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sezione III civile; sentenza 11 dicembre 2002, n. 17628; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M....

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sezione III civile; sentenza 11 dicembre 2002, n. 17628; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. Gambardella (concl. diff.); Soc. Aeffe immobiliare (Avv. La Porta) c. Ormella (Avv. D'Ottavi, Grisi). Cassa Trib. Verona 17 luglio 1999 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1097/1098-1103/1104 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198262 . Accessed: 28/06/2014 16:28 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.97 on Sat, 28 Jun 2014 16:28:57 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 11 dicembre 2002, n. 17628; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M.Gambardella (concl. diff.); Soc. Aeffe immobiliare (Avv. La Porta) c. Ormella (Avv. D'Ottavi,Grisi). Cassa Trib. Verona 17 luglio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1097/1098-1103/1104Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198262 .

Accessed: 28/06/2014 16:28

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

In difesa dell'orientamento prevalente si è ritenuto di poter

opporre (sent. 23 febbraio 1999, cit.) che:

a) il provvedimento di revoca non ha attitudine a passare in

cosa giudicata proprio per l'espressa previsione legale della sua

modificabilità e revocabilità da parte dello stesso giudice che lo

ha emesso;

b) non si vede come possa acquisire carattere definitivo un

provvedimento che, pur comportando la risoluzione anticipata del rapporto di mandato esistente tra il condominio e l'ammini

stratore, non veda presenti in giudizio tutti i condomini, ma

soltanto alcuni di essi;

c) non è vero che l'amministratore revocato, e che ha visto

porre fine illegittimamente ante tempus al suo rapporto con il

condominio, rimarrebbe senza difesa, in quanto nulla osta a che, ove il provvedimento non venga revocato o disatteso dalla mag

gioranza dei condomini con la sua riconferma, egli possa, in un

giudizio autonomo, da proporre nei confronti del condominio, che il mandato gli ha conferito, e non soltanto di taluni condo

mini, far valere le sue ragioni. In ordine a quanto dedotto sub a), se si intende fare riferi

mento all'astratta revocabilità dei provvedimenti di volontaria

giurisdizione ai sensi dell'art. 742 c.p.c. (non essendo tale revo

cabilità prevista dall'art. 1129 c.c. o dall'art. 64 disp. att. c.c.), va rilevato che in tal modo si dà per dimostrato proprio ciò che

è da dimostrare, e cioè la revocabilità del provvedimento di cui

si discute solo perché emesso secondo la procedura prevista da

gli art. 737 ss. c.p.c., mentre, invece, la questione va risolta in

base alla natura sostanziale (e non solo formale) dello stesso.

La seconda argomentazione non tiene conto del disposto del

l'art. 1726 c.c., il quale prevede che, nel caso di mandato col

lettivo, ove ricorra una giusta causa, la revoca può essere fatta

anche da uno solo dei mandanti.

In ordine all'argomentazione secondo la quale una conferma

della non definitività del provvedimento di revoca dell'ammini

stratore sarebbe desumibile dal fatto che lo stesso potrebbe esse

re disatteso dalla maggioranza dei condomini, con la revoca

della revoca o con la riconferma dell'amministratore, è facile

osservare che in entrambi i casi non si verrebbe ad incidere sulla

revoca giudiziale, ma si procederebbe ad una nuova nomina.

L'affermazione, infine, secondo la quale l'amministratore

potrebbe, in un giudizio autonomo, far valere le sue ragioni nei

confronti del condominio è di difficile comprensione; non si ve

de, infatti, quali sarebbero tali ragioni, dal momento che la ri

chiesta di revoca, sia pure ad iniziativa di un solo condomino, ma nell'ambito di una legittimazione espressamente prevista dalla legge, è stata ritenuta fondata da parte dell'autorità giudi ziaria.

Una volta stabilita l'ammissibilità del ricorso, si può passare all'esame del merito dello stesso.

Con il primo motivo si deduce che il reclamo incidentale pro

posto da Rossana De Angelis era nullo, in quanto il relativo atto

di impugnazione era stato notificato in unica copia al procurato re domiciliatario.

Il motivo è infondato, in base all'assorbente considerazione

che, come affermato dalla Corte d'appello di Roma, la nullità è

stata sanata con effetto retroattivo dalla costituzione delle con

troparti, e contro l'esattezza di tale affermazione nessuna speci fica censura viene svolta in questa sede.

Con il secondo motivo si denuncia l'irregolare sostituzione

del relatore originariamente nominato.

La doglianza è infondata, in quanto secondo la pacifica giuris

prudenza di questa Suprema corte (cfr.. da ultimo, sent. 14 feb

braio 2000, n. 1643, id., Rep. 2000, voce Procedimento civile, n. 66) l'eventuale inosservanza delle disposizioni in tema di so

stituzione del relatore costituisce un'irregolarità di carattere re

golamentare interno che non incide sulla costituzione del giudi ce né implica violazione della precostituzione del giudice per

legge, e come tale è improduttiva di conseguenze quanto alla

validità della sentenza.

Con il terzo motivo i ricorrenti propongono tre censure.

Con la prima deducono che il provvedimento impugnato, pur avendo carattere decisorio, è stato sottoscritto dal solo presi dente del collegio e non anche dal relatore.

La doglianza è infondata, in quanto il provvedimento in que stione, pur avendo carattere decisorio, per le ragioni in prece denza illustrate, è stato correttamente emesso secondo lo sche

ma (volontaria giurisdizione) per esso previsto.

Il Foro Italiano — 2003.

Con la seconda censura si sostiene che la corte d'appello non

avrebbe tenuto conto di tutte le inadempienze addebitate al

l'amministratore.

La doglianza è inammissibile, in quanto, a parte la sua gene ricità, in sostanza viene denunciato un presunto vizio di motiva

zione, senza tener conto dei limiti ai quali è soggetto il ricorso

per cassazione ex art. 111 Cost.

I ricorrenti, infine, si dolgono della condanna alle spese. Anche tale doglianza è infondata, in quanto la corte d'appello

ha fatto applicazione del principio della soccombenza.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE ; sezione III civile; sentenza 11 di

cembre 2002, n. 17628; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M.

Gambardella (conci, diff.); Soc. Aeffe immobiliare (Avv. La

Porta) c. Ormella (Avv. D'Ottavi, Grisi). Cassa Trib. Vero

na 17 luglio 1999.

Mediazione e mediatore — Conclusione dell'affare — No

zione (Cod. civ., art. 1755). Mediazione e mediatore — Mediazione atipica — Contratto

a favore di terzo — Provvigione — Obbligo dello stipulan

te al pagamento (Cod. civ., art. 1754, 1755).

Il concetto di affare, di cui alla disciplina della mediazione, de

ve essere inteso in senso estensivo, sì da renderlo riferibile non solo a tutte le situazioni in cui l'affare intermediato sia

costituito da un solo contratto o da una pluralità di negozi tra

loro collegati e diretti a realizzare un unico interesse econo

mico, ma anche da qualsiasi operazione di natura economica

che si risolva in un 'utilità patrimoniale, prodotta attraverso

strumenti giuridici. ( 1 ) Posta l'ammissibilità della mediazione a favore di terzo come

ipotesi atipica della stessa, obbligato al pagamento della

provvigione è il soggetto incaricante rimasto estraneo al

l'affare mediato, allorché il terzo, a cui favore è stata effet tuata l'attività mediatoria, concluda l'affare. (2)

(1-2) I. - La pronuncia in rassegna, in linea con il consolidato orien tamento giurisprudenziale (v., da ultimo, Trib. Venezia 30 agosto 2002, Foro it.. 2002. I, 3469, nonché Cass. 11 gennaio 2001, n. 325, id., 2001.1, 1883). attribuisce al concetto di «affare» (di cui agli art. 1754 e 1755 c.c.) un significato più ampio rispetto a quello sic et simpliciter di

negozio o direttamente di contratto (la problematica non investe l'ordi namento tedesco, posto che il § 652 BGB usa il termine contratto). In fatti, da tempo l'espressione de qua sintetizza non solo la creazione di un vincolo di natura negoziale idoneo ad attribuire al mediatore il di ritto alla provvigione, ma anche la conclusione di qualsiasi operazione economica giuridicamente vincolante che abiliti ciascuna delle parti ad

agire per l'adempimento o per il risarcimento del danno. In altri termi

ni, perché possa parlarsi di affare concluso, è necessario che l'interesse economico perseguito dalle parti sia idoneo a ricevere tutela giuridica (a titolo esemplificativo, v. Cass. 13 marzo 1995, n. 2905, id.. Rep. 1995, voce Mediazione, n. 14; 16 giugno 1992. n. 7400, id.. Rep. 1992, voce cit.. il. 15, la quale precisa che per conclusione dell'affare deve «intendersi il compimento di un'operazione di natura economica gene ratrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l'adempi mento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno»).

Le linee tracciate dalla giurisprudenza ripercorrono in parallelo il convincimento espresso a più riprese dalla dottrina prevalente sul signi ficato in parola. Infatti, voci autorevoli parlano di legittimazione da

parte del mediatore a chiedere la provvigione quando l'interesse perse guito sia garantito «da quei presupposti di validità che appagano l'inte resse economico delle parti e rendono il negozio azionabile», non già (rectius: non solo) quando prenda forma, con il consenso delle stesse, il vincolo giuridico (Cataudella, Mediazione, voce dell' Enciclopedia

giuridica Treccani, Roma, 1990, XIX, 10; Troisi, La mediazione, Mi

lano, 1995, 88; in senso contrario, già Carnelutti, La prestazione del

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1099 PARTE PRIMA

Svolgimento del processo. — Con sentenza del 4 dicembre

1997 il Pretore di Verona respingeva l'opposizione proposta da

Toni Ormella avverso il decreto ingiuntivo n. 32/97 dell'8 feb

braio 1997. confermando la condanna dell'opponente al paga mento in favore della Aeffe immobiliare s.a.s. della somma di

lire 7.497.000. a titolo di provvigione per l'attività di mediazio

ne svolta per l'acquisto di un immobile di Angela Asparagi. Avverso questa sentenza proponeva appello l'Ormella.

rischio nella mediazione, in Riv. dir. comm.. 1911.1. 19, e Finocchi aro. Il contratto di mediazione. Catania. 1922, 1 16 ss.).

Il riconoscimento al mediatore del diritto alla provvigione quando per effetto del suo intervento le parti abbiano concluso «l'affare», inte so come operazione giuridicamente rilevante e non già come contratto, ha posto interrogativi circa l'idoneità del preliminare ad integrare la nozione di cui è parola. Sul punto, sia la dottrina (Troisi, La mediazio ne. cit.. 90). sia la giurisprudenza più recente (Trib. Venezia 30 agosto 2002. cit.; Cass. lì maggio 2001, n. 6599. Foro it.. Rep. 2001, voce cit.. n. 31) sono concordi nel ritenere che anche la stipula di un preli minare faccia sorgere in capo al mediatore il diritto al compenso, e ciò

perché l'accordo preliminare, oltre ad «appagare» l'interesse economi co dei sottoscrittori (le parti sono obbligate a concludere il definitivo), abilita la parte adempiente ad azionare i relativi rimedi: il risarcimento dei danni e. ove non sia escluso dal titolo, l'esecuzione specifica del

l'obbligo a contrarre. La nutrita casistica giurisprudenziale si è arricchita, da ultimo, della

pronuncia 6827/01, resa dai giudici di legittimità {ibid., n. 29. e Danno e resp.. 2001, 800. con nota di Carbone) con la quale si è ammesso come affare, ai fini della provvigione, il preliminare di vendita di cosa altrui, in quanto contratto (né nullo né annullabile) che comporta l'ob

bligo. per il venditore, di acquistare il bene dal proprietario e trasmet terlo al compratore.

Su posizioni opposte, invece, si è mossa la stessa corte di legittimità riguardo ai preliminari conclusi in violazione dei limiti stabiliti dall'or dinamento giuridico per l'attuazione dell'autonomia privata: in queste ipotesi il diritto alla provvigione perde di considerazione sia nel caso in cui manchi uno dei requisiti essenziali (Cass. 19 luglio 2002, il. 10553. Foro it.. Mass.. 775. relativamente ad un preliminare di vendita immo biliare concluso oralmente), sia laddove il vincolo precontrattuale ri sulti annullabile (Cass. 15 maggio 2002, n. 7067, ibid.. 509); resta sal va. comunque, per le parti la possibilità di derogare alla disciplina le

gale, condizionando, ad esempio, il diritto alla provvigione alla sotto scrizione del definitivo (Cass. 3 ottobre 1997. n. 9676, id.. Rep. 1998. voce cit.. n. 14. e Giur. it.. 1998. 875. con nota di Rapone) o al buon esito dell'affare (Cass. 27 novembre 1982. n. 6472. Foro it.. Rep. 1983. voce cit., n. 12. e Arch. civ.. 1983, 489).

II. - Chiarito, a grandi linee, il concetto di «affare concluso», occorre esaminare la fattispecie della mediazione su richiesta del terzo. I giudi ci della Suprema corte sciolgono il nodo gordiano circa la sussistenza della causa obligandi nel caso di incarico di mediazione conferito al mediatore da un terzo, configurando la mediazione atipica a favore di terzo. Si ritiene, infatti, che un terzo, avendo interesse che altri conclu da un affare — accompagnato dall'impegno di pagare la provvigione —. possa chiedere l'intervento di un mediatore per agevolarne la con clusione. E chiaro che un contratto di tal fatta non darebbe vita ad una mediazione tipica, posto che si tratterebbe di esercitare l'attività di me diazione in favore di un soggetto diverso da quello che ha promesso la

provvigione. In giurisprudenza si ritiene, infatti, che la conclusione di un contratto

di mediazione, anche se relativo alla vendita di un immobile, non im

plica necessariamente l'esercizio di un potere di disponibilità della cosa e che il rapporto è validamente costituito se l'incarico è conferito al l'intermediario da un terzo che abbia interesse all'affare (Cass. 29 mar zo 1982. n. 1934. Foro it.. Rep. 1982. voce cit., n. 9; 24 maggio 1960. n. 1319, id.. Rep. 1961, voce cit.. n. 19. e Giur. it.. 1961, 1. 1, 574; 29 marzo 1956, n. 900, Foro it.. Rep. 1956, voce cit.. n. 13: 9 aprile 1954. n. 1134. id.. Rep. 1954. voce cit.. n. 7: App. Messina 11 febbraio 1957. id.. Rep. 1957. voce cit.. nn. 9. 10).

Carraro, La mediazione. Padova, 1960, 131. nega che tale fattispecie possa essere assunta come mediazione nei confronti del terzo. Proprio l'esercizio dell'attività di interposizione, in favore di soggetti diversi da colui che ha conferito l'incarico e promesso la provvigione, impedirebbe di parlare di rapporto mediatorio. Viene altresì respinta la possibilità che nella fattispecie vada a concretarsi un contratto in favore di terzi per la mancanza, in capo al beneficiario dell'interposizione, del diritto a «pre tendere» la prestazione del mediatore, originando gli obblighi di «com

portamento» dello stesso solo dal rapporto di mediazione tipica. Non sembra condividere quest'impostazione altra parte della dottrina

(Luminoso. La mediazione, in Trattato fondato da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, Milano. 1993, 20: Visalli, La mediazione, Milano, 1992, 187), secondo cui l'attività d'intermediazione commis sionata dal terzo realizza, invece, un rapporto di mediazione essendo

l'oggetto del contratto l'avvicinamento di alcuni soggetti — seppur di versi dal mediatario — finalizzato alla conclusione di un affare.

Non v'è dubbio che la fattispecie così descritta deroghi alla discipli

II Foro Italiano — 2003.

Resisteva l'opposta. Il Tribunale di Verona, con sentenza depositata il 17 luglio

1999. accoglieva l'appello, revocava il decreto ingiuntivo e ri

gettava la domanda dell'Aeffe immobiliare, che condannava al

pagamento delle spese del doppio grado di giudizio ed alla re

stituzione della somma ricevuta in esecuzione della prima sen

tenza, oltre interessi.

Riteneva il tribunale che l'opposta non aveva fornito la prova

na del «tipo» legale: l'attività di mediazione, diversamente da quanto stabilito dall'art. 1754, non giova al soggetto che ha stipulato il con tratto. ma spiega i suoi effetti nei riguardi dei beneficiari dell'attività

intermediatrice, gravando sul terzo estraneo all'affare l'onere di corri

spondere la provvigione quando l'interesse economico sarà realizzato

per l'opera del promittente. Per stabilire i limiti entro i quali è possibile discostarsi dal modello

legale senza alterarne le caratteristiche individualizzanti, è necessario affrontare il problema della qualificazione del contratto, individuando il criterio che consente di distinguere un tipo legale da un altro.

Tralasciando di enucleare le numerose tesi formulate sul punto, la dottrina maggioritaria (Bianca. Diritto civile, 111. Il contratto, Milano. 1999, 444; Visalli. La mediazione, cit.. 175 ss.) individua nella causa, intesa come «ragione concreta del negozio», il criterio di qualificazione dello stesso. Ne consegue che l'elemento caratterizzante del rapporto di mediazione non è l'esistenza del sinallagma servizio-compenso, ma l'interesse meritevole di tutela perseguito dalle parti del rapporto (ree tins: causa concreta): la messa in relazione di soggetti al fine di provo care la conclusione dell'affare. Caratteristica, questa, che non subisce alterazioni nel caso in cui a beneficiare degli effetti della mediazione sia un soggetto estraneo al rapporto. Privo di fondamento è, altresì, l'assunto alla stregua del quale tale fattispecie non potrebbe configurar si per l'impossibilità dell'intermediato di «ottenere» dall'intermediario la prestazione, essendo l'attività di mediazione libera e non dovuta. Non deve, infatti, sfuggire che l'assenza di un diritto alla prestazione deriva dal particolare schema negoziale in cui si risolve il rapporto me diatorio. L'intermediario otterrà la provvigione se e quando per il suo intervento le parti concludano l'affare: questa caratteristica non toglie che soggetto beneficiario dell'attività del promittente resterà la parte che eventualmente concluderà l'affare.

Incontrovertibile sembra essere, in dottrina e giurisprudenza, la qua lificazione della fattispecie de qua come mediazione a favore di terzo,

posto che non c'è corrispondenza soggettiva tra la parte del negozio e il titolare dei diritti provenienti dall'attività di mediazione (Luminoso, La

mediazione, cit., 189; Visalli, La mediazione, cit., 22. In giurispruden za, cfr. Trib. Messina 8 aprile 1988. Foro it.. Rep. 1989. voce cit.. n. 8).

Allargando il campo d'indagine agli ordinamenti giuridici europei, si

scorge che il contratto a favore di terzo rappresenta l'ipotesi storica mente più significativa di estensione degli effetti contrattuali a benefi cio di un terzo (cfr. Kortmann-Faber, Contract and Third Parties, in Hartkamp-Hesselink-Hondius-Du Perron-Vranken, Towards a Euro

pean Civil Code. I ed., The Hague-London-Boston. 1994. 237). Infatti, il problema della validità di questo tipo dì contratto ha costituito uno dei terreni più significativi sul quale si è confrontata la tradizione della

privity of contract. Mentre negli ordinamenti di civil law il riconosci mento della validità del contratto a favore di terzo è avvenuto in tempi più rapidi, in Inghilterra, paese a diritto giurisprudenziale, la privity è stata superata dal diritto generale dei contratti soltanto nel 1999. con l'introduzione del Contract (Rights of Third Parties) Act (sul punto, v. Mac Millan, A Birthday Present for Lord Denning: The Contracts

(Rights of Third Parties) Act 1999. in Mod. L. Rev. 2000, 724 ss.; Mon feli. La riforma della privity of contract nella common law inglese: il Contract (Rights of Third Parties) Act del 1999. in Europa e dir. pri vato. 2000. 1 102 ss.: Toriello, L'esperienza inglese, in Alpa-Fusaro,

Effetti del contratto nei confronti dei terzi. Milano. 2000, 186). Fino a

quel momento il legislatore aveva derogato al principio della relatività

degli effetti contrattuali solo con riguardo a singole ipotesi, come nel caso del contratto di assicurazione sulla vita: nel lontano 1882, con il Married Women's Property Act. si era preoccupato di garantire — de

rogando ai principi fissati da Tweddle v. Atkinson del 1861. dove si

prevedeva, sulla base delle doctrines della privity of contract e della

consideration, che un soggetto non può acquisire alcun actionable right da un contratto di cui non è parte — gli interessi della moglie e dei figli dell'assicurato (per una migliore analisi dei leading-cases, cfr. Lorenz, Relaxations to Contractual Privity, in Markesinis-Lorenz-Dannemann, The Law of Contracts: .4 Comparative Introduction. Oxford, 1997. 259). La conferma dell'avvenuto riconoscimento in tutti gli ordina menti europei della stipulazione a favore del terzo è data dalla presenza nei Principles of European Contract Law dell'art. 6:110 che, diversa mente dai principi Unidroit, ammette la possibilità per un terzo di «chiedere l'adempimento di un'obbligazione contrattuale quando tale diritto è stato espressamente pattuito tra un promittente e uno stipulan te, oppure quando un accordo in tal senso può essere ricavato dalla na tura o dall'oggetto del contratto o dalle circostanze del caso. Non è ne cessario che l'identità del terzo sia nota al momento della conclusione del contratto». [A. Lanotte]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dell'attività di mediazione da lei svolta in favore dell'appellan te; che era ininfluente ai fini della prova il riconoscimento che

l'appellante aveva effettuato in altro giudizio, avente ad oggetto la risoluzione del contratto definitivo intervenuto con l'Aspara

gi, in quanto in tale giudizio risultava acquirente dell'immobile

non l'appellante, bensì il padre Gianni Ormella.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione

l'Aeffe immobiliare s.a.s., che ha anche presentato memoria.

Resiste con controricorso Toni Ormella.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo di ricorso

la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art.

1755 c.c.

Secondo la ricorrente, erroneamente la sentenza impugnata ha

ritenuto che «affare concluso», di cui alla predetta norma, signi ficasse «negozio concluso», mentre l'«affare» andava inteso

come ogni operazione di contenuto economico, che si risolva in

un'utilità patrimoniale. Sostiene la ricorrente che la sola sostitu

zione di un contraente ad un altro è insuscettibile di far venir

meno il diritto del mediatore, già sorto con la conclusione del

l'affare; che nella fattispecie tale vincolo era sorto con la con

clusione del contratto tra l'Ormella Gianni e l'Asparagi; che

Toni Ormella, figlio di Gianni, che aveva sottoscritto la dichia

razione provvigionale, aveva lo stesso interesse del padre Gian

ni alla conclusione dell'affare, in quanto l'acquisto dell'immo

bile avveniva nell'interesse di Toni Ormella, per quanto con

l'intervento del padre. 2. - Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta

l'insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo

della controversia costituito dalla prova dell'obbligazione de

dotta, e cioè dell'attività di mediazione svolta dall'appellante, a

norma dell'art. 360, n. 5, c.p.c. Assume la ricorrente che, avendo prodotto copia della dichia

razione provvigionale, sottoscritta da Toni Ormella e copia del

preliminare sottoscritto da Gianni Ormella e recante come

«mittente» il nome di Toni Ormella. tanto dimostrava che l'inte

resse che si prefiggeva Toni Ormella era l'acquisto dell'immo

bile, per quanto con l'interposizione di Gianni Ormella, e che,

poiché Toni Ormella si era impegnato a pagare la provvigione, detta dichiarazione aveva natura di ricognizione dì debito o

promessa di pagamento, al momento della conclusione dell'af

fare.

In ogni caso, secondo la ricorrente, ben poteva Toni Ormella

impegnarsi al pagamento della provvigione per l'attività me

diatoria compiuta in favore del padre, integrando ciò la fattispe cie di cui all'art. 1381 c.c.

3.1. - Ritiene questa corte che i due motivi, essendo stretta

mente connessi, vadano trattati congiuntamente. Essi sono solo

parzialmente fondati e vanno accolti per quanto di ragione. In linea di principio è esatto che la nozione di «affare», di cui

agli art. 1754 e 1755 c.c., ha un contenuto più ampio di quello di contratto. L'«affare» deve intendersi in modo generico ed

empirico, come qualsiasi operazione di natura economica, che si

risolva in un'utilità patrimoniale, prodotta — tuttavia — attra

verso strumenti giuridici. La nozione di affare, pertanto, data la

sua maggiore estensione rispetto al concetto di contratto, è rife

ribile non solo ai contratti propriamente detti, ma anche ad ogni

operazione generatrice di obbligazioni, ed infine può essere rife

rita anche alla conclusione di una pluralità di contratti fra loro

collegati e diretti a realizzare un unico interesse e programma economico (Cass. 18 maggio 1977, n. 2030, Foro it.. Rep. 1977.

voce Mediazione, n. 4). Pertanto l'affare, di cui alle norme in tema di mediazione, va

inteso in senso globale, e quindi non solo con riferimento alla

conclusione di un solo contratto, ma anche di una pluralità di

contratti tra loro collegati (Cass. 27 novembre 1982, n. 6472,

id.. Rep. 1983, voce cit., n. 12). 3.2. - In questo caso la mediazione resta unica, avendo ad og

getto pur sempre un unico «affare» e sono obbligati al paga mento della provvigione ex art. 1754 e 1755 c.c. i soggetti che

hanno partecipato alla conclusione dell'affare (cfr. Cass. 27 lu

glio 1995, n. 8187, id., Rep. 1995, voce cit., n. 12; 15 maggio 2000, n. 6220. id.. Rep. 2000, voce cit., n. 30).

Nella mediazione tipica non possono però considerarsi parte

cipanti all'affare i soggetti che da esso non abbiano conseguen ze giuridiche, a contenuto patrimoniale, ma che allo stesso ab

biano avuto solo un interesse di mero fatto.

Nella fattispecie la stessa ricorrente assume che la proposta di

Il Foro Italiano — 2003.

preliminare era sottoscritta da Gianni Ormella e non da Toni

Ormella e che il contratto definitivo fu sempre stipulato dal

primo. 3.3. - Non sono pertinenti alla questione in esame le massime

della Suprema corte, riferite dalla ricorrente, in tema di irrile

vanza della sostituzione di un contraente ad un altro, ai fini del

diritto alla provvigione. Esse, infatti, sono state pronunciate in

tema di diritto alla provvigione, nel caso in cui, essendo stato

concluso il contratto preliminare da parte di due soggetti, il

promittente acquirente sia sostituito da altro in sede di contratto

definitivo. La Suprema corte, intervenendo sulla dibattuta questione se

costituisse conclusione dell'affare la stipula di un preliminare, ha ritenuto che al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla

provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti

poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un

vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l'ese

cuzione del negozio, con la conseguenza che anche la stipula di

un contratto preliminare può legittimamente considerarsi come

«atto conclusivo dell'affare», a nulla rilevando la qualità o la

quantità del lavoro svolto dal professionista, il cui unico onere, onde ricevere il dovuto compenso, consiste, appunto, nel procu rare il risultato della conclusione dell'affare (Cass. 30 dicembre

1997, n. 13132, id., Rep. 1997, voce cit., n. 14; 21 maggio 1998, n. 5080, id., Rep. 1998, voce cit., n. 10; 13 marzo 1995, n. 2905,

id., Rep. 1995, voce cit., n. 14; 16 giugno 1992. n. 7400, id.,

Rep. 1992. voce cit., n. 15). Sennonché in dette ipotesi si è pur sempre costituito un rap

porto giuridico, a contenuto patrimoniale, tra le parti, avvicinate

dal mediatore, per cui quest'ultimo ha ormai definitivamente

maturato il diritto alla provvigione nei confronti di dette parti, a

nulla rilevando che in sede di stipula del definitivo il promit tente acquirente sia sostituito da altro acquirente.

3.4. - Nella fattispecie, invece, secondo la stessa ricorrente sia

il contratto preliminare che quello definitivo risultano sotto

scritti solo da Gianni Ormella e non dal figlio Toni, con la con

seguenza che la partecipazione all'affare di quest'ultimo non

aveva alcun connotato giuridico, non essendo sorto da esso al

cun diritto o obbligo, nei confronti dell'Asparagi, ma, al più,

integrava un interesse di mero fatto, non idoneo a rendere lo

stesso parte dell'affare, e, come tale, obbligato al pagamento della provvigione.

Ne consegue che Toni Ormella non può ritenersi parte di un

contratto di mediazione tipica. 4.1. - Né può fondare l'accoglimento del ricorso l'assunto

della ricorrente, secondo cui nella fattispecie ci sarebbe stata

un'interposizione di Gianni Ormella, al fine di consentire l'ac

quisto del bene al figlio Toni.

Infatti, se si fosse trattato di un'interposizione fittizia, ten

dente a realizzare la c.d. «frode al mediatore», trattandosi di

un'ipotesi di simulazione soggettiva, la ricorrente avrebbe do

vuto assumere l'esistenza di un accordo simulatorio a cui

avrebbe partecipato anche l'alienante Asparagi (con conse

guente necessità di accertamento di tale simulazione e litiscon

sorzio necessario nei confronti dell'Asparagi: Cass. 4011/83,

id., Rep. 1983, voce Simulazione civile, n. 4). 4.2. - Se, invece, si fosse trattato di interposizione reale di

persona, il trasferimento sarebbe avvenuto validamente nei con

fronti di Gianni Ormella, per cui l'affare sarebbe stato valida

mente concluso solo da questi (e solo questi era tenuto al paga mento della provvigione nell'ambito di una mediazione tipica), salvo poi l'obbligo del padre, nei rapporti interni con il figlio, di

trasferirgli la titolarità del bene.

5.1. - Infondato è l'assunto della ricorrente, secondo cui, avendo Toni Ormella effettuato la sottoscrizione della dichiara

zione c.d. provvigionale, in favore di essa mediatrice, egli era

per ciò solo tenuto al pagamento della provvigione, costituendo

la stessa promessa di pagamento o ricognizione di debito.

Infatti, la promessa di pagamento, come la ricognizione di

debito, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma pro duce solo l'effetto dell'astrazione della causa debendi, com

portante l'inversione dell'onere della prova, ossia l'esonero del

destinatario della promessa dal provare la causa o il rapporto fondamentale, restando a carico del promittente l'onere di pro vare l'inesistenza o l'invalidità o l'estinzione del rapporto (Cass. 14 gennaio 1997, n. 280, id.. Rep. 1997, voce Promesse

unilaterali, n. 12; 17 marzo 1993, n. 3173, icl., Rep. 1994, voce

cit., n. 2, in tema di mediazione).

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Page 5: sezione III civile; sentenza 11 dicembre 2002, n. 17628; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. Gambardella (concl. diff.); Soc. Aeffe immobiliare (Avv. La Porta) c. Ormella (Avv. D'Ottavi,

PARTE PRIMA

5.2. - Né il fatto che la promessa sia titolata (cioè faccia rife

rimento al rapporto fondamentale) modifica le suddette conse

guenze giuridiche, ma l'indicazione del fatto costitutivo agevola solo il debitore, individuando l'oggetto della prova contraria

che lo stesso deve offrire (rimanendo, invece, controverso se la

promessa abbia anche natura confessoria). Ne consegue che nella fattispecie la sola dichiarazione c.d.

provvigionale, con la quale Toni Ormella si era obbligato al pa

gamento della provvigione indicata nel documento stesso non

può costituire fonte dell'obbligazione in questione, ma com

porta solo l'inversione dell'onere probatorio, per cui competeva al convenuto dimostrare l'inesistenza o l'invalidità o l'estinzio

ne del rapporto fondamentale, cioè nella specie del contratto di

mediazione.

6.1. - Sennonché il solo fatto che Toni Ormella non fosse

parte del contratto concluso per il tramite della mediazione della

ricorrente non comporta di per sé l'inesistenza della causa obli

gandi e cioè del contratto di mediazione in questione, come ri

tenuto dalla sentenza impugnata, ma solo di una mediazione ti

pica, cioè di una mediazione in cui la parte, che ha conferito

l'incarico al mediatore, sia anche parte dell'affare concluso.

Infatti, come sostenuto dalla ricorrente, ben poteva «il Toni

Ormella impegnarsi a pagare lui le provvigioni relativamente

alle prestazioni rese a favore del padre Gianni, dal mediatore».

6.2. - In questo caso, non ricorre la fattispecie di cui all'art.

1381 c.c., come erroneamente ritenuto dalla ricorrente (ma l'er

ronea indicazione della norma è irrilevante, risultando chiara la

censura mossa alla sentenza impugnata: Cass. 10015/98, id..

Rep. 1998, voce Cassazione civile, n. 214), in quanto essa è re

lativa alla promessa dell'obbligazione del terzo, mentre nella

specie Toni Ormella ha promesso un pagamento di un debito

proprio. Nella prospettazione della parte attrice è astrattamente

ipotizzabile il contratto di mediazione in favore di terzo.

6.3. - Secondo un'autorevole dottrina classica e remoti prece denti giurisprudenziali, che questa corte ritiene di condividere, è

possibile configurare anche la mediazione atipica a favore di un

terzo.

Infatti non può escludersi che anche un terzo, avendo interes

se che altri concludano un affare, possa richiedere l'opera di un

intermediario che ne agevoli la conclusione, ed impegnarsi vali

damente a corrispondere l'eventuale provvigione. Tale rapporto, pur presentandosi simile nel suo aspetto strut

turale, non può qualificarsi come mediazione tipica, appunto

perché l'attività intermediatrice viene prestata a favore di un

soggetto diverso da quello che ha promesso la provvigione e che

ha conferito l'incarico mediatorio. Inoltre, e soprattutto, l'atipi cità della mediazione discende dal fatto che quest'ultimo sog

getto è estraneo alla conclusione dell'affare. In questo caso, pe rò, è necessaria la dimostrazione di quello specifico incarico

conferito al mediatore dal terzo e l'assunzione del correlativo

obbligo di corrispondere la provvigione (Cass. 9 aprile 1954, n.

1134, id.. Rep. 1954, voce Mediazione, n. 7; 29 marzo 1956, n.

900, id., Rep. 1956, voce cit., n. 13). 6.4. - In questa ipotesi, per i principi che regolano il contratto

a favore di terzo (art. 1411 c.c.), applicabili nei soli limiti in cui

gli stessi siano compatibili con il contratto di mediazione (se si

segue la teoria prevalente della natura contrattuale della media

zione, anche se va considerato che pure coloro, che escludono

detta natura, ritengono tuttavia ammissibile detta mediazione a

favore di terzo, come ipotesi atipica di mediazione a natura ne

goziale), occorre che il terzo abbia interesse (che nel contratto a

favore di terzo può anche essere solo morale o affettivo: Cass.

n. 3749 del 1979, id., Rep. 1979, voce Contratto in genere, n.

246) a detta attività di mediazione in favore di un altro soggetto e che detto soggetto beneficiario della prestazione mediatoria

non rifiuti la stessa.

In questo caso il diritto alla provvigione sorgerà per il me

diatore allorché il terzo, a cui favore è stata effettuata l'attività

mediatoria, abbia concluso l'affare, ed il soggetto tenuto alla

prestazione della provvigione è colui che ha conferito l'incarico

al mediatore, anche se è estraneo all'affare concluso (irrilevante in questa sede è esaminare il problema se anche l'altro soggetto che ha concluso l'affare con il terzo, sia tenuto al pagamento della provvigione).

7. - Nella fattispecie la ricorrente ha assunto che il rapporto fondamentale della promessa di pagamento era costituito dal

l'attività di mediazione prestata per la conclusione di un con

II Foro Italiano — 2003.

tratto intervenuto tra Gianni Ormella ed Asparagi; che detta at

tività di mediazione era stata richiesta da Toni Ormella; che

quest'ultimo si era obbligato al pagamento. Poiché la domanda dell'attrice, attuale ricorrente, era sup

portata da una promessa di pagamento, costituita dalla c.d. di

chiarazione provvigionale, che comportava l'inversione dell'o

nere della prova, in merito all'inesistenza, invalidità o estinzio

ne della causa obligandi, per escludere quest'ultima non era

sufficiente che risultasse provato che non era mai intervenuto un

contratto di acquisto della casa, a cui avesse partecipato anche

Toni Ormella, convenuto, poiché ciò comportava solo l'estra

neità di quest'ultimo al contratto «mediato», e cioè all'affare

concluso, ma non comportava, di per sé, l'estraneità del conve

nuto ad un contratto di mediazione in favore di terzo, nella spe cie del padre.

Proprio perché nella specie la promessa di pagamento era ti

tolata in relazione al contratto di mediazione, con incarico dato

da Toni Ormella, e l'attività mediatoria era stata prestata in fa

vore del padre Gianni Ormella, che aveva concluso l'affare, la

sentenza impugnata, per ritenere l'inesistenza della causa obli

gandi e rigettare la domanda, avrebbe dovuto esaminare e moti

vare se era stata fornita la prova da parte del convenuto dell'i

nesistenza di un contratto di mediazione in favore di terzo

(Gianni Ormella). Non avendo ciò fatto la sentenza impugnata, ma avendo la

stessa motivato solo sull'inesistenza di un affare concluso di

rettamente da Toni Ormella e quindi di una mediazione tipica, la

sentenza impugnata va sul punto cassata con rinvio.

8. - Pertanto il ricorso va accolto, per quanto di ragione, nei

termini suddetti; va cassata l'impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte di

appello di Venezia, che si uniformerà ai principi di diritto sud

detti.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione tributaria; sentenza 10 di

cembre 2002, n. 17576; Pres. A. Finocchiaro, Est. Di Palma, P.M. Sorrentino (conci, diff.); Min. finanze c. Soc. Marotto

B. cornici (Avv. Francescon). Conferma Comm. trib. reg. Veneto 24 luglio 1997.

Tributi in genere — Statuto del contribuente — Principi —

Operatività (L. 27 luglio 2000 n. 212, disposizioni in materia

di statuto dei diritti del contribuente, art. 1 ). Tributi in genere — Principio del legittimo affidamento del

contribuente — Applicazione retroattiva (L. 27 luglio 2000

n. 212, art. 10). Tributi in genere — Legittimo affidamento del contribuente

— Tutela — Presupposti (L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 10).

Cassazione civile — Principio del legittimo affidamento del

contribuente — Violazione e falsa applicazione — Sinda

cabilità (Cod. proc. civ., art. 360; 1. 27 luglio 2000 n. 212, art.

10). Tributi in genere — Legittimo affidamento del contribuente

— Accertamento — Conseguenze (L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 10).

Tributi in genere — Autotutela — Lesione del legittimo af

fidamento del contribuente — Illegittimità (L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 10).

Tributi in genere — Accertamento — Processo verbale indi

cato come condonabile — Istanza di condono — Successi

va emissione dell'avviso di rettifica — Illegittimità.

Il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla

portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad

ambiti materiali disciplinati dallo statuto del contribuente di

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