sezione III civile; sentenza 10 febbraio 2005, n. 2704; Pres. Vittoria, Est. Trifone, P.M.Sorrentino (concl. parz. diff.); Parcesepe e altra (Avv. Guidi) c. Soc. Meieaurora (Avv. La Viola)e altro. Conferma App. Roma 10 gennaio 2002Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 11 (NOVEMBRE 2005), pp. 3103/3104-3109/3110Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23201152 .
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PARTE PRIMA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 10 febbraio 2005, n. 2704; Pres. Vittoria, Est. Trifone, P.M. Sorrentino (conci, parz. diff.); Parcesepe e altra (Avv. Gui
di) c. Soc. Meieaurora (Avv. La Viola) e altro. Conferma App. Roma 10 gennaio 2002.
Danni in materia civile — Danneggiato incapace d'intende re e di volere — Concorso di colpa — Risarcimento — Ri duzione (Cod. civ., art. 1227, 2056).
Ove la vittima dell'illecito sia un incapace d'intendere e di vo
lere, la sua condotta va presa in considerazione ai fini della
proporzionale riduzione del risarcimento, la quale dev 'essere
operata anche nei confronti dei congiunti che, in relazione
agli effetti riflessi che l'evento proietta su di essi, agiscono
per ottenere i danni iure proprio. (1)
Svolgimento del processo. — Con citazione innanzi al Tribu nale di Latina, notificata il 15 aprile 1994, Carmine Parcesepe e Rosanna Bottan, in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sulle figlie minori Marika e Valentina Parcesepe, convenivano in giudizio Massimo Bartolomucci e la società Meie s.p.a. per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro stradale nel quale era deceduta la figlia Martina, che il Bartolomucci aveva inve
stito alla guida dell'autovettura di sua proprietà, assicurata pres so la suddetta società.
L'assicuratore della responsabilità civile contrastava la do manda sul presupposto che l'incidente era avvenuto per colpa esclusiva della piccola Martina, che, discesa dall'altra autovet tura di Maria Dal Col, che la stava riaccompagnando a casa, aveva attraversato improvvisamente la strada.
Il tribunale, ritenuta la responsabilità concorrente di Massimo
Bartolomucci e di Maria Dal Col, la quale era tenuta alla sorve
glianza della minore che i genitori le avevano affidato, condan nava in solido i convenuti all'intero risarcimento dei danni, poi ché, pur dovendosi l'evento ascrivere alla condotta di soggetti diversi, i danneggiati, ai sensi dell'art. 2055 c.c., ben potevano pretendere il tutto da uno solo di essi.
(1) È ormai consolidato l'indirizzo che ammette la configurabilità del concorso di colpa anche rispetto al danneggiato incapace: v. Cass. 1° aprile 1995, n. 3829, Foro it.. Rep. 1996, voce Responsabilità civile, n. 92; 5 maggio 1994, n. 4332, id., Rep. 1994, voce cit., n. 88; 29 aprile 1993, n. 5024, ibid., voce Circolazione stradale, n. 177; 16 aprile 1992, n. 4691, id., Rep. 1992, voce Responsabilità civile, n. 124. Nel mede simo senso si era espressa Corte cost., ord. 23 gennaio 1985, n. 14, id., 1985, I, 934, con nota di R. Pardolesi, cui si rinvia per ulteriori riferi menti bibliografici e giurisprudenziali.
Considerata la portata generale del principio enunciato, il Supremo collegio evidenzia come la condotta concorrente della vittima incida anche sulle pretese risarcitone avanzate in proprio dai congiunti. Pro
prio in virtù dell'estensione a tali ipotesi della riduzione del risarci mento, la corte di legittimità, chiamata a vagliare una fattispecie in cui il ristoro dei danni iure proprio era stato chiesto dai genitori in conse guenza del decesso della figlia minorenne, ha ritenuto irrilevante l'ac certamento sulla responsabilità dei soggetti tenuti alla sorveglianza della vittima, posto che l'eventuale culpa in educando ovvero in vigi lando avrebbe coperto il medesimo ambito di irrisarcibilità già deri vante dall'applicazione dell'art. 1227 c.c. Al riguardo, va ricordato l'o rientamento secondo cui il concorso di colpa dei genitori del minore
danneggiato, per omessa vigilanza su di esso, può essere opposto dal
responsabile del danno solo allorché i genitori abbiano agito in proprio per il risarcimento, non anche quando essi abbiano agito in nome del minore (v. Cass. 24 maggio 1997, n. 4633, id., Rep. 1998, voce cit., n. 178; 9 giugno 1994, n. 5619, id., Rep. 1994, voce cit., n. 92).
Sulle problematiche evocate dalla pronuncia in epigrafe, cfr. U. Vio lante, Concorso di colpa e allocazione della responsabilità, in Riv. critica dir. privato, 2004, 483; Gius. Macrini-Ger. Macrini, La dimi nuzione del «quantum» risarcibile per concorso di colpa del danneg giato, in Merito, 2004, fase. 9, 9; C. Martorana, Sul rapporto tra im putabilità e colpa nel settore extracontrattuale e sui suoi riflessi in quello contrattuale, in Resp. civ., 1994, 359; M.C. Traverso, Causalità e colpevolezza nel concorso di colpa del danneggiato, in Nuova giur. civ., 1994, II, 235.
Sull'interpretazione giurisprudenziale dell'art. 1227, 1° comma, c.c., e sul principio di compensazione delle colpe, v., da ultimo, U. Violan te, La responsabilità parziaria, Napoli, 2004, 25-38.
Il Foro Italiano — 2005.
Sull'impugnazione principale della società di assicurazione e su quella incidentale di Carmine Parcesepe e Rosanna Bottan decideva la Corte d'appello di Roma con sentenza pubblicata il 10 gennaio 2002, che, in parziale riforma della decisione di
primo grado, quantificava il credito per risarcimento dei danni nella minor somma di euro 99.052,52, oltre interessi legali dalla data della sentenza del tribunale, che confermava nel resto;
compensava per intero le spese del grado e condannava gli ap pellanti incidentali a restituire alla società di assicurazione le somme che l'assicuratore, in esecuzione della sentenza di primo
grado, aveva corrisposto in eccedenza rispetto all'importo dei danni liquidati in secondo grado.
I giudici d'appello ritenevano di poter confermare sia la rico struzione dell'incidente, secondo le modalità descritte dal primo giudice; sia la dipendenza dell'evento dalle condotte, in eguale misura concorrenti, del convenuto Bartolomucci e della vittima.
Consideravano, contrariamente a quanto ritenuto dal tribuna
le, che il principio di cui all'art. 1227, 1° comma, c.c. trova ap
plicazione pur quando il danneggiato è un soggetto incapace, cui debba farsi risalire in parte la verificazione dell'evento, e
che per tale ragione dovesse essere operata la corrispondente ri
duzione alla metà della misura del risarcimento disposto a cari co dei convenuti.
Rilevavano che ogni altro accertamento in ordine all'even tuale responsabilità di altri soggetti, tenuti alla sorveglianza della minore, era irrilevante.
Escludevano la sussistenza del danno patrimoniale dei genito ri, in quanto la loro attività commerciale, dall'apporto che
avrebbe potuto darvi la minore alla raggiunta maggiore età, non
avrebbe tratto un beneficio economico eccedente la spesa che sarebbe occorsa per mantenere la figlia.
In una valutazione complessiva dell'esito della lite, lasciava
no ferma la statuizione sulle spese del primo grado del giudizio e ravvisavano i giusti motivi per compensare interamente quelle d'appello.
Per la cassazione della sentenza Carmine Parcesepe e Rosan na Bottan, in proprio e nella qualità, hanno proposto, a mezzo di distinti difensori, due diversi ricorsi, notificati, il primo, il 13 febbraio 2003; il secondo, in data 24 febbraio 2003.
La prima impugnazione risulta affidata a tre motivi; la secon da si basa su quattro mezzi di doglianza.
Ad entrambi i ricorsi ha resistito con controricorso la società Meieaurora s.p.a. (nella quale si è trasformata la Meie s.p.a.), la
quale, preliminarmente, ha eccepito l'inammissibilità sia del se condo ricorso, per l'avvenuta consumazione del diritto d'impu gnazione; sia del primo ricorso, del quale la proposizione della seconda impugnazione avrebbe comportato l'abbandono.
La società assicuratrice, inoltre, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso proposto da parte dei genitori nella qualità di eser centi la potestà sulle figlie minori, perché, avendo il giudice d'appello dichiarato tardivo il gravame incidentale avanzato in nome e per conto delle rappresentate, si sarebbe, con effetto nei confronti delle minori, formato il giudicato relativamente al l'accertata misura della condotta concorrente della vittima nella causazione dell'evento.
La stessa società, con entrambi i controricorsi, a sua volta ha
proposto impugnazione incidentale sulla scorta di tre motivi, identici in entrambi i ricorsi.
Non ha svolto difese Massimo Bartolomucci. I ricorrenti Carmine Parcesepe e Rosanna Bottan hanno pre
sentato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (art. 335 c.p.c.).
2. - Preliminarmente rileva questa corte che deve essere di chiarato inammissibile il secondo ricorso di Carmine Parcesepe e Rosanna Bottan, notificato in data 24 febbraio 2003 (iscritto al n. 6411 r.g.n. 2003) di contenuto sostanzialmente identico al
precedente, che è stato notificato il 13 febbraio 2003 ad istanza di diversi difensori e del quale sono state positivamente verifi cate la tempestività, l'ammissibilità e la piena sua validità.
Ricorre, nella specie, l'ipotesi cui si applica la regola, con forme all'indirizzo della giurisprudenza di questa corte (Cass., sez. un., 9409/94, Foro it., Rep. 1994, voce Cassazione civile, n.
101), per la quale, dovendo, a norma dell'art. 366 c.p.c., il ri corso per cassazione essere proposto, a pena d'inammissibilità,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
con unico atto avente i requisiti di forma e di contenuto indicati
in detta disposizione, è inammissibile un nuovo atto successi
vamente notificato a modifica o ad integrazione del primo, sia
che esso concerna l'indicazione dei motivi, ostandovi il princi
pio della consumazione dell'impugnazione, sia quando esso tenda a colmare la mancanza di taluno degli elementi prescritti.
La proposizione di un nuovo ricorso (ove non siano decorsi i
termini dell'impugnazione) è possibile, infatti, solo in sostitu zione, non anche ad integrazione o a correzione, di un ricorso
viziato ma non ancora dichiarato inammissibile.
L'inammissibilità del suddetto ricorso principale comporta l'inefficacia del corrispondente ricorso incidentale, iscritto al n.
8654 r.g.n. 2003, proposto con il controricorso notificato dalla
Meieaurora s.p.a. il 27 marzo 2003.
Di conseguenza, i motivi dell'impugnazione principale da
esaminare sono quelli esposti secondo la numerazione e l'arti
colazione del ricorso iscritto al n. 5003 r.g.n. 2003, notificato il
13 febbraio 2003, del quale deve essere esclusa l'eccepita inammissibilità, dedotta nella considerazione che la proposizio ne di un successivo ricorso dovrebbe essere intesa quale «ab
bandono» del precedente.
Considerato, infatti, che per «abbandono» del ricorso prece dentemente proposto la resistente società intende prospettare una sorta di intervenuta rinuncia tacita, secondo una ipotesi di
acquiescenza preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329
c.p.c., osserva, tuttavia, questo giudice di legittimità, richia
mando quanto già stabilito in precedenti sue decisioni (Cass.
1823/00, id., Rep. 2000, voce Impugnazioni civili, n. 72; 4535/99, id., Rep. 1999, voce cit., n. 60; 801/98, id., Rep. 1998, voce cit., n. 74), che l'acquiescenza per rinuncia tacita all'im
pugnazione è possibile solo anteriormente alla proposizione del
gravame, perché successivamente ad esso può venire all'evi
denza solo una rinuncia espressa, da compiere nelle forme pre scritte dalla legge.
Nella specie, non solo non sussiste rinuncia espressa al ricor
so, ma la proposizione di successiva ed analoga istanza, sorretta
sostanzialmente dalle medesime argomentazioni (ancorché di
versamente articolate), manifesta, piuttosto, il preciso proposito della parte di continuare ad avvalersi del diritto d'impugnazio ne.
Non può essere accolta neppure l'eccezione di inammissibi
lità del ricorso dei genitori nella qualità di esercenti la potestà sulle figlie minori Marika e Valentina Parcesepe, eccezione
proposta nella considerazione che nei confronti delle due minori si sarebbe formato il giudicato sul punto relativo alla concor
rente partecipazione all'evento di danno, in ragione della metà, del comportamento della vittima.
E evidente, infatti, che, avendo in primo grado ottenuto l'in
tegrale risarcimento del danno, le minori (e con esse i genitori
quanto all'accolta domanda in proprio) non erano tenute a pro
porre il gravame incidentale relativamente all'accertamento
della concorrente condotta della vittima, dato che il tribunale
espressamente aveva valutato irrilevante, ai fini della misura del
risarcimento, l'incidenza sull'evento della condotta causale della vittima.
Costituisce, infatti, principio pacifico (da ultimo, Cass.
18721/03, id., Rep. 2003, voce Appello civile, n. 107; 12345/03, ibid., n. 108; 6491/03, ibid., voce Impugnazioni civili, n. 128) che la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado non ha
l'onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle domande e delle eccezioni assorbite o comunque non esa minate con la sentenza impugnata dalla parte soccombente, es
sendo sufficiente la riproposizione di tali domande od eccezioni
in una delle difese del giudizio di secondo grado. L'interesse ad impugnare sul punto è sorto a seguito della
pronuncia di secondo grado, che, nella diversa esegesi della
norma circa l'incidenza causale del comportamento della vitti
ma in ordine all'entità del pregiudizio risarcibile, ha dato rilievo
all'accertamento della sussistenza e del grado concorrente della
sua condotta, per cui il ricorso per cassazione risulta ammissi
bile. 3. - Con il primo motivo dell'impugnazione principale
— de
ducendo, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., l'insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione della impugnata decisio
ne nella parte in cui il ruolo concorrente di partecipazione all'e
II Foro Italiano — 2005 — Pane I-55.
vento della vittima era stato fissato nella percentuale della metà — i ricorrenti assumono che il giudice del merito avrebbe do
vuto ritenere, in base alle deposizioni dei testi Ciarlo e Fracasso, che la minore era stata investita non mentre attraversava la stra
da, ma quando ancora si accingeva a farlo.
Denunciano che la contraddittorietà della motivazione sareb
be da ravvisare nel fatto che la corte territoriale, per un verso, aveva tratto la convinzione che la minore non aveva attraversato
la strada; d'altro canto, aveva ritenuto che la stessa aveva omes
so di concedere la precedenza all'autovettura.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la società
Meieaurora s.p.a. censura il medesimo punto dell'impugnata sentenza e lamenta che il giudice del merito avrebbe dovuto ri
tenere che agli atti di causa era la prova che il sinistro doveva
essere attribuito all'esclusiva condotta della vittima, la quale re
pentinamente avrebbe attraversato la strada; in subordine la
menta che il giudice d'appello avrebbe dovuto quantomeno rite
nere prevalente la responsabilità della vittima ed assolutamente
residuale quella del Bartolomucci.
Assume che la diversa conclusione del giudice del merito sa
rebbe la conseguenza della incoerente ed omessa valutazione di
elementi decisivi acquisiti al processo, non avendo la corte di
merito valutato, in particolare, la consulenza disposta dal p.m. in sede d'indagine penale, le cui risultanze gli attori non aveva
no contestato.
I due motivi — che vanno esaminati congiuntamente, poiché entrambi riguardano la ricostruzione del sinistro e la determina zione del grado di incidenza causale del comportamento della
vittima in ordine all'evento letale — non possono essere accolti.
È ben noto il generale principio (ex plurimis, Cass., sez. un., 13045/97, id., Rep. 1997, voce Cassazione civile, n. 81) che la
deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda proces suale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logi co-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le pro ve, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute mag
giormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sot
tesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei
mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge di prova legale).
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il pro filo dell'omissione, dell'insufficienza o della contraddittorietà
della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quan do, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile trac
cia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisi
vi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'uffi
cio; ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomenta zioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identi
ficazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.
Orbene, nel caso in esame rileva questa corte che la motiva
zione del giudice del merito in ordine alla ricostruzione del sini
stro appare logica e non espone alcuno dei profili di ine ingruità, che, da opposte e contrastanti prospettive, le parti denunciano.
In virtù di tutte le deposizioni testimoniali rese, non soltanto
di quelle dei testi Ciarlo e Fracasso, il giudice di secondo grado ha ritenuto dimostrato che l'investitore procedeva ad eccessiva
velocità, superiore certamente a cinquanta chilometri all'ora e
non consona, comunque, alla situazione del luogo, in cui il fatto
che altre autovetture erano in sosta ai lati della strada lasciava
prevedere anche la presenza di pedoni; che la vittima venne in
vestita mentre, senza dare la precedenza all'autovettura del
Bartolomucci che sopraggiungeva, stava attraversando la strada; che l'attraversamento da parte della minore non era stato repen tino o tale da impedire al guidatore, che avesse tenuto una velo
cità adeguata, di avvistarla e di attuare un'efficace manovra
d'emergenza per evitare di investirla.
In rapporto a siffatte modalità dell'incidente la condotta del
l'investitore e quella della vittima sono state valutate concor
renti in misura equivalente alla produzione dell'evento.
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PARTE PRIMA
L'istanza volta ad ottenere, in ordine alla dinamica ed all'e
ziologia dell'incidente, la diversa valutazione, che una parte
prospetta come antitetica a quella indicata dall'altra, non è quivi
proponibile. Del tutto pacifico, infatti, è il principio (ex multis, Cass.
19188/03, id., Rep. 2003, voce Circolazione stradale, n. 267;
11007/03, ibid., n. 265; 10880/03, ibid., n. 266) secondo cui, in
presenza di sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli, il
giudizio espresso dal giudice di merito in ordine alla dinamica
ed alle cause dell'incidente ed alla condotta dei protagonisti, ai
fini dell'accertamento e della graduazione delle rispettive con
dotte e delle conseguenti responsabilità, involgendo apprezza menti di elementi di fatto, è incensurabile in sede di legittimità,
sempre che sia sorretto da motivazione adeguata e sia immune
da vizi logici e da errori di diritto. 4. - Con il secondo motivo del ricorso principale
— deducen
do la violazione e la falsa applicazione della norma di cui al
l'art. 1227 c.c. — i ricorrenti criticano l'impugnata sentenza
nella parte in cui il giudice di secondo grado ha ritenuto che il
principio della proporzionale riduzione del risarcimento del
danno in relazione al comportamento della vittima trova appli cazione anche quando la vittima stessa sia un incapace, doven
dosi prescindere, in tal modo, dalla sua imputabilità e dalla re
sponsabilità del soggetto tenuto a sorvegliarne la condotta.
Assumono che il comportamento oggettivamente colposo del
danneggiato non deve a lui essere imputato, ma deve far carico
a colui che in quel momento è tenuto a vigilarne il comporta
mento, con la conseguenza che, dovendo l'evento di danno con
siderarsi l'effetto delle condotte concorrenti del terzo danneg
giarne e del sorvegliante, si rende applicabile la norma di cui al
l'art. 2055 c.c., circa la responsabilità solidale di entrambi e cir
ca il diritto del danneggiato di pretendere da ciascuno di essi il
risarcimento del danno nella sua interezza.
La tesi dei ricorrenti — che, su un tema largamente dibattuto
ed ancora controverso, si rifà ad una delle opinioni sostenute in
dottrina — è nel senso che il danno risarcibile subisce una ridu
zione, per effetto della norma di cui al 1° comma dell'art. 1227
c.c., solo ove il fatto colposo concorrente consista in un com
portamento proprio del danneggiato, che reclami il risarcimento,
per cui se il congiunto di una vittima chiede iure proprio il ri
sarcimento dei danni connessi alla colposa uccisione del con
giunto, non può, a favore del responsabile della morte, ridursi il
risarcimento solo perché la vittima aveva contribuito con la sua
condotta alla produzione dell'evento.
Ciò a maggior ragione —
precisano i ricorrenti — quando si
tratta di condotta della vittima che è un soggetto incapace d'in
tendere e di volere e, perciò, privo di colpa, come si è verificato
nel caso di specie del minore deceduto a seguito di sinistro stra
dale.
Tale fatto — aggiungono — è, invero, estraneo alla persona
del congiunto danneggiato dalla morte, il quale non ha concorso
alla produzione del danno da lui subito e non deve subire le
conseguenze del fatto concorrente di un soggetto da lui diverso.
La società resistente, nel contrastare detta tesi, richiama a suo
favore la diversa opinione degli autori, per la quale la pretesa ad
un integrale risarcimento da parte del congiunto comporterebbe che il terzo debba rispondere non solo della parte di danno che è
a lui stesso imputabile, ma anche di quella parte che deve farsi
risalire al defunto, secondo un'ipotesi di responsabilità concor
rente del terzo per fatto della vittima, che non avrebbe altra
spiegazione se non quella di qualificare la fattispecie come un
concorso di più autori dell'illecito solidalmente responsabili verso il danneggiato; ipotesi, tuttavia non configurabile dato che
il morto non è autore di un illecito a danno del congiunto. La disputa, in dottrina ancora non sopita, trae origine dalla
lettera della norma dell'art. 1227, 1° comma, c.c., la quale, sta
bilendo che si richiede il fatto colposo del danneggiato, pone il
problema se un fatto di tale tipo possa essere ravvisato in quello commesso da un soggetto che non ha facoltà di intendere o di
volere ovvero se la fattispecie prevista dalla norma non possa realizzarsi nel caso dell'incapace perché, essendo la capacità
presupposto della colpa, il soggetto non può porre in essere il
fatto colposo richiesto e, quindi, non può considerarsi concor
rente in senso giuridico alla produzione del danno.
In una prospettiva più generale il problema riguarda la mede
II Foro Italiano — 2005.
sima ratio della norma, nel senso che occorre individuare quali siano i criteri idonei a collegare la condotta del danneggiato al
l'evento dannoso, tenendo conto del fatto che tale condotta si
inserisce per definizione in un quadro composito, in cui viene in
rilievo un fatto illecito altrui.
La giustificazione su cui si fonda la riduzione di responsabi lità del danneggiato è stata, quindi, posta nella scelta alternativa
tra il criterio della causalità e quello della rilevanza dell'atteg
giamento psicologico del danneggiato. Anche nella risalente giurisprudenza di questa corte il pro
blema fu oggetto di decisioni difformi, ma il contrasto tra l'indi
rizzo favorevole all'inapplicabilità della riduzione del risarci
mento (Cass. 3 giugno 1959, n. 1650, id., 1959, I, 923; 10 feb braio 1961, n. 291, id., 1962, I, 913) e quello contrario (Cass. 16
aprile 1957, n. 1284, id., Rep. 1957, voce Responsabilità civile, n. 70; 28 aprile 1962, n. 827, id., 1962,1, 913) venne composto dalla sentenza delle sezioni unite di questa corte n. 351 del 1964
{id., 1964,1, 752). La quale stabilì che il principio di cui all'art. 1227 c.c. (rife
ribile anche alla materia del danno extracontrattuale per
l'espresso richiamo contenuto nell'art. 2056 stesso codice) della
riduzione proporzionale del danno in ragione dell'entità per centuale dell'efficienza causale del comportamento del soggetto
danneggiato, si applica pur quando costui sia incapace d'inten
dere o di volere per minore età o per altra causa.
Le argomentazioni addotte dalla sentenza suddetta delle se
zioni unite furono le seguenti:
a) il danno che taluno, sia o non incapace d'intendere e di
volere, arreca a sé stesso non è danno in senso giuridico e non
può essere posto a carico dell'autore della causa concorrente,
sia in virtù del principio che il risarcimento deve esisere propor zionato all'entità della colpa di ciascun concorrente, sia per l'e
sigenza equitativa di evitare un indebito arricchimento;
b) la nozione di «fatto colposo del creditore», di cui all'art.
1227 c.c., deve essere intesa non nel senso che il legislatore ha
voluto fare necessario riferimento all'elemento soggettivo della
colpa, giacché la colpa ha rilevanza ai fini della responsabilità, che presuppone l'imputabilità, e non ai fini della risarcibilità del danno patito, per il quale quel che conta è il comportamento og
gettivamente in contrasto con norme positive e di comune pru denza tenuto dal danneggiato, il quale non può pretendere il ri
sarcimento del danno prodotto a sé stesso né può altrimenti rite
nersi che la sua condotta resti assorbita da quella del danneg
giarne così da dare luogo ad una responsabilità di quest'ultimo eccedente i limiti dell'efficienza causale della sua azione;
c) non è decisivo, a favore della tesi contraria, che la riduzio
ne del risarcimento debba essere commisurata alla gravità della
colpa ed all'entità delle conseguenze derivatene, perché anche il
concetto di gravità della colpa non deve essere riferito all'ele
mento psicologico, ma alla maggiore o minore rilevanza del
comportamento negligente od imprudente; d) il fatto dell'incapace non può identificare l'ipotesi del caso
fortuito, perché il fortuito è circostanza improvvisa ed imprevi
sta, caratterizzata dall'inevitabilità, mentre la condotta dell'in
capace è pienamente prevedibile e non può mai dirsi casuale ed
inevitabile;
e) la riduzione del risarcimento, nel caso di concorso della
condotta dell'incapace, non si pone in contrasto con la norma
dell'art. 2046 c.c., il cui ambito di operatività riguarda l'esclu
sione di responsabilità verso i terzi per le conseguenze del com
portamento dello stesso incapace, ma non giustifica anche la
pretesa risarcitoria nei confronti di terzi per i danni che lo stesso
abbia prodotto a sé.
Il suddetto indirizzo interpretativo non è andato esente dalle
critiche di una parte della dottrina, che, nell'inquadrare il dispo sto dell'art. 1227, 1° comma, c.c. nell'ambito del principio della
«autoresponsabilità», alla norma assegna la c.d. funzione pre
ventiva, nel senso che, attraverso la minaccia di una sanzione, si
vuole influire sulla condotta e sulla volontà dei consociati, in
ducendoli ad agire in modo tale da prevenire le conseguenze
negative che potrebbero colpirli. La successiva giurisprudenza di legittimità, tuttavia, non si è
discostata dal principio fissato dalla sentenza delle sezioni unite
n. 351 del 1964 (Cass. 702/65, id., 1965, I, 890; 1753/73, id., Rep. 1973, voce Danni in materia civile, n. 45; 4691/92, id.,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Rep. 1992, voce Responsabilità civile, n. 124; 4332/94, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 88) ed il suddetto indirizzo interpretativo ha
resistito anche al vaglio di costituzionalità.
Il giudice delle leggi — dando atto della pacifica giurispru denza di questa corte secondo cui il comportamento del credito
re, sia egli capace o no, si pone egualmente come un evento di
cui il debitore, che non l'ha cagionato, ragionevolmente non de
ve rispondere — ha, infatti, escluso che contrasti con il princi
pio di eguaglianza la norma di cui all'art. 1227 c.c. nella parte in cui, nei confronti dell'incapace d'intendere e di volere, che
con la sua condotta abbia concorso a causare il danno comples sivamente da lui subito, impedisce la risarcibilità di quella parte del danno stesso che sia stata causata dal comportamento di esso
danneggiato e non ne consente la risarcibilità, nemmeno in via
equitativa e in misura parziale. Ha aggiunto che la violazione del principio di eguaglianza
non sussiste neppure sotto il profilo del contrasto della norma
impugnata con i principi ricavabili dalla lettura congiunta degli art. 2046 e 2047 c.c., in quanto questa seconda norma, concer
nendo l'autore dell'illecito, non può essere assunta come ter
tium comparationis rispetto all'art. 1,227, riguardante la persona offesa (Corte cost., ord. 23 gennaio 1985, n. 14, id., 1985, I,
934). Questo collegio ritiene senz'altro di doversi uniformare al
l'indirizzo già segnato, che la Corte costituzionale ha presuppo sto quale legittimo diritto vivente, ribadendo come lo stesso le
gislatore intese codificare quest'orientamento interpretativo con
10 stabilire che tra responsabilità e colpa efficiente del soggetto debba necessariamente intercorrere un nesso di adeguatezza.
Per la generale portata del principio in questione, la riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che
reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui
verificarsi ha contribuito la sua condotta; ma anche nei con
fronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l'e
vento di danno subito dalla vittima proietta su di essi, agiscono
per ottenere i danni iure proprio. Il motivo d'impugnazione non può, perciò, essere accolto.
5. - La valutazione dell'insussistente violazione della norma
di cui all'art. 1227, 1° comma, c.c., cui questa corte è pervenuta
per il motivo di cui innanzi dell'impugnazione principale, as sorbe l'esame del secondo motivo dell'impugnazione inciden
tale, con cui la società ricorrente, denunciando che il giudice di
secondo grado non avrebbe dovuto ritenere superfluo l'accerta
mento sull'eventuale responsabilità di altri soggetti tenuti alla
sorveglianza sulla minore unitamente alla Dal Col, sostiene, in
particolare, che l'indagine avrebbe dovuto avere ad oggetto la
sussistenza della colpa concorrente dei genitori della vittima, al
fine di far derivare la riduzione del danno risarcibile.
Una volta stabilito, infatti, che il concorso della condotta
concorrente della vittima deve essere preso in considerazione ai
fini della proporzionale riduzione del risarcimento dei danni re
clamati iure proprio dai genitori, l'ulteriore accertamento, di cui
la società denuncia l'omissione, diviene irrilevante, dato che
l'eventuale culpa in educando ovvero in vigilando verrebbe a
coprire, per altro verso, quel medesimo ambito di irrisarcibilità
già derivante dall'applicazione dell'art. 1227 c.c. nell'interpre tazione che se ne deve dare.
Con il terzo motivo dell'impugnazione principale — dedu cendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui al l'art. 2043 c.c. nonché la illogicità della motivazione della sen
tenza nella parte in cui essa ha escluso la liquidazione del danno
patrimoniale — i ricorrenti assumono che la decisione, adottata
nella considerazione che non era stata fornita alcuna prova che
l'andamento dell'attività gestita dai coniugi avesse subito pre
giudizio economico in conseguenza della morte della figlia, non
avrebbe tenuto conto del fatto che trattavasi della gestione tem
poranea di un'attività commerciale, esercitata in locale posto
proprio di fronte al luogo ove era avvenuto l'incidente mortale
occorso alla figlia e che essi avevano abbandonato poiché non
avevano più l'animo di continuare a svolgerla dove il ricordo
della figlia era sempre vivo.
Anche detta censura, la quale, nonostante la denunciata viola
zione della norma di cui all'art. 2043 c.c., consiste esclusiva
mente in un preteso vizio di motivazione, non può essere ac
colta.
11 Foro Italiano — 2005.
La corte territoriale sul punto ha motivato in modo adeguato,
precisando le ragioni per le quali doveva negarsi che fosse stata
raggiunta la prova, anche per presunzioni logiche, del probabile contributo economico che la minore, alla raggiunta maggiore età, avrebbe potuto dare all'attività di commercio dei genitori.
La diversa valutazione che i ricorrenti propongono è inam
missibile in questa sede, involgendo essa pure apprezzamenti di
elementi di fatto.
Il ricorso principale, di conseguenza, è rigettato. 6. - Con il terzo motivo dell'impugnazione incidentale la so
cietà Meieaurora s.p.a. censura la sentenza nella parte in cui il
giudice d'appello ha compensato interamente le spese del se
condo grado del giudizio ed ha lasciato a suo carico tutte quelle di primo grado, che avrebbe dovuto, invece, compensare quanto meno in ragione della metà in conseguenza della parziale soc
combenza degli appellati nella fase del gravame. Il motivo non è fondato.
Il giudice di secondo grado, argomentando in base alla valu
tazione globale dèlia soccombenza secondo l'esito dell'intero
giudizio, ha ravvisato la sussistenza dei giusti motivi per com
pensare interamente tra le parti le spese del giudizio d'appello ed ha ritenuto di mantenere ferma la statuizione relativa alle
spese del primo grado. La motivazione non è illogica e non infrange il principio del
l'infrazionabilità del criterio di regolamentazione delle spese secondo le varie fasi del giudizio.
Per il resto, occorre ribadire che, in tema di spese processuali, la valutazione dell'opportunità della compensazione totale o
parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito; non richiede specifica motivazione; quale espressione di un potere discrezionale, attribuito dalla legge, è incensurabile in sede di legittimità, salvo che non risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della
parte totalmente vittoriosa ovvero che la decisione del giudice di merito sulla sussistenza dei giusti motivi ex art. 92 c.p.c. sia
accompagnata dall'indicazione di ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o l'evidente erro
neità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale
espressa sul punto. Anche il ricorso incidentale, pertanto, è rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 7 feb braio 2005, n. 2417; Pres. Fiduccia, Est. Lo Piano, P.M. Cic colo (conci, conf.); Min. interno (Avv. dello Stato) c. Toma selli. Cassa Trib. Reggio Calabria 27 luglio 2001.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diver so dall'abitazione — Canone — Aggiornamento — Ri
chiesta — Necessità — Fattispecie (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 32, 79; d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa, art. 1; 1. 5 aprile 1985 n. 118, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 7 febbraio
1985 n. 12, art. 1).
In tema di locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'a
bitazione, è nulla, ai sensi dell'art. 19 l. 392/78, in quanto contraria al disposto dell'art. 32 stessa legge (come modifi cato dall'art. 1, comma 9 sexies, /. 118/85), la clausola con
trattuale che faccia conseguire al locatore con un'unica ri
chiesta, preventiva o da effettuarsi alla cessazione del rap porto, il diritto a conseguire tutti gli aggiornamenti Istat del canone maturati nel corso della locazione, esonerandolo così
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