Sezione III civile; sentenza 10 aprile 1959, n. 1059; Pres. Celentano P., Est. La Porta, P. M.Caldarera (concl. diff.); Odella (Avv. Moterisi, Rebuttati) c. Berrino e Siri (Avv. Vicentini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 3 (1960), pp. 449/450-453/454Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151255 .
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449 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 450
La Corte, ecc. — (Omissis). Con il terzo ed il quarto motivo, che sono connessi, la Curatela del fallimento si duole della mancata ammissione della prova per interro
gatorio e per testi sulle circostanze dirette a dimostrare che il Melloni si era assunto, in nome della Società, il debito verso l'I.n.p.s. Deduce anzitutto che la Corte non avrebbe
potuto respingere la prova per testimoni sul riflesso che il
valore del debito eccedeva le L. 5.000, perchè l'art. 2721 cod. civ. non poteva trovare applicazione relativamente ad un riconoscimento di debito ; che inoltre la Corte avrebbe
prova tendente ad accertare che la parte in varie occasioni ebbe a dichiararsi debitrice della somma di lire diecimila per la
quale aveva rilasciato cambiali. Sul riconoscimento di debito, v., da ultimo, Branca, Pro
messe unilaterali, in Commentario a cura di A. Scialoja e G.
Branca, 1959, sub art. 1988, pag. 356 segg.
* * *
È proprio una fortuna che in Italia l'uomo della strada non segua il consiglio di Stendhal che raccomandava la lettura dei codici. Così egli ignora che il limite di cinquemila lire stabi lito per la prova testimoniale è rimasto inalterato, e non ha quindi ragione di meravigliarsi all'idea che perfino la compravendita di un paio di scarpe, per cautela, dovrebbe farsi per iscritto . . .
Vero è che il 2° comma dell'art. 2721 cod. civ. attribuisce una sorta di potere discrezionale al giudice, il quale può tener conto di « ogni altra circostanza », e quindi anche della svaluta zione monetaria, che ha tolto alla somma di cinquemila lire quel l'importanza che — secondo il codice — dovrebbe indurre le
parti a mettere nero su bianco. Ma la Cassazione, proprio nella presente sentenza, ricorda
il suo insegnamento costante, secondo cui il giudice di merito non è tenuto ad esporre le ragioni che lo hanno indotto a non avvalersi della facoltà discrezionale cui si è accennato. Quindi il giudice di merito, senza nemmeno un abbozzo di motivazione, può a suo arbitrio negare la prova testimoniale dell'acquisto di merce per il valore di lire cinquemila e una . . .
E, quel che a me sembra peggio, la sentenza estende il di vieto della prova testimoniale anche al riconoscimento del debito. L'obiezione che tale atto ha struttura unilaterale viene superata con il richiamo all'art. 1324 cod. civ., che estende le norme sui contratti agli atti unilaterali tra vivi. Tuttavia l'estensione è subordinata ad una riserva : « in quanto compatibili », sulla quale riserva non sembra che la Cassazione abbia riflettuto abbastanza, non fosse altro, perchè essa si è messa in contrasto con un suo
precedente insegnamento (Cass. 9 giugno 1956, n. 1994, Foro it.,
Rep. 1956, voce Prova testimoniale, n. 43 ; in dottrina, v. Mes
sineo, Manuale8, I, pag. 626, 627). La verità è che la norma dell'art. 2721 contiene un'ecce
zione al principio della libertà di convincimento del giudice, ec
cezione che non ammette — secondo i principi generali — l'analo
gia. Scritto per i contratti, il divieto non può valere per atti diversi.
Giova inoltre riflettere che è insegnamento costante della Cassazione che il divieto della prova testimoniale opera fra le
parti e non rispetto ai terzi. Ora l'atto unilaterale, proprio perchè tale, è l'atto che proviene da una sola parte : chi lo riceve non è, per definizione, un autore dell'atto, e, dunque, è da considerare un estraneo, un terzo rispetto alla struttura del negozio. Il divieto della prova si spiega in relazione alle parti di un negozio plurilaterale, perchè entrambe o tutte concorrono alla creazione dell'atto e quindi ciascuna è in grado di pretendere la forma zione del documento, invece chi riceve dal debitore il ricono scimento del debito non ha possibilità di indurre l'altro a porlo per iscritto (Cass. 9 giugno 1956, n. 1994, sopra cit.).
Perciò, se queste riflessioni sono esatte, l'estensione operata dalla Cassazione non si giustifica. Tanto più lascia perplessi la
Soluzione della Corte suprema, in quanto, proprio a proposito della confessione stragiudiziale, terreno assai prossimo al ricono
scimento del debito, il legislatore non dice affatto (art. 2735, 2° comma) che si applicano tout court i divieti stabiliti per la
prova testimoniale ; dice invece che essa non può provarsi per testimoni quando verte su un oggetto per il quale la prova te
stimoniale non è ammessa dalla legge, cioè quando cade su una
convenzione. Mi sia ora lecito concludere con un interrogativo dell'uomo
della strada, o, se più piaccia, dell'uomo qualunque : quand'è che la legge e la Cassazione su questo — come su molti altri
punti — si metteranno d'accordo con la vita ? A. S.
dovuto giustificare il mancato uso della facoltà di consentire la prova oltre il limite di valore.
L'assunto non è fondato. In virtù del principio generale contenuto nell'art.
1324 cod. civ. -— secondo cui, salvo diverse disposizioni di
legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in
quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale — anche le disposizioni relative alla
prova dei contratti si applicano agli atti o negozi unilaterali. Invero per « norme che regolano i contratti » non si devono intendere soltanto quelle dettate nel titolo II del libro IY del codice civile, come è prescritto dall'art. 1323, bensì anche quelle comprese in altre parti del codice, non escluse, in particolare, le norme che regolano la prova, la quale, se pure è un elemento estrinseco dell'obbligazione, è tuttavia
altrettanto indispensabile al fine di dimostrare l'esistenza
del diritto per farlo valere in giudizio. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III civile ; sentenza 10 aprile 1959, n. 1059 ; Pres.
Ce lent ano P., Est. La Porta, P. M. Caldakeea
(conci, diff.) ; Odella (Avv. Moterisi, Rebuttati) c. Berrino e Siri (Avv. Vicentini).
(Cassa App. Genova 14 giugno 1957)
Responsabilità eivilc — Danni alle persone -— Morte del danneggiato per cause indipendenti dal sini
stro — Liquidazione del danno — Capitalizzazione di rendita vitalizia — Esclusione.
Responsabilità civile — Risarcimento del danno per inabilità temporanea assoluta — Continuata cor
responsione dell'intero stipendio — Irrilevanza. Circolazione stradale — Sbandamento del veicolo —
Responsabilità penale del conducente (Cod. peli., art. 41).
La liquidazione del lucro cessante non può farsi col criterio
della capitalizzazione anticipata di rendita vitalizia, ove
il danneggiato muoia, per cause indipendenti dal sinistro, in pendenza del giudizio di risarcimento danni, ma deve
commisurarsi all'effettiva durata della vita. (1) La continuata corresponsione dell'intero stipendio all'impiegato
durante il periodo di inabilità temporanea assoluta non
determina una diminuzione nel risarcimento del danno
dovuto, salvo che risulti che il terzo abbia voluto risarcire
il danno in luogo del responsabile. (2)
(1) Conforme Trib. Arezzo 13 novembre 1958, Foro it., 1959, I, 890, con nota di richiami.
(2) Conformi, nel senso di escludere che abbia alcuna in fluenza sulla misura del risarcimento il mantenimento nell'im
piego e la continuata corresponsione dell'intero stipendio, in considerazione della incidenza delle menomate capacità lavora tive sulla carriera e sulla percezione di speciali retribuzioni, asse
gnate in rapporto ad una p i intensa e proficua attività di la voro : Cass. 13 febbraio 1959, n. 432, Foro it., Mass., 82 (pub blicata, nella parte che si riferisce alla risarcibilità del danno alla vita di relazione, retro, 294, con nota di T. Mancini) ; 20 febbraio 1958, n. 554, Foro it., Rep. 1958, voce Responsabi lità civile, n. 551 ; 12 agosto 1958, n. 2905, ibid., nn. 553, 554 ; conforme anche Cass. 1 aprile 1958, n. 1125, ibid., nn. 555-557. Per Cass. 30 gennaio 1959, n. 277, id., Mass., 55, non incidono sul risarcimento nè la corresponsione dello stipendio nè quella del l'indennità di licenziamento. Seguono l'indirizzo della Cassa
zione : App. Genova 15 gennaio 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 340 ; App. Genova 6 dicembre 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 311 ; App. Milano 13 gennaio 1956, ibid., n. 337 ; App. Milano
30 ottobre 1956, ibid., n. 403 ; mentre se ne discosta l'App. Firenze 27 luglio 1956 (ibid., n. 367), per cui la conservazione
dell'impiego e dello stipendio non incide sulla misura del dan no risarcibile, ma sulla stessa entità del danno verificatosi.
Cass. 9 maggio 1958, n. 1527 (id., Rsp. 1958, voce cit., n. 102)
Il Fobo Italiano — Volume LXXXIII — Parte 1-30.
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PARTE PRIMA
Non esclude la sussistenza di colpa penalmente punibile nel
comportamento del responsabile di un incidente stradale
l'essersi il sinistro verificato per un improvviso e invo
lontario sbandamento del veicolo. (3)
La Corte, ecc. —■ I due ricorsi vanno riuniti, perchè in
vestono la stessa decisione.
Col primo motivo del ricorso principale si censura l'im
pugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli art. 2043 e 2056, in relazione all'art. 1223 cod. civ., assumen
dosi che essa sia incorsa in errore nell'applicare al caso
il criterio di liquidazione del danno mediante capitalizza zione vitalizia sulla base della tabella annessa al r. decreto
10 ottobre 1922 n. 1403, mentre avrebbe dovuto liquidare 11 danno sulla base della durata effettiva della vita della
persona lesa, essendo costei morta, nel corso del giudizio, circa due anni dopo l'evento dannoso stesso.
La censura è fondata.
L'impugnata sentenza ha ritenuto che, poiché il diritto
al risarcimento del danno entra a far parte del patrimonio del danneggiato sin dal momento del verificarsi del danno
nega che la continuazione dell'attività lavorativa, nonostante la invalidità totale temporanea o parziale permanente, influi sca sul risarcimento, poiché condizione unica ed essenziale affinchè sorga nel danneggiante l'obbligo di risarcire i dan ni subiti dal danneggiato è che sussista il nesso di causalità efficiente fra danno e fatto illecito. Affermano che il lucro
debba, come il danno, essere conseguenza immediata e diretta
dell'illecito, perchè possa determinarsi compensazione : Cass. 7 febbraio 1958, n. 370, ibid., n. 581 ; Oass. 15 novembre 1958, n. 3709 (ibid., nn. 584-587), che aggiunge inoltre essere necessa
rio, perchè la compensazione possa operare, che venga data la
prova della volontà del terzo di soddisfare il debito dell'autore dell'illecito in luogo di questi. Oass. 29 luglio 1955, n. 2442 (id., 1956, I, 28, con nota di richiami) esclude la compensazione fra lucro cessante per morte della persona offesa e percezione di una pensione privilegiata da parte dei superstiti, mentre in contrario avviso va l'App. Ancona 16 aprile 1957 (id., Rep. 1957, voce cit., n. 352), che ritiene si debba detrarre dalla mi sura del risarcimento l'ammontare della rendita annua corri
sposta dall'I.n.a.i.l. agli eredi della persona offesa, ciò perchè tale rendita, come effetto vantaggioso, deriva direttamente e im mediatamente dal fatto illecito.
In dottrina consulta De Cupis (Risarcimento del danno e diritto a pensione, in nota a Oass. 29 luglio 1955, n. 2442, id., 1956, I, 29), il quale aderisce pienamente alla sentenza annotata ; parere diverso esprime, per quanto concerne la compensazione fra pensione e danno, Venditti (Dei limiti di applicazione della i compensano lucri cum dam.no », in Giusi, civ., 1956, I, 660, in nota a Oass. 19 novembre 1955, n. 3763), ciò in base alla considera zione che l'essenziale funzione economico-giuridica del risarci mento è quella di reintegrare il patrimonio del danneggiato, non già di punire il responsabile, ed inoltre perchè causa giuri dica di un evento deve intendersi, secondo la più accreditata
dottrina, quella condizione rispetto alla quale è regolare che un dato evento si verifichi ; l'A. afferma al contrario la sua piena adesione alla sent. 19 novembre 1955, n. 3763 (Foro it., Rep. 1955, voce cit., n. 322), conforme a quella che si annota. Si vedano ancora Giolla, Valutazione del danno alla persona nella responsabilità civile, Milano, 1957, pag. 376 e segg., e I). R. Peketti-Griva, Sulla « compensano lucri cum damno », in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1957, 437.
V., da ultimo, sulla influenza delle nuove nozze sul risarci mento dovuto alla vedova, Cass. 4 aprile 1959, n. 1008, Foro
it., 1959, I, 1512, con nota critica di Db Cupis, che, sempre in questa rivista (1959, IV, 291), ha replicato ad un diligente lettore della nota ; v., infine, la risposta dell'estensore della
sentenza, Napoletano, alle critiche del De Odpis, in questo volume, IV, 20.
(3) Sull'esigenza che la causa sopravvenuta sia stata da sola sufficiente a determinare l'evento ai fini della esclusione della
responsabilità penale, v. da ultimo Cass. 28 febbraio 1959, n. 604, Foro it., Mass., 110 ; App. Catania 25 maggio 1957, id., Rep. 1958, voce Causalità materiale (rapporto di), n. 20 ; Trib. Bene vento 16 ottobre 1957, ibid., n. 21 ; App. Firenze 22 novembre 1956, id., Rep. ,1957, voce cit., n. 9 ; Cass. 11 maggio 1954, id., Rep. 1955, voce Circolazione stradale, n. 122. Isolate le decisioni
dell'App. Roma 5 marzo 1954 (id., 1954, II, 151) e 20 gennaio 1954 (ibid., 92), che affermano come in campo penale, ai fini dell'accertamento di responsabilità per colpa, venga in consi derazione anche la colpa lievissima.
da illecito, nell'ipotesi che, per cause indipendenti soprav venute, il danneggiato venga a morte nelle more del giu dizio, instaurato per l'accertamento e la liquidazione del
danno, il diritto medesimo si trasmette in tutta la sua esten -
sione, iure successionis, agli eredi, prescindendosi dalle
possibili vicissitudini di durata della vita del leso. Siffatto ragionamento non può essere condiviso. Esso,
invero, è soltanto in parte esatto. Precisamente è esatto sul punto della trasmissibilità del diritto, è erroneo nella
parte in cui afferma elio si debba prescindere dall'effettiva durata della vita della persona lesa. Il diritto al risarcimento del danno alla persona, in caso di morte del danneggiato, sopravvenuta durante il corso del giudizio, per cause indi
pendenti dal sinistro, passa agli eredi come ogni altra pre tesa di carattere patrimoniale. Si tratta di un diritto esi stente nel patrimonio del danneggiato, ossia di un diritto trasmissibile iure successionis, Ma, è chiaro clie non possa essere trasmesso agli eredi più di quanto sia nel patrimonio del defunto, o di quanto in detto patrimonio poteva con fluire. Consegue che, vertendosi in tema di trasmissione ereditaria dell'indennizzo dovuto al danneggiato per danni da diminuzione permanente della capacità lavorativa, poi ché, per effetto della morte del danneggiato avvenuta nel corso del giudizio di liquidazione, il quantum del danno futuro non può calcolarsi altrimenti che in riferimento alla durata effettiva della vita del danneggiato dopo il sinistro,
agli eredi va liquidato un indennizzo commisurato a tale durata. Ciò appare più chiaro se si considera che la liqui dazione dell'indennizzo per danni futuri normalmente suole farsi ricorrendo al criterio della capitalizzazione del reddito
(modo approssimativo e presuntivo di rappresentazione del danno futuro), per l'impossibilità di determinazione della durata della vita del danneggiato e della continuità del
guadagno per tutta la durata ulteriore della vita lavorativa.
Ma, fuori di tale impossibilità, perchè funzione del risarci mento è quella di reintegrare il danneggiato dell'effettivo
pregiudizio sofferto in conseguenza del fatto illecito pro duttivo del danno, non può farsi ricorso a liquidazione in base a criteri presuntivi, Invero, con la morte del danneg giato, avvenuta in corso di causa per cause indipendenti dal sinistro, si ha il dato certo del tempo per il quale il pre giudizio è stato effettivamente sentito, ossia si ha quello elemento indubbio e sicuro che permette di attribuire l'indennizzo corrispondente all'effettiva reintegrazione do vuta. Acquisita la certezza sull'effettiva durata della vita del danneggiato, su di essa deve essere calcolata la somma
dovuta rapportata al grado di diminuzione della capacità al
lavoro, conseguita all'illecito.
Ulteriore argomento, per dimostrare tale conclusione, si trae dall'art. 2057 cod. civ. Questa norma abilitando il
giudice a liquidare il danno alla persona, che abbia carat tere permanente, sotto forma di una rendita vitalizia, chia ramente pone in evidenza che il debitore, autore dell'ille
cito, è tenuto a corrispondere una prestazione che non
superi il danno futuro effettivo, ossia una prestazione pecu niaria periodica fino al momento in cui il danneggiato rimarrà in vita.
Il primo motivo del ricorso va, quindi, accolto. (Omissis) Col terzo motivo del ricorso si censura, la decisione im
pugnata, assumendo che essa sia incorsa in errore nel rico noscere un danno da invalidità temporanea di giorni venti
cinque, pur in difetto di ogni prova che il danneggiato non
avesse percepito, durante tale periodo, lo stipendio del suo
datore di lavoro. Anche tale censura è priva di fondamento.
Come più volte ha ritenuto questa Suprema corte (cfr. sent. 19 novembre 1955, n. 3763, Foro it., Eep. 1955, voce
Responsabilità civile, nn. 322-326) il fatto che un impiegato abbia continuato a percepire l'intero stipendio nel periodo dell'inabilità temporanea assoluta non importa una dimi nuzione del risarcimento, non ricorrendo gli estremi della
compensatio lucri cum damno, tranne che non risulti che il terzo abbia voluto risarcire, il danno in luogo del danneg giato. (Omissis)
Col ricorso incidentale si denuncia la violazione del l'art. 2059 cod. civ., in relazione all'art. 185 cod. pen., per avere la Corte di merito negato la risarcibilità dei danni non
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
patrimoniali, affermando che andava esclusa la sussistenza di una colpa penalmente punibile non essendo stato provato che il motociclista, nella circostanza, aveva tenuto un'ecces siva velocità, ed avendo lo stesso danneggiato ammesso che l'incidente si verificò per un improvviso ed involontario sbandamento del veicolo.
La censura è fondata. Fuori dell'ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore,
di cui all'art. 45 cod. pen., si risponde di delitto colposo quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dallo
agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o
imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordine o disciplina. Pertanto, ai fini della pronuncia di ine sistenza di reato colposo, il giudice di merito deve o affer mare che l'evento è stato inevitabile, cioè causato da caso fortuito o da forza maggiore (intesi in senso lato) ; oppure che nel comportamento dell'agente non si riscontrano ele
menti che possano attribuirsi ad imperizia, imprudenza,
negligenza o inosservanza di ordini, norme o discipline.
Egli, quindi, erra quando esclude l'esistenza del reato, affermando che un incidente stradale si è verificato per un
improvviso ed involontario sbandamento del mezzo. In
vero, la subitaneità del verificarsi del sinistro e la involon
tarietà dell'evento non escludono la colpa e non possono rapportarsi all'inevitabile.
Per le esposte considerazioni, accogliendosi il primo mezzo del ricorso principale e l'unico mezzo del ricorso inci
dentale, l'impugnata sentenza va cassata e la causa va
rinviata, per nuovo esame ad altro giudice, il quale si atterrà
ai seguenti principi : La liquidazione dei danni futuri alla persona non può
essere fatta col criterio della capitalizzazione anticipata di
una rendita calcolata sulla durata probabile della sua vita
lavorativa, in caso che la persona danneggiata muoia, nel
corso del giudizio di liquidazione, per causa sopravvenuta
indipendente dall'azione od omissione del colpevole ; ma
va fatta in riferimento all'elemento certo dell'effettiva du
rata della vita.
Ai fini della esclusione della configurability di un reato
colposo nella condotta di un conducente di un veicolo, che
nella circolazione abbia cagionato la morte o lesioni perso nali di terzi, il giudice deve o dimostrare che l'evento è
stato inevitabile, in quanto dovuto a caso fortuito od a forza
maggiore, o che esso è dovuto a colpa esclusiva dello stesso
danneggiato o di un terzo, dovendosi escludere nel compor tamento del conducente ogni elemento di imperizia, negli
genza, imprudenza o inosservanza di ordini, disciplina o
norme. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di
questo grado di giudizio. Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
Sezioni unite civili ; sentenza 27 gennaio 1959, n. 224 ; Pres; Etjla P. P., Est. Vistoso, P. M. Pafundi (conci,
conf.) ; Soc. azionaria per la condotta di acque potabili
(S.a.p.) (Avv. Dedin, Negretti, Giorgianni, Bodda,
Greco) c. Comune di Torino (Avv. Borda, Astuti, Lupo, Jemolo).
(Conferma A pp. Torino 5 aprile 1957)
Concessione ani in in istr ativ — Concessione-eontratto — Intcrpretaziona — Applicabilità degli art. 1362
1371 cod. civile.
Obbligazioni e contratti — Eccessiva onerosità so
pravvenuta -—• Revisione del contratto — Esclu
sione — Applicazione all'indennità di riscatto di
una concessione (Cod. civ., art. 1467).
Alla concessione-contratto sono applicabili le norme poste nel
codice civile sulVinterpretazione dei contratti. (1) L'eccessiva onerosità sopravvenuta, se legittima la parte, dan
neggiata dallo squilibrio sopravvenuto, alla domanda di
risoluzione del contratto, non autorizza il giudice a proce dere alla revisione delle prestazioni (applicazione alla
rivalutazione dell'indennità di riscatto di una conces
sione). (2)
La Corte, ecc. — Con il primo motivo si denuncia, anche sotto il profilo della insufficiente e contraddittoria motivazione e dell'omesso esame di punti decisivi, la viola zione e falsa applicazione degli art. 1362 segg., 1372, 1374, 1375, 1463 segg., 164 cod. civ. ; nonché dei principi e norme
sulla sopravvenienza contrattuale, degli art. 2428 cod. civ., 112 seg. cod. proc. civ., 182 cod. comm. abrogato, nonché del r. decreto legge 5 ottobre 1936 n. 1748 e norme succes sive sul blocco dei prezzi e tariffe, decreto legisl. 19 ottobre
1944 n. 347, e 15 settembre 1947 n. 896, dell'art. 24 t. u.
15 ottobre 1925 n. 2578. La Corte di merito, si assume, con motivazione illogica,
confusa, contraddittoria e lacunosa, avrebbe ingiusta mente negato che la clausola contenuta nell'art. VI, n. 3, delle condizioni generali, con la quale nel 1853 erano stati
fissati i criteri per la determinazione del prezzo di riscatto, fosse divenuta inidonea a conseguire il risultato voluto dalle
parti, e conseguentemente respinta la richiesta della S.a.p. diretta ad ottenere la determinazione del prezzo di acquisto secondo il valore degli impianti, in base a criteri da stabi
lirsi dal giudice. In particolare, avrebbe errato nel ritenere che l'enorme
svalutazione monetaria intervenuta dal 1853 al 1953, ag
gravata dal blocco dei prezzi, non potesse costituire una
causa di sopravvenienza contrattuale idonea a far ritenere
caducata la detta clausola, che presupponeva il perpe tuarsi d'una stabile situazione economica e giuridica.
Avrebbe inoltro omesso di considerare che la S.a.p.,
(1) Sul tema della disciplina della concessione-contratto esistono numerosi precedenti giurisprudenziali.
Nel senso che nel rapporto di concessione s'innesta un ne
gozio bilaterale privatistico, soggetto alla disciplina privati stica del contratto, compatibilmente con le finalità pubblici stiche del rapporto, v. App. Napoli 19 gennaio 1957, Foro it., Rep. 1957, voce Concessioni amministrative, n. 11 ; Cass. 31 di cembre 1955, n. 3969, id., Rep. 1955, voce cit., n. 34 ; 23 feb braio 1954, n. 521, id., Rep. 1954, voce cit., n. 3 ; 18 marzo
1954, n. 780, ibid., n. 5 ; 12 giugno 1953, n. 1720, id., Rep. 1953, voce cit., n. 23 ; App. Bologna 13 novembre 1952, ibid., n. 5 ; Cass. 7 giugno 1952, n. 1618, id., Rep. 1952, voce cit.,n. 9 j Trib. Piacenza 17 luglio 1951, ibid., n. 11 ; Oass. 21 luglio 1949, id., Rep. 1949, voce cit., n. 16 ; App. Cagliari 21 aprile 1949, ibid., n. 18 ; Trib. Trani 2 settembre 1947, id., Rep. 1948, voce cit., n. 30.
Sulla competenza giurisdizionale in materia di controversie relative alle concessioni-contratto, v. Cons. Stato, Sez. V, 18 marzo 1955, n. 437, id., Rep. 1955, voce cit. n. 36 ; Cass. 14 gen naio 1953, n. 70, id., Rep. 1953, voce cit., n. 17.
In argomento, v. App. Roma 20 febbraio 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 13 ; Cass. 20 gennaio 1956, n. 177, id., Rep. 1956, voce cit., n. 13 ; 4 maggio 1948, id., Rep. 1948, voce cit., n. 11 ; App. Bari 19 marzo, 1947, ibid., n. 20.
In dottrina, v. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Mi
lano, 1958, vol. Ili, pag. 392 ; Vitta, Diritto amministrativo, Torino, 1954, vol. I, pag. 382 ; Gallo, I rapporti contrattuali nel diritto amministrativo, Padova, 1958, pag. 176 seg. ; Foligno, Nuovi orientamenti in tema di « concessioni bilaterali » ?, in Giur. Cass. civ., 1948, III 649 ; Moschella, Concessioni contratto e decreti vincolistici, in Temi, 1948, 464.
(2) La massima formulata sul secondo punto dall'Ufficio massimario (Foro it., Mass., 46) non sembra che colga il decisum : la massima stessa concerne la parte della motivazione nella
quale si esclude che, in caso di domanda di reductio ad aequitatem, il giudice possa, di propria iniziativa, fissare la sostanza delle modi ficazioni (in questo senso Cass. 7 giugno 1957, n. 2109, id., Rep. 1957, voce Obbligaziani e contratti, nn. 444-446).
Ciò che invece costituisce il fulcro della decisione è l'interes sante negazione del potere di revisione del contratto, potere che il
giudice ha soltanto nei casi in cui esso gli è attribuito dalla legge (art. 1664 cod. civ. in tema di appalto ; art. 962, revisione del ca none nell'enfiteusi). Concorda nel senso che il legislatore non ha inteso concedere un potere generale di revisione, che sarebbe in
contrasto con l'esigenze della certezza e della stabilità dei rap porti contrattuali il Messineo, Dottrina generale del contratto 3,
Milano, 1952, pag. 511, n. 11.
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