novembre 1965, n. 2378, Foro it., Rep. 1965, voce Giudizio (rapporto), n. 66, la quale afferma che l'effetto pre clusivo del giudicato penale investe solo gli elementi che concor rono a formare il sostrato materiale del fatto reato.

Per riconoscere alla sentenza penale valore vincolante occorre che i fatti materiali accertati in sede penale, e pertanto rientranti nella contestazione, costituiscano presupposto logico e necessario della pronuncia del giudice penale: Cass. 22 febbraio 1950, Giust.

pen., 1951, III, 228; Cass. 26 maggio 1955, n. 1593, Foro it., Rep. 1955, voce cit., n. 95. Sul punto concorde anche G. Leone, Trattato di diritto processuale penale, 1961, I, pag. 301.

(3) Conf. Cass. 10 agosto 1965, n. 1927, Foro it., Rep. 1967, voce Giudizio (rapporto), n. 87; 15 giugno 1965, n. 1225, id., Rep. 1965, voce cit., nn. 43, 44; 21 aprile 1964, n. 936, id., 1965, I, 127, con nota di Grossi.

(4) È giurisprudenza consolidata che per « fatti materiali » ex art. 28 cod. proc. pen. si debbano intendere gli avvenimenti nella loro realtà fenomenica ed oggettiva, spogli di ogni elemento subiettivo e di ogni qualificazione giuridica, e che sia consentito al giudice civile valutare liberamente i fatti stessi per diversi effetti. Per i principali riferimenti di giurisprudenza e di dottrina v. la nota a Cass. 8 giugno 1965, n. 1141, Foro it., 1966, I, 357 e quella a Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 1966, n. 1280, id., 1967, III, 1. Da ultimo sul punto V. Cass. 26 gennaio 1968, n. 259, id., Mass., 63.

Si tenga pure presente che la Corte costituzionale, con la sen tenza 19 febbraio 1965, n. 5 (id., 1965, I, 400, con nota di richiami, cui adde, in nota alla stessa sentenza, Chiarloni, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 519), ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell'art. 28 cod. proc. pen.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Il 22 gen naio 1959, in Marani d'Ala, un'autocorriera appartenente ad Umberto Peterlini investì ed uccise Ferruccio Cavagna.

in primo momento Camillo Castagna, autista alle dipen denze del Peterlini, dichiarò che in quell'occasione l'autocor riera era guidata da lui e, pertanto, contro di lui il p. m. proce dette penalmente contestandogli il delitto di omicidio colposo. Successivamente, però, risultò che la corriera era stata guidata da Adriano Soini, pur esso dipendente del Peterlini come bi

gliettaio, privo di patente di guida. Il p. m. allora contestò al Castagna anche il delitto di auto

calunnia; procedette contro il Peterlini per concorso in que st'ultima imputazione e contro il Soini per i delitti di omicidio

colposo, di concorso in autocalunnia, di contravvenzione all'art. 96 cod. strad. 1933 (guida senza patente).

Il Tribunale penale di Rovereto, con sentenza 18 marzo

1960, assolse il Castagna dall'imputazione di omicidio colposo, essendo risultato che alla guida dell'autoveicolo investitore non

vi era lui, ma il Soini condannò il medesimo Castagna a con

grua pena per il delitto di autocalunnia; assolse il Peterlini dal

l'imputazione di concorso nel reato di autocalunnia; condannò il Soini a congrue pene per l'omicidio colposo del Cavagna, per il concorso nell'autocalunnia, per la contravvenzione all'art. 96

cod. stradale 1933 (guida senza patente). La Corte d'appello penale di Trento, con sentenza 24 no

vembre 1960, confermò quella ora riassunta di primo grado tranne che nel capo relativo all'imputazione contravvenzionale ascritta al Soini.

Circa questa imputazione la corte trentina rilevò che, quan do era stato investito il Cavagna, vicino al conducente Soini

vi era il Castagna; che « un certo controllo era stato svolto da questo sul Soini » e che, pertanto, il fatto del Castagna « ri cade sotto la sanzione del terzo comma dell'art. 96 cod. stradale

1933 che prevede il fatto di chi guida senza patente avendo a

fianco un conducente in funzione di istruttore ». Il Soini, quindi, fruì di una diminuzione di pena perché il reato ultimamente

considerato è punito meno gravemente di quello originariamente contestato.

Nel frattempo, alla vigilia del dibattimento di primo grado, il Peterlini aveva risarcito transattivamente i danni lamentati dai familiari del Cavagna versando loro, per questo titolo, la

somma di due milioni.

Successivamente, con citazione 12 gennaio 1961, il Peterlini

convenne, davanti al Tribunale dì Rovereto, Adriano Soini,

Luigi Soini (padre dell'Adriano allora minorenne), Camillo

Castagna per ripetere da costoro la somma di due milioni già

pagata ai familiari del Cavagna. Il Tribunale di Rovereto, con sentenza 27 febbraio-26 marzo

1963, assolto Luigi Soini dalle domande contro di lui proposte, condannò Adriano Soini ed il Castagna a pagare in regresso al Peterlini rispettivamente un milione e cinquecentomila lire.

Il Castagna appellò, ma la corte di Trento, con sentenza 1°

dicembre 1964-1° febbraio 1965, rigettò il gravame considerando che l'azione promossa dal Peterlini non trovava ostacolo nella sentenza penale, con la quale il Castagna era stato assolto

per non aver commesso il fatto dall'imputazione di omicidio

colposo, perché nel giudizio civile il Peterlini aveva chiesto

che fosse accertata la responsabilità (indiretta) del Castagna, ai sensi dell'art. 2048 cod. civ., sotto il profilo che questo,

quando era stato investito ed ucciso il Cavagna, era al fianco del conducente Soini in qualità di istruttore ed era soggetto, pertanto, alla responsabilità per i danni cagionati dall'allievo

o apprendista che agiva sotto la sua sorveglianza. All'uopo do

veva fare stato contro il Castagna la sentenza penale 24 no

vembre 1960 della corte trentina, con la quale era rimasto ac

certato che Adriano Soini guidava senza patente, ma avendo

vicino il Castagna, il quale, standogli dietro, ne controllava

l'azione di guida. (Omissis) Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente

denunzia la violazione dell'art. 25 cod. proc. pen. e sostiene

che il giudice di merito erroneamente avrebbe ritenuto propo nibile l'azione, nonostante che la sentenza penale di assoluzione,

per non aver commesso il fatto, di esso Castagna escludesse

la sussistenza di un qualsiasi nesso eziologico tra la morte del

Cavagna ed il comportamento del Castagna stesso.

Col terzo motivo il medesimo denunzia la violazione degli

art, 2043, 2048 e 2055 cod. civ., in relazione all'art. 27 cod.

proc. pen. e sostiene che la corte d'appello erroneamente avreb

be dichiarato la sua responsabilità nonostante che nel giudizio civile dovesse fare stato il fatto, accertato in sede penale con

autorità di cosa giudicata, che tra il comportamento di esso

Castagna e la morte del Cavagna non fosse ravvisabile un nesso

di causalità.

Col quarto motivo il ricorrente denunzia la violazione degli art. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. in relazione all'art. 2047

cod. civ. e sostiene che il giudice d'appello avrebbe dichiarato

la di lui responsabilità nell'evento dannoso erroneamente esten

dendo a lui, nonostante la sua estraneità al giudizio, la cosa

giudicata di cui alla sentenza penale di appello 24 novembre

1960 e, questa inesattamente interpretando, trascurando di con

siderare l'esistenza di prova in atti dalla quale risulterebbe chia

ramente che esso Castagna non aveva avuto in consegna l'auto

mezzo, né aveva espletato mansioni di istruttore.

I tre motivi, per l'evidente affinità del loro contenuto, de

vono essere esaminati congiuntamente; è ben nota, infatti, la

correlazione che esiste tra gli art. 25, 27 e 28 (e il 26, che

però, ora non viene in considerazione) cod. proc. pen. L'art. 25 tratta dei rapporti tra l'azione civile ed il giudicato

penale di assoluzione in seguito a dibattimento e, in applica zione della norma che esso contiene, la sentenza irrevocabile

di assoluzione preclude la possibilità che una azione civile, fondata sul medesimo fatto, sia proposta, proseguita o ripro

posta davanti al giudice civile (o amministrativo) quando il

giudice penale abbia escluso o abbia ritenuto insufficiente la

prova della esistenza del fatto o della partecipazione ad esso

dell'imputato ovvero quando abbia dichiarato che il fatto fu

compiuto nell'esercizio di una facoltà legittima o nell'adempi mento di un dovere.

Diverso è il problema per la soluzione del quale è stato

posto l'art. 27, il quale regola i rapporti tra la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunziata in giudizio (o tra il de

creto penale di condanna diventato esecutivo) ed il giudizio civile od amministrativo di danno iniziato o proseguito contro

il Colpevole (o contro il responsabile civile). Ancora diverso è il problema considerato nell'art. 28 di

portata più generale, come si vedrà, rispetto all'art. 27 citato.

Premesso ciò, il primo, il terzo e, per quanto di ragione, il

quarto motivo devono essere respinti. Non può essere accolto il primo perché l'azione proposta

dal Peterlini contro il Castagna davanti al giudice civile è fon

data su di un fatto diverso da quello che aveva formato oggetto

dell'imputazione di omicidio colposo dalla quale il Castagna fu

assolto per non aver commesso il fatto. Invero, il presupposto della pronunzia assolutoria penale era stato che il Castagna, non essendo lui alla guida del veicolo investitore, non poteva

rispondere penalmente (responsabilità diretta) dell'omicidio

colposo del Cavagna: fatto reato, questo, che gli era stato

contestato come commesso stando alla guida del veicolo.

II presupposto della responsabilità (indiretta) che il Peter

lini invoca nel giudizio civile è invece che il Castagna avrebbe

affiancato il conducente Soini come istruttore e, come tale,

dovrebbe rispondere del danno cagionato dal suo allievo.

Questo titolo di responsabilità presuppone, quindi, che non

il Castagna ma il suo allievo debba rispondere direttamente dei

danni derivati dalla morte del Cavagna e ciò è in perfetta ar

monia con l'assoluzione del Castagna stesso dall'imputazione di omicidio colposo: tale assoluzione, pertanto, non può pre cludere un'azione civile fondata su di un titolo di responsabilità diverso da quello che il giudice penale ha escluso.

Gli è che non intacca il principio dell'unità della funzione

giurisdizionale e, pertanto, non è preclusa ai sensi dell'art.

25 l'indagine istituita in sede civile, volta ad accertare la re

sponsabilità indiretta, alla stregua dell'art. 2048, 2° comma, cod.

civ., di chi sia stato assolto, per non aver commesso il fatto, da una imputazione di omicidio colposo contestatogli per es

sere stato alla guida del veicolo dal quale la vittima era stata

investita.

La Corte d'appello di Trento ha fatto retta applicazione di

questi principi e, pertanto, la sentenza impugnata si sottrae a

questa prima censura.

Neppure il terzo mezzo può essere accolto. Le disposizioni dell'art. 27, invero, mirano anch'esse, ma sotto un diverso pro

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2551 PARTE PRIMA 2552

filo, a salvaguardare l'unità della funzione giurisdizionale at

tribuendo alla pronuncia penale autorità di cosa giudicata, quanto alla sussistenza del fatto, alla sua liceità ed alla re

sponsabilità del condannato, nel giudizio civile per le resti tuzioni o il risarcimento del danno derivante dal reato, che si

proponga contro il colpevole (o contro il responsabile civile). Ora, nel caso concreto, nel giudizio civile in corso, per un

verso, non si discute sulle restituzioni o sul risarcimento del danno derivante da un reato per il quale il convenuto (at tualmente ricorrente) sia stato condannato in sede penale e,

per altro verso, nessuna indagine era stata svolta dal giudice penale che fosse diretta ad accertare se il Castagna dovesse

rispondere, ed entro quali limiti, dei danni causati dalla morte del Cavagna per un altro diverso titolo (responsabilità indi

retta) che non fosse quello derivabile dall'esclusa responsa bilità diretta.

In base all'art. 27, infatti, al giudice civile è inibita ogni

indagine su circostanze che siano state oggetto del giudizio pe nale quando su di esse quel giudice abbia espressamente pro nunziato o si tratti di circostanze necessariamente connesse

con la decisione penale, ma nessuna preclusione sussiste, non

essendo logicamente e giuridicamente configurabile una lesione

del principio dell'unità della funzione giurisdizionale, per le

indagini su fatti e circostanze, sulle quali il giudice penale non

abbia avuto occasione di pronunciarsi o che non abbiano al

cuna attinenza con la decisione penale invocata per paraliz zare, anche sotto questo aspetto, l'azione civile.

A questi principi è informata la decisione impugnata, la

quale, pertanto, non merita la censura di cui a questo terzo

mezzo di annullamento.

Col quarto motivo vengono proposte a questo Supremo

collegio due distinte questioni: la prima, relativa all'autorità

del giudicato penale in un successivo giudizio civile promosso contro persona diversa da quella cui si riferisce direttamente la pronunzia penale e la seconda relativa ai limiti entro i

quali il giudicato penale può spiegare la sua autorità nella

ipotesi sopra ricordata.

Occorre premettere che, mentre nei due motivi di annul lamento già esaminati gli art. 25 e 27 erano stati invocati in relazione al capo di sentenza penale col quale il Castagna era stato assolto dall'imputazione di omicidio colposo, ora, invece, viene chiesta l'applicazione dell'art. 28 in riferimento al capo della sentenza penale col quale il Soini era stato condannato

quale contravventore all'art. 96, 3C comma, codice stradale 1933.

11 giudice penale, infatti, aveva accertato, in fatto, « che il

Castagna stava in piedi dietro il conducente (Soini) del quale, inoltre, fu il Castagna a richiamare l'attenzione quando era

comparso alla vista il ciclista » ed applicò la sanzione di cui al 3° comma del citato art. 96 che prevede il fatto di chi circoli senza patente ma avendo a fianco un conducente abilitato in

funzione di istruttore. Il ricorrente assume che questo accertamento di fatto, or

mai definitivo, che è il presupposto necessario della responsa bilità contravvenzionale del Soini, non può spiegare alcun effetto nei suoi confronti perché la contravvenzione non ri

guardava lui ma il Sóini.

Tale assunto contrasta con la norma fissata nell'art. 28. Per intendere nella sua portata il predetto art. 28 giova porlo a raffronto col precedente art. 27, il quale disciplina, come si è detto, l'efficacia del giudicato penale di condanna contro il colpevole (ed il responsabile civile) convenuto in un suc cessivo giudizio civile avente per oggetto le restituzioni o il risarcimento dei danni derivati dal reato.

L'art. 28 ha, invece, una portata più ampia essendo inteso ad attuare il principio dell'unità della funzione giurisdizionale e dell'efficacia erga omnes delle statuizioni del giudice penale relative ai fatti materiali accertati in quel giudizio.

Ne consegue che l'art. 28 è applicabile non solo all'azione civile proposta contro l'imputato per oggetto diverso da quello relativo alla restituzione o al risarcimento dei danni derivati dal reato ma anche all'azione proposta contro persone diverse

dall'imputato ed aventi per oggetto restituzioni o risarcimento di danni derivanti direttamente o indirettamente dal reato.

Pertanto il presupposto per l'applicazione dell'art. 27 è che l'azione civile riparatoria, a fondamento della quale viene

invocato il giudicato penale, spiegata contro il condannato, sia basata sul medesimo fatto costituente reato, per il quale fu esercitata l'azione penale e pronunziata la relativa sen

tenza.

Fuori di tale ipotesi è applicabile l'art. 28, che regola il

caso in cui, pur essendo l'azione civile fondata su un titolo

autonomo, il diritto intorno al quale si controverte dipende,

quanto al suo riconoscimento, dall'accertamento dei fatti ma

teriali che furono oggetto del giudizio penale il cui giudicato viene invocato in sede civile.

Ovviamente occorre, però, perché i fatti accertati dal giu dice penale abbiano efficacia vincolante nel giudizio civile, ai sensi dell'art. 28, che essi siano in relazione di necessaria

connessione con il diritto controverso e che l'accertamento del

giudice penale non sia meramente incidentale, ma costituisca

il presupposto logico e necessario del giudicato penale invo

cato. Alla luce di questi principi la censura deve essere respinta. È invece fondata quella che si incentra sulla seconda delle

questioni sopra menzionate. Invero l'efficacia del giudicato

penale, nell'ipotesi prevista dall'art. 28, deve essere salvaguar data fino al limite in cui possa essere vulnerato il principio dell'unità della funzione giurisdizionale.

Ciò significa che la preclusione derivante dal giudicato pe nale è, in questi casi, limitata a ciò che concerne l'accerta

mento dei fatti identificati nella sentenza penale ma non im

pedisce al giudice civile una diversa valutazione giuridica dei fatti stessi per le conseguenze di ordine civile (od ammini

strativo) in altro giudizio. Questo principio è stato già affermato da questo Supremo

collegio in altre decisioni e, in particolare, in quella delle Se

zioni unite 21 gennaio 1958, n. 230 (Foro it., Rep. 1958, voce Giudizio (rapporto), n. 113).

Nel caso concreto, quindi, era precluso al giudice civile sol

tanto un accertamento sul comportamento del Castagna, nel

l'autocorriera, al momento in cui fu investito ed ucciso il Ca

vagna. Tale comportamento era stato cosi definito: « il Casta

gna stava in piedi dietro il conducente (Soini) e ne richiamò l'attenzione quando era comparso alla vista il ciclista ».

Il giudice penale, in base ad una sua valutazione trasse da

questo accertamento il convincimento della responsabilità del Soini per la contravvenzione di cui al 3° comma dell'art. 96

cod. strad. 1933 ma nessuna deduzione giuridica egli trasse dal

medesimo fatto nei confronti del Castagna. Il giudice civile non era, pertanto, vincolato dalla valuta

zione che del fatto aveva effettuato il giudice penale nei con

fronti del Soini ed è un errore della sentenza impugnata essersi richiamata puramente e semplicemente per affermare la re

sponsabilità indiretta del Castagna ex art. 2048 cod. civ., alla

valutazione tratta dal giudice penale per stabilire la responsa bilità penale di altra persona per un reato che quella aveva commesso.

Non spetta al Supremo collegio ma al giudice di merito va lutare se, come afferma il ricorrente, il fatto puro e semplice dì una persona che sia in piedi dietro il conducente e, se

occorra, ne richiami l'attenzione su improvvise situazioni di

pericolo non univocamente possa essere interpretato come ma

nifestazione di un rapporto tra insegnante ed allievo. Su tale rapporto, che è il vero fondamento dell'azione pro

posta contro il Castagna dal Peterlini (e che da questo deve essere provato), non fu istituita alcuna indagine con partico lare riferimento al disposto dell'art. 2048, ed il ricorrente non a torto si duole che cosi la corte di merito abbia violato le norme di cui agli art. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civile.

In relazione a quanto sopra la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra corte d'appello perché, effettuata l'indagine pretermessa dalla corte territoriale, accerti se, nel momento in cui l'autocorriera guidata dal Soini investi ed uccise il Cavagna, si fosse istituito tra il Castagna ed il Soini, tenuto conto della ratio e della lettera della norma di cui all'art. 2048, un rapporto che consenta di attribuire al

primo mansioni di istruttore ed al secondo, che ancora non aveva conseguito la patente per la guida degli autoveicoli, veste di suo apprendista o allievo.

Il quinto motivo del ricorso, con il quale si denunzia la

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Page 5: Sezione III civile; sentenza 1° giugno 1968, n. 1637; Pres. Cannizzaro P., Est. Poddighe, P. M. Caldarera (concl. conf.); Castagna (Avv. Spiazzi) c. Peterlini (Avv. Canfora, Visonà)

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

violazione degli art. 1227 e 2104 cod. civ. condizionatamente al fatto che possa considerarsi immune da censure il ritenuto

rapporto istruttore-apprendista attribuito ai Castagna e Soini, resta assorbito a seguito dell'annullamento di cui sopra. (Omissis)

Per questi motivi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezioni unite civili; sentenza 30 maggio 1968, n. 1615; Pres. Tavolaro P. P., Est. Gambogi, P. M. Criscuoli (conci, conf.); Comune di Castel d'Argile (Avv. Jossa) c. D'Agata.

(Regolamento di giurisdizione)

Impiegato dello Stato e pubblico — Alloggio gratuito — In

giunzione di pagamento delle spese di riscaldamento —

Impugnazione — Giurisdizione amministrativa.

Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo e non del giudice ordinario la controversia nella quale si contesti il diritto al rimborso delle spese di riscaldamento dell'abi tazione di servizio occupata da un impiegato pubblico di ente locale (nella specie, segretario comunale) avente di

ritto, a titolo di rimunerazione del rapporto di impiego, al

l'alloggio gratuito. (1)

(1) Non risultano precedenti editi nella specie della conces sione gratuita al segretario comunale, all'infuori di Cass. 12 ot tobre 1962, n. 2928 (Foro it., Rep. 1962, voce Segretario comu

nale, n. 5), dalla quale l'Ufficio massimario estrasse, tra l'altro, queste due massime ufficiali (id., Mass., 827):

« Non è configurable il presupposto della giurisdizione esclu siva del Consiglio di Stato se è l'ente pubblico che agisce in giu dizio contro l'impiegato.

« In mancanza di norme legislative che facciano rientrare il godimento di un alloggio gratuito tra gli elementi costitutivi della retribuzione, la concessione dell'alloggio si concreta in un atto di liberalità dell'amministrazione sempre revocabile, indipenden temente dalla cessazione del rapporto d'impiego; l'alloggio con cesso dai comuni della classe IV ai segretari comunali per effetto dell'art. 19 della legge 9 agosto 1954 n. 748, non dà origine ad un diritto soggettivo connesso al rapporto di pubblico impiego ».

Dalla motivazione della sentenza, riportata in Giust. civ., 1963, I, 317, risulta che le Sezioni unite dichiararono la giurisdi zione del magistrato ordinario a conoscere della domanda di rilascio dell'alloggio gratuito, proposta dal comune contro il segretario comunale, non solo perché attore in giudizio era il comune, ma anche perché i comuni di quarta classe hanno la « facoltà » di fornire gratuitamente l'alloggio al segretario, e « il godimento gratuito dell'alloggio non viene a costituire, per il solo fatto che il comune si sia avvalso della facoltà, un elemento della retribu zione, e la legge stessa, che contiene la disposizione, non include nella tabella allegata relativa agli stipendi dei segretari comunali, tra gli elementi anzidetti, l'indennità sostitutiva dell'alloggio ».

Riteneva ancora la sentenza citata: « Con il primo mezzo del ricorso, Mario Dal Zotto denuncia

la violazione degli art. 19 legge 9 agosto 1954 n. 748, 227 t. u. legge com. e prov., 29, n. 1, legge 26 giugno 1924 n. 1054 sul Consiglio di Stato, 667 e 429 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, n. 1, di questo codice; e sostiene che i giudici del merito avreb bero dovuto dichiarare il difetto di giurisdizione sulla domanda di rilascio dell'alloggio il cui godimento gli era stato concesso, con apposita deliberazione, nella sua qualità di segretario co munale.

« La censura, che deriva da una confusione di concetti, non è fondata.

« È certamente esatto che, attribuendo la legge 26 giugno 1924 n. 1054 (art. 29) alla giurisdizione del Consiglio di Stato tutti i ricorsi relativi al rapporto d'impiego, prodotti, tra gli altri, dagli impiegati dello Stato, e i segretari comunali e provinciali, sia pure con distinto stato giuridico, hanno la qualifica di funzionari dello Stato ai sensi dell'art. 173 legge 27 giugno 1942 n. 851, quando l'affermazione anche di diritto soggettivo, che si vuol far valere verso la pubblica amministrazione, abbia il suo titolo necessario

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con cita

zione notificata il 25 maggio 1967 D'Agata Amelio convenne

in giudizio dinanzi al Pretore di Bologna il comune di Castel

dArgile, alle cui dipendenze si trovava quale segretario comu

nale, chiedendo che fosse dichiarata nulla la ingiunzione am

ministrativa con la quale il sindaco di detto comune gli aveva

nel rapporto di pubblico impiego, la competenza a giudicare spetta al giudice amministrativo.

« Nel caso di specie, però, questo principio non è utilmente invocato non essendo configurabile, sotto un duplice profilo, il pre supposto della competenza esclusiva amministrativa pretesa dal

l'impiegato e collegamento causale tra la pretesa e il rapporto di

pubblico impiego. « Anzitutto è l'ente che agisce in giudizio, e questo rilievo è

per sé decisivo e assorbente per escludere 'la sussistenza del pre supposto, ma non è affatto esatta la tesi secondo cui il godimento dell'alloggio si concreta, per il segretario comunale, in un diritto

soggettivo connesso al rapporto di pubblico impiego. « Infatti, l'art. 19 legge 9 agosto 1954 n. 748, contenente

modifiche alla legge 27 giugno 1942 n. 851 sullo stato giuridico dei segretari comunali e provinciali, stabilisce che i comuni della classe IV hanno « la facoltà » di fornire gratuitamente l'alloggio al segretario.

« Ora il godimento gratuito dell'alloggio non viene a costituire, per il solo fatto che il comune si sia avvalso della facoltà, un ele mento della retribuzione; e la legge stessa, che contiene la dispo sizione, non include, nella tabella allegata relativa agli stipendi dei segretari comunali, tra gli elementi anzidetti, l'indennità sosti tutiva dell'alloggio.

« Né vale il coordinamento, cui si riporta il ricorso, tra l'art. 19 della legge n. 748 e l'art. 227 t. u. legge com. e prov., approvato con r. decreto 3 marzo 1934 n. 383, in base al quale i comuni non possono modificare in danno degli impiegati il trattamento economico già raggiunto, perché questa ultima norma riguarda il trattamento stabilito dalla tabella di progressione in carriera, costi tuita dallo stipendio e dagli altri emolumenti, previsti dalla legge, che al primo si aggiungono con carattere di stabilità.

« Nemmeno può sostenersi che, trattandosi non di facoltà discrezionale ma di facoltà autorizzata per i soli comuni della classe IV, il godimento dell'alloggio venga a fondersi, per effetto della legge innovatrice, nella prestazione pecuniaria.

« Questa tesi trova espressa smentita nella legge 5 dicembre 1959 n. 1077 sul « miglioramento del trattamento di quiescenza e

adeguamento delle pensioni a carico della cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali facente parte degli istituti di previ denza presso il ministero del tesoro », la quale, negli art. 17, lett. e, e 15, stabilisce che anche gli assegni in natura e le inden nità sostitutive degli stessi fanno parte della retribuzione annua contributiva dei segretari comunali e provinciali purché siano costi tutivi della parte fondamentale della retribuzione e siano previsti da disposizioni legislative.

« Pertanto, in mancanza di norme legislative che facciano rientrare un alloggio gratuito tra gli elementi costitutivi della retri

buzione, la concessione di esso si concreta in un atto di liberalità dell'amministrazione sempre revocabile, indipendentemente dalla cessazione del rapporto di impiego ».

Ma, mentre l'art. 19 della legge 9 agosto 1954 n. 748, in allora

applicato ratione temporis dalle Sezioni unite, conferiva ai soli

comuni di quarta classe la facoltà di fornire gratuitamente l'al

loggio al segretario, l'art. 43 della legge 8 giugno 1962 n. 604, ratione temporis applicabile, ma non citato nella motivazione della sentenza riportata, la quale pone e risolve la questione di

giurisdizione in termini generali d'imipiego pubblico, distingue tra comuni di quarta e di quinta classe, i quali hanno facoltà di for nire gratuitamente l'alloggio al segretario o di corrispondergli una indennità in misura non superiore al quinto dello stipendio, e co muni di quinta classe e comuni montani di quarta, dal prefetto dichiarati sedi disagiate, per i quali la fornitura dell'alloggio o la

corresponsione dell'indennità è obbligatoria. Se dalla sentenza riportata non risulta in qual classe il co

mune di Castel d'Argile sia compreso, dalla configurazione di « diritto », data dal segretario alla propria pretesa all'alloggio, sembra trattarsi di comune, per il quale la fornitura dell'alloggio fosse obbligatoria, ma si potrebbe pur osservare che le Sezioni unite fan leva non tanto sul carattere facoltativo o obbligatorio della concessione, quanto sul collegamento causale tra questa e il rap porto d'impiego, il quale sussisterebbe anche nell'ipotesi in cui il

comune, esercitando la facoltà, si determinasse a fornire l'al

loggio. Se cosi fosse, vi sarebbe contrasto tra la ratio decidendi della sentenza del 1962, che argomentava dal carattere facoltativo della fornitura, per affermare la giurisdizione ordinaria, e la ratio decidendi della sentenza del 1968, che muove dal collega

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