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sezione III civile; sentenza 11 ottobre 1996, n. 8932; Pres. Giuliano, Est. Sabatini, P.M. Leo...

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sezione III civile; sentenza 11 ottobre 1996, n. 8932; Pres. Giuliano, Est. Sabatini, P.M. Leo (concl. conf.); Bianchi (Avv. Cipollone) c. Grillo e altro (Avv. Contardi). Conferma App. Roma 30 settembre 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1903/1904-1907/1908 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192038 . Accessed: 28/06/2014 17:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.107 on Sat, 28 Jun 2014 17:24:14 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 11 ottobre 1996, n. 8932; Pres. Giuliano, Est. Sabatini, P.M. Leo(concl. conf.); Bianchi (Avv. Cipollone) c. Grillo e altro (Avv. Contardi). Conferma App. Roma30 settembre 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1903/1904-1907/1908Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192038 .

Accessed: 28/06/2014 17:24

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1903 PARTE PRIMA 1904

È stato al riguardo osservato che nessun rilievo può essere

attribuito alla circostanza che il difensore colpito dall'evento

impeditivo sia stato procuratore della parte costituita in primo

grado, posto che tutti gli effetti connessi a tale costituzione so

no venuti a cessare nel momento della notifica dell'atto di im

pugnazione effettuata presso di lui, secondo la previsione del

richiamato art. 330, 1° comma, ultima parte, c.p.c. Ritiene tuttavia questo collegio che tale ultima decisione non

possa essere condivisa e che l'interruzione del processo si verifi

chi anche nel caso in cui il decesso del procuratore, costituito

nel giudizio di primo grado, avvenga dopo la notificazione del

la sentenza d'appello e prima del decorso del termine per la

costituzione nel giudizio di secondo grado. In realtà sarebbe strano, e forse anche incostituzionale, che

la garanzia della difesa attuata durante tutto il processo me

diante l'istituto dell'interruzione, venisse meno proprio nella de

licata fase del decorso dei termini per la costituzione (che ai

sensi dell'art. 436 c.p.c. deve avvenire almeno dieci giorni pri ma dell'udienza di discussione dinanzi al collegio) e per l'even

tuale proposizione dell'appello incidentale (che ai sensi dello stes

so articolo deve essere proposto nella memoria di costituzione

da notificarsi, a cura dell'appellato, alla controparte almeno dieci

giorni prima dell'udienza di discussione dinanzi al collegio).

Si deve pertanto ritenere che la necessità della costituzione

sia stata prevista dall'art. 301 c.p.c. solo in relazione al proces

so di primo grado, al quale la norma del resto si riferisce.

In particolare non sembra da condividersi l'affermazione che

tutti gli effetti connessi alla costituzione nel giudizio di primo

grado vengano a cessare nel momento della notifica dell'atto

di impugnazione al procuratore della parte.

Sembra invece da ritenersi che con l'atto di costituzione il

procuratore, a mezzo del quale la parte sta in giudizio, diventa,

per effetto della sostituzione procuratoria, il naturale destinata

rio degli atti processuali; tutte le comunicazioni e le notificazio

ni si devono fare al procuratore costituito salvo che la legge

disponga altrimenti (art. 170 c.p.c.) e si presumono conosciute

dalla parte verso la quale il procuratore ha un dovere deontolo

gico di informazione; che tale dovere viene meno nei casi indi

cati dall'art. 301 c.p.c. con la conseguente interruzione del pro

cesso; e che la stessa situazione si verifica anche nel caso in

cui il procuratore deceda dopo la notifica dell'atto di impugna

zione e prima del decorso dei termini dell'appello.

Nel caso in esame risulta dagli atti di causa, e comunque non

è controverso tra le parti, che il ricorrente si è costituito nel

giudizio di primo grado attraverso l'avv. Gabriele Moricca, pro

curatore domiciliatario; che con sentenza depositata il 24 no

vembre 1988 il pretore accoglieva la domanda del Gigli nella

contumacia dell'altra parte, l'Inadel (ora Inpdap); che quest'ul

timo istituto ha impugnato la sentenza con atto di appello noti

ficato al Gigli nel domicilio eletto presso l'avv. Moricca il 16

ottobre 1989; che il 3 dicembre 1990 l'avv. Moricca decedeva

prima della udienza di discussione fissata per il 20 ottobre 1992;

che nell'udienza di discussione l'avv. Cristina Della Valle, pro

curatrice dello studio legale dell'avv. Moricca, dichiarava il de

cesso dell'avvocato e chiedeva l'interruzione del processo; che

il tribunale, ritenuto che non ricorresse una ipotesi di interru

zione, pronunziava sentenza con la quale riformava la decisione

del pretore e rigettava la domanda del Gigli ritenuto contumace.

Ritiene, invece, questo collegio che il tribunale avrebbe dovu

to dichiarare l'interruzione del processo ai sensi dell'art. 301

c.p.c.; che l'omessa dichiarazione dell'interruzione automatica

comporta la nullità di tutti gli atti successivi e della sentenza

che ha definito il giudizio; che la sentenza impugnata deve quindi

essere cassata e che la causa debba essere rinviata dinanzi a

un altro giudice davanti al quale la causa dovrà essere ripresa

dal punto in cui si trovava al momento dell'evento che avrebbe

dovuto dar luogo all'interruzione (Cass. 3 ottobre 1960, n. 2619,

id., Rep. 1960, voce cit., nn. 309, 310). Deve pertanto essere accolto il primo motivo del ricorso e

devono essere dichiarati assorbiti gli altri. La sentenza impu

gnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata al Tri

bunale di Civitavecchia dinanzi al quale la causa dovrà essere

ripresa dal punto in cui si trovava al momento dell'evento che

avrebbe dovuto dar luogo all'interruzione.

Il Foro Italiano — 1997.

II

Motivi della decisione. — Il ricorso è infondato.

L'art. 301 c.p.c. contempla la morte, la radiazione o la so

spensione del procuratore dall'albo come possibili cause d'in

terruzione del processo. Non è invece previsto che il medesimo

effetto possa dipendere anche solo da malattia, per quanto gra

ve, del medesimo procuratore, o comunque dalla perdita di ca

pacità intellettiva dello stesso, ove non ne sia eventualmente

conseguita la sospensione o la radiazione dall'albo. E ben lo

si comprende: perché l'interruzione del processo può essere con

seguenza solo di fatti obiettivi ed indiscutibili, mentre l'accerta

mento delle menomate condizioni fisiche o psichiche del procu ratore che rappresenta ed assiste in giudizio la parte inevitabil

mente richiederebbe una serie di valutazioni — per natura loro

suscettibili di essere variamente apprezzate e discusse — la cui

definitiva verifica rischierebbe perciò d'introdurre nella causa

in corso tra le parti un diverso procedimento incidentale, avente

ad oggetto il suaccennato accertamento delle condizioni di salu

te (o di capacità) del procuratore. Il che sarebbe manifestamen

te inammissibile. Né in ciò può ravvisarsi una qualche menomazione del diritto

di difesa, garantito dall'art. 24 Cost. La parte, invero, è sempre libera di scegliere il proprio procuratore in giudizio e di revoca

re la sua precedente scelta designando in seguito un diverso pro

fessionista; ma, per ciò stesso, essa assume la responsabilità della

propria scelta e, correlativamente, l'onere di verificarne la ri

spondenza ai propri interessi anche durante lo svolgimento del

mandato conferito al legale. Ragion per cui, ove questi cessi,

medio tempore, di offrire quelle garanzie di capacità e di equili

brio per le quali il cliente gli aveva da principio dato fiducia

(e salvo il caso, naturalmente, in cui l'eventuale sopravvenuta

incapacità si traduca in un impedimento giuridico all'esercizio

della professione, con conseguente venir meno dell'iscrizione nel

l'albo procuratorio, a tal fine necessaria), è solo la stessa parte a poter valutare l'opportunità di tenere in vita il rapporto pro

fessionale o di troncarlo. Non può invece concepirsi — giacché

questo sarebbe davvero in contrasto con il suaccennato diritto

costituzionale di difesa — che sia il giudice ad interferire d'au

torità su quel rapporto, statuendo che il professionista non è

più idoneo ad adempiere l'incarico confidatogli dal cliente e

sospendendo così d'ufficio il giudizio per estromettere da esso

il legale (ipoteticamente) incapace. Il ricorso va perciò rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 11 otto

bre 1996, n. 8932; Pres. Giuliano, Est. Sabatini, P.M. Leo

(conci, conf.); Bianchi (Avv. Cipollone) c. Grillo e altro (Aw.

Contardi). Conferma App. Roma 30 settembre 1993.

Confessione in materia civile — Dichiarazione «de relato» —

Percezione diretta del fatto — Necessità — Esclusione (Cod.

civ., art. 2730, 2732, 2733). Confessione in materia civile — «Animus confitendi» — Con

sapevolezza delle conseguenze giuridiche — Irrilevanza (Cod.

civ., art. 2730).

Non è necessario per la validità della confessione che il fatto dichiarato dalla parte sia stato dalla stessa direttamente per

cepito. (1)

(1) Non constano precedenti in termini. Nel caso esaminato il ricorrente, attenendosi alla ricostruzione data

dalla controparte, si limita ad ammettere che la caduta da cavallo si

è verificata per l'improvvisa rottura della cinghia della staffa e da tale

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

L'elemento soggettivo richiesto per la validità della confessione non consiste nell'intenzione di fornire una prova alla contro

parte, ma nella consapevolezza e volontà di ammettere e rico

noscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all'altra parte, indipendentemente dalle conseguenze giuridi che che ne possono derivare. (2)

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione del 30

gennaio 1985 Sergio Laurenti — premesso che il 31 dicembre

1982 era caduto da cavallo, a causa della improvvisa rottura

della cinghia della staffa sinistra, riportando lesioni alla perso

na, mentre si trovava nel maneggio di proprietà di Luigi Bian

chi — conveniva costui dinanzi al Tribunale di Roma per sen

tirlo condannare al risarcimento, del danno conseguente. La domanda, cui il convenuto resisteva, veniva accolta dal

l'adito tribunale che, con sentenza del 19 ottobre 1990, condan

nava il predetto a pagare la somma di lire 15.220.000, oltre

interessi legali e spese, in favore di Paola Grillo nonché Priscil

la e Silvana Laurenti, tutte eredi dell'attore, deceduto nelle more.

Riteneva provata la responsabilità del Bianchi dalla confes

sione giudiziale dello stesso, il quale, in sede di interrogatorio

formale, aveva ammesso che l'incidente si era verificato secon

do le modalità, indicate dall'attore. Rilevato, poi, che nessuna

contestazione era stata mossa dallo stesso Bianchi, il quale ave

va noleggiato il cavallo al Laurenti, riguardo alla proprietà del

la sella e dei finimenti, il tribunale addebitava al convenuto la

culpa in omittendo di non avere verificato le condizioni di sicu

rezza della menzionata attrezzatura.

Tale decisione veniva confermata dalla corte di appello, la

asseverazione non trae alcuna conseguenza giuridica per Io svolgimento della propria difesa. La conoscenza solo «indiretta» della dinamica del l'infortunio non può costituire un elemento rilevante per stabilire il va lore confessorio di una dichiarazione. Secondo la Cassazione subordi

nare l'efficacia della confessione a determinate modalità di conoscenza del fatto, dato il silenzio della legge in proposito, risulta arbitrario e

contrasta con le norme che disciplinano tale mezzo di prova, dalle qua li, come viene evidenziato in sentenza, può ricavarsi semmai un'indica zione di carattere opposto. È inoltre necessario distinguere tra il valore

probatorio di una deposizione testimoniale de relato e lo stesso tipo di deposizione resa però da una delle parti in interrogatorio formale. La deposizione testimoniale ha valore di prova solo in ordine a quanto è stato sottoposto alla diretta percezione fisica del teste. Qualora si tratti invece di fatti conosciuti solo indirettamente dal soggetto che ren de testimonianza, questi potranno assumere valore probatorio purché sorretti da altri elementi precisi e concordanti che consentano di ritene

re accertati i fatti riferiti (in tal senso, si esprime in maniera costante la giurisprudenza; v. Cass. 12 dicembre 1994, n. 10603, Foro it., Rep. 1994, voce Prova testimoniale, n. 30; 14 febbraio 1990, n. 1095, id.,

Rep. 1991, voce cit., n. 18; 4 novembre 1988, n. 5974, id., Rep. 1988, voce cit., n. 18; 5 marzo 1987, n. 2336, id., Rep. 1987, voce cit., n.

26; in dottrina, cfr. V. Andrioli, Prova testimoniale, voce del Novissi mo digesto, XIV, 329).

Il principio suesposto non può tuttavia trovare applicazione quando si tratti, come nel caso di specie, di una dichiarazione confessoria aven

te ad oggetto diritti disponibili. Il carattere di piena prova riconosciuto alla confessione vale a superare quelle normali incertezze che invece si possono presentare circa la attendibilità di una testimonianza de rela

to e che si risolvono solo facendo ricorso ad elementi di carattere pre suntivo.

(2) Oggetto della seconda massima è la nozione di animus confiten di. Nella giurisprudenza, sia antica che recente, si trovano numerose

pronunce che in maniera costante affermano che per assurgere a con

fessione la dichiarazione del confitente debba essere ispirata ad un par ticolare animus anche se poi tale concetto è stato definito variamente.

Talvolta si è definito l'animus come «volontà diretta allo scopo di for

nire una prova all'avversario» (Cass. 5 novembre 1947, n. 1655, Foro

it., Rep. 1947, voce Confessione in materia civile, n. 8), in altri casi

come «consapevolezza da parte del confitente di riconoscere un fatto

vantaggioso per l'altra parte con la previsione di non poterlo in seguito contestare» (Cass. 12 giugno 1947, n. 921, ibid., n. 4, e Giur. it., 1949,

I, 565; 7 giugno 1947, n. 869, Foro it., Rep. 1947, voce cit., n. 3). La decisione in rassegna si ispira all'orientamento, ampiamente rappre

sentato, secondo cui l'elemento soggettivo in questione postula la vo

lontà e la consapevolezza di riconoscere la verità del fatto dichiarato, il quale sia obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole alla

controparte, ma risulta indipendente dal fine per il quale la dichiarazio

ne viene resa e dalle conseguenze giuridiche che possono derivarne (cfr. Cass. 19 ottobre 1985, n. 5141, id., Rep. 1985, voce cit., n. 1; 10 mag

gio 1983, n. 3222, id., Rep. 1983, voce cit., n. 4; 24 aprile 1981, n.

2458, id., Rep. 1981, voce cit., n. 5; cfr. anche nota a App. Milano

Il Foro Italiano — 1997.

quale, con la sentenza, ora impugnata, rivalutava l'ammontare

del danno in lire 17.625.000. Il Bianchi ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due

motivi. Resistono con controricorso le intimate.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo, il ricor

rente deduce la violazione dell'art. 2730 c.c., in relazione agli art. 2697 c.c. e 228 c.p.c., e sostiene che il tribunale, prima, la corte territoriale, dopo, hanno illegittimamente attribuito va

lore confessorio alla dichiarazione, da lui resa in sede di inter

rogatorio formale, trascurando di rilevare che tale essa non po teva essere considerata, in quanto de relato, e perché priva, inol

tre, dell'animus confitenti, che non appariva sussistere dal tenore

e dal contenuto di detto interrogatorio. (Omissis) 2. - Il 1° comma dell'art. 2730 c.c. dispone che la confessione

è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti, ad essa

sfavorevoli e favorevoli all'altra parte. Ad avviso del ricorrente, la dichiarazione confessoria richie

de, altresì, che i fatti, dichiarati dalla parte, siano stati dalla

stessa direttamente percepiti, e non già soltanto appresi da altri:

con la conseguenza — afferma — che non è confessoria la di

chiarazione soltanto de relato, quale nella specie egli ebbe a

rendere.

Rileva la corte che la verità, dichiarata dalla parte per gli

effetti, di cui al menzionato art. 2730, è una verità necessaria

mente soggettiva — quale, cioè, percepita dalla stessa parte —

tanto che, ai sensi del successivo art. 2732, la confessione può essere revocata in caso, oltre che di violenza, anche di errore

di fatto.

Nulla, invece, dispone la legge riguardo alle modalità, attra

18 settembre 1964, id., 1964, I, 2195). L'animus confitendi entra quindi a pieno titolo come elemento intenzionale nello schema strutturale della confessione. Questa linea di tendenza probabilmente corrisponde all'e

sigenza molto sentita di limitare l'efficacia di piena prova della confes sione «non tanto, in relazione alla confessione giudiziale, la cui serietà e ponderatezza è garantita dall'ambiente in cui è resa e dalle modalità con cui è provocata, quanto per quella stragiudiziale spesso resa in cir costanze che non ne assicurano l'attendibilità» (v. G. Dinacci, «Ani mus confitendi» e conflitto d'interessi: profili soggettivi e profili fun zionali della confessione, in Rass. dir. civ., 1983, 682 ss.).

Significativi al riguardo sono i risultati di una ricerca sul processo civile diretta da V. Denti, Le prove nel processo civile, Milano, 1973, 740, che hanno evidenziato un diffuso atteggiamento di sfavore dei giu dici nei confronti della prova legale. La dottrina sul tema non è unifor me e oscilla tra la concezione di chi considera come determinante, o almeno non del tutto privo di importanza, il momento soggettivo della dichiarazione confessoria (v., ad es., G. Messina, Contributo alla teo ria della confessione, Sassari, 1902; C. Lessona, Trattato delle prove in materia civile, I, Firenze, 1914; G. Mirabelli, L'atto non negoziale nel diritto privato italiano, Napoli, 1955; S. Satta, Commentario, II, 214; L. Montesano, Sull'«animus confitendi» e sulla teoria oggettiva della confessione, in Riv. dir. proc., 1950, II, 12 ss.) e di chi nega ogni valore all'intenzione della parte in merito sia all'esistenza sia al

l'efficacia della confessione (v. C. Furno, «Animus confitendi», in Giur.

it., 1949, I, 1, 1567; Id., Confessione (dir. proc. civ.), voce dell 'Enci

clopedia del diritto, Milano, 1961, Vili, 890; cfr. anche V. Andrioli,

Confessione (dir. proc. civ.), voce del Novissimo digesto, Milano, 1959, IV, 10 ss.; P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1975). In maniera particolarmente vigorosa Furno critica il riferimento all'animus ritenendolo «un prodotto di scuola elaborato per spiegare sul piano sostanziale l'efficacia vincolante dell'atto, ricollegandola alla volontà del confitente» privo di qualunque fondamento di diritto posi tivo. La critica di tale autore si appunta essenzialmente sul fatto che i momenti essenziali e caratteristici della confessione sono da un lato la contrarietà all'interesse del confitente del fatto confessato e dall'altro la sua automatica eliminazione dal thema probandum. Entrambi questi momenti hanno un rilievo esclusivamente oggettivo e ad essi non ag

giunge niente il fatto che il dichiarante abbia avuto anche il proposito di eliminare il contrasto delle parti sul fatto confessato. La stessa disci

plina dell'efficacia e irrevocabilità della confessione sembra andare nel

la direzione di negare qualsiasi rilevanza ali 'animus confitendi. Se in

fatti l'efficacia vincolante della confessione dovesse dipendere dall'esi

stenza di tale elemento, il giudice sarebbe tenuto a considerare il fatto

come vero solo dopo avere positivamente accertato l'esistenza dell'am

mus venendo però a soffocare in tal modo il principio della prova lega le (Furno, «Animus confitendi», cit.). Forse un'impostazione più rigo rosa del problema imporrebbe di rinunciare a definire l'animus confi tendi come intenzione, consapevolezza, coscienza per capire in primo

luogo la rilevanza del valore nella confessione e arrivare successivamen

te a stabilire la configurabilità o meno dell'animus confitendi come re

quisito soggettivo della medesima.

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1907 PARTE PRIMA 1908

verso le quali tale percezione si realizza: modalità che, in astrat

to, possono essere le più diverse, potendo il confitente essere

stato presente allo stesso svolgimento del fatto, poi oggetto di

confessione, ovvero esserne venuto a conoscenza attraverso al

tre persone e documenti (che, eventualmente smarriti od andati

distrutti, non si sia potuto produrre in giudizio) o mezzi mecca

nici (nastri cinematografici o simili). Il silenzio della legge al riguardo non consente all'interprete

di richiedere, per la validità della confessione, requisiti ulterio

ri, rispetto a quelli tassativamente richiesti (verità dei fatti e

capacità di disporre del diritto: art. 2730 e 2731 c.c.). Al contrario, la rilevata possibilità della revoca della confes

sione anche per errore di fatto, la previsione che essa possa essere resa anche a mezzo di rappresentante e la qualificazione di atto giuridico non negoziale, e, precisamente, di dichiarazio

ne di scienza, attribuito da questa Corte suprema (sent. 1960/95,

Foro it., Rep. 1995, voce Confessione in materia civile, n. 5,

e 136/85, id., Rep. 1985, voce cit., n. 2) alla confessione, auto

rizzano a ritenere che le modalità di percezione della verità dei

fatti, oggetto di essa, possano essere le più disparate.

La giurisprudenza distingue bensì, quanto alla testimonianza,

secondo che le relative dichiarazioni abbiano ad oggetto fatti

percepiti dal teste direttamente ovvero de relato, e richiede, nel

secondo caso, che esse siano sorrette da altri elementi precisi e concordanti, che consentano di poter ritenere accertati i fatti

riferiti (sent. 10603/94, id., Rep. 1994, voce Prova testimonia

le, n. 30). La distinzione, peraltro, non è estensibile alla confessione,

posto che, mentre la testimonianza deve essere valutata dal giu

dice nella sua attendibilità (valutazione che deve investire, per le dichiarazioni de relato, sia la fonte immediata che quella me

diata), perché produca effetti probatori corrispondenti alla di

chiarazione stessa, la confessione, se relativa, come nella specie, a diritti disponibili, fa invece piena prova contro il confitente

(art. 2733 c.c.), senza che al giudice sia consentito alcun vaglio critico.

È pertanto confessione, e produce gli effetti giuridici propri di questa, anche la dichiarazione soltanto de relato.

Quanto all'animus confitendi — che il ricorrente deduce in

sussistente con lo stesso primo motivo del ricorso —, questa Corte suprema ha avuto modo di precisare che esso non consi

ste nell'intenzione di fornire una prova alla controparte, ma

nella consapevolezza e volontà di ammettere e/o riconoscere la

verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all'altra parte,

indipendentemente dalle conseguenze giuridiche che ne possono

derivare, e che il relativo accertamento è demandato al giudice del merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di mo

tivazione (sent. 1723/90, id., Rep. 1990, voce Confessione in

materia civile, n. 4; 5141/85 e 3524/85, id., Rep. 1985, voce

cit., nn. 1, 5). Fermo quanto testé rilevato, devesi osservare che il motivo,

in parte qua, è inammissibile, dal momento che il ricorrente, il quale non adduce alcun vizio motivazionale, demanda allo

stesso giudice della legittimità l'accertamento — negativo — di

tale requisito soggettivo: il che non è consentito. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1997.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 8 ottobre

1996, n. 8789; Pres. Martinelli, Est. Evangelista, P.M. De

Gregorio (conci, conf.); Inps (Avv. Fonzo, Pulli) c. Vivian.

Cassa Trib. Trieste 11 gennaio 1995.

Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Espropriazio ne presso terzi — Crediti — Assegno vitalizio spettante ai

consiglieri regionali cessati dalla carica — Pignorabilità (Cod.

civ., art. 2740; cod. proc. civ., art. 545; d.p.r. 5 gennaio 1950

n. 180, t.u. delle leggi concernenti il sequestro, il pignora mento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipen denti della pubblica amministrazione, art. 1, 2; 1. 30 aprile 1969 n. 153, revisione degli ordinamenti pensionistici e norme

in materia di sicurezza sociale, art. 69).

È suscettibile di pignoramento l'assegno vitalizio che la cassa

mutua di previdenza per i consiglieri della regione autonoma

Friuli-Venezia Giulia corrisponde ai consiglieri regionali ces

sati dalla carica. (1)

(1) Non constano precedenti specifici in termini. Sulla pignorabilità degli stipendi dei pubblici dipendenti, vedi (oltre

alla nota di richiami a Cass. 29 novembre 1996, n. 10649, in questo fascicolo, I, 1091) Corte cost. 26 luglio 1988, n. 878 (Foro it., 1988,

I, 2787) la quale ha ritenuto l'illegittimità dell'art. 2, 1° comma, n.

3, d.p.r. 5 giugno 1950 n. 180, nella parte in cui non prevede la pigno rabilità e la sequestrabilità degli stipendi, salari e retribuzioni corrispo sti dallo Stato, fino alla concorrenza di un quinto per ogni credito van

tato nei confronti del personale. Tale pronuncia è altresì riportata in

Giur. it., 1988, I, 1, 1617, con nota di Conte, La pignorabilità degli stipendi dei pubblici dipendenti nei più recenti orientamenti della Corte

costituzionale, e in Riv. dir. proc., 1989, 1178, con nota di Riva, La

pignorabilità degli emolumenti dei dipendenti dello Stato: una sentenza «attesa». Con tale pronuncia la corte ha completato l'eliminazione dal

nostro ordinamento del privilegio costituito dalla impignorabilità degli emolumenti dei pubblici dipendenti richiamandosi ai principi già posti a base della decisione 31 marzo 1987, n. 89, Foro it., 1987, I, 1001, con nota di C. M. Barone; nonché in Giur. it., 1988, I, 1, 539, con

nota di Galligani, Pignorabilità e sequestrabilità degli stipendi e salari

corrisposti dallo Stato e dagli altri enti pubblici e datori di lavoro assi

milati; Riv. dir. proc., 1987, 987, con nota di Saletti, La «nuova»

impignorabilità degli emolumenti di pubblici dipendenti, e Foro pad., 1987, I, 341, con nota di Conte, Nuova breccia nel principio dell'impi gnorabilità degli stipendi dei pubblici dipendenti. Per la giurisprudenza precedente sul punto si vedano le note di richiami di cui sopra.

Nel senso che «il regime dell'impignorabilità degli emolumenti spet tanti al lavoratore è analogo nel settore privato ed in quello pubblico, come risulta, per il settore privato, dagli art. 128 r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827 e 69 1. 30 aprile 1969 n. 153 e, per il settore pubblico, dagli art. 1 e 2 d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180» e che «pertanto, gli art. 1 e 2, 1° comma, n. 3, d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180 non sono in contra sto con l'art. 3 Cost., in quanto non stabiliscono una diversità di tratta

mento, in ordine all'impignorabilità degli emolumenti nel settore pub blico e in quello privato», cfr. Corte cost. 21 aprile 1989, n. 231, Foro

it., Rep. 1989, voce Impiegato dello Stato, n. 916. Per l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art.

545 c.p.c., in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede alcun limite alla pignorabilità degli emolumenti corrisposti ai medici convenzionati con il servizio sanitario nazionale, stante la loro non assi milabilità ai lavoratori subordinati, cfr. Corte cost. 22 dicembre 1989, n. 580, id., Rep. 1990, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecu niarie, n. 18.

Per l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art.

545, 4° comma, c.p.c. — in riferimento all'art. 3 Cost. — nella parte in cui prevede la pignorabilità delle retribuzioni limitatamente ad un

quinto del loro ammontare sia per i crediti ordinari che per le obbliga zioni risarcitorie nascenti da delitto, cfr. Corte cost. 13 luglio 1987, n. 260, id., 1988, I, 40.

Sulla legittimità costituzionale delle norme limitative della pignorabi lità delle pensioni (rispetto all'art. 24 Cost.) e della diversità di regime rispetto alla pignorabilità delle retribuzioni dei lavoratori (rispetto al l'art. 3 Cost.), vedi Corte cost. 6 febbraio 1991, n. 55 {id., Rep. 1991, voce cit., nn. 23, 24) la quale, più precisamente, ha ritenuto che «la diversità del regime della pignorabilità delle retribuzioni dei lavoratori e delle pensioni trova giustificazione nella intrinseca differenza delle situazioni giuridiche dei lavoratori e dei pensionati; pertanto, gli art. 69 1. 30 aprile 1969 n. 153 e 1 e 2 d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180 non sono in contrasto con l'art. 3 Cost, nella parte in cui dette norme non

prevedono, rispettivamente, la pignorabilità delle pensioni erogate dal

l'Inps e di quelle corrisposte dallo Stato, in tutti i casi nei quali l'art. 545 c.p.c. prevede la pignorabilità delle retribuzioni, percepite in virtù di un rappporto di lavoro» e che «le norme limitative della pignorabili tà delle pensioni (nella specie, art. 69 1. 30 aprile 1969 n. 153 e 1 e 2 d.p.r. 5 gennaio 1950 n. 180) non violano l'art. 24 Cost, rientrando

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