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sezione III civile; sentenza 1° giugno 2000, n. 7273; Pres. Giuliano, Est. Vittoria, P.M. Russo(concl. conf.); Soc. Immobildream (Avv. Guglielmetti) c. Boscarino (Avv. Grassi). ConfermaApp. Roma 3 dicembre 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 2 (FEBBRAIO 2001), pp. 561/562-569/570Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197552 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sione del brevetto»: è quindi la brevettazione — in quanto co
stitutiva — che condiziona l'insorgere di tali diritti e, quindi, del diritto al premio.
Appare pertanto non condivisibile l'opinione contraria secon
do cui, poiché i diritti derivanti dall'invenzione (e quindi il di ritto di brevettarla, o no, di divulgarla o di tenerla segreta) ap
partengono al datore di lavoro, ex art. 4 r.d. 1127/39, sin dal
momento in cui la stessa viene ad esistenza, anche il diritto al
l'equo premio sorgerebbe in questo momento, al punto che non
inciderebbe su tale diritto l'eventuale decisione del datore di la
voro di non brevettarla o, comunque, di non utilizzare in alcun
modo il trovato (sicché quel diritto sarebbe esigibile soltanto dal
momento in cui il dipendente abbia comunicato al datore di la
voro i dati relativi all'invenzione).
L'opinione, difatti, in sostanza annetterebbe valore, alfine, alla «brevettabilità», e cioè al fatto che l'invenzione abbia tutte
le caratteristiche che ne consentirebbero la brevettazione.
Ma tale condizione sarebbe irrilevante dal momento che, co
me si è più sopra rilevato, i diritti (del datore di lavoro) «sono
conferiti con la concessione del brevetto».
Se, pertanto, la concessione è «costitutiva» (del brevetto, e,
quindi) di detti diritti, è ovvio che questi non potranno che sor
gere con la brevettazione.
Conseguentemente il diritto alla brevettazione non potrebbe essere posto
— al fine di cui si discute — sullo stesso piano dei
diritti del datore di lavoro derivanti dalla stessa, posto che dal
primo diritto non conseguono «direttamente» i secondi: e solo il
sorgere di questi, come si è più sopra rilevato, determina il sor
gere del diritto al premio. L'individuata disciplina non è incisa dal rilievo che il datore
di lavoro, notiziato dell'invenzione potrebbe non brevettarla,
utilizzandola o no.
Siffatta circostanza, difatti, porrebbe la questione — non pro
spettata e quindi non esaminabile — degli eventuali rimedi o
delle eventuali azioni esperibili dal lavoratore autonomamente,
oppure nei confronti del datore di lavoro in ordine sia alla non
eseguita brevettazione, sia all'utilizzazione «di fatto» dell'in
venzione.
Per le considerazioni appena enunciate il primo motivo —
mirante a ricomprendere nell'ambito del diritto all'equo premio anche le innovazioni realizzate dal Panini ma non brevettate —
non può trovare accoglimento. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impu
gnata perché ha disconosciuto il suo diritto all'equo premio sulla base dell'accertata nullità di tutti e quattro i brevetti, lad
dove tale nullità non osterebbe all'accoglimento della sua prete sa.
Il motivo è fondato nei termini che seguono. Come si è rilevato nell'esame del primo motivo la brevetta
zione determina contemporaneamente sia l'insorgenza dei diritti
del datore di lavoro, che l'insorgenza del diritto all'equo pre
mio; la brevettazione cioè è costitutiva — quale unica fonte —
di entrambi i diritti. Consegue che solo la rimozione — e con efficacia ex tunc —
del brevetto sarebbe, in quanto caducativa dei diritti del datore
di lavoro, altresì idonea a caducare il diritto all'equo premio. La declaratoria — meramente incidentale — della nullità del
brevetto sarebbe difatti inidonea allo scopo in quanto non
avrebbe incidenza alcuna sui diritti del datore di lavoro dal mo
mento che questi trovano — e continuano a trovare — la loro
fonte unicamente nel brevetto, che in tal caso rimarrebbe fermo:
e si è rilevata l'imprescindibilità della connessione tra l'insor
genza dei diritti del datore di lavoro e l'insorgenza del diritto al
premio. Orbene, l'indicata rimozione non può che avvenire con il ri
spetto delle formalità previste dalla normativa brevettuale per il
relativo procedimento (ad es., intervento obbligatorio del p.m. ex art. 70, n. 1, c.p.c. e 78 r.d. 1127/39; rispetto del contraddit
torio previsto dal citato art. 78; comunicazione prevista dal suc
cessivo art. 80, ecc.). Il giudice del merito avrebbe, pertanto, dovuto esaminare
l'eccezione di nullità dei brevetti — che egli ha asserito propo sta già in primo grado
— alla stregua delle rilevate considera
zioni, e cioè: a) che l'unica via per escludere il diritto all'equo
premio è la rimozione con efficacia ex tunc del brevetto; b) che
tale rimozione può avvenire soltanto con l'apposito procedi mento. E detto esame avrebbe dovuto consistere nell'accerta
II Foro Italiano — 2001.
mento che l'eccezione: a) concretasse effettivamente mera ec
cezione, e cioè richiesta di accertamento incidentale della nulli
tà: nel qual caso l'eccezione avrebbe dovuto essere respinta per ché ininfluente; b) concretasse, invece, sostanzialmente doman
da riconvenzionale di accertamento autonomo della nullità dei
brevetti: nel qual caso si sarebbe dovuto dar corso al menzio
nato apposito procedimento.
L'accoglimento del secondo motivo del ricorso comporta l'assorbimento del quarto motivo.
Anche il terzo motivo rimane assorbito.
La deduzione del difetto di interesse del datore di lavoro a
perseguire la nullità dei brevetti da lui stesso richiesti, difatti: a) nel caso si ritenesse proposta mera eccezione di nullità dei bre
vetti sarebbe irrilevante a seguito del rigetto —
per ininfluenza, come si è già rilevato — di tale eccezione; b) nel caso si ritenes
se proposta domanda (riconvenzionale) di nullità dei brevetti
dovrebbe essere esaminata dal giudice del relativo (apposito)
procedimento. Per le ragioni esposte, la sentenza del Tribunale di Taranto va
cassata in relazione al secondo motivo accolto, e la causa va
rinviata ad altro giudice di appello che, secondo la disciplina transitoria dettata dalla recente legge sul giudice unico (art. 135
d.leg. 19 febbraio 1998 n. 151) si designa nel Tribunale di Lec ce, il quale dovrà uniformarsi a quanto rilevato, nonché al se
guente principio di diritto: «nel caso di invenzioni di azienda ex
art. 23, 2° comma, r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, il diritto al pre mio e l'obbligo di corrisponderlo sorgono con la brevettazione;
l'obbligo può venir meno solo con la rimozione, con effetto ex
tunc, del brevetto; la rimozione consiste nella declaratoria giu diziale di nullità del brevetto; la declaratoria può avvenire —
non in via meramente incidentale ma — unicamente con senten
za emessa in esito allo speciale procedimento disciplinato dal
citato decreto del 1939».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 1°
giugno 2000, n. 7273; Pres. Giuliano, Est. Vittoria, P.M.
Russo (conci, conf.); Soc. Immobildream (Avv. Guglielmet
ti) c. Boscarino (Avv. Grassi). Conferma App. Roma 3 di
cembre 1996.
Mediazione e mediatore — Mediazione atipica — Termine Anale dell'incarico — Scadenza — Omessa comunicazio
ne della conclusione dell'affare — Conseguenze (Cod. civ.,
art. 1754).
Nell'ipotesi in cui venga conferito un incarico mediatizio atipi co con la previsione di un termine finale per la realizzazione
dell'attività, la comunicazione del mediatore di aver esple tato l'incarico deve pervenire alla parte che glielo ha affi dato prima che il termine scada; altrimenti, il contratto è
sciolto ed il mediatore non ha diritto alla provvigione. (1)
(1) I. - La mediazione, si sa, è obbligazione di risultato: non solo se
condo quanto affermato dalla dottrina (Galgano, La nuova figura del
mediatore tra professionista e intellettuale ed imprenditore, in La di
sciplina della mediazione, Atti del convegno di Verona del 3 e 4 no
vembre 1989, Padova, 1991, 41), ma soprattutto in base alla lettera del
l'art. 1755 c.c., visto che si ha diritto alla provvigione da ciascuna delle
parti se l'affare è concluso per effetto dell'intervento mediatizio. L'art.
1754 c.c. chiarisce quale tipo di attività minima sia necessario (e suffi
ciente) perché possa parlarsi di mediazione e ricostruire, così, un nesso
di causalità tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare: nel
parlare di «segnalazione dell'affare», l'articolo in parola offre alla dot
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563 PARTE PRIMA 564
Svolgimento del processo. — 1. - Roberto Carlino, titolare
della ditta Immobildream, conveniva in giudizio la sig. Iole Bo
scarino e con la citazione a comparire davanti al Tribunale di
Roma, notificata il 23 novembre 1987, proponeva in suo con
fronto una domanda di condanna all'adempimento e perciò al
pagamento della somma di quattordici milioni di lire. Esponeva che la sig. Boscarino, il 18 giugno 1987, l'aveva
incaricato di compiere tutti gli atti necessari ed opportuni a
promuovere e concludere la vendita di un immobile di sua pro
prietà. L'incarico aveva la durata di novanta giorni.
trina lo spunto per affermare l'impossibilità di una soluzione univoca, «dovendosi distinguere a seconda della natura della segnalazione, che,
per realizzare la fattispecie contemplata dall'art. 1754 c.c., dovrà essere così specifica da consentire alle parti, senza necessità di ulteriori atti vità preliminari, una diretta presa di contatto» (Cataudella, Mediazio ne,, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XIX, 3; v., anche, Cass. 16 gennaio 1997, n. 392, Foro it., 1997, I, 1864: «per aversi diritto alla provvigione è sufficiente che la conclusione dell'affa re possa ricollegarsi all'opera svolta dal mediatore per l'avvicinamento dei contraenti, con la conseguenza che anche la semplice attività di ri trovamento ed indicazione dell'altro contraente o di segnalazione del l'affare legittima l'esigibilità della stessa, purché tale attività costitui sca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti»). In sostanza, l'affare potrà dirsi concluso quando l'interes se economico perseguito dalle parti riceva tutela dall'ordinamento giu ridico, intendendosi unanimemente che per affare deve intendersi qual siasi operazione economica produttiva di un vincolo giuridico che abi liti ciascuna delle parti ad agire per l'adempimento (Troisi, La media
zione, Milano, 1995, 88). Vi sono, però, varianti che complicano il modello principale. Nel no
stro caso, chi conferiva l'incarico (convenuto, poi, in giudizio) si impe gnava a pagare la provvigione, anche se «durante il periodo di manda
to», che prevedeva un termine finale di novanta giorni, avesse rinun ciato a vendere alle condizioni stabilite o avesse venduto direttamente.
Cosa, quest'ultima, puntualmente avvenuta, dacché — ed è qui il
punctum dolens dell'intera vicenda — la segnalazione da parte del me diatore era avvenuta oltre la scadenza del termine finale, come fissato dalle parti. Di qui il dubbio: per rendere operativa l'obbligazione patti zia di pagare la provvigione anche in caso di mancata conclusione del
l'affare, è sufficiente che durante il «periodo di mandato» il mediatore trovi la persona interessata all'acquisto alle condizioni inizialmente fis sate dalla convenuta e gliene dia notizia, ovvero è necessario che la stessa comunicazione sia ricevuta entro il termine convenzionale?
II. - Ripercorrere la linea logica seguita dalla sentenza in rassegna of fre la traccia per un'esplorazione a largo raggio delle complicazioni del
rapporto mediatizio. In particolare, come detto, la committente aveva
gravato il proprio incarico con un patto di irrevocabilità in virtù del
quale s'impegnava a pagare la provvigione, anche se «durante il perio do di mandato» avesse rinunciato a vendere alle condizioni stabilite o avesse provveduto a vendere direttamente. Possibilità assolutamente
legittima, che vale a rendere la mediazione atipica, come da ultimo riaf fermato da Cass. 16 febbraio 1998, n. 1630, Foro it., 1999, I, 2662
(che, per quel che ci riguarda, può essere assunta come leading case), secondo cui «si configura come contratto di mediazione atipica il con tratto di mediazione cui siano stati aggiunti il patto d'irrevocabilità
temporanea e il patto con il quale la parte che si avvale dell'opera del mediatore si obbliga a concludere l'affare alle condizioni indicate nel l'incarico» (v., però, l'opinione contraria di Perfetti, La mediazione -
Profdi sistematici ed applicativi, Milano, 1996, 105 ss., spec. 114, se condo cui «è ... evidente come tutte le clausole che in un modo o nel l'altro agganciano la remunerazione al solo esercizio in sé dell'attività
prescindendo completamente da qualsiasi collegamento con la conclu sione dell'affare, danno vita ad una fattispecie che non ha nulla a che vedere con la mediazione e che piuttosto rimanda al contratto d'ope ra»). In tal senso, i patti di esclusiva e/o di irrevocabilità temporanea (come nel nostro caso) sono compatibili con la struttura del rapporto di mediazione: nella pratica, è frequente che il mediatore, per rafforzare la
prospettiva di vedere remunerata l'attività che si accinge ad intrapren dere, richieda a chi gli conferisce l'incarico, da un lato, di obbligarsi a non concludere l'affare al di fuori del proprio intervento, dall'altro, di rinunciare alla libertà di concludere l'affare con la parte che le sarà
proposta (cfr. Cass. 1630/98, cit.). Il patto, di esclusiva, è valido solo se contenuto in determinati limiti di tempo, posto che ad un tempo limita la libertà contrattuale di chi conferisce l'incarico e lo espone al rischio del risarcimento del danno (già predeterminato) al mediatore, ove non
rispetti il patto. In tal caso, il connotato fondamentale di questo tipo di contratto mediatizio è l'obbligazione, per chi conferisce l'incarico, di
pagare comunque al mediatore una somma, pari (o meno) alla provvi gione, anche se l'affare non sarà concluso, sì da consentire al mediatore di impegnarsi tout court nella sua attività, sottraendolo al rischio di non vedersi poi remunerato. Tale tipo di incarico, come anticipato, sfugge alla struttura della mediazione contrattuale tipica, perché il diritto alla
Il Foro Italiano — 2001.
Proseguiva esponendo che, in veste di mediatore, dopo lunga e
laboriosa ricerca, alle condizioni pattuite all'origine, aveva tro
vato un acquirente, il quale aveva sottoscritto il 14 settembre
1987 un'impegnativa di acquisto irrevocabile ed aveva versato un
deposito di cinque milioni di lire. La cliente aveva però comuni cato di voler recedere dal contratto, ma questo dopo essere stata
informata della conclusione dell'affare, con telegramma del 14
settembre 1987 e poi con una lettera raccomandata del 15 settem
bre 1987, che conteneva l'indicazione del nome dell'acquirente e
l'invito a stipulare il contratto preliminare per il 20 ottobre 1987.
provvigione è reso indipendente dalla conclusione dell'affare, pur rima nendo il contenuto dell'incarico quello tipico, ovvero il porre in rela zione la parte che ha conferito l'incarico con un'altra persona interes sata alla conclusione di quel determinato affare. Non si determina, cioè, trasformazione del contratto di mediazione, sia pure reso atipico, nel
mandato, che — pur rappresentando la figura operativamente più affine — comporta il compimento di un'attività di gestione degli affari del
preponente mediante il compimento di uno o più atti giuridici nel suo
interesse, se non in suo nome. In tal senso, gli ultimi approdi giurispru denziali sulla distinzione tra mediazione e mandato affermano (per tut
te, Cass. 1630/98, cit.) che l'elemento distintivo va ravvisato nella na tura dell'attività esercitata, dacché il mandatario compie atti giuridici, mentre il mediatore compie atti materiali (secondo Luminoso, La me
diazione, in Trattato di diritto civile e commerciale fondato da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, Milano, 1993, XXXI, tomo 3, 159, «occorre notare che mentre la mediazione appartiene all'area della co
operazione materiale, non crea alcun obbligo del mediatore di porre in essere l'attività di cooperazione e comporta l'obbligo per l'interme diato di corrispondere il compenso solo in caso di conclusione dell'af
fare, il mandato obbliga il mandatario a porre in essere atti giuridici per conto del mandante (art. 1703) e impegna il mandante a retribuire l'o
pera del primo in sé e per sé, anche quando nessun atto giuridico venga dallo stesso posto in essere»; in senso conforme, Perfetti, op. cit., 271). Il mandatario, cioè, è tenuto all'obbligo di curare l'esecuzione dell'incarico ricevuto, con il diritto al compenso del tutto svincolato dal risultato conseguito (quindi anche se l'affare non è andato a buon fine); il mediatore, invece, ha solo onere di mettere in relazione, in maniera del tutto neutrale ed imparziale, i due contraenti, onde farli pervenire alla conclusione dell'affare, cui è subordinato il diritto al compenso. Posto, dunque, che non si tratta di assimilazione tra le due figure, si
attua, come pure vuole l'odierno estensore, «un'evidente estensione della disciplina legale propria del mandato, [...] il cui presupposto sta nello spostamento del diritto alla provvigione dalla realizzazione del l'affare al compimento dell'attività svolta in funzione della sua conclu sione». Viene ripetuto, in sostanza, lo schema degli effetti della revoca, tacita o espressa, del mandato oneroso conferito per un tempo determi
nato, quando la revoca, non sorretta da giusta causa, sopravviene prima della scadenza del termine (cfr. art. 1724 e 1725 c.c.). Ed è proprio l'a nalisi della disciplina della medesima situazione nel mandato a fornire la traccia per la disciplina applicabile alla mediazione atipica nel caso che ci occupa.
III. - Il mandato per un determinato affare può essere conferito per un tempo prestabilito: in tal caso, le possibilità sono due. Se il manda tario non compie l'affare prima della scadenza del termine, il contratto si scioglie (art. 1722, n. 1, c.c.); se, invece, lo compie, il mandato è
adempiuto, lo scioglimento per scadenza del termine è impedito e la
conseguenza sarà la regolazione degli effetti del compimento dell'affa re sulla scorta del contratto di mandato e della legge, siccome evocata dal contratto stesso. In altri termini, dal momento che attraverso il mandato il mandatario compie l'affare quando impegna sé stesso con cludendo il negozio di gestione, l'incarico del mandatario è assolto
quando quest'ultimo è posto in essere. In tal caso, la comunicazione da
parte del mandatario al mandante può avvenire, secondo l'art. 1712, 1°
comma, c.c., dopo la scadenza del termine, che rimane irrilevante anche con riguardo al compimento degli atti necessari a realizzare gli effetti del negozio compiuto dal mandatario. Se, però, il termine de quo spira quando sono stati posti in essere atti propedeutici, ma non realizzativi dell'affare (si pensi ad una proposta fatta dal mandatario che rimanga orfana dell'accettazione allo spirare del termine), la successiva attività non sarebbe più qualificabile come afferente al mandato, ma, al più, come attività di gestione degli interessi del mandante, i cui atti esplica tivi sarebbero comunque inutili in rapporto al (cessato) rapporto di mandato.
Analogicamente, la scadenza del termine prima che il mediatore ab bia messo in relazione i contraenti determina lo scioglimento del con tratto, facendo venir meno, per il preponente, l'obbligo di pagare la
provvigione (dovuta per un'obbligazione di risultato), con la sola ecce zione — sempre che non ci siano accordi diversi — di rimborsare al mediatore le spese sostenute in funzione del risultato. Il punto nodale è, allora, stabilire se la comunicazione di avere trovato un contraente
(tanto nella mediazione atipica, quanto nel mandato) rimane estranea all'attività necessaria e tipica del mediatore, in guisa di «obbligazione
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
L'attore concludeva deducendo che, secondo i patti, il com
penso, stabilito in quattordici milioni di lire, avrebbe dovuto es
sergli pagato anche nel caso di rinuncia a vendere durante il pe riodo di mandato.
2. - Iole Boscarino si costituiva in giudizio e resisteva all'ac
coglimento della domanda.
La convenuta incentrava le sue difese sul punto d'aver rice
vuto la sola comunicazione inviatale con lettera raccomandata,
però pervenutale il 19 settembre 1987, quando l'impegno a non
cedere la proprietà ad altri o a non revocare la sua volontà di
vendita era ormai scaduto.
3. - Il tribunale accoglieva la domanda con sentenza del 3 ot
tobre 1994.
Riteneva che le parti avessero previsto il tacito rinnovo del
l'incarico alla scadenza del primo periodo di novanta giorni, se
fosse mancata una disdetta espressa. 4. - La decisione è stata riformata dalla Corte d'appello di
Roma, che ha rigettato la domanda, con sentenza del 3 dicembre
1996. 5. - La corte d'appello ha considerato che il contratto di me
diazione era stato stipulato il 18 giugno 1987, presentava un
termine finale di novanta giorni, non ne era previsto il rinnovo
in caso di mancata disdetta.
Ha poi affermato che quello intercorso tra attore e convenuta
era un contratto di mediazione e che nella mediazione, se sia
stabilito un termine finale, prima che questo scada il mediatore
deve aver messo in relazione tra loro le parti dell'affare per cui
ha ricevuto l'incarico. Ma questo, nel caso, non era avvenuto,
perché la comunicazione del mediatore, sebbene inviata il 16
settembre 1987, ultimo giorno di durata dell'incarico, era per venuta alla sua cliente dopo la scadenza del termine, ovverosia
il 19 settembre 1997, come era risultato provato. 6. - Ha proposto ricorso per cassazione la società Immobil
dream s.p.a., già parte del giudizio d'appello. Iole Boscarino ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso contiene un motivo.
accessoria volta a far conoscere l'esito dell'attività svolta sulla base
dell'incarico ricevuto»; ovvero se costituisce un'ulteriore attività do
vuta, inerente, cioè, all'obbligazione di risultato utile per il raggiungi mento del diritto alla provvigione. Nel mandato, tale comunicazione è
obbligazione accessoria rispetto al compimento dell'attività di gestione,
poiché la produzione di effetti giuridici tipica dell'istituto è collegata al
negozio posto in essere dal mandatario con il terzo. Nella mediazione
contrattuale atipica, pur richiedendosi al mediatore di raggiungere un
risultato meno intenso rispetto alla norma — il che avviene non richie
dendo che le parti interessate all'affare, messe in relazione tra loro, lo
concludano —, sarà comunque necessario che le parti vengano messe
in relazione tra loro. Ne discende logicamente che occorre l'indicazio
ne, da parte del mediatore, del contraente: è necessario che il mediatore
faccia sapere al preponente di avere trovato un contraente, perché possa dirsi realizzata la messa in relazione (viceversa, nel mandato è suffi
ciente, perché l'affare possa dirsi concluso, che il solo mandatario sta
bilisca il contatto con il terzo, dacché si tratta di un negozio giuridico
impegnativo per il mandatario e, per via mediata, anche per lo stesso
mandante). Se, dunque, il mediatore atipico deve comunicare al preponente di
aver trovato l'altro contraente, il precipitato logico affermato dalla
sentenza in rassegna è che la comunicazione in parola deve essere (non solo fatta dal mediatore, ma anche) ricevuta dal preponente prima della
scadenza del termine di efficacia del contratto, «perché è insito nelle
dichiarazioni aventi come contenuto una notizia indirizzata ad una parte che l'effetto giuridico che vi si ricollega postuli che la comunicazione
sia ricevuta». Soluzione ulteriormente giustificata, a detta della corte,
dalla fissazione del termine e dall'obbligo di corrispondere la provvi
gione alla sola messa in relazione, che ha la funzione, a fronte della li
mitazione della libertà contrattuale del preponente, di compulsare il
mediatore per la realizzazione dell'affare: appare cioè giustificato ad
dossare al mediatore, gravato di un incarico certamente più semplice ri
spetto alla norma, un onere di informazione ulteriore, piuttosto che ac
collare al preponente il compito di tenersi (pure) informato sullo svol
gimento dell'incarico stesso. Del pari, appare ingiustificato imporre al
preponente di pagare la provvigione, qualora — non avendo ricevuto in
termine la comunicazione del mediatore — si sia già impegnato con un
terzo, confidando nella mancanza di notizie positive allo spirare del
termine di efficacia del contratto. Si finisce così con l'evocare l'allar
gamento dell'orizzonte degli obblighi di informazione a carico del me
diatore atipico. Ma questa è un'altra storia. [M. Caputi]
Il Foro Italiano — 2001.
1.1. - La cassazione della sentenza vi è chiesta per violazione
di legge e difetto di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., in
relazione agli art. 1362 ss. c.c.). La ricorrente osserva che il rapporto giuridico intercorso tra
le parti, pur inquadrandosi nell'ambito generale della mediazio
ne, presenta elementi di atipicità e questo per il concorso di più elementi: il preventivo ed espresso conferimento dell'incarico di
reperire un acquirente ad opera di una delle parti dell'affare da
concludere; l'impegno di chi ha conferito l'incarico di conclu
dere la vendita alle condizioni stabilite; la clausola per cui il
compenso sarebbe spettato anche nel caso in cui chi conferiva
l'incarico avesse rinunciato a vendere alle condizioni concor
date o avesse venduto direttamente lui.
La ricorrente considera che la corte d'appello ha omesso di
considerare il complesso di queste clausole; che se lo avesse
fatto sarebbe dovuta appunto pervenire alla conclusione che la
disciplina del rapporto non poteva essere tratta solo dalle norme
sulla mediazione; che in questo quadro diveniva rilevante, ai fi
ni del considerare espletato l'incarico, il fatto che il compratore fosse stato reperito entro il termine finale stabilito ed irrilevante,
per contro, che la comunicazione fosse pervenuta alla convenuta
qualche giorno dopo. 1.2. - Il motivo non è fondato.
2. - La violazione di norme di diritto che, secondo la ricor
rente sarebbe presente nella decisione, se ci fosse, non riguarde rebbe le norme che regolano l'interpretazione del contratto, ma
quelle da cui deve trarsi la disciplina del rapporto che ne è sca
turito.
Nel caso, questo è pacifico, non è stato l'attore di sua inizia
tiva a svolgere un'attività intesa a mettere la convenuta in con
tatto con un acquirente (art. 1754 c.c.), ma è stata la convenuta a
dare all'attore l'incarico di trovare una persona interessata ad
acquistare alle condizioni da lei indicate un immobile di sua
proprietà. Inoltre, tra l'acquirente indicato dall'attore alla convenuta e
costei non è stato concluso nessun affare né sulla base di un af
fare concluso per effetto della sua intermediazione (art. 1755
c.c.) l'attore ha preteso dalla convenuta il pagamento della
provvigione. L'ha preteso bensì, deducendo che, secondo l'incarico confe
rito, la convenuta s'era impegnata a pagargli la provvigione, an
che se «durante il periodo di mandato» avesse rinunciato a ven
dere alle condizioni stabilite o avesse lei venduto direttamente.
Ed è ciò che era avvenuto, secondo l'attore, perché egli aveva
trovato l'acquirente durante il periodo di mandato, ma la conve
nuta non aveva voluto concludere l'affare. Mentre costei ha
obiettato che, avendole l'attore comunicato il nome dell'acqui rente quando il periodo di mandato era già scaduto, era tornata
libera di non concludere l'affare.
Sicché la violazione di legge, se ci fosse, sarebbe consistita
nel risolvere in modo erroneo la questione appena vista, che at
tiene alla disciplina del contratto intervenuto tra le parti.
Questione che richiede di stabilire se, per rendere operante
l'obbligazione pattizia di pagare la provvigione anche in caso di
mancata conclusione dell'affare, era sufficiente che «durante il
periodo di mandato» l'attore avesse trovato la persona interes
sata all'acquisto alle condizioni inizialmente fissate dalla con
venuta e gliene avesse dato notizia o era anche necessario che la
convenuta tale comunicazione l'avesse ricevuta.
2.1. - Rientra nello schema tipico della mediazione pure il ca
so della mediazione contrattuale, ovverosia il caso in cui una
parte, volendo concludere un affare, incarica altri di svolgere
un'attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla con
clusione del medesimo affare a determinate prestabilite condi
zioni. Si riferisce appunto a tale incarico, facendone derivare un
rapporto di mediazione tra chi lo dà e chi lo riceve, l'art. 1756
c.c., in quanto fa discendere dall'incarico, salvo patto contrario,
l'obbligazione di rimborsare al mediatore le spese fatte per ese
guirlo, anche quando l'affare non si sia concluso (ulteriore rife
rimento al contratto può considerarsi contenuto nell'art. 5, 4°
comma, 1. 3 febbraio 1989 n. 39, dove è menzione dei moduli e
formulari impiegati dal mediatore professionale nell'esercizio
della sua attività e delle condizioni generali di contratto in essi
inserite). E perciò, da un lato il mediatore resta libero di svolgere o
meno l'incarico (Cass. 17 novembre 1997, n. 11389, Foro it.,
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PARTE PRIMA 568
Rep. 1997, voce Mediazione, n. 15); dall'altro la parte che
glielo conferisce è libera di concludere o no l'affare una volta
che il mediatore l'abbia posta in relazione con altra persona in
teressata (Cass. 9 ottobre 1997, n. 9818, ibid., n. 19), sicché di penderà dall'essere stato l'affare concluso se il mediatore ac
quisterà o no diritto alla provvigione (art. 1755 c.c.). L'incarico può essere dato al mediatore per un tempo presta
bilito, ma se a ciò non si accompagnano altri patti, il decorso del
termine resta senza rilievo in ordine al diritto del mediatore alla
provvigione, sia pure in misura diversa da quella stabilita dalle
parti eventualmente in eccesso rispetto a tariffe od usi, perché, se anche il mediatore l'altra persona la trova dopo, una volta
che tra le parti l'affare si concluda, egli avrà diritto alla provvi
gione in base alle norme che regolano la mediazione di fonte
non negoziale (art. 1754 e 1755 c.c.) (Cass. 23 aprile 1999, n.
4043, id., Rep. 1999, voce cit., n. 27). 2.2. - Quando la persona che esercita professionalmente l'at
tività di mediatore riceve l'incarico da una parte, è frequente che, per rafforzare la prospettiva di vedere remunerata l'attività
che si accinge ad intraprendere, richieda a chi le conferisce l'in
carico da un lato di obbligarsi a non concludere l'affare al di
fuori del proprio intervento, dall'altro di rinunciare alla libertà
di concludere o no l'affare con la parte che le sarà proposta (Cass. 16 febbraio 1998, n. 1630, id., 1999,1, 2662).
Questo patto, che limita la libertà contrattuale di chi dà l'in
carico, è valido se contenuto in determinati limiti di tempo;
espone chi conferisce l'incarico, se non osserva il patto, a dover
pagare al mediatore un risarcimento del danno, in misura an
ch'essa predeterminata. Si tratta di stabilire, in rapporto ad un accordo così struttura
to, quale ruolo assolva la scadenza del termine finale e quale ri
lievo assuma il fatto che il mediatore abbia raccolto la manife
stazione della volontà di un terzo di voler concludere l'affare
sulla base delle condizioni indicategli, ma sopravvenga la sca
denza del termine prima che la parte che gli ha conferito l'inca
rico ne abbia potuto avere conoscenza.
2.3. - Ciò che connota il contratto di mediazione nell'ipotesi che si viene considerando, è l'obbligazione di chi conferisce
l'incarico, di pagare comunque al mediatore una somma, pari o
no alla provvigione, anche se l'affare non sarà concluso.
L'esigenza che sta alla base di questo patto è quella di con
sentire al mediatore, che può fare affidamento su una determi
nata durata dell'incarico, di impegnare la propria organizzazio ne in una programmata attività di ricerca dell'altro contraente
interessato alla conclusione dell'affare, sottraendolo al rischio
di non raccogliere la remunerazione dell'attività svolta.
Da qui, appunto, la conseguenza che il diritto alla provvigio ne sorge, per il mediatore, quando egli ha svolto l'incarico affi
datogli, anche se tra le parti da lui messe in relazione l'affare non si concluda; di qui l'ulteriore conseguenza che una revoca
dell'incarico sopravvenuta prima del termine, perché la parte conclude direttamente da sé l'affare o perché rinunzia a conclu
derlo, la espone a risarcimento del danno, di cui l'accordo può predeterminare l'ammontare, secondo lo schema della clausola
penale (Cass. 16 febbraio 1998, n. 1630, cit.). Un incarico a termine caratterizzato da questi patti dà luogo
ad un accordo che, nel suo complesso, non è più riconducibile ad una mediazione contrattuale tipica, perché il diritto alla
provvigione è reso indipendente dalla conclusione dell'affare. Non determina però necessariamente la trasformazione della
mediazione in altro tipo di contratto ed in particolare in un con tratto di mandato (di cui, del resto, l'attore ed attuale ricorrente non ha neppure in questa sede affermato l'esistenza).
Sino a quando contenuto dell'incarico resta il compimento di
un'attività di intermediazione, ovverosia di un'attività volta a
porre in relazione chi ha conferito l'incarico con altra persona interessata alla conclusione di quel determinato affare, e sino a
quando contenuto dell'incarico non diviene il compimento di^ un'attività di gestione degli affari del preponente mediante il
compimento di uno o più atti giuridici nel suo interesse se non anche in suo nome, l'accordo resta un contratto di mediazione sia pure atipica e non un contratto di mandato (art. 1703 c.c.) (sulla distinzione tra mandato e mediazione, per tutte, Cass. 18 febbraio 1998, n. 1719, id., Rep. 1998, voce Mandato, n. 8).
Tuttavia, i patti che caratterizzano questa mediazione atipica attuano un'evidente estensione della disciplina legale propria del mandato, estensione il cui presupposto sta appunto nello
Il Foro Italiano — 2001.
spostamento del diritto alla provvigione dalla realizzazione del
l'affare al compimento dell'attività svolta in funzione della sua
conclusione.
Quei patti ripetono infatti lo schema degli effetti della revoca
tacita o espressa del mandato oneroso conferito per un tempo
determinato, quando la revoca, non sorretta da giusta causa, so
pravviene prima della scadenza del termine (art. 1724 e 1725
c.c.). Appare dunque costituire un utile modo per ricercare la disci
plina applicabile alla mediazione atipica nel caso che si pro
spetta, Quello di partire dalla considerazione del modo in cui la
medesima situazione è regolata nel caso del mandato.
2.4. - Il mandato per un determinato affare può anch'esso es
sere dato per un tempo prestabilito. In questo caso, se il mandatario non compie l'affare prima
della scadenza del termine, il contratto si scioglie (art. 1722, n.
1, c.c.); se lo compie, il mandato è adempiuto e lo scioglimento del contratto per scadenza del termine è impedito, con la conse
guenza che gli effetti del compimento dell'affare da parte del
mandatario, nei rapporti tra mandatario e mandante, mandatario
e terzo, mandante e terzo saranno regolati dal contratto di man
dato e dalla legge sulla base di tale contratto.
Poiché con il mandato il preponente investe il mandatario del
potere di gestire l'affare nel proprio interesse (art. 1705 c.c.) ed
eventualmente nel proprio nome (art. 1704 c.c.) ed il mandatario
ha perciò il potere di porre in essere gli atti giuridici necessari
(art. 1708 c.c.), il mandatario compie l'affare quando impegna sé stesso concludendo il negozio di gestione.
Quando il negozio di gestione sia posto in essere, l'incarico
del mandatario è assolto.
La comunicazione del mandatario al mandante (art. 1712, 1°
comma, c.c.) ben può avvenire dopo la scadenza del termine, come dopo la scadenza del termine potranno dovere essere posti in essere gli atti necessari a realizzare gli effetti del negozio
compiuto dal mandatario, ad esempio a trasferire al mandante i
beni acquistati dal mandatario (art. 1706, 2° comma, c.c.). La scadenza del termine può però sopravvenire quando dal
mandatario o in suo confronto siano stati posti in essere atti che
preludono alla conclusione dell'affare, ma non la realizzano, come nel caso che il mandatario abbia fatto una proposta indi
cando che l'accettazione deve pervenirgli entro il termine di
scadenza del suo mandato, ma l'accettazione del terzo gli per
venga dopo, o abbia ricevuto una proposta e sia lui ad emettere
la relativa dichiarazione di accettazione a termine scaduto.
Se il sopravvenire del termine ad affare non concluso deter
mina lo scioglimento del contratto, il mandato cessa di poter co
stituire la base per qualificare la successiva attività del mandata
rio come attività di gestione degli interessi del mandante e per ciò il mandatario inutilmente porrebbe in essere, in rapporto al
preponente, nel primo caso, una dichiarazione avente il conte
nuto di considerare efficace l'accettazione pervenutagli tardi vamente (art. 1326, 3° comma, c.c.) e nel secondo una dichiara
zione di accettazione della proposta da parte sua.
2.5. - È possibile allora affermare, passando dal caso del
mandato a quello della mediazione contrattuale atipica sin qui
presa in considerazione, che la scadenza del termine, sopravve nuta prima che il mediatore abbia eseguito la prestazione neces
saria a compiere l'incarico, determina lo scioglimento del con
tratto e quindi fa venire meno per la parte che lo ha conferito
l'obbligo di pagare la provvigione, lasciando operare solo
quello di rimborsare al mediatore le spese sostenute in funzione
del risultato, se le parti non si siano accordate sul punto in modo
diverso.
Si tratta allora di stabilire se la comunicazione d'avere tro
vato una persona interessata all'affare si ponga in questa media
zione atipica, come già nel mandato, fuori dell'attività necessa
ria per compiere l'incarico, rappresentando l'adempimento di
un'obbligazione accessoria volta a far conoscere l'esito dell'at
tività svolta sulla base dell'incarico ricevuto, o costituisca
un'ulteriore attività dovuta perché possa essere considerato che il mediatore abbia fatto quanto a lui richiesto sulla base del contratto per acquistare il diritto alla provvigione.
Nel mandato, la comunicazione del mandatario può essere considerata un'obbligazione accessoria rispetto a quella di com
piere l'attività di gestione, perché è con il negozio posto in esse re dal mandatario col terzo che si producono gli effetti giuridici,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
di cura degli interessi del preponente, cui il mandato è preordi nato.
Nella mediazione contrattuale atipica che si considera, il di
ritto del mediatore alla provvigione, di cui è presupposto l'ese
cuzione dell'incarico da parte sua, non richiede che le parti inte
ressate all'affare, messe in relazione tra loro, lo concludano.
Ma anche in questa mediazione, sarà necessario, perché sorga il diritto alla provvigione, che il mediatore abbia messo in rela zione la parte che l'ha incaricata e da cui attende la provvigione sulla base del contratto, con l'altra parte interessata all'affare, da lui trovata.
Perché ciò avvenga non è necessario che il mediatore presenti l'altra parte a quella da cui ha ricevuto l'incarico, ma è necessa
rio che gliela indichi, ovverosia che le faccia conoscere d'averla
trovata.
L'attività svolta dal mediatore ed il risultato rappresentato dall'aver trovato una persona interessata all'affare ed anche l'a
ver ricevuto una dichiarazione di questa indirizzata alla parte che ha conferito l'incarico si muovono sul piano di un'attività
di intermediazione svolta verso la persona trovata, il che, se
l'affare sia poi concluso, gli consentirà di ottenere anche da co
stei la provvigione. Ma restano su questo piano, sino a quando di tale risultato
non sia informata la persona da cui il mediatore ha ricevuto
l'incarico.
Nucleo essenziale dell'attività di intermediazione, del mettere
le parti in relazione, è invero che la parte da cui il mediatore
pretenda la provvigione, nella mediazione non negoziale, come
in quella contrattuale, appunto come risultato dell'attività del
mediatore sia stata messa in grado di avvicinare un'altra parte, interessata alla conclusione dell'affare.
Dunque, mentre il contatto stabilito dal mandatario col terzo,
tradottosi in un negozio giuridico impegnativo per il mandata
rio, è sufficiente perché si debba ritenere che egli abbia conclu
so l'affare nel termine stabilito, il medesimo contatto stabilito
dal mediatore col terzo non è sufficiente nella mediazione con
trattuale atipica che si è venuta considerando perché possa rite
nersi che il mediatore abbia eseguito l'incarico, restando al me
diatore di indicare alla parte da cui ha ricevuto l'incarico il terzo
con cui può concludere l'affare.
2.6. - Acquisito che, per poter considerare assolto il suo inca
rico sulla base del contratto, il mediatore deve comunicare a chi
glielo ha conferito d'aver trovato la persona interessata a con
cludere l'affare, resta da stabilire se, oltre a dover essere fatta
dal mediatore nel termine, nello stesso termine la dichiarazione
debba anche essere ricevuta.
La risposta è affermativa.
Essa discende da un lato dalle conclusioni raggiunte circa il
dovere del mediatore di darla, dall'altro dalla natura dell'atto,
perché è insito nelle dichiarazioni aventi come contenuto una
notizia indirizzata ad una parte che l'effetto giuridico che vi si
ricollega postuli che la comunicazione sia ricevuta.
Dunque, la comunicazione del mediatore deve pervenire alla
parte che ha dato l'incarico prima che il termine di efficacia del
contratto di mediazione scada.
Pervenuta la comunicazione nel termine, l'incarico del me
diatore è compiuto e lo scioglimento del contratto è impedito. Se la comunicazione perviene oltre il termine, si produce in
vece l'effetto contrario, ovverosia il contratto è sciolto e l'atti
vità svolta dal mediatore cessa di poter ricevere qualificazione sulla base del contratto come un incarico espletato e perciò non
gli dà diritto alla provvigione. 2.7. - Una ulteriore osservazione.
La parte che assume l'iniziativa di rivolgersi al mediatore, se
giunge a pattuire che la provvigione gli spetterà anche nel caso
che sarà lei a vendere direttamente o deciderà di non farlo più, 10 fa per sollecitare l'impegno dell'organizzazione del mediato
re per la realizzazione dell'affare.
Il termine della mediazione assume una funzione caratteriz
zante in questa direzione, perché quanto più la durata della me
diazione risultasse dilatata nel tempo, tanto meno sarebbe giu stificato per chi dà l'incarico vincolare la propria libertà con
trattuale, giacché trovare un'altra parte interessata all'affare co
stituirebbe il normale risultato dell' attività di intermediazione
svolta dal mediatore professionalmente.
Appare allora giustificato addossare al mediatore l'onere di
un comportamento avveduto nell'espletamento dell'incarico e
11 Foro Italiano — 2001 — Parte /-11.
dei rischi conseguenti alle modalità scelte nel farlo, anziché
mettere a carico della parte che gli conferisce l'incarico il com
pito di tenersi informata sul suo svolgimento. Così, sarebbe ingiustificato imporre il pagamento della prov
vigione alla parte, che non avendo ricevuto nel termine la co
municazione del mediatore, abbia ritenuto di impegnarsi con un
terzo, senza essersi informata presso il mediatore circa il punto cui sono giunte le sue ricerche.
Ed è per contro ragionevole imporre al mediatore, che possa
paventare la scadenza dell'incarico, informare in precedenza la
parte sullo stato del suo svolgimento e sui suoi propositi per il
caso di superamento del termine.
3. - Il ricorso è rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 30
maggio 2000, n. 7194; Pres. Fiduccia, Est. Talevi, P.M. Go
lia (conci, conf.); Comune di Parma (Avv. D'Amelio, Ber
tani) c. Soc. Immobiliare Bergonzi (Avv. Martuccelli, Co
vino). Cassa App. Bologna 19 luglio 1996.
Arricchimento senza causa — Cosa determinata — Restitu
zione — Diminuzione patrimoniale — Indennizzo (Cod. civ., art. 1148, 2041).
Cassazione civile — Ricorso — Forma e contenuto — Que stione dedotta innanzi al giudice di merito — Indicazione
degli atti — Onere (Cod. proc. civ., art. 360).
Nell'ipotesi di arricchimento senza causa che abbia per oggetto una cosa determinata, qualora la restituzione della cosa stes
sa non esaurisca l'arricchimento e la correlativa diminuzione
patrimoniale, è dovuto l'indennizzo per la parte residua. (1) Per evitare una pronuncia di inammissibilità per novità della
censura, il ricorrente che lamenta l'omessa pronuncia su una
domanda ha l'onere d'indicare in quali atti e specifiche fra
si, nell'ambito di tali atti, l'abbia proposta innanzi al giudice di merito. (2)
(1) Nella specie, priva di precedenti specifici, la locupletatici deriva
dalla mancata restituzione di un'area fabbricabile, oggetto di una per muta tra le parti. I giudici di legittimità fissano il principio secondo cui
l'obbligo dell'arricchito senza causa di restituire in natura l'oggetto dell'arricchimento, costituito da cosa determinata, non lo esime dal
l'indennizzo se, malgrado tale restituzione, residua un arricchimento, con correlativa diminuzione patrimoniale del depauperato.
Da notare come, in primo grado, il tribunale avesse rigettato la do
manda dell'attrice, mentre i giudici d'appello l'avevano accolta, stabi
lendo che l'area de qua fosse restituita all'immobiliare. In giurisprudenza, è pacifica la natura dell'indennizzo previsto dal
l'art. 2041 c.c. quale debito di valore; in tal senso, v. Cass. 6 febbraio
1998, n. 1287, Foro it., 1998,1, 1116, con nota critica di Caputi, ove si
precisa che l'indennizzo, costituente debito di valore, va liquidato te
nendo conto della sopravvenuta perdita di valore della moneta, sicché
sulla somma così computata sono poi dovuti gli interessi secondo il tas
so legale per compensare l'ulteriore pregiudizio costituito dalla man
cata, tempestiva disponibilità della somma, atta a risarcire il danno. V.
altresì Cass. 26 agosto 1997, n. 7997, id., Rep. 1998, voce Arricchi
mento senza causa, n. 24; 17 luglio 1997, n. 6570, id., 1997, I, 2825, ove si rimarca che l'indennizzo dovuto a titolo d'ingiustificato arric
chimento, costituendo debito di valore, va determinato tenendo conto
della rivalutazione della somma dovuta, dal momento del fatto sino al
l'epoca della liquidazione, nonché calcolando gli interessi per il ritardo
sulla somma originariamente dovuta dal debitore e, successivamente, con riferimento ai singoli momenti in cui tale somma s'incrementa no
minalmente in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ov
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