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sezione III civile; sentenza 10 febbraio 2005, n. 2704; Pres. Vittoria, Est. Trifone, P.M....

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sezione III civile; sentenza 10 febbraio 2005, n. 2704; Pres. Vittoria, Est. Trifone, P.M. Sorrentino (concl. parz. diff.); Parcesepe e altra (Avv. Guidi) c. Soc. Meieaurora (Avv. La Viola) e altro. Conferma App. Roma 10 gennaio 2002 Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 11 (NOVEMBRE 2005), pp. 3103/3104-3109/3110 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23201152 . Accessed: 28/06/2014 10:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.223.28.117 on Sat, 28 Jun 2014 10:21:51 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 10 febbraio 2005, n. 2704; Pres. Vittoria, Est. Trifone, P.M.Sorrentino (concl. parz. diff.); Parcesepe e altra (Avv. Guidi) c. Soc. Meieaurora (Avv. La Viola)e altro. Conferma App. Roma 10 gennaio 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 11 (NOVEMBRE 2005), pp. 3103/3104-3109/3110Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201152 .

Accessed: 28/06/2014 10:21

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PARTE PRIMA

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 10 febbraio 2005, n. 2704; Pres. Vittoria, Est. Trifone, P.M. Sorrentino (conci, parz. diff.); Parcesepe e altra (Avv. Gui

di) c. Soc. Meieaurora (Avv. La Viola) e altro. Conferma App. Roma 10 gennaio 2002.

Danni in materia civile — Danneggiato incapace d'intende re e di volere — Concorso di colpa — Risarcimento — Ri duzione (Cod. civ., art. 1227, 2056).

Ove la vittima dell'illecito sia un incapace d'intendere e di vo

lere, la sua condotta va presa in considerazione ai fini della

proporzionale riduzione del risarcimento, la quale dev 'essere

operata anche nei confronti dei congiunti che, in relazione

agli effetti riflessi che l'evento proietta su di essi, agiscono

per ottenere i danni iure proprio. (1)

Svolgimento del processo. — Con citazione innanzi al Tribu nale di Latina, notificata il 15 aprile 1994, Carmine Parcesepe e Rosanna Bottan, in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sulle figlie minori Marika e Valentina Parcesepe, convenivano in giudizio Massimo Bartolomucci e la società Meie s.p.a. per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro stradale nel quale era deceduta la figlia Martina, che il Bartolomucci aveva inve

stito alla guida dell'autovettura di sua proprietà, assicurata pres so la suddetta società.

L'assicuratore della responsabilità civile contrastava la do manda sul presupposto che l'incidente era avvenuto per colpa esclusiva della piccola Martina, che, discesa dall'altra autovet tura di Maria Dal Col, che la stava riaccompagnando a casa, aveva attraversato improvvisamente la strada.

Il tribunale, ritenuta la responsabilità concorrente di Massimo

Bartolomucci e di Maria Dal Col, la quale era tenuta alla sorve

glianza della minore che i genitori le avevano affidato, condan nava in solido i convenuti all'intero risarcimento dei danni, poi ché, pur dovendosi l'evento ascrivere alla condotta di soggetti diversi, i danneggiati, ai sensi dell'art. 2055 c.c., ben potevano pretendere il tutto da uno solo di essi.

(1) È ormai consolidato l'indirizzo che ammette la configurabilità del concorso di colpa anche rispetto al danneggiato incapace: v. Cass. 1° aprile 1995, n. 3829, Foro it.. Rep. 1996, voce Responsabilità civile, n. 92; 5 maggio 1994, n. 4332, id., Rep. 1994, voce cit., n. 88; 29 aprile 1993, n. 5024, ibid., voce Circolazione stradale, n. 177; 16 aprile 1992, n. 4691, id., Rep. 1992, voce Responsabilità civile, n. 124. Nel mede simo senso si era espressa Corte cost., ord. 23 gennaio 1985, n. 14, id., 1985, I, 934, con nota di R. Pardolesi, cui si rinvia per ulteriori riferi menti bibliografici e giurisprudenziali.

Considerata la portata generale del principio enunciato, il Supremo collegio evidenzia come la condotta concorrente della vittima incida anche sulle pretese risarcitone avanzate in proprio dai congiunti. Pro

prio in virtù dell'estensione a tali ipotesi della riduzione del risarci mento, la corte di legittimità, chiamata a vagliare una fattispecie in cui il ristoro dei danni iure proprio era stato chiesto dai genitori in conse guenza del decesso della figlia minorenne, ha ritenuto irrilevante l'ac certamento sulla responsabilità dei soggetti tenuti alla sorveglianza della vittima, posto che l'eventuale culpa in educando ovvero in vigi lando avrebbe coperto il medesimo ambito di irrisarcibilità già deri vante dall'applicazione dell'art. 1227 c.c. Al riguardo, va ricordato l'o rientamento secondo cui il concorso di colpa dei genitori del minore

danneggiato, per omessa vigilanza su di esso, può essere opposto dal

responsabile del danno solo allorché i genitori abbiano agito in proprio per il risarcimento, non anche quando essi abbiano agito in nome del minore (v. Cass. 24 maggio 1997, n. 4633, id., Rep. 1998, voce cit., n. 178; 9 giugno 1994, n. 5619, id., Rep. 1994, voce cit., n. 92).

Sulle problematiche evocate dalla pronuncia in epigrafe, cfr. U. Vio lante, Concorso di colpa e allocazione della responsabilità, in Riv. critica dir. privato, 2004, 483; Gius. Macrini-Ger. Macrini, La dimi nuzione del «quantum» risarcibile per concorso di colpa del danneg giato, in Merito, 2004, fase. 9, 9; C. Martorana, Sul rapporto tra im putabilità e colpa nel settore extracontrattuale e sui suoi riflessi in quello contrattuale, in Resp. civ., 1994, 359; M.C. Traverso, Causalità e colpevolezza nel concorso di colpa del danneggiato, in Nuova giur. civ., 1994, II, 235.

Sull'interpretazione giurisprudenziale dell'art. 1227, 1° comma, c.c., e sul principio di compensazione delle colpe, v., da ultimo, U. Violan te, La responsabilità parziaria, Napoli, 2004, 25-38.

Il Foro Italiano — 2005.

Sull'impugnazione principale della società di assicurazione e su quella incidentale di Carmine Parcesepe e Rosanna Bottan decideva la Corte d'appello di Roma con sentenza pubblicata il 10 gennaio 2002, che, in parziale riforma della decisione di

primo grado, quantificava il credito per risarcimento dei danni nella minor somma di euro 99.052,52, oltre interessi legali dalla data della sentenza del tribunale, che confermava nel resto;

compensava per intero le spese del grado e condannava gli ap pellanti incidentali a restituire alla società di assicurazione le somme che l'assicuratore, in esecuzione della sentenza di primo

grado, aveva corrisposto in eccedenza rispetto all'importo dei danni liquidati in secondo grado.

I giudici d'appello ritenevano di poter confermare sia la rico struzione dell'incidente, secondo le modalità descritte dal primo giudice; sia la dipendenza dell'evento dalle condotte, in eguale misura concorrenti, del convenuto Bartolomucci e della vittima.

Consideravano, contrariamente a quanto ritenuto dal tribuna

le, che il principio di cui all'art. 1227, 1° comma, c.c. trova ap

plicazione pur quando il danneggiato è un soggetto incapace, cui debba farsi risalire in parte la verificazione dell'evento, e

che per tale ragione dovesse essere operata la corrispondente ri

duzione alla metà della misura del risarcimento disposto a cari co dei convenuti.

Rilevavano che ogni altro accertamento in ordine all'even tuale responsabilità di altri soggetti, tenuti alla sorveglianza della minore, era irrilevante.

Escludevano la sussistenza del danno patrimoniale dei genito ri, in quanto la loro attività commerciale, dall'apporto che

avrebbe potuto darvi la minore alla raggiunta maggiore età, non

avrebbe tratto un beneficio economico eccedente la spesa che sarebbe occorsa per mantenere la figlia.

In una valutazione complessiva dell'esito della lite, lasciava

no ferma la statuizione sulle spese del primo grado del giudizio e ravvisavano i giusti motivi per compensare interamente quelle d'appello.

Per la cassazione della sentenza Carmine Parcesepe e Rosan na Bottan, in proprio e nella qualità, hanno proposto, a mezzo di distinti difensori, due diversi ricorsi, notificati, il primo, il 13 febbraio 2003; il secondo, in data 24 febbraio 2003.

La prima impugnazione risulta affidata a tre motivi; la secon da si basa su quattro mezzi di doglianza.

Ad entrambi i ricorsi ha resistito con controricorso la società Meieaurora s.p.a. (nella quale si è trasformata la Meie s.p.a.), la

quale, preliminarmente, ha eccepito l'inammissibilità sia del se condo ricorso, per l'avvenuta consumazione del diritto d'impu gnazione; sia del primo ricorso, del quale la proposizione della seconda impugnazione avrebbe comportato l'abbandono.

La società assicuratrice, inoltre, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso proposto da parte dei genitori nella qualità di eser centi la potestà sulle figlie minori, perché, avendo il giudice d'appello dichiarato tardivo il gravame incidentale avanzato in nome e per conto delle rappresentate, si sarebbe, con effetto nei confronti delle minori, formato il giudicato relativamente al l'accertata misura della condotta concorrente della vittima nella causazione dell'evento.

La stessa società, con entrambi i controricorsi, a sua volta ha

proposto impugnazione incidentale sulla scorta di tre motivi, identici in entrambi i ricorsi.

Non ha svolto difese Massimo Bartolomucci. I ricorrenti Carmine Parcesepe e Rosanna Bottan hanno pre

sentato memoria.

Motivi della decisione. — 1. - I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 c.p.c.).

2. - Preliminarmente rileva questa corte che deve essere di chiarato inammissibile il secondo ricorso di Carmine Parcesepe e Rosanna Bottan, notificato in data 24 febbraio 2003 (iscritto al n. 6411 r.g.n. 2003) di contenuto sostanzialmente identico al

precedente, che è stato notificato il 13 febbraio 2003 ad istanza di diversi difensori e del quale sono state positivamente verifi cate la tempestività, l'ammissibilità e la piena sua validità.

Ricorre, nella specie, l'ipotesi cui si applica la regola, con forme all'indirizzo della giurisprudenza di questa corte (Cass., sez. un., 9409/94, Foro it., Rep. 1994, voce Cassazione civile, n.

101), per la quale, dovendo, a norma dell'art. 366 c.p.c., il ri corso per cassazione essere proposto, a pena d'inammissibilità,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

con unico atto avente i requisiti di forma e di contenuto indicati

in detta disposizione, è inammissibile un nuovo atto successi

vamente notificato a modifica o ad integrazione del primo, sia

che esso concerna l'indicazione dei motivi, ostandovi il princi

pio della consumazione dell'impugnazione, sia quando esso tenda a colmare la mancanza di taluno degli elementi prescritti.

La proposizione di un nuovo ricorso (ove non siano decorsi i

termini dell'impugnazione) è possibile, infatti, solo in sostitu zione, non anche ad integrazione o a correzione, di un ricorso

viziato ma non ancora dichiarato inammissibile.

L'inammissibilità del suddetto ricorso principale comporta l'inefficacia del corrispondente ricorso incidentale, iscritto al n.

8654 r.g.n. 2003, proposto con il controricorso notificato dalla

Meieaurora s.p.a. il 27 marzo 2003.

Di conseguenza, i motivi dell'impugnazione principale da

esaminare sono quelli esposti secondo la numerazione e l'arti

colazione del ricorso iscritto al n. 5003 r.g.n. 2003, notificato il

13 febbraio 2003, del quale deve essere esclusa l'eccepita inammissibilità, dedotta nella considerazione che la proposizio ne di un successivo ricorso dovrebbe essere intesa quale «ab

bandono» del precedente.

Considerato, infatti, che per «abbandono» del ricorso prece dentemente proposto la resistente società intende prospettare una sorta di intervenuta rinuncia tacita, secondo una ipotesi di

acquiescenza preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329

c.p.c., osserva, tuttavia, questo giudice di legittimità, richia

mando quanto già stabilito in precedenti sue decisioni (Cass.

1823/00, id., Rep. 2000, voce Impugnazioni civili, n. 72; 4535/99, id., Rep. 1999, voce cit., n. 60; 801/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 74), che l'acquiescenza per rinuncia tacita all'im

pugnazione è possibile solo anteriormente alla proposizione del

gravame, perché successivamente ad esso può venire all'evi

denza solo una rinuncia espressa, da compiere nelle forme pre scritte dalla legge.

Nella specie, non solo non sussiste rinuncia espressa al ricor

so, ma la proposizione di successiva ed analoga istanza, sorretta

sostanzialmente dalle medesime argomentazioni (ancorché di

versamente articolate), manifesta, piuttosto, il preciso proposito della parte di continuare ad avvalersi del diritto d'impugnazio ne.

Non può essere accolta neppure l'eccezione di inammissibi

lità del ricorso dei genitori nella qualità di esercenti la potestà sulle figlie minori Marika e Valentina Parcesepe, eccezione

proposta nella considerazione che nei confronti delle due minori si sarebbe formato il giudicato sul punto relativo alla concor

rente partecipazione all'evento di danno, in ragione della metà, del comportamento della vittima.

E evidente, infatti, che, avendo in primo grado ottenuto l'in

tegrale risarcimento del danno, le minori (e con esse i genitori

quanto all'accolta domanda in proprio) non erano tenute a pro

porre il gravame incidentale relativamente all'accertamento

della concorrente condotta della vittima, dato che il tribunale

espressamente aveva valutato irrilevante, ai fini della misura del

risarcimento, l'incidenza sull'evento della condotta causale della vittima.

Costituisce, infatti, principio pacifico (da ultimo, Cass.

18721/03, id., Rep. 2003, voce Appello civile, n. 107; 12345/03, ibid., n. 108; 6491/03, ibid., voce Impugnazioni civili, n. 128) che la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado non ha

l'onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle domande e delle eccezioni assorbite o comunque non esa minate con la sentenza impugnata dalla parte soccombente, es

sendo sufficiente la riproposizione di tali domande od eccezioni

in una delle difese del giudizio di secondo grado. L'interesse ad impugnare sul punto è sorto a seguito della

pronuncia di secondo grado, che, nella diversa esegesi della

norma circa l'incidenza causale del comportamento della vitti

ma in ordine all'entità del pregiudizio risarcibile, ha dato rilievo

all'accertamento della sussistenza e del grado concorrente della

sua condotta, per cui il ricorso per cassazione risulta ammissi

bile. 3. - Con il primo motivo dell'impugnazione principale

— de

ducendo, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., l'insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione della impugnata decisio

ne nella parte in cui il ruolo concorrente di partecipazione all'e

II Foro Italiano — 2005 — Pane I-55.

vento della vittima era stato fissato nella percentuale della metà — i ricorrenti assumono che il giudice del merito avrebbe do

vuto ritenere, in base alle deposizioni dei testi Ciarlo e Fracasso, che la minore era stata investita non mentre attraversava la stra

da, ma quando ancora si accingeva a farlo.

Denunciano che la contraddittorietà della motivazione sareb

be da ravvisare nel fatto che la corte territoriale, per un verso, aveva tratto la convinzione che la minore non aveva attraversato

la strada; d'altro canto, aveva ritenuto che la stessa aveva omes

so di concedere la precedenza all'autovettura.

Con il primo motivo del ricorso incidentale la società

Meieaurora s.p.a. censura il medesimo punto dell'impugnata sentenza e lamenta che il giudice del merito avrebbe dovuto ri

tenere che agli atti di causa era la prova che il sinistro doveva

essere attribuito all'esclusiva condotta della vittima, la quale re

pentinamente avrebbe attraversato la strada; in subordine la

menta che il giudice d'appello avrebbe dovuto quantomeno rite

nere prevalente la responsabilità della vittima ed assolutamente

residuale quella del Bartolomucci.

Assume che la diversa conclusione del giudice del merito sa

rebbe la conseguenza della incoerente ed omessa valutazione di

elementi decisivi acquisiti al processo, non avendo la corte di

merito valutato, in particolare, la consulenza disposta dal p.m. in sede d'indagine penale, le cui risultanze gli attori non aveva

no contestato.

I due motivi — che vanno esaminati congiuntamente, poiché entrambi riguardano la ricostruzione del sinistro e la determina zione del grado di incidenza causale del comportamento della

vittima in ordine all'evento letale — non possono essere accolti.

È ben noto il generale principio (ex plurimis, Cass., sez. un., 13045/97, id., Rep. 1997, voce Cassazione civile, n. 81) che la

deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda proces suale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logi co-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le pro ve, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute mag

giormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sot

tesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei

mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge di prova legale).

Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il pro filo dell'omissione, dell'insufficienza o della contraddittorietà

della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quan do, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile trac

cia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisi

vi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'uffi

cio; ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomenta zioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identi

ficazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.

Orbene, nel caso in esame rileva questa corte che la motiva

zione del giudice del merito in ordine alla ricostruzione del sini

stro appare logica e non espone alcuno dei profili di ine ingruità, che, da opposte e contrastanti prospettive, le parti denunciano.

In virtù di tutte le deposizioni testimoniali rese, non soltanto

di quelle dei testi Ciarlo e Fracasso, il giudice di secondo grado ha ritenuto dimostrato che l'investitore procedeva ad eccessiva

velocità, superiore certamente a cinquanta chilometri all'ora e

non consona, comunque, alla situazione del luogo, in cui il fatto

che altre autovetture erano in sosta ai lati della strada lasciava

prevedere anche la presenza di pedoni; che la vittima venne in

vestita mentre, senza dare la precedenza all'autovettura del

Bartolomucci che sopraggiungeva, stava attraversando la strada; che l'attraversamento da parte della minore non era stato repen tino o tale da impedire al guidatore, che avesse tenuto una velo

cità adeguata, di avvistarla e di attuare un'efficace manovra

d'emergenza per evitare di investirla.

In rapporto a siffatte modalità dell'incidente la condotta del

l'investitore e quella della vittima sono state valutate concor

renti in misura equivalente alla produzione dell'evento.

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PARTE PRIMA

L'istanza volta ad ottenere, in ordine alla dinamica ed all'e

ziologia dell'incidente, la diversa valutazione, che una parte

prospetta come antitetica a quella indicata dall'altra, non è quivi

proponibile. Del tutto pacifico, infatti, è il principio (ex multis, Cass.

19188/03, id., Rep. 2003, voce Circolazione stradale, n. 267;

11007/03, ibid., n. 265; 10880/03, ibid., n. 266) secondo cui, in

presenza di sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli, il

giudizio espresso dal giudice di merito in ordine alla dinamica

ed alle cause dell'incidente ed alla condotta dei protagonisti, ai

fini dell'accertamento e della graduazione delle rispettive con

dotte e delle conseguenti responsabilità, involgendo apprezza menti di elementi di fatto, è incensurabile in sede di legittimità,

sempre che sia sorretto da motivazione adeguata e sia immune

da vizi logici e da errori di diritto. 4. - Con il secondo motivo del ricorso principale

— deducen

do la violazione e la falsa applicazione della norma di cui al

l'art. 1227 c.c. — i ricorrenti criticano l'impugnata sentenza

nella parte in cui il giudice di secondo grado ha ritenuto che il

principio della proporzionale riduzione del risarcimento del

danno in relazione al comportamento della vittima trova appli cazione anche quando la vittima stessa sia un incapace, doven

dosi prescindere, in tal modo, dalla sua imputabilità e dalla re

sponsabilità del soggetto tenuto a sorvegliarne la condotta.

Assumono che il comportamento oggettivamente colposo del

danneggiato non deve a lui essere imputato, ma deve far carico

a colui che in quel momento è tenuto a vigilarne il comporta

mento, con la conseguenza che, dovendo l'evento di danno con

siderarsi l'effetto delle condotte concorrenti del terzo danneg

giarne e del sorvegliante, si rende applicabile la norma di cui al

l'art. 2055 c.c., circa la responsabilità solidale di entrambi e cir

ca il diritto del danneggiato di pretendere da ciascuno di essi il

risarcimento del danno nella sua interezza.

La tesi dei ricorrenti — che, su un tema largamente dibattuto

ed ancora controverso, si rifà ad una delle opinioni sostenute in

dottrina — è nel senso che il danno risarcibile subisce una ridu

zione, per effetto della norma di cui al 1° comma dell'art. 1227

c.c., solo ove il fatto colposo concorrente consista in un com

portamento proprio del danneggiato, che reclami il risarcimento,

per cui se il congiunto di una vittima chiede iure proprio il ri

sarcimento dei danni connessi alla colposa uccisione del con

giunto, non può, a favore del responsabile della morte, ridursi il

risarcimento solo perché la vittima aveva contribuito con la sua

condotta alla produzione dell'evento.

Ciò a maggior ragione —

precisano i ricorrenti — quando si

tratta di condotta della vittima che è un soggetto incapace d'in

tendere e di volere e, perciò, privo di colpa, come si è verificato

nel caso di specie del minore deceduto a seguito di sinistro stra

dale.

Tale fatto — aggiungono — è, invero, estraneo alla persona

del congiunto danneggiato dalla morte, il quale non ha concorso

alla produzione del danno da lui subito e non deve subire le

conseguenze del fatto concorrente di un soggetto da lui diverso.

La società resistente, nel contrastare detta tesi, richiama a suo

favore la diversa opinione degli autori, per la quale la pretesa ad

un integrale risarcimento da parte del congiunto comporterebbe che il terzo debba rispondere non solo della parte di danno che è

a lui stesso imputabile, ma anche di quella parte che deve farsi

risalire al defunto, secondo un'ipotesi di responsabilità concor

rente del terzo per fatto della vittima, che non avrebbe altra

spiegazione se non quella di qualificare la fattispecie come un

concorso di più autori dell'illecito solidalmente responsabili verso il danneggiato; ipotesi, tuttavia non configurabile dato che

il morto non è autore di un illecito a danno del congiunto. La disputa, in dottrina ancora non sopita, trae origine dalla

lettera della norma dell'art. 1227, 1° comma, c.c., la quale, sta

bilendo che si richiede il fatto colposo del danneggiato, pone il

problema se un fatto di tale tipo possa essere ravvisato in quello commesso da un soggetto che non ha facoltà di intendere o di

volere ovvero se la fattispecie prevista dalla norma non possa realizzarsi nel caso dell'incapace perché, essendo la capacità

presupposto della colpa, il soggetto non può porre in essere il

fatto colposo richiesto e, quindi, non può considerarsi concor

rente in senso giuridico alla produzione del danno.

In una prospettiva più generale il problema riguarda la mede

II Foro Italiano — 2005.

sima ratio della norma, nel senso che occorre individuare quali siano i criteri idonei a collegare la condotta del danneggiato al

l'evento dannoso, tenendo conto del fatto che tale condotta si

inserisce per definizione in un quadro composito, in cui viene in

rilievo un fatto illecito altrui.

La giustificazione su cui si fonda la riduzione di responsabi lità del danneggiato è stata, quindi, posta nella scelta alternativa

tra il criterio della causalità e quello della rilevanza dell'atteg

giamento psicologico del danneggiato. Anche nella risalente giurisprudenza di questa corte il pro

blema fu oggetto di decisioni difformi, ma il contrasto tra l'indi

rizzo favorevole all'inapplicabilità della riduzione del risarci

mento (Cass. 3 giugno 1959, n. 1650, id., 1959, I, 923; 10 feb braio 1961, n. 291, id., 1962, I, 913) e quello contrario (Cass. 16

aprile 1957, n. 1284, id., Rep. 1957, voce Responsabilità civile, n. 70; 28 aprile 1962, n. 827, id., 1962,1, 913) venne composto dalla sentenza delle sezioni unite di questa corte n. 351 del 1964

{id., 1964,1, 752). La quale stabilì che il principio di cui all'art. 1227 c.c. (rife

ribile anche alla materia del danno extracontrattuale per

l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 stesso codice) della

riduzione proporzionale del danno in ragione dell'entità per centuale dell'efficienza causale del comportamento del soggetto

danneggiato, si applica pur quando costui sia incapace d'inten

dere o di volere per minore età o per altra causa.

Le argomentazioni addotte dalla sentenza suddetta delle se

zioni unite furono le seguenti:

a) il danno che taluno, sia o non incapace d'intendere e di

volere, arreca a sé stesso non è danno in senso giuridico e non

può essere posto a carico dell'autore della causa concorrente,

sia in virtù del principio che il risarcimento deve esisere propor zionato all'entità della colpa di ciascun concorrente, sia per l'e

sigenza equitativa di evitare un indebito arricchimento;

b) la nozione di «fatto colposo del creditore», di cui all'art.

1227 c.c., deve essere intesa non nel senso che il legislatore ha

voluto fare necessario riferimento all'elemento soggettivo della

colpa, giacché la colpa ha rilevanza ai fini della responsabilità, che presuppone l'imputabilità, e non ai fini della risarcibilità del danno patito, per il quale quel che conta è il comportamento og

gettivamente in contrasto con norme positive e di comune pru denza tenuto dal danneggiato, il quale non può pretendere il ri

sarcimento del danno prodotto a sé stesso né può altrimenti rite

nersi che la sua condotta resti assorbita da quella del danneg

giarne così da dare luogo ad una responsabilità di quest'ultimo eccedente i limiti dell'efficienza causale della sua azione;

c) non è decisivo, a favore della tesi contraria, che la riduzio

ne del risarcimento debba essere commisurata alla gravità della

colpa ed all'entità delle conseguenze derivatene, perché anche il

concetto di gravità della colpa non deve essere riferito all'ele

mento psicologico, ma alla maggiore o minore rilevanza del

comportamento negligente od imprudente; d) il fatto dell'incapace non può identificare l'ipotesi del caso

fortuito, perché il fortuito è circostanza improvvisa ed imprevi

sta, caratterizzata dall'inevitabilità, mentre la condotta dell'in

capace è pienamente prevedibile e non può mai dirsi casuale ed

inevitabile;

e) la riduzione del risarcimento, nel caso di concorso della

condotta dell'incapace, non si pone in contrasto con la norma

dell'art. 2046 c.c., il cui ambito di operatività riguarda l'esclu

sione di responsabilità verso i terzi per le conseguenze del com

portamento dello stesso incapace, ma non giustifica anche la

pretesa risarcitoria nei confronti di terzi per i danni che lo stesso

abbia prodotto a sé.

Il suddetto indirizzo interpretativo non è andato esente dalle

critiche di una parte della dottrina, che, nell'inquadrare il dispo sto dell'art. 1227, 1° comma, c.c. nell'ambito del principio della

«autoresponsabilità», alla norma assegna la c.d. funzione pre

ventiva, nel senso che, attraverso la minaccia di una sanzione, si

vuole influire sulla condotta e sulla volontà dei consociati, in

ducendoli ad agire in modo tale da prevenire le conseguenze

negative che potrebbero colpirli. La successiva giurisprudenza di legittimità, tuttavia, non si è

discostata dal principio fissato dalla sentenza delle sezioni unite

n. 351 del 1964 (Cass. 702/65, id., 1965, I, 890; 1753/73, id., Rep. 1973, voce Danni in materia civile, n. 45; 4691/92, id.,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Rep. 1992, voce Responsabilità civile, n. 124; 4332/94, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 88) ed il suddetto indirizzo interpretativo ha

resistito anche al vaglio di costituzionalità.

Il giudice delle leggi — dando atto della pacifica giurispru denza di questa corte secondo cui il comportamento del credito

re, sia egli capace o no, si pone egualmente come un evento di

cui il debitore, che non l'ha cagionato, ragionevolmente non de

ve rispondere — ha, infatti, escluso che contrasti con il princi

pio di eguaglianza la norma di cui all'art. 1227 c.c. nella parte in cui, nei confronti dell'incapace d'intendere e di volere, che

con la sua condotta abbia concorso a causare il danno comples sivamente da lui subito, impedisce la risarcibilità di quella parte del danno stesso che sia stata causata dal comportamento di esso

danneggiato e non ne consente la risarcibilità, nemmeno in via

equitativa e in misura parziale. Ha aggiunto che la violazione del principio di eguaglianza

non sussiste neppure sotto il profilo del contrasto della norma

impugnata con i principi ricavabili dalla lettura congiunta degli art. 2046 e 2047 c.c., in quanto questa seconda norma, concer

nendo l'autore dell'illecito, non può essere assunta come ter

tium comparationis rispetto all'art. 1,227, riguardante la persona offesa (Corte cost., ord. 23 gennaio 1985, n. 14, id., 1985, I,

934). Questo collegio ritiene senz'altro di doversi uniformare al

l'indirizzo già segnato, che la Corte costituzionale ha presuppo sto quale legittimo diritto vivente, ribadendo come lo stesso le

gislatore intese codificare quest'orientamento interpretativo con

10 stabilire che tra responsabilità e colpa efficiente del soggetto debba necessariamente intercorrere un nesso di adeguatezza.

Per la generale portata del principio in questione, la riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che

reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui

verificarsi ha contribuito la sua condotta; ma anche nei con

fronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l'e

vento di danno subito dalla vittima proietta su di essi, agiscono

per ottenere i danni iure proprio. Il motivo d'impugnazione non può, perciò, essere accolto.

5. - La valutazione dell'insussistente violazione della norma

di cui all'art. 1227, 1° comma, c.c., cui questa corte è pervenuta

per il motivo di cui innanzi dell'impugnazione principale, as sorbe l'esame del secondo motivo dell'impugnazione inciden

tale, con cui la società ricorrente, denunciando che il giudice di

secondo grado non avrebbe dovuto ritenere superfluo l'accerta

mento sull'eventuale responsabilità di altri soggetti tenuti alla

sorveglianza sulla minore unitamente alla Dal Col, sostiene, in

particolare, che l'indagine avrebbe dovuto avere ad oggetto la

sussistenza della colpa concorrente dei genitori della vittima, al

fine di far derivare la riduzione del danno risarcibile.

Una volta stabilito, infatti, che il concorso della condotta

concorrente della vittima deve essere preso in considerazione ai

fini della proporzionale riduzione del risarcimento dei danni re

clamati iure proprio dai genitori, l'ulteriore accertamento, di cui

la società denuncia l'omissione, diviene irrilevante, dato che

l'eventuale culpa in educando ovvero in vigilando verrebbe a

coprire, per altro verso, quel medesimo ambito di irrisarcibilità

già derivante dall'applicazione dell'art. 1227 c.c. nell'interpre tazione che se ne deve dare.

Con il terzo motivo dell'impugnazione principale — dedu cendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui al l'art. 2043 c.c. nonché la illogicità della motivazione della sen

tenza nella parte in cui essa ha escluso la liquidazione del danno

patrimoniale — i ricorrenti assumono che la decisione, adottata

nella considerazione che non era stata fornita alcuna prova che

l'andamento dell'attività gestita dai coniugi avesse subito pre

giudizio economico in conseguenza della morte della figlia, non

avrebbe tenuto conto del fatto che trattavasi della gestione tem

poranea di un'attività commerciale, esercitata in locale posto

proprio di fronte al luogo ove era avvenuto l'incidente mortale

occorso alla figlia e che essi avevano abbandonato poiché non

avevano più l'animo di continuare a svolgerla dove il ricordo

della figlia era sempre vivo.

Anche detta censura, la quale, nonostante la denunciata viola

zione della norma di cui all'art. 2043 c.c., consiste esclusiva

mente in un preteso vizio di motivazione, non può essere ac

colta.

11 Foro Italiano — 2005.

La corte territoriale sul punto ha motivato in modo adeguato,

precisando le ragioni per le quali doveva negarsi che fosse stata

raggiunta la prova, anche per presunzioni logiche, del probabile contributo economico che la minore, alla raggiunta maggiore età, avrebbe potuto dare all'attività di commercio dei genitori.

La diversa valutazione che i ricorrenti propongono è inam

missibile in questa sede, involgendo essa pure apprezzamenti di

elementi di fatto.

Il ricorso principale, di conseguenza, è rigettato. 6. - Con il terzo motivo dell'impugnazione incidentale la so

cietà Meieaurora s.p.a. censura la sentenza nella parte in cui il

giudice d'appello ha compensato interamente le spese del se

condo grado del giudizio ed ha lasciato a suo carico tutte quelle di primo grado, che avrebbe dovuto, invece, compensare quanto meno in ragione della metà in conseguenza della parziale soc

combenza degli appellati nella fase del gravame. Il motivo non è fondato.

Il giudice di secondo grado, argomentando in base alla valu

tazione globale dèlia soccombenza secondo l'esito dell'intero

giudizio, ha ravvisato la sussistenza dei giusti motivi per com

pensare interamente tra le parti le spese del giudizio d'appello ed ha ritenuto di mantenere ferma la statuizione relativa alle

spese del primo grado. La motivazione non è illogica e non infrange il principio del

l'infrazionabilità del criterio di regolamentazione delle spese secondo le varie fasi del giudizio.

Per il resto, occorre ribadire che, in tema di spese processuali, la valutazione dell'opportunità della compensazione totale o

parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito; non richiede specifica motivazione; quale espressione di un potere discrezionale, attribuito dalla legge, è incensurabile in sede di legittimità, salvo che non risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della

parte totalmente vittoriosa ovvero che la decisione del giudice di merito sulla sussistenza dei giusti motivi ex art. 92 c.p.c. sia

accompagnata dall'indicazione di ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o l'evidente erro

neità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale

espressa sul punto. Anche il ricorso incidentale, pertanto, è rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 7 feb braio 2005, n. 2417; Pres. Fiduccia, Est. Lo Piano, P.M. Cic colo (conci, conf.); Min. interno (Avv. dello Stato) c. Toma selli. Cassa Trib. Reggio Calabria 27 luglio 2001.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diver so dall'abitazione — Canone — Aggiornamento — Ri

chiesta — Necessità — Fattispecie (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 32, 79; d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa, art. 1; 1. 5 aprile 1985 n. 118, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 7 febbraio

1985 n. 12, art. 1).

In tema di locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'a

bitazione, è nulla, ai sensi dell'art. 19 l. 392/78, in quanto contraria al disposto dell'art. 32 stessa legge (come modifi cato dall'art. 1, comma 9 sexies, /. 118/85), la clausola con

trattuale che faccia conseguire al locatore con un'unica ri

chiesta, preventiva o da effettuarsi alla cessazione del rap porto, il diritto a conseguire tutti gli aggiornamenti Istat del canone maturati nel corso della locazione, esonerandolo così

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