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sezione III civile; sentenza 11 marzo 2004, n. 4993; Pres. Duva, Est. Segreto, P.M. Iannelli (concl.parz. diff.); Pirosa (Avv. Cersosimo) c. Leggio e altri; Leggio e altri (Avv. Distefano) c. Pirosa ealtra. Conferma App. Catania 10 maggio 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2004), pp. 2107/2108-2117/2118Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199556 .
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2107 PARTE PRIMA 2108
nali e caratteristiche intrinseche della cosa e che i danni diret
tamente ad essi ascrivibili rappresentano un rischio tipico colle
gato al bene.
Né va dimenticato che la stragrande maggioranza delle cose
oggetto di custodia rappresentano il frutto di un'attività costrut
tiva. L'art. 2051 c.c. verrebbe di fatto svuotato in gran parte se
dal suo ambito restassero fuori danni collegabili al processo di
fabbricazione della cosa. La potenzialità dannosa della maggior
parte dei beni discende, infatti, dalle caratteristiche tecniche
della loro costruzione.
9.3. - Vi sono, inoltre, ragioni di coerenza del sistema che in
ducono a ritenere che i vizi di costruzione della cosa in custodia
non possono costituire il caso fortuito, che esclude la responsa bilità del custode.
Infatti va osservato che l'art. 2053 c.c., che costituisce un'ap
plicazione particolare della responsabilità del custode ex art.
2051 c.c., stabilisce che detta responsabilità del proprietario sussiste anche per vizi di costruzione dell'immobile ed è signi ficativo che la norma non solo prevede la compatibilità logica della responsabilità di chi ha la disponibilità del bene, con il vi
zio di fabbricazione, ma addirittura considera tale circostanza, insieme al difetto di manutenzione, come fondamentale titolo
giustificativo dell'obbligazione risarcitoria ex art. 2053 c.c.
Inoltre anche il 4° comma dell'art. 2054 c.c., secondo la giu
risprudenza costante, comporta una responsabilità oggettiva del
conducente e del proprietario, in caso di danni prodotti da vizio
di costruzione del veicolo (anche se concorrente con la respon sabilità soggettiva del costruttore, ex art. 2043 c.c.). Gli indicati
soggetti, per andare esenti da responsabilità, devono dimostrare
che il danno è dipeso da causa diversa (in buona sostanza da ca
so fortuito che agisce sul nesso eziologico), senza che possa avere rilevanza l'impossibilità di rendersi conto da parte loro
del vizio costruttivo (Cass. 1019/81, id., Rep. 1981, voce Cir
colazione stradale, n. 69; 577/73, id., 1973,1, 2126). 9.4. - Ne consegue che nella fattispecie la sentenza impugna
ta, che ha fissato l'inizio della sequenza causale dell'evento
dannoso (verificatosi nel 1991) già nella fase di costruzione del
l'impianto dell'elettropompa (nel 1988), affermando la concor
rente responsabilità del Ragnatelli e del Sala e che poi ha esclu
so la responsabilità dei custodi-proprietari Montesanto e Lo Co
co, per fatto del terzo (l'Albanese nel 1991), è errata in diritto, oltre ad essere contraddittoria nella motivazione.
10. - L'accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale
comporta l'assorbimento del secondo motivo.
11. - Pertanto va dichiarato estinto il giudizio di cassazione, relativo al ricorso principale di Ragnatelli e del Sala, per inter
venuta rinunzia.
Nulla per le spese del giudizio di cassazione, relative a tale
ricorso.
Va rigettato il ricorso incidentale dell'Albanese.
Va accolto, per quanto di ragione, il ricorso incidentale di Di
Giacinto Maria Concetta, in proprio e nella qualità. Va cassata, in relazione al ricorso incidentale della Di Gia
cinto, l'impugnata sentenza, con rinvio anche per le spese del
giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte d'appello di
Palermo, che si uniformerà ai suddetti principi di diritto.
Il Foro Italiano — 2004.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 11
marzo 2004, n. 4993; Pres. Duva, Est. Segreto, P.M. Ian
nelli (conci, parz. diff.); Pirosa (Avv. Cersosimo) c. Leggio e
altri; Leggio e altri (Avv. Distefano) c. Pirosa e altra. Con
ferma App. Catania 10 maggio 2000.
Danni in materia civile — Circolazione stradale — Cinture
di sicurezza — Obbligo — Inosservanza del trasportato —
Concorso di colpa (Cod. civ., art. 1227; d.leg. 30 aprile 1992
n. 285, nuovo codice della strada, art. 172). Circolazione stradale — Cinture di sicurezza —
Obbligo —
Inosservanza da parte del trasportato — Omissione del
conducente — Responsabilità
— Fattispecie (Cod. civ., art.
1227, 2043, 2054, 2056). Danni in materia civile — Lesioni personali — Prossimi
congiunti della vittima — Danno morale — Risarcibilità (Cod. civ., art. 1223,2059).
L'omesso uso delle cinture di sicurezza da parte del soggetto
trasportato che abbia subito lesioni a seguito di un sinistro
stradale costituisce comportamento colposo del danneggiato nella causazione del danno, rilevante ai sensi dell'art. 1227, 1° comma, c.c., e legittima la riduzione del risarcimento ove
si alleghi e si dimostri che il corretto uso dei sistemi di riten
zione avrebbe ridotto (o addirittura eliso) il danno. (1) La messa in circolazione dell'autoveicolo da parte del condu
(1) Con la decisione in epigrafe la Suprema corte conferma — a
quanto consta per la prima volta nella sede del giudizio civile (cfr. Cass. 27 ottobre 1992, Socchi, Foro it., Rep. 1993, voce Omicidio e le sioni personali colpose, n. 38, per il rilievo causale dato all'inosservan za dell'obbligo di usare le cinture di sicurezza imposto dal codice della strada al soggetto trasportato) — l'indirizzo espresso da diverso tempo dai giudici di merito, a tenore del quale trova applicazione l'art. 1227, 1° comma, c.c. in caso di mancato uso degli strumenti di protezione di cui si tratta da parte del passeggero (Trib. Ascoli Piceno 5 marzo 2002, id., Rep. 2002, voce Responsabilità civile, n. 218; Giud. pace Catanzaro 4 ottobre 2000, id., 2001,1, 2111, con nota di richiami, ove vari riferi menti alla giurisprudenza in materia, nell'ambito della quale si colloca no: Trib. Cassino 15 giugno 2000, id.. Rep. 2001, voce Circolazione stradale, n. 288; Giud. pace Roma 25 gennaio 2000, id., Rep. 2000, vo ce cit., n. 263; Giud. pace Bologna 6 dicembre 1999, ibid., n. 264; Giud. pace Brescia 12 luglio 1999, id., Rep. 1999, voce cit., n. 286; Trib. Udine 15 aprile 1998, ibid., voce Danni civili, n. 304; Trib. Roma 18 marzo 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n. 113, annotata da E. Santo
lini, Morte del congiunto non percettore di reddito e danno patrimo niale dei familiari superstiti, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1997, 338; Trib. Como 9 gennaio 1995, Foro it.. Rep. 1995, voce Circolazione stradale, n. 227, annotata da U. Biondi, Mancato uso delle cinture di sicurezza e concorso di colpa de! danneggiato, in Riv. giur. circolaz. e
trasp., 1995, 536), con conseguente riduzione del suo diritto al risarci mento del danno (per l'indicazione dei precedenti in cui i giudici di merito hanno proceduto ad una puntuale determinazione della percen tuale di danno derivante dal concorso di colpa e quelli in cui, invece, se ne è ammessa la sussistenza senza quantificare il grado di incidenza
percentuale, v. la nota di richiami a Giud. pace Catanzaro 4 ottobre
2000, cit.). Va tuttavia segnalato che sempre la giurisprudenza di merito ha al
cune volte rinvenuto nell'omissione del soggetto trasportato l'unica causa del danno dallo stesso subito, anche in applicazione dell'art. 41
c.p. (Giud. pace Cefalù 29 maggio 1999, Foro it.. Rep. 1999, voce cit., n. 285, e Trib. Crema 8 luglio 1997, id., Rep. 1998, voce cit., n. 217), mentre in almeno un'occasione si è ritenuto che la circostanza de qua non avesse — al contrario — alcun rilievo (Pret. Catania, 13 agosto 1997, id., Rep. 1997, voce cit., n. 226; in materia, v. anche G.B. Agriz zi, Irrilevanza ai fini della responsabilità del fatto illecito delle viola zioni da parte del danneggiato di norme a lui dirette e finalizzate esclu sivamente alla sua incolumità, in Arch, circolaz., 1996, 3); al riguardo, vale anche la pena di rammentare come occasionalmente la giurispru denza precisi che non solo il mancato uso delle cinture potrebbe non incidere sul danno subito dal passeggero, ma che addirittura il loro im
piego può in alcuni casi produrre le lesioni che la vittima riporta (sul punto, C. Romano, Considerazioni su un caso di lesività mortale da cinture di sicurezza, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1989, 563), spie gando l'argomento al fine di evitare ogni automatismo fra il mancato utilizzo dei sistemi di protezione de quibus e l'applicazione dell'art.
1227, 1° comma, c.c. (così Giud. pace Cesena 28 novembre 1996, Foro it., Rep 1997, voce cit., n. 248, in motivazione).
In dottrina, v. anche E. Colombini, Cinture di sicurezza e risarci mento danni, in Arch, circolaz., 1998, 545 ss.; R. Sapia, Casco, cinture e sistemi di protezione: a tutela di che cosa?, in Riv. giur. circolaz. e
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cente senza che il soggetto trasportato abbia allacciato le
cinture di sicurezza integra gli estremi della cooperazione nel fatto colposo altrui e rende il conducente stesso corre
sponsabile del danno derivante al soggetto trasportato dal
mancato uso dei sistemi di ritenzione (nella specie, la Su
prema corte ha confermato la decisione dei giudici di merito secondo cui la parte di danno derivante dal mancato uso del
le cinture di sicurezza era pari al cinquanta per cento, poi ulteriormente suddivisa fra il conducente ed il soggetto tra
sportato addebitando agli stessi, rispettivamente, il venti per cento e il trenta per cento del pregiudizio complessivo subito
dalla vittima). (2) Ai prossimi congiunti (nella specie, i genitori) della persona che
trasp., 1996, 92 ss.; A. Abrugiati, Brevi note in materia di cinture di
sicurezza, id., 1990, 23 ss.; e, per una trattazione ante litteram (cioè prima degli interventi normativi che hanno reso obbligatorio l'uso delle cinture di sicurezza) della questione, G. Criscuoli, «Cinture di sicurez za» e responsabilità civile: un confronto ed una prospettiva per l'art.
1227, 1° comma, c.c., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1977, 504 ss.; inol tre — con particolare riguardo ai problemi di onere della prova (che la decisione evoca incidentalmente nella parte della motivazione dedicata alla c.t.u.) —, F. Vaglio, Omesso uso delle cinture di sicurezza, in Riv.
giur. circolai, e trasp., 1998, 1024; A. Palmieri, Avvinti in un insolito destino: cinture di sicurezza e risarcimento del danno alla persona, in Danno e resp., 1997, 379; M. Rossetti, Omesso uso delle cinture di si
curezza e colpa del danneggiato, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1997, 358; v., al riguardo, anche G.B. Agrizzi, Le cinture di sicurezza ed il 2" comma dell'art. 2697 c.c., in Arch, circolaz., 2000, 643 ss.
(2) Non constano precedenti in termini, almeno nelle pronunce dei
giudici civili.
Infatti, se si eccettuano la decisione della quarta sezione della Su
prema corte richiamata dalla sentenza in epigrafe (Cass. 27 settembre 1996, Comensoli, Foro it., Rep. 1997, voce Circolazione stradale, n.
110, in cui, tuttavia, sembra che il principio si collochi in realtà sul pia no dell 'obiter, in quanto le considerazioni che i giudici di legittimità esprimono in motivazione sono dirette a confermare una decisione di merito che, dal canto suo, aveva già escluso il concorso di colpa della vittima «non solo perché all'epoca del fatto l'uso delle cinture non era
obbligatorio [. . .] ma anche [per] non esservi prova in atti che [la vit
tima] non abbia usato le cinture e [per non esservi] alcun dato probato rio con il quale si possa dimostrare in termini di certezza una diretta in cidenza causale del mancato uso delle cinture sull'evento morte») e
quella più recente che ne riconferma la massima (Cass. 29 gennaio 2003, Sulejmani, in questo fascicolo, II, 431), nonché una precedente decisione di merito sempre dei giudici penali (Pret. Milano 23 gennaio 1991, id., 1991, II, 258, con nota di richiami, che ascrive al trasportato un concorso di colpa pari al venti per cento, attribuendo la restante
parte nella misura del settanta per cento al conducente sulla cui auto vettura la vittima viaggiava e nella misura del trenta per cento all'altro
guidatore responsabile del sinistro, con la precisazione che il primo era da ritenersi responsabile non solo per non aver rispettato il segnale di
precedenza ed aver tenuto una velocità non moderata, ma pure perché «non fece rispettare alla [vittima] l'obbligo di indossare la cintura»), è la prima volta che viene affermata la (cor)responsabilità del conducente
per non aver fatto utilizzare al soggetto trasportato gli strumenti di
protezione in parola. Le argomentazioni della Suprema corte inducono a collocare la fatti
specie nell'ambito della colpa omissiva, perché al guidatore del mezzo viene addebitato di non aver provveduto all'incombenza di cui sopra o, in alternativa, di non aver arrestato la marcia a seguito dell'eventuale rifiuto del passeggero (sulla colpa omissiva, escludendo dalla ricogni zione osservazioni e note a sentenza, G. Cricenti, Il problema della
colpa omissiva, Padova, 2002; Alpa, Trattato di diritto civile. IV. La
responsabilità civile, Milano, 1999, 259 ss.; P.G. Monateri, Manuale della responsabilità civile, Torino, 1999, 68 ss.; F. Cafaggi, Profili della colpa relazionale, Padova, 1996, 259 ss.; M. Franzoni, Dei fatti illeciti, in Commentario Scialoja-Branca, Roma-Bologna, 1993, 151
ss.; M. Bussani, La colpa soggettiva, Padova, 1991, 38 ss.; C. Maior
ca, I fondamenti della responsabilità civile, Milano, 1990, 390 ss.; G.
Visintini, I fatti illeciti. II. La colpa in rapporto agli altri criteri di im
putazione della responsabilità, Padova, 1990, 20 ss.; G. Alpa, Il pro blema dell'atipicità dell'illecito, Napoli, 1979, 127 ss.; P. Trimarchi, Illecito (dir. priv.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1970,
XX, 99 ss.; R. Scognamiglio, Responsabilità civile, voce del Novissimo
digesto, Torino, 1968, XV, 268 ss.; C. Maiorca, Colpa civile (teoria
gen.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1960, VII, 582 ss. e 602 ss.); con la precisazione — tuttavia — che il caso concreto sembra
riguardare un'ipotesi non di vera e propria responsabilità per omissio
ne, bensì di responsabilità omissiva impropria, perché il pregiudizio subito dal terzo deriva dallo svolgimento di una precedente attività
Il Foro Italiano — 2004.
abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni
personali, spetta il risarcimento del danno morale concreta
mente accertato in relazione ad una particolare relazione af
fettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto del
l'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa im
mediata e diretta nel fatto dannoso. (3)
Svolgimento del processo. — Con citazione del 10 luglio 1993 i coniugi Leggio Emanuele e Campo Giovanna in proprio e, quanto al primo, nella qualità di tutore della figlia Leggio Ca
rolina, convenivano davanti al Tribunale di Ragusa la Milano
assicurazioni e Pirosa Giuseppe per ottenere il risarcimento del
danno patrimoniale, morale e biologico, subito a seguito delle
(nella specie, un'attività di per sé pericolosa, quale quella inerente la circolazione stradale), senza l'adozione delle dovute cautele, quindi una responsabilità che non è indipendente dalla condotta del soggetto sul quale viene fatto gravare l'obbligo di agire (da ultimo, sul punto, Cricenti, op. cit., 71 ss., mentre per la ricognizione dell'ampia e varie
gata casistica ricondotta alla colpa omissiva, v. le opere appena citate). Tuttavia — fatta salva, a quanto consta, una sola eccezione (Trib.
Vibo Valentia-Tropea 9 luglio 2001, Foro it., Rep. 2001, voce Respon sabilità civile, n. 364, annotata da F. Agnino, Responsabilità della ban ca per danno al cliente, in Danno e resp., 2001, 970, ove vari riferi menti alla specifica ipotesi di responsabilità omissiva concernente gli istituti di credito) — la giurisprudenza non recepisce la cennata distin zione e rimane compito dell'interprete operare il distinguo nel mo mento in cui affronta i vari problemi connessi alla colpa omissiva, fra i
quali quello (che a rigore riguarda solo la responsabilità omissiva pro pria) inerente il principio di tipicità che regola la culpa in omittendo;
principio che — comunque
— la giurisprudenza mette almeno in parte in crisi nel momento in cui stabilisce che la fonte dell'obbligo la cui violazione dà origine all'addebito è da individuarsi non solo nella leg ge, ma anche nel fatto di aver determinato uno stato di pericolo per il diritto altrui (per varie decisioni in tal senso, N. Mazzia, «Furto» di neonato e responsabilità civile dell'ospedale, in Foro it., 1988,1, 1629
ss.), nel «rapporto negoziale o di altra natura» sussistente fra danneg giale e danneggiato (ad esempio, Cass. 25 settembre 1998, n. 9590, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 173), nello «specifico rapporto intercorrente fra il titolare dell'interesse leso e l'autore della lesione» (ad esempio, Cass. 28 ottobre 1978. n. 4934, id., Rep. 1979, voce cit., n. 67; 6 di cembre 1972, n. 3529, id.. Rep. 1973, voce cit., n. 76; 27 novembre
1972, n. 3462, ibid., n. 78) ovvero — in un'occasione, con evocazione della categoria del contatto sociale — in un «rapporto di cortesia»
(Cass. 14 gennaio 1971, n. 66, id, 1971,1, 2656). Infine, a prescindere dalla lettura in termini di colpa omissiva della
decisione, la stessa va comunque segnalata anche per il modo con il
quale viene decisa la fattispecie concreta sottoposta all'esame dei giu dici, i quali procedono ad una ripartizione della parte di danno deri vante dalla negligente condotta di guida del conducente (da un lato) e dal mancato uso delle cinture di sicurezza da parte del soggetto tra
sportato (dall'altro), procedendo poi ad un'ulteriore suddivisione della seconda parte di danno fra il guidatore del mezzo ed il passeggero (per ulteriori riferimenti sul punto, cfr. B. Tassone, Mancato uso delle cin ture di sicurezza, colpa omissiva del conducente e «apportioning of liability», in nota alla sentenza in epigrafe in corso di pubblicazione in Danno e resp.; mentre per una più ampia ricognizione della giurispru denza che pone problemi di ripartizione di responsabilità, Id., Pluralità di coautori del fatto illecito e ruolo della colpa, in corso di pubblica zione in La colpa nella responsabilità civile contrattuale ed extracon
trattuale, in Trattato diretto da Cendon, Torino). (3) La massima è conforme all'orientamento di recente suggellato
dalla decisione delle sezioni unite richiamata in motivazione (Cass., sez. un., 1° luglio 2002, n. 9556, Foro it., 2002, I, 3060, con nota di A.
Palmieri, Risarcimento del danno morale per la compromissione di un intenso legame affettivo con la vittima di lesioni personali', annotata anche da F. Martini, in Guida al dir., 2002, fase. 29, 46, nonché da M.
Rossetti, in Dir. e giustizia, 2002, fase. 34, 21), la quale aveva compo sto la divergenza di indirizzi insorta nella giurisprudenza di legittimità a seguito di Cass. 23 aprile 1998, n. 4186 (Foro it., Rep. 1998, voce Danni civili, n. 136), offrendo una soluzione poi seguita (come ci si doveva ovviamente attendere) anche da altre pronunce successive dei
giudici di legittimità (Cass. 16 maggio 2003, n. 7629, id., Mass., 683; 14 maggio 2003, n. 7379, ibid.. 659; 26 febbraio 2003, n. 2888, ibid., 254; sulla categoria dei danni riflessi o da rimbalzo — indefettibil
mente coinvolta dall'orientamento de quo — anche le famose Cass. 31
maggio 2003, nn. 8827 e 8828, id., 2003, I, 2272, con nota di E. Na
varretta, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto
vivente; annotata anche da F.D. Busnelli, Chiaroscuri d'estate. La Corte di cassazione e il danno alla persona, G. Ponzanelli, Ricomposi zione dell'universo non patrimoniale: le scelte della Corte di cassazio
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PARTE PRIMA
lesioni gravissime, con coma irreversibile e con invalidità per manente nella misura del cento per cento, riportate da Carolina
Leggio, all'epoca di anni ventisette, nell'incidente stradale oc
corsole il 10 aprile 1992, nel mentre viaggiava come trasportata dall'auto del Pirosa (assicurata con la Milano assicurazioni per la r.c.), che usciva di strada ed andava a cozzare contro un mu
ro. Si costituivano i convenuti che resistevano alla domanda.
Il Tribunale di Ragusa, con sentenza depositata il 16 febbraio
1996, riconosciuto un concorso di colpa nella misura del cinque
per cento a carico della Leggio, per il mancato uso della cintura
di sicurezza, condannava Pirosa al pagamento nei confronti de
gli attori della complessiva somma di lire 3.158.712.800, oltre
rivalutazione ed interessi, nonché la Milano, in solido con il Pi
rosa, fino al limite del massimale di lire 1.500.000.000, oltre ri
valutazione ed interessi sulla detta somma.
Avverso questa sentenza proponevano appello la Milano ed il
Pirosa. Proponevano appello incidentale gli attori.
La Corte d'appello di Catania, con sentenza depositata il 10
maggio 2000, ritenuto il concorso di colpa della Leggio nella
misura del trenta per cento per il mancato uso della cintura di
sicurezza, condannava il Pirosa al pagamento, in favore di Leg
gio Emanuele, nella qualità, della somma complessiva di lire
2.135.908.022, oltre interessi legali sulle somme devalutate alla
data dell'incidente ed annualmente rivalutate, fino al passaggio in giudicato della decisione, e detratti gli acconti.
Condannava il Pirosa a corrispondere a Leggio Emanuele la
somma di lire 353.663.000 ed a Campo Giovanna la somma di
lire 343.163.000, oltre interessi.
Condannava la Milano al pagamento, in solido con il Pirosa
della somma di lire 1.500.000.000, maggiorato di rivalutazione
ed interessi.
Riteneva la corte di merito che a norma dell'art. 172 cod.
strada del 1992, il passeggero trasportato aveva l'obbligo di al
lacciare la cintura di sicurezza durante la marcia; che a tanto
non aveva provveduto la Leggio, che era stata sbalzata fuori
dall'auto per alcuni metri andando ad urtare con il capo sul
l'asfalto; che tale circostanza aveva concorso nella produzione delle gravissime lesioni, con coma irreversibile, nella misura del
cinquanta per cento, come accertato dal c.t.u. ingegnere; che il
mancato uso della cintura andava ascritto per il trenta per cento
alla trasportata e per il residuo venti per cento al conducente, che doveva imporre alla Leggio l'uso della cintura; che, per l'effetto, a carico del Pirosa andava affermata la responsabilità del cinquanta per cento per colpa nella guida e per il venti per cento per non aver fatto adottare la cintura alla trasportata.
Pertanto la corte di appello liquidava, con riferimento alla
data della decisione, tenuto conto del concorso di colpa nella
misura del trenta per cento alla trasportata, il danno biologico, subito da Leggio Carolina, nella misura di lire 741.201.828; il
danno patrimoniale in lire 281.356.194; il danno morale in lire
378.350.000.
Quanto all'assistenza infermieristica e fisioterapica, riteneva
la corte di liquidare il danno in lire 735.000.000. Ai coniugi
Leggio venivano liquidate lire 476.000.000 per danni patrimo niali e per ciascuno dei genitori lire 105.000.000 per danni mo
rali, oltre lire 10.500.000 a Leggio Emanuele per la perdita di
redditi, per accudire la figlia.
Rigettava la domanda dei genitori di risarcimento del proprio danno biologico, perché non provato.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Pirosa Giuseppe.
ne, e A. Procida Mirabelli Di Lauro. L'art. 2059 c.c. va in paradiso, in Danno e resp., 2003, 831 ss., ed altresì da P. Cendon, Anche se gli a manti si perdono l'amore non si perderà. Impressioni di prima lettura su Cass. 8828/03, e da E. Bargelli, Danno non patrimoniale ed inter
pretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., in Resp. civ., 2003, 685 ss.; per altri commenti alle decisioni de quibus, C. Castro
novo, Il danno alta persona fra essere e avere, in Danno e resp., 2004, 237 ss.; P. Cendon, Anche se gli amanti si perdono l'amore non si per derà. Impressioni di lettura su Cass. 8828/03, in Riv. critica dir. privato, 2003, 385 ss.; G. Ponzanelli, Le tre voci di danno non patrimoniale: problemi e prospettive, in Danno e resp., 2004, 5 ss.; P. Cendon, La di
sciplina dei danni non patrimoniali dopo Cass. 8828/03, in P. Cendon (a cura di). Persona e danno, Milano, 2004, 541 ss.). [B. Tassone]
Il Foro Italiano — 2004.
Resistono con controricorso gli attori, che hanno anche pro
posto ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione. — 1. - Preliminarmente vanno riuniti i
ricorsi, a norma dell'art. 335 c.p.c. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la viola
zione o falsa applicazione dell'art. 172 d.leg. n. 285 del 1992 e
degli art. 1227, 2055 e 2056 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3,
c.p.c.; errore logico-giuridico della motivazione su un punto de
cisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. Con l'articolato motivo ritiene il ricorrente che, pur avendo il
giudice di appello disposto consulenza medico-legale e consu
lenza tecnica in ordine al mancato uso delle cinture di sicurezza
ed alle conseguenze di tale omissione e, nonostante che il c.t.u.
avesse individuato detto concorso di colpa della Leggio, che fu
sbalzata fuori dall'abitacolo per circa venti metri, nella misura
del cinquanta per cento, aveva erratamente poi ridotto detto
concorso di colpa nella misura del trenta per cento, sul rilievo
che anche il Pirosa era in colpa per non aver imposto alla pas
seggera di applicare la cintura.
Ritiene il ricorrente che, a norma dell'art. 172 cod. strada, i
passeggeri hanno l'obbligo di indossare la cintura di sicurezza
in qualsiasi situazione di marcia, con conseguente sanzione
amministrativa a loro carico, in caso di inadempienza, e che
solo in caso di trasportato minore risponde il conducente di
detto mancato uso delle cinture.
Ciò comporta che, poiché del mancato uso della cintura do
veva rispondere solo la Leggio, avendo il c.t.u. ritenuto che
detta mancanza avesse contribuito nella misura del cinquanta
per cento alla produzione del sinistro, detto concorso di colpa non poteva essere ridotto al trenta per cento.
Secondo il ricorrente ciò comporta anche una violazione del
l'art. 1227, 1° comma, c.c., sulla base del quale il danneggiato non può ottenere il risarcimento del danno, per la parte di cui è
stato causa.
Inoltre il ricorrente lamenta il vizio di motivazione dell'im
pugnata sentenza, in quanto, date le circostanze di tempo (era di
notte e vi era un temporale), egli non poteva accertarsi che la
Leggio indossasse costantemente le cinture. Inoltre, secondo il
ricorrente, tenuto conto delle modalità dell'incidente, se la Leg
gio avesse indossato la cintura, non sarebbe stata sbalzata fuori
dall'auto, con la conseguenza che non avrebbe avuto le gravi le
sioni sofferte, per lo sbalzo fuori dalla vettura e l'urto con il ca
po sull'asfalto, come non le aveva avute il conducente, che in
dossava la cintura e che uscì indenne dall'auto.
2.1. - Ritiene questa corte che il motivo è infondato e che lo
stesso va rigettato.
Quanto alla prima censura va preliminarmente rilevato che, contrariamente all'assunto delle parti e della stessa sentenza, nella fattispecie non trova applicazione l'art. 172 cod. strada.
Infatti, a parte il rilievo che l'incidente si era verificato il 10
aprile 1992, in ogni caso il nuovo codice stradale è entrato in
vigore solo il 1° gennaio 1993 (v. art. 240 d.leg. 285/92).
Tuttavia, pur emendata la sentenza impugnata sotto questo
profilo dell'errata indicazione della norma, la questione giuridi ca non muta, in quanto le cinture di sicurezza erano state rese
obbligatorie, per i soggetti che si trovavano sui sedili anteriori
dell'auto, per effetto delle 1. 18 marzo 1988 n. Ili e degli art. 1, 2 e 3 1. 22 aprile 1999 n. 143, che, in buona sostanza, prevede vano una normativa in proposito pressoché simile a quella del
l'attuale art. 172 cod. strada, anche sotto il profilo dell'aspetto sanzionatorio.
Per cui alla data del sinistro, sulla base della 1. 143/99, vi era
l'obbligo anche da parte del trasportato sul sedile anteriore del
l'auto di indossare la cintura di sicurezza ed il mancato uso
delle stesse esponeva il trasportato trasgressore alla sanzione
amministrativa (in modo analogo a quanto poi previsto dall'art.
172 cod. strada). 2.2. - Orbene sotto il profilo dell'illecito amministrativo non
vi è dubbio che il destinatario della norma, che impone l'obbli
go della cintura, sia il soggetto che detta cintura deve indossare, e quindi, in caso di soggetto trasportato (salvo che sia minore), destinatario del dovere sia lo stesso trasportato, che — ove non
adempia — è l'unico esposto alla sanzione.
Ne consegue che l'omesso uso delle cinture di sicurezza, da
parte di persona che abbia subito lesioni in conseguenza di un
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sinistro stradale, costituisce un comportamento colposo del dan
neggiato nella causazione del danno, rilevante ai sensi dell'art.
1227, 1° comma, c.c., e legittima la riduzione del risarcimento,
ove si alleghi e dimostri che il corretto uso dei sistemi di riten
zione avrebbe ridotto od addirittura eliso il danno.
2.3. - Il problema, che si pone nella fattispecie ed oggetto del
motivo di ricorso, è se, una volta accertata l'incidenza causale
nell'evento dannoso del mancato uso delle cinture di sicurezza
da parte del trasportato, un'incidenza causale possa essere
ascritta, oltre ovviamente che al trasportato (in quanto trasgres sore della norma di circolazione stradale, che impone l'uso delle
cinture), anche al comportamento del conducente, come ha rite
nuto la sentenza impugnata. 2.4. - Ritiene questa corte di dover dare risposta positiva al
quesito. Infatti qui non si pone un problema di responsabilità per ille
cito amministrativo, che va regolato esclusivamente nei termini
in cui la norma tipizza l'illecito stesso (e nella fattispecie del
trasportato, che trasgredisce l'obbligo di indossare la cintura, la
norma ritiene questi esclusivo responsabile dell'illecito), ma un
problema di responsabilità aquiliana. Nell'ambito della tale ultima responsabilità rilevano tutti i
comportamenti, commissivi o omissivi, che abbiano contribuito
eziologicamente alla produzione dell'evento dannoso, purché siano connotati da dolo o colpa. Ai fini dell'elemento soggettivo della colpa rileva non solo la colpa specifica (cioè la violazione
di specifiche leggi o regolamenti), ma anche quella generica, costituita dalla mancanza di diligenza, prudenza o perizia.
2.5. - In questi termini, di prudenza e diligenza (quale emerge anche dall'art. 1176 c.c.) il conducente di un autoveicolo non
può porre o tenere in circolazione lo stesso, se si è reso conto
che qualcuno dei trasportati non si conforma alle regole stabilite
dalla normativa sulla circolazione stradale.
Infatti, è vero che egli può non essere il destinatario della
norma (come nella fattispecie dell'obbligo per il trasportato di
indossare la cintura), ma egli rimane pur sempre colui che rende
possibile la «circolazione» del veicolo con a bordo il trasporta
to, e quindi, sotto un profilo di normale diligenza, ha l'obbligo di far effettuare detta circolazione in sicurezza e nel rispetto delle norme.
2.6. - In termini generali già questa corte ha rilevato (per
quanto in fattispecie diverse) che il conducente, in quanto re
sponsabile dei danni prodotti dalla circolazione del veicolo,
concorre con il trasportato, nella responsabilità dei danni da
quest'ultimo causati a terzi (cfr. Cass. 24 luglio 1987, n. 6445,
Foro it., Rep. 1988, voce Circolazione stradale, n. 149; 6 giu
gno 2002, n. 8216, id., Rep. 2002, voce cit., n. 212). L'ottica del concorso eziologico di cause rimane identica —
salvo ovviamente che tale concorso è disciplinato dall'art. 1227,
1° comma, c.c. — nel caso in cui il trasportato, con il suo
comportamento, cagioni danni a sé stesso.
Quindi, qualora la messa in circolazione dell'autoveicolo, in
condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione del veicolo,
senza che il trasportato abbia «allacciato le cinture di sicurez
za»), sia ricollegabile all'azione od omissione non solo del tra
sportato, ma anche del conducente (che prima di iniziare o pro
seguire la marcia deve controllare che essa avvenga in confor
mità delle normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si
è formato il consenso alla circolazione medesima con consape vole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell'altro
ed accettazione dei relativi rischi; pertanto si verifica un'ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell'a
zione produttiva dell'evento (diversa da quella in cui distinti
fatti colposi convergano autonomamente nella produzione del
l'evento). In tale situazione, a parte l'eventuale responsabilità verso i terzi, secondo la disciplina dell'art. 2054 c.c., deve rite
nersi risarcibile, a carico del conducente del suddetto veicolo e
secondo la normativa generale degli art. 2043, 2056, 1227 c.c.,
anche il pregiudizio all'integrità fisica che il trasportato abbia
subito in conseguenza dell'incidente, tenuto conto che il com
portamento dello stesso, nell'ambito dell'indicata cooperazione, non può valere ad interrompere il nesso causale fra la condotta
del conducente ed il danno, né ad integrare un valido consenso
alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili
(cfr. Cass. 20 marzo 1982, n. 1816, id., Rep. 1982, voce cit., n.
77).
Il Foro Italiano — 2004.
2.7. - Va, pertanto, condiviso, anche in tema di responsabilità
aquiliana, l'orientamento espresso in sede penale da questa corte (Cass., sez. IV, 27 settembre 1996, Comensoli, id., Rep. 1997, voce cit., n. 110), secondo cui il conducente di un veicolo
è tenuto, in base alle regole della comune diligenza e prudenza, ad esigere che il passeggero indossi la cintura di sicurezza e, in
caso di renitenza, anche rifiutarne il trasporto o sospendere la
marcia; ciò a prescindere dall'obbligo a carico di chi deve far
uso della detta cintura.
2.8. - Ne consegue che, avendo la corte di merito ritenuto
sulla base della disposta consulenza tecnica d'ufficio che ezio
logicamente il danno subito dalla Leggio era da ascriversi per il
cinquanta per cento al mancato uso della cintura di sicurezza, in
applicazione del suddetto principio di diritto ha poi corretta
mente ritenuto, che parte di questo cinquanta per cento (e preci samente un venti per cento) andava ascritto ancora a carico del
conducente Pirosa (già responsabile del restante cinquanta per cento a titolo di mancanza di diligenza e prudenza nella guida),
per non aver imposto alla sua passeggera l'uso della cintura ov
vero sospeso la marcia in caso di rifiuto.
3.1. - Non ravvisa questa corte, nella suddetta decisione, la
lamentata violazione dell'art. 1227, 1° comma, c.c.
Infatti il 1° comma dell'art. 1227 c.c. concerne il concorso
colposo del danneggiato nella produzione dell'evento che con
figura l'inadempimento, quindi la sua cooperazione attiva,
mentre nel 2° comma il danno è eziologicamente imputabile al
danneggiante, ma le conseguenze dannose dello stesso avrebbe
ro potuto essere impedite o attenuate da un comportamento dili
gente del danneggiato.
Consegue che in tema di risarcimento del danno mentre il
concorso di colpa del creditore, previsto dal 1° comma dell'art.
1227 c.c. può essere rilevato anche d'ufficio, nella diversa ipo tesi dell'esimente contemplata dal 2° comma della stessa norma,
il giudice è tenuto a svolgere l'indagine in ordine all'omesso
uso dell'ordinaria diligenza da parte del creditore, soltanto se vi
sia stata un'espressa istanza del debitore, in quanto in questo secondo caso la dedotta colpa del creditore costituisce inosser
vanza di un autonomo dovere giuridico posto dalla legge a suo
carico e la richiesta del debitore integra gli estremi di una ecce
zione in senso sostanziale con cui viene fatto valere un controdi
ritto per paralizzare l'azione del creditore (Cass. 22 maggio
1986, n. 3408, id., Rep. 1986, voce Danni civili, n. 67). 3.2. - Ne consegue che, avendo la corte di merito ritenuto che
la mancata adozione della cintura di sicurezza aveva un'effi
cienza causale nella produzione dell'evento dannoso subito
dalla Leggio del cinquanta per cento e che detto comportamento era da ascriversi nella misura del trenta per cento alla Leggio e
del residuo venti per cento al conducente (cui già era stato posto a carico il cinquanta per cento della responsabilità, per compor tamento colposo nella guida), correttamente ha ritenuto che il
concorso di colpa della danneggiata andava ridotto nella misura
del trenta per cento.
4.1. - Quanto alla censura di assunto vizio motivazionale
della sentenza nella determinazione del concorso di colpa della
danneggiata nella misura del trenta per cento, ritiene questa corte che il motivo sia infondato.
Infatti, la sentenza impugnata sulla base della consulenza tec
nica d'ufficio, ha ritenuto che il mancato uso della cintura aves
se influito solo nella misura del cinquanta per cento nella pro duzione del danno alla Leggio, mentre ha ritenuto che la re
sponsabilità per tale omissione andasse ascritta al Pirosa per il
residuo venti per cento.
Trattasi di una valutazione di merito che sfugge ad un sinda
cato di legittimità. 4.2. - Né può trovare ingresso in questa sede la censura se
condo cui, trattandosi di notte ed essendo in corso un temporale, il conducente non poteva accorgersi se la Leggio facesse uso
costante della cintura.
Ciò, infatti, costituisce l'introduzione in questa sede di una
nuova questione (mancanza di consapevolezza), che non risul
tando nel ricorso come in precedenza prospettata (nel qual caso
doveva essere proposta la censura sotto il profilo della violazio
ne dell'art. 112 c.p.c., non essendosi sul punto pronunziata la
corte di merito), non può essere avanzata per la prima volta in
questa sede, involgendo essa anche accertamenti di fatto, pre clusi a questa corte.
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PARTE PRIMA
Infatti è giurisprudenza pacifica di questa corte che i motivi
del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammis
sibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere
del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contesta
zione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio
(Cass. 29 marzo 1996, n. 2905, id., Rep. 1996, voce Cassazione
civile, n. 64; 10 maggio 1995, n. 5106, id., Rep. 1995, voce cit.,
n. 49; 8 luglio 1994, n. 6428, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 40). 5. - Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il
difetto di motivazione ed errore logico-giuridico della stessa su
un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n.
5, c.p.c. Lamenta il ricorrente che, pur avendo la sentenza di merito
riconosciuto ai genitori della Leggio la somma di lire
476.327.000 (lire 237.096.697, per spese affrontate fino al 1993, lire 220.500.000, per spese affrontate fino al 1996 e lire
18.730.000, per spese all'estero), ha poi ritenuto che detta
somma andasse ridotta del trenta per cento, dando luogo ad una
somma ancora pari a lire 476.327.000, mentre, effettuata la ri
duzione del trenta per cento, la somma finale doveva essere pari a lire 333.428.900.
6.1. - Ritiene questa corte che il motivo sia inammissibile.
Infatti, con esso si censura un errore di calcolo, o se si muta
prospettiva, un'omissione materiale.
In entrambe le ipotesi è esperibile esclusivamente il procedi mento di cui agli art. 287 ss. c.p.c., non essendo denunciabile
con ricorso per cassazione né l'errore di calcolo o materiale né
l'omissione materiale, che si risolva non in un vizio decisionale
del giudice, ma in una mera «svista», rispetto a quanto risulta
deciso (cfr. Cass. 27 giugno 1995, n. 7249, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 181 ). 6.2. - Va, infatti, osservato che la speciale disciplina, dettata
dagli art. 287 ss. c.p.c., per la correzione degli errori materiali
incidenti sulla sentenza, la quale attribuisce la competenza al
l'emanazione del provvedimento correttivo allo stesso giudice che ha emesso la decisione da correggere, mentre non è applica bile quando contro la decisione stessa sia già stato proposto ap
pello dinanzi al giudice del merito, in quanto l'impugnazione assorbe anche la correzione di errori, è invece da osservarsi ri
spetto alle decisioni impugnate con ricorso per cassazione, atte
so che il giudizio relativo a tale ultima impugnazione è di mera
legittimità e la Corte di cassazione non può correggere errori
materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito, al quale
va, pertanto, rivolta l'istanza di correzione, anche dopo la pre sentazione del ricorso per cassazione (Cass. 27 luglio 2001, n.
10289, id., Rep. 2001, voce Sentenza civile, n. 85; 6 febbraio
1995, n. 1348, id., Rep. 1995, voce cit., n. 101). Peraltro, nella memoria, il ricorrente dà atto di aver proposto
in merito alla Corte d'appello di Catania e che la stessa è stata
accolta.
7. - Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la
violazione degli art. 1223, 2056, 2059 c.c. ed art. 185 c.p., in
relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., per essere stato riconosciuto il
danno morale in favore dei genitori del soggetto leso, che, per
quanto in stato di coma dal momento dell'incidente ancora fino
alla data del ricorso, tuttavia non era deceduto.
8. - Ritiene questa corte che il motivo sia infondato e che lo
stesso vada rigettato. Va osservato, infatti e contrariamente a quanto sostenuto
dalla resistente, ma in conformità a quanto statuito dalle sezioni
unite di questa Corte suprema di cassazione (1° luglio 2002, n.
9556, id., 2002, I, 3060), che ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesio
ni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale, con
cretamente accertato in relazione ad una particolare relazione
affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art.
1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e
diretta nel fatto dannoso.
9. - Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la
violazione e falsa applicazione dell'art. 1224 c.c., e dei principi in tema di debito di valore e di valuta, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.
Assume il ricorrente che erratamente la sentenza impugnata l'ha condannato a corrispondere gli interessi sulle somme riva
lutate, fino al passaggio in giudicato della sentenza d'appello,
Il Foro Italiano — 2004.
mentre era con la sentenza d'appello che il debito di valore si
trasformava in debito di valuta, come tale sottoposto all'art.
1224 c.c.
10.1. - Ritiene questa corte che il motivo sia infondato e che
10 stesso vada rigettato. Premesso che la sentenza di appello ha liquidato il danno da
ritardo con il criterio degli interessi legali, secondo i principi fissati dalle sezioni unite di questa corte (sent. 1712/95, id.,
1995,1, 1470), va osservato che detti interessi c.d. compensativi nei debiti originariamente di valore, sono dovuti fino al mo
mento in cui il debito di valore si converte in debito di valuta, e
cioè fino al momento in cui sia divenuta definitiva la liquida zione del danno.
La liquidazione diventa definitiva solo quando la sentenza,
che l'ha effettuata, è divenuta definitiva, per cui solo da quel momento vi è l'assoggettamento del debito al principio nomi
nalistico, regolato dall'art. 1224 c.c. (cfr. Cass. 24 ottobre 1986,
n. 6231, id., Rep. 1986, voce Danni civili, n. 228). Non è quindi la sola sentenza d'appello che rende la decisio
ne definitiva, ma il passaggio in giudicato di detta sentenza,
mentre fino a quel momento il debito rimane di valore.
10.2. - Va, pertanto, condiviso il principio, secondo cui, poi ché la liquidazione che segna la conversione del debito di valore
in debito di valuta è quella operata con la pronuncia definitiva
di merito, la quale non sempre coincide con la sentenza di ap
pello, nonostante le caratteristiche di tale decisione, ove la sen
tenza di appello sia cassata sul punto della rivalutazione mone
taria, non ne deriva che il debito di valore si è definitivamente
tradotto in debito di valuta, restando invece la relativa determi
nazione rimessa alla nuova decisione di merito, la quale deve
tenere conto della svalutazione verificatasi medio tempore sino
alla liquidazione finale, salve le somme eventualmente già ri
scosse in esecuzione spontanea o coatta della decisione di ap
pello poi annullata, rispetto alle quali il riferimento va fatto al
momento della conseguita disponibilità della somma da parte del creditore (Cass. 16 febbraio 1984, n. 1167, id., Rep. 1984,
voce cit., n. 131).
Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha disposto la
corresponsione in favore della Leggio Carolina degli interessi
compensativi sul suo credito di valore, con esclusione delle spe se future, fino al passaggio in giudicato della sentenza di ap
pello. 11. - Con l'unico motivo del ricorso incidentale, i ricorrenti
Leggio Emanuele, in proprio e nella qualità, e Campo Giovanna
lamentano la violazione e falsa applicazione degli art. 172 cod.
strada, art. 2043 c.c., 1227 c.c., 2697 c.c. e 112 c.p.c., in relazio
ne all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché il vizio motivazionale su
punti decisivi della controversia, a norma dell'art. 360, n. 5,
c.p.c. Lamentano i ricorrenti, anzitutto, che la mancata adozione
della cintura di sicurezza non ha alcun nesso di causalità con
l'incidente stradale, il quale dipendeva solo dalla violazione
delle norme stradali da parte del conducente; che in ogni caso
mancava la prova che al momento dell'incidente la Leggio Ca
rolina non avesse allacciata la cintura; che, in tal senso, la con
sulenza tecnica d'ufficio non può costituire la prova che la tra
sportata non avesse la cintura al momento dell'incidente, poiché le uniche prove possibili erano costituite da testimonianze, do
cumenti o confessione; che quindi la disposta consulenza tecni
ca era inammissibile.
12.1. - Ritiene questa corte che il motivo sia infondato.
Anzitutto va osservato che il giudice d'appello, come era suo
dovere, ha accertato quali fossero le cause che avevano prodotto 11 danno alla persona subito dalla Leggio. Ha individuato queste cause nell'incidente stradale ed inoltre nella mancata adozione
delle cinture. Questa omissione, in parte (trenta per cento) im
putabile alla Leggio come sopra detto, ha concorso nella misura
del cinquanta per cento alla produzione del danno fisico della
Leggio e di tutti gli altri danni subiti dalla stessa e dai propri
genitori. Il giudice di merito, sulla base della consulenza tecnica
d'ufficio, ha infatti accertato che se detta cintura fosse stata
«allacciata» non si sarebbe verificata l'espulsione dall'auto
della Leggio e non si sarebbero verificate le gravi lesioni al ca
po della stessa, che sbatté sull'asfalto.
12.2. - Quanto alla censura, secondo cui non era stata fornita
la prova, che al momento dell'incidente la Leggio non aveva
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
azionato la cintura di sicurezza, in quanto detta prova poteva es sere fornita solo con testimoni, documenti o confessioni e non con consulenza tecnica, anche essa è infondata.
Va, anzitutto, osservato che la consulenza tecnica non è sol
tanto strumento di valutazione tecnica, ma anche di accerta
mento e di ricostruzione dei fatti storici, prospettati dalle parti, senza peraltro costituire un mezzo sostitutivo àtWonus proban di gravante su di esse (cfr. Cass. 30 maggio 1983, n. 3734, id.,
Rep. 1983, voce Consulente tecnico, n. 20; 7 novembre 1987, n.
8256, id.. Rep. 1987, voce cit., n. 14). 12.3. - Nella fattispecie, in ogni, caso, la ricostruzione del
l'incidente, per la parte che riguardava la cintura di sicurezza, è
stata effettuata dal consulente tecnico sulla base del dato incon
testato tra le parti che la Leggio era stata sbalzata — a seguito dell'urto contro il muro dell'auto — fuori dall'abitacolo e ad al
cuni metri di distanza dall'auto stessa, battendo il capo contro
l'asfalto.
Sulla base di questo dato storico certo, che è pacifico tra le
parti, il consulente ha effettuato la valutazione tecnica che non
era allacciata la cintura ed ha quindi accertato quale fosse stata
l'incidenza eziologica della mancanza della cintura nella produ zione dell'evento dannoso.
Il giudice ha ritenuto di dover condividere detta conclusione
del c.t.u. Peraltro i ricorrenti incidentali non danno alcuna altra
spiegazione al fatto che la trasportata fosse stata sbalzata fuori
dalla vettura, fatto certo ed incompatibile con l'ipotesi che la
cintura fosse allacciata.
La ricostruzione di un incidente stradale, attenendo ad un ac
certamento fattuale, rientra nei poteri del giudice di merito e
non è censurabile in sede di legittimità, se non per vizio motiva
zionale, che nella specie non si ravvisa, avendo il giudice rite
nuto che la Leggio non avesse la cintura sulla base delle risul
tanze della consulenza tecnica d'ufficio.
13. - In definitiva i ricorsi vanno rigettati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 feb
braio 2004, n. 3984; Pres. Vitrone, Est. Giuliani, P.M. Apice
(conci, conf.); Soc. Diana (Avv. Sassani, Franzosi, Gostner,
Biglia) c. Soc. Diana de Silva cosmétiques (Avv. Persichel
li, Guglielmetti). Conferma App. Milano 28 gennaio 2000.
Marchio — Marchi forti — Rischio di confusione — Nucleo
ideologico dei segni — Differenziazione — Rilevanza —
Fattispecie (R.d. 21 giugno 1942 n. 929, testo delle disposi zioni legislative in materia di brevetti per marchi d'impresa, art. 1).
La valutazione del rischio di confusione tra marchi forti pre scinde dalla ricerca di varianti ed aggiunte isolate, mentre va
condotta con riferimento al contesto generale dei segni, sic
ché il rischio in parola va escluso allorché i marchi in esame —
pur se coincidenti per qualche elemento — si differenziano con riferimento al loro «nucleo ideologico» (nella specie, la
Suprema corte ha ritenuto immune da vizi logico-giuridici,
perciò non censurabile, la motivazione del giudice di merito, che aveva escluso il rischio di confusione tra i marchi com
plessi, figurativi e denominativi, «Diana» e «Diana de Silva», entrambi per prodotti di pelletteria ed accessori di moda, ri
levando che si tratta di segni sufficientemente differenziati, in
quanto nel primo il nome «Diana», sovrapposto al disegno di
un 'antilope che salta sullo sfondo di una pezza di cuoio, evo
ca la dea della caccia, ed esprime quindi un legame con gli animali di cui si lavorano le pelli, mentre il secondo marchio
è costituito da una composizione grafica formata da un qua
II Foro Italiano — 2004.
dro all'interno del quale si trova la sigla stilizzata «DdS» e
sotto, in caratteri più piccoli, il patronimico «Diana de Sil
va», privo di qualsiasi connotato di fantasia, in quanto indica
il nome ed il cognome di una donna precisa, legata alla casa
produttrice). (1)
( 1 ) I. - La Cassazione pone termine, con la sentenza in rassegna, al caso «Diana», confermando, anche nell'iter motivazionale, App. Mila no 28 gennaio 2000, Foro it., Rep. 2002, voce Marchio, nn. 142, 160, e, per esteso, Giur. dir. ind., 2000, 718, che a sua volta aveva rigettato il gravame proposto avverso Trib. Milano 23 gennaio 1997, Foro it.,
Rep. 1999, voce cit., n. 123, e, per esteso, Giur. dir. ind., 1997, 584, ove sono anche riprodotti i marchi in contestazione.
Le sentenze di merito si erano occupate anche di ulteriori profili, non
oggetto di ricorso per cassazione. In particolare, Trib. Milano 23 gen naio 1997, cit., si è pronunciata sul giudizio di confondibilità tra ditte
(affermando che deve applicarsi un criterio meno rigoroso che nel giu dizio di confondibilità tra marchi); ha poi rilevato che il marchio costi tuito — nella sua componente denominativa — da nome e cognome trova il suo elemento semantico fornito di prevalente capacità «infor mativa» non nel prenome ma nel cognome. In termini, su quest'ultimo aspetto, v. Cass. 22 aprile 2003, n. 6424, Foro it., 2004, I, 205, con
ampia nota di richiami di Casaburi. II. - Cass. 3984/04 affronta, ellitticamente, un profilo cruciale del di
ritto (non solo italiano) dei marchi, dibattuto in giurisprudenza come in
dottrina, vale a dire l'individuazione dei parametri del giudizio di con fusione, o piuttosto di confondibilità tra i marchi: quello di cui è chiesto la tutela e quello (o quelli) di cui si afferma il carattere contraffattorio.
La norma di riferimento — peraltro non richiamata espressamente —
è l'art. 1,1° comma, lett. b), 1. marchi, nel testo novellato dal d.leg. 480/92, di attuazione della direttiva Ce 89/104 del 21 dicembre 1988. secondo cui il titolare del marchio ha il diritto di vietare a terzi di usare «un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza tra i segni e del l'identità o affinità tra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni», la norma — immodificata — costituisce l'art. 20, 1° comma, lett. b), del progetto di codice dei diritti di pro prietà intellettuale, nella bozza del 2 febbraio 2004.
Negli stessi termini è formulato, sostanzialmente, l'art. 9, 1° comma, lett. b), del regolamento Ce 40/94 del consiglio del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario. Così anche la legislazione degli altri Stati della Comunità europea: v. ad es. — per la Francia — l'art. 713-3 del Code de la propriété intellectuelle.
III. - La Cassazione muove dal carattere forte — la cui definizione è data per presupposta — di entrambi i marchi delle parti, «Diana» e «Diana de Silva», o meglio dal rilievo (così rigettando uno specifico motivo di ricorso) che il giudice d'appello aveva senz'altro ricono sciuto tale carattere, provvedendo di conseguenza.
Sulla distinzione pretoria tra marchi deboli e forti, v. i richiami con tenuti nella nota ad App. Torino 28 dicembre 2002, id., 2003, I, 1871, sub II.
Per la giurisprudenza sui marchi contenenti la denominazione «Dia
na», riferibili ad altri soggetti, cfr. App. Milano 10 febbraio 1995, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 154 (e, per esteso, Giur. dir. ind., 1995, 861), invocata — impropriamente — dal ricorrente nel caso di specie.
La corte territoriale aveva affermato, fra l'altro, che il marchio «Dia
na», adottato per prodotti di abbigliamento (biancheria personale, co stumi da bagno), è un marchio forte, contraffatto dal marchio «Diana
d'Este», adottato da altro imprenditore per i medesimi prodotti; ciò in riforma di Trib. Milano 21 ottobre 1991, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 106, secondo cui «Il segno 'Diana', in quanto nome proprio femmi
nile, deve considerarsi marchio debole quando venga usato per con
traddistinguere prodotti destinati ad un pubblico femminile; esso per tanto non è contraffatto dal marchio successivo 'Diana d'Este', sia per ché sufficientemente differenziato dal precedente debole segno distinti
vo, sia perché tale differenziazione porta la mente del consumatore ad evocare personaggi di tipo diverso (mitologico-rinascimentale) e ad
istituire così automatiche debite differenziazioni tra i prodotti così ca ratterizzati».
IV. - La giurisprudenza è costante nell'affermare che il confronto tra due segni, al fine di accertarne la possibilità di confusione, va condotto in via sintetica, mediante uno sguardo d'insieme, e ciò in relazione alla normale percezione del pubblico; la sentenza in epigrafe — pur non
enunciandoli tutti — non si è discostata da tali criteri. Più precisamente, nel confronto tra marchi complessi, la valutazione
del giudice: a) con riferimento a ciascun marchio deve essere globale, in relazio
ne al complesso di insieme degli elementi costitutivi (grafici, simbolici,
figurativi, denominativi, fonetici . . .); b) deve fondarsi su un confronto — sempre d'insieme — di entram
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