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sezione III civile; sentenza 13 marzo 1998, n. 2742; Pres. Sommella, Est. Lucentini, P.M.Morozzo Della Rocca (concl. conf.); D'Amico (Avv. Tatone) c. Censi (Avv. Moscarini). ConfermaApp. Ancona 26 aprile 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1859/1860-1865/1866Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192645 .
Accessed: 25/06/2014 00:40
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1859 PARTE PRIMA 1860
re contro di lei, la Ronzi ha chiesto da un lato che la Warmy fosse condannata all'eliminazione dei vizi od alla restituzione
delle somme ricevute in corrispettivo della merce difettosa, nel
la misura che fosse risultata in corso di causa, dall'altro che
fosse dichiarata l'estinzione del minore credito della Warmy. La corte d'appello ha ritenuto che la domanda della Ronzi
fosse rivolta a far valere la garanzia per vizi (art. 1490 c.c.)
e, sul presupposto che ogni partita di materiali avesse costituito
oggetto di un distinto contratto di compravendita, ha ricercato
se la garanzia fosse stata fatta valere, contratto per contratto, nei termini e condizioni preveduti dall'art. 1495 c.c.
La corte d'appello ha anche ritenuto che la garanzia fosse
stata fatta valere in rapporto alle sole prestazioni di cui la War
my aveva chiesto il pagamento e che perciò bisognasse accertare
se ad avere rivelato vizi erano state le merci oggetto di quei contratti e non altre.
La ricorrente ha sostenuto che, sulla base dell'allegazione dei
vizi, essa aveva proposto una domanda di risoluzione e, poiché s'era trattato non di distinti contratti di vendita, ma di un unico
contratto di somministrazione intervenuto tra le parti, per acco
gliere la domanda sarebbe bastato accertare che materiali con
segnati nel corso del rapporto erano risultati difettosi, e non
era invece necessario che i vizi avessero riguardato i materiali
per cui la Warmy aveva da ultimo richiesto il pagamento del
prezzo. La critica non è fondata. Qui non interessa ancora scendere
all'esame della questione relativa alla configurazione giuridica dei rapporti intercorsi tra le parti e può anche muoversi, con
cessivamente, dall'ipotesi che si sia trattato di una sommini
strazione.
L'art. 1564 c.c. dispone che «In caso di inadempimento di
una delle parti relativo a singole prestazioni, l'altra può chiede
re la risoluzione del contratto, se l'inadempimento ha una note
vole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell'esattezza
dei successivi adempimenti». La norma stabilisce a quali condizioni l'inadempimento, ma
nifestatosi quanto ad una delle prestazioni già eseguite o che
avrebbero dovuto esserlo, può reagire sulla prevista futura con
tinuazione del rapporto: derogando all'art. 1455 c.c., secondo
il quale è sufficiente che l'inadempimento non abbia scarsa im
portanza avuto riguardo all'interesse dell'altra, l'art. 1564 c.c.
dispone che l'inadempimento deve avere una notevole impor tanza e deve essere tale da menomare la fiducia nell'esattezza
dei successivi adempimenti. La domanda proposta dall'attuale ricorrente non faceva cen
no né all'interesse ad essere liberato dall'obbligazione di riceve
re future prestazioni né della sussistenza delle altre condizioni
prevedute dall'art. 1564 c.c.
Dunque, appare corrispondere alla sua formulazione l'inter
pretazione che ne ha dato la corte d'appello, come d'una do
manda volta ad ottenere la riduzione del prezzo e quindi la re stituzione del prezzo pagato in più, per essere state consegnate, in occasione delle diverse forniture, cose affette da vizi.
Si tratta a questo punto di stabilire se, rispetto ad una tale
domanda, che sostanzia uno dei modi in cui si fa valere nella
vendita la garanzia per vizi (art. 1490 e 1492 c.c.), la disciplina da applicare sia, nel caso di contratto di somministrazione, di
versa da quella che vige per il contratto di vendita.
E la risposta, per le ragioni che si verranno esponendo, deve
essere negativa, sicché il primo motivo si rivela inammissibile
perché manca nella parte l'interesse a dolersi del fatto che la
corte d'appello non abbia configurato il contratto come sommi
nistrazione.
Gli art. 1492, 1494 e 1495 c.c. disciplinano gli effetti, i termi ni e le condizioni della garanzia, disponendo che il compratore
può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero
la riduzione del prezzo; ha in ogni caso diritto al risarcimento
del danno; decade dalla garanzia se non denunzia i vizi al ven
ditore nel termine stabilito dalle parti o dalla legge; non ha l'o
nere della denuncia se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato; può far valere la garanzia oltre che in via di azione, in via di eccezione contro la domanda di esecu
zione del contratto proposta dal venditore, sempre che non si
sia avuta decadenza per mancata denunzia.
La disciplina del contratto di somministrazione non presenta
analoghe norme, ma, quando oggetto del contratto sia la pre stazione di cose da consumare e non da godere, l'applicazione
Il Foro Italiano — 1998.
di quelle dettate per la vendita deriva da quanto dispose l'art.
1570 c.c.
Invero, la disciplina dettata per la somministrazione è incom
patibile con quella della vendita sotto un solo profilo: mentre
la risoluzione della vendita, anche in caso di vizi della cosa, è soggetta alla regola generale dell'art. 1455 c.c. sull'importan za dell'adempimento (Cass. 15 febbraio 1986, n. 914, Foro it.,
Rep. 1986, voce Vendita, n. 55), ciò non basta per la risoluzio
ne del contratto di somministrazione, per il quale vale la diver
sa norma dettata dall'art. 1564 c.c., già commentata.
Ma, quando non è domandata la risoluzione dell'intero con
tratto, perché la parte che ha ricevuto una o più prestazioni di merci difettose manifesta solo l'interesse a liberarsi in tutto
o in parte dall'obbligazione di pagamento del prezzo in relazio
ne a quelle medesime prestazioni, da un lato cessa di venire
in rilievo l'aspetto dell'unicità del contratto di base, che diffe
renzia la somministrazione dalla pluralità delle vendite, dall'al
tro non v'è ragione apprezzabile per non assoggettare alle me
desime regole della vendita le prestazioni viziate, che parimenti hanno ad oggetto cose da consumare affette da vizi.
Dunque, a parte la deroga recata dall'art. 1564 c.c., le norme
sulla garanzia per vizi sono affatto compatibili con la disciplina della somministrazione di cose da consumare e per esse vale
il rinvio contenuto nell'art. 1570 c.c.
Perciò, nella vendita e nella somministrazione, v'è un'identi
ca regolamentazione quanto all'onere di denuncia, alla possibi lità di domandare, alternativamente, la risoluzione o la diminu
zione del prezzo, al potersi far valere la garanzia anche in via
di eccezione.
Sicché, quando oggetto della controversia tra le parti è unica
mente la regolamentazione del rapporto sorto dall'esecuzione
di una o più prestazioni separatamente considerate, non si ap
prezza alcuna differenza secondo che le prestazioni facciano ca
po ad una vendita o ad una somministrazione.
Diversa è invece la disciplina della risoluzione del contratto
di somministrazione per effetto dell'inadempimento verificatosi
in una delle prestazioni: qui da un lato opererà l'art. 1564 c.c.,
quanto alla risolubilità del contratto, dall'altro gli effetti della
risoluzione saranno disciplinati dall'art. 1458, 1° comma, c.c.
sui contratti ad esecuzione continuata o periodica, e non dal
l'art. 1493 c.c. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 13 mar zo 1998, n. 2742; Pres. Sommella, Est. Lucentini, P.M. Mo
rozzo Della Rocca (conci, conf.); D'Amico (Avv. Tatone) c. Censi (Avv. Moscarini). Conferma App. Ancona 26 aprile 1995.
Notificazione e comunicazione di atti civili — Istanza di notifi cazione — Delega verbale — Relazione — Omessa indicazio ne — Irrilevanza — Condizioni — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 137).
L'attività di impulso del procedimento notificatorio può essere
delegata dal soggetto legittimato, e cioè dalla parte o dal suo
difensore in giudizio, ad altra persona, anche verbalmente:
in tal caso, l'omessa indicazione, nella relazione di notifica, della persona che materialmente ha eseguito l'attività suddet
ta, ovvero della sua qualità di incaricato del legittimato, resta
irrilevante ai fini della validità della notificazione se, alla stre
gua dell'atto da notificare, risulti ugualmente la parte ad istan
za della quale essa deve intendersi effettuata (nella specie, la notifica dell'atto di citazione in riassunzione del giudizio di rinvio risultava richiesta da un difensore che agiva extra
districtum. (1)
(1) La Corte di cassazione ritorna sul tema dell'atto di impulso attra verso il quale l'ufficiale giudiziario viene investito della notificazione
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione del diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c. in riferimento agli art. 137 e 350 c.p.c., il D'Amico si duole che il giudice di rinvio non abbia dichiarato l'(insanabile) inesi stenza dell'atto introduttivo (recte: della notifica dell'atto intro
duttivo) di quel giudizio, in quanto avvenuta, essa notifica, ad istanza di soggetto non legittimato ai sensi dell'art. 137 c.p.c.
Occorre premettere che dall'esame diretto della citazione in
sede di rinvio davanti alla Corte d'appello di Ancona (esame
qui consentito stante la natura del vizio denunciato: error in
procedendo) risulta che il Censi aveva nominato quali propri difensori e procuratori, per quel giudizio, l'aw. Giovanni Di
Biase, del foro di Pescara, e l'aw. Maurizio Barbieri, del foro di Ancona, e che la notifica della stessa citazione era stata ri
chiesta dall'avv. Di Biase, privo tuttavia dei relativi poteri, es
sendo fuori del distretto d'appartenenza. In relazione a tale fattispecie, come si è accennato in parte
narrativa, il giudice di rinvio ritenne che non sussisteva il de nunciato vizio di notifica, poiché, mentre la distinzione tra pro curatore legale e difensore atterrebbe al rapporto difensore
giudice e non al rapporto difensore-parte, era comunque da con
siderare che la nullità di un atto notificato ad istanza di sogget to non legittimato resterebbe sanata — attraverso la riferibilità
ex post dell'atto alla parte interessata — con la successiva costi
tuzione in giudizio di questa. Osserva il collegio. Assai delicata, in verità, è la questione
relativa alla validità ed efficacia delle notificazioni degli atti pro cessuali eseguiti a richiesta non già della parte personalmente o dei suoi patroni muniti di procura per lo stadio processuale cui le notificazioni stesse afferiscono, ma di altri soggetti.
La giurisprudenza di questa corte era nel passato orientata,
pressoché unanimemente, a considerare le notificazioni stesse
radicalmente invalide (v., fra le altre, Cass., sez. un., 3 gennaio
1979, n. 1, Foro it., 1979, I, 1; 14 dicembre 1982, n. 6865, id., Rep. 1982, voce Notificazione civile, n. 10; 26 gennaio 1985, n. 407, id., Rep. 1985, voce cit., n. 6; 21 novembre 1986, n.
6861, id., Rep. 1986, voce Procedimento civile, n. 56; 6 ottobre
1988, n. 5378, id., Rep. 1988, voce Notificazione civile, n. 41,
ecc.), ed il principio, pur sporadicamente, è stato riaffermato
in tempi più recenti (Cass., sez. un., 26 novembre 1990, n. 11356,
id., 1994, I, 143), pur essendo venuto ad emergere il diverso
orientamento secondo cui la nullità sarebbe sanata, nel caso
di notifica dell'atto introduttivo, attraverso la costituzione in
giudizio della controparte (Cass. 17 novembre 1976, n. 4280,
id., 1978, I, 1528; 27 febbraio 1979, n. 1315, id., Rep. 1979, voce Cassazione civile, n. 197; 20 ottobre 1989, n. 4226, id.,
Rep. 1989, voce Notificazione civile, n. 37), ovvero della stessa
parte nel cui interesse la notifica era stata richiesta (Cass. 29
dicembre 1987, n. 9642, id., Rep. 1987, voce cit., n. 52; 3 otto
ai sensi dell'art. 137 c.p.c., ribadendo un principio già affermato, fra le altre, in particolare, da Cass., sez. un., 6 settembre 1990, n. 9213, Poro it., 1991, I, 484, con nota di G. Sbaraglio, Un intervento risolu tore delle sezioni unite in tema di notificazione avvenuta su richiesta materiale di soggetto non legittimato, e ribadito successivamente dalle
pronunce delle sezioni semplici 10 settembre 1993, n. 9473, id., 1994, I, 2838, con nota di richiami; 19 marzo 1993, n. 3272, e 13 gennaio 1993, n. 350, ibid., 143, con osservazioni di G. Sbaraglio.
Nella giurisprudenza più recente il principio di cui sopra è stato riba dito da Cass. 15 maggio 1996, n. 4501, e 5 febbraio 1996, n. 952, id., Rep. 1996, voce Notificazione civile, nn. 8, 9.
Sul punto si veda poi Cass. 14 novembre 1996, n. 9972 (ibid., n.
50) la quale ha ritenuto che: «la legittimazione a presentare l'istanza di notificazione di un atto spetta, ai sensi dell'art. 137 c.p.c., alla parte e, quindi, ad un procuratore della medesima, ovvero, in via meramente
alternativa, al difensore munito di mandato; con la conseguenza che è affetta da inesistenza — non soltanto da nullità — esclusivamente la notificazione effettuata ad istanza del semplice domiciliatario, privo, in quanto tale, di poteri di impulso e di rappresentanza e munito sol tanto della funzione di sostituire la parte nella ricezione di atti ad essa notificati». Nonché Cass. 26 gennaio 1995, n. 957 (id., Rep. 1995, voce
cit., n. 9) la quale ha ritenuto che: «deve ritenersi valida la notificazio ne che sia stata chiesta da difensore, munito di procura, abilitato all'e sercizio dell'attività procuratoria nell'ambito del distretto della corte
d'appello ove ha sede l'autorità giudiziaria adita e non nel distretto in cui opera l'ufficiale giudiziario incaricato della notificazione, consi derato che l'istanza di notificazione è valida quando sia riferibile alla
parte — che può provvedervi anche personalmente — nel cui interesse la notificazione è destinata ad essere eseguita».
Il Foro Italiano — 1998.
bre 1991, n. 10311, id., Rep. 1991, voce cit., n. 6), ovvero (ma
immotivatamente) che non sussisterebbe nullità nel caso di noti fica richiesta da difensore — pur non procuratore — munito di mandato (Cass., sez. un., 14 novembre 1996, n. 9972, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 50). Una posizione a parte, in questo panorama, occupano Cass.,
sez. un., 6 settembre 1990, n. 9213 (id., 1991, I, 485) e 19 mar zo 1993, n. 3272 (id., 1994, I, 143), il cui iter argomentativo si sostanzia nelle seguenti proposizioni.
Un problema di legittimazione intesa come titolarità del pote re di disporre la notificazione, nella realtà non si pone, essendo
evidente che, in relazione ad un atto del processo, l'iniziativa del procedimento notificatorio non può spettare che alla parte personalmente o al suo procuratore, che la rappresenta in giu dizio in ragione del suo ufficio di difensore. Appunto questo
principio esprime l'art. 137, 1° comma, c.p.c., che si occupa della prima delle tre fasi del procedimento di notificazione, cioè della c.d. fase di impulso (cui fanno seguito quella diretta alla
consegna dell'atto al destinatario e quella della documentazione di tale attività, entrambe proprie dell'ufficiale giudiziario).
La norma considerata dispone che le notificazioni possono avvenire, oltre che a richiesta del p.m. o del cancelliere, ad istanza
della «parte»: ed è pacifico che quest'ultimo termine compren de sia la parte di persona, che il suo procuratore, come è fatto
palese, altresì, dall'art. 104 d.p.r. 15 dicembre 1959 n. 1229, che a tali soggetti attribuisce il potere di officiare l'ufficiale giu diziario competente. Non è ipotizzabile, del resto, una regola diversa, giacché la legittimazione a provocare la notificazione
è correlata all'atto che ne costituisce l'oggetto e spetta, quindi, se si tratta di un atto di parte, alla persona cui questo va impu tato. Piuttosto, va sottolineato che, in ordine all'iniziativa della
notificazione, non opera, come si desume proprio dall'art. 137
cit., il principio della difesa tecnica, e, perciò, anche quando l'atto di notificazione debba essere compiuto dal difensore, il
potere di provvedere alla sua notificazione va riconosciuto an
che alla parte di persona (v. art. 163, 4° comma, c.p.c.). L'individuazione dei legittimati, di per sé, non risolve, però,
lo specifico problema che qui si discute, che sorge quando la
c.d. attività di impulso sia svolta da altra persona per conto
di detti soggetti, nelle quali fattispecie occorre ulteriormente sta
bilire se l'attività medesima possa essere delegata ad altri e, in
tal caso, se per il conferimento dell'incarico si richiedano parti colari forme.
Si tratta, cioè, di verificare, alla stregua del diritto positivo, in che cosa consista e quale sia la disciplina dell'attività di im
pulso, e, in particolare, se questa debba essere necessariamente
compiuta dalla parte in persona o dal suo procuratore in giudi zio: conclusione quest'ultima cui era pervenuto il rigoroso orien
tamento giurisprudenziale in passato dominante, che, non di
stinguendo tra legittimazione e concreto esercizio dell'attività, in pratica supponeva l'esistenza di un atto di impulso volto a
manifestare la volontà di notifica riservato in esclusiva alla par te ed al suo difensore.
La legge, però, non prevede uno specifico atto formale aven
te siffatto contenuto. L'unica norma che concerne, in via gene rale, la fase di impulso, e cioè l'art. 137 c.p.c., nulla dispone al riguardo, giacché in essa la locuzione «ad istanza di parte» è usata per designare, come si è visto, una delle tre categorie di soggetti che possono assumere l'iniziativa del procedimento
notificatorio, non già per indicare la forma ed il contenuto del
la richiesta, o, comunque, un distinto atto destinato a tale scopo. Per converso, risulta in modo diretto dall'art. 163, 4° com
ma, c.p.c. che l'attività di impulso del procedimento notificato
rio consiste nella consegna dell'atto da notificare all'ufficiale
giudiziario, ovviamente con le indicazioni relative al destinata
rio della notificazione, le quali, peraltro, nella prassi, vengono
precisate attraverso la predisposizione, in calce all'atto, della
relazione di notifica. Con la consegna vanno eseguiti adempi menti diversi, di carattere burocratico, tutti, ad ogni buon con
to, espletati in modo informale. Neppure è prevista una diretta
e specifica documentazione in ordine alla consegna dell'atto ed
al soggetto che materialmente la esegue, giacché l'ufficiale giu diziario solo a conclusione del procedimento notificatorio deve
dare notizia della '«istanza», indicando la parte da cui è stato
officiato nella relazione di notifica, unico atto giuridicamente
rilevante, anche, nei confronti del destinatario.
È illuminante, al riguardo, il riferimento all'ipotesi che l'inte
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1863 PARTE PRIMA 1864
ressato provveda a trasmettere l'atto da notificare mediante let
tera raccomandata (art. 104, 3° comma, d.p.r. 15 dicembre 1959
n. 1229): l'ufficiale giudiziario, non è tenuto a far risultare nel
la relazione di notifica tale modalità di consegna e, inoltre, non
è prescritta l'autentica della sottoscrizione della richiesta, an
corché istante figuri la parte personalmente, e non il suo difen
sore, le quali circostanze confermano che, nel sistema normati
vo, la c.d. attività di impulso non adempie né alla funzione
di manifestare, rispetto alla controparte, la volontà di notifica
re l'atto, cui la legge non attribuisce autonomo rilievo giuridi
co, né la funzione di assicurare che la consegna venga eseguita direttamente dal soggetto legittimato. Consequenzialmente, è da
escludere che possa postularsi l'esistenza di un apposito atto
dispositivo teso a manifestare la volontà di notifica, di cui non
vi è traccia nella legge. L'attività di impulso si risolve, invece, nella traditio dell'atto
da notificare e nel compimento di operazioni accessorie, gene ralmente di carattere materiale, finalizzate unicamente al confe
rimento dell'incarico notificatorio. In relazione a questa strut
tura ed a questa funzione, circoscritte al rapporto fra richieden
te ed ufficiale giudiziario, si spiega perché non siano previste dall'art. 160 c.p.c., né siano oggettivamente configurabili vizi
della notificazione inerenti alla fase in esame, neppure in rela
zione al disposto dell'art. 156, 2° comma, c.p.c. — che sancisce
la nullità degli atti processuali inidonei allo scopo ed è richia
mato nell'art. 160 —, fatta eccezione dei casi in cui l'atto noti
ficando non consenta l'individuazione della parte istante.
Rispetto al destinatario, infatti, sono irrilevanti le modalità
del conferimento dell'incarico all'ufficiale giudiziario, poiché il
presupposto del procedimento notificatorio si realizza con la
consegna dell'atto da notificare e lo scopo della notificazione
deve ritenersi, in ogni caso, raggiunto quando, alla stregua del
l'atto medesimo, è certo il soggetto cui essa va riferita.
II ruolo decisivo che in tal senso svolge l'atto da notificare
è alla base del consolidato orientamento espresso da questa cor
te nell'ipotesi che nella relazione di notifica sia del tutto omessa
l'indicazione della parte istante: muovendo dalla premessa che
l'omissione non è in alcun modo sanzionata, sicché deve esclu
dersi l'esistenza di una nullità formale, si è precisato che non
si configura neppure un vizio extraformale se l'atto notificato
consenta di individuare la persona cui va imputata la notifica
zione: soltanto una insuperabile incertezza al riguardo può ren
dere assolutamente invalido il procedimento notificatorio.
Con questo indirizzo, in definitiva, si riconosce implicitamen te, oltre che la normale irrilevanza di una distinta volontà di
notifica, la stretta inerenza e strumentalità della notificazione
rispetto all'atto da notificare, in relazione al quale si stabilisce
il soggetto cui la notificazione stessa deve essere riferita.
Ciò posto, non vi sono ragioni per negare che il legittimato
possa delegare ad altra persona il materiale compimento dell'at
tività di impulso. In verità, la contraria opinione non si giustifica neppure nel
l'ottica dell'atto dispositivo, ove si consideri che, spettando la
legittimazione anche alla parte personalmente, nulla dovrebbe
impedire che questa si faccia sostituire da altri secondo le ordi narie regole della rappresentanza sostanziale (ed appunto in ba se a questa premessa si è talvolta ritenuto che il difensore della
parte possa provvedere alla notificazione di un atto sebbene sfor nito di ius postulandi di quel giudizio, non trattandosi di attivi tà che debba essere svolta nell'esercizio di rappresentanza pro
curatoria). Una volta chiarita la natura dell'attività considerata nei sensi
dianzi precisati, peraltro, a maggior ragione, deve ritenersi che
essa possa dal legittimato essere demandata ad altra persona, che operi come mero tramite nell'attività di consegna dell'atto
notificando all'ufficiale giudiziario: e, poiché non si tratta di
sostituzione in un'attività propriamente processuale, si deve, al
tresì, ammettere che l'incarico possa essere dato anche verbal
mente, come in concreto accade, del resto, nella prassi giudizia ria, essendo ben noto che quasi sempre l'operazione è svolta dai difensori a mezzo di semplici incaricati.
È possibile, poi, che l'interposizione non risulti dalla relazio
ne di notifica, in quanto l'ufficiale giudiziario, imputando la notifica direttamente al legittimato, certifichi solo che la notifi ca è avvenuta ad istanza di quest'ultimo: la relata, quindi, non
concerne le modalità dell'istanza e, dunque, non può ex actis
sorgere questione circa l'imputazione della stessa.
Il Foro Italiano — 1998.
Un problema siffatto, in astratto, può profilarsi, invece, se
nella relazione di notifica si dia notizia dell'intervento di un
soggetto diverso dal legittimato, senza indicare la sua veste di
incaricato di quest'ultimo o precisare, comunque, il rapporto che giustifica la qualifica: una volta ritenuta, però, la normale
irrilevanza, rispetto al destinatario, delle modalità dell'incarico
all'ufficiale giudiziario, occorre riconoscere che la carenza di
detti elementi non inficia, di per sé, la notificazione, la quale, secondo quanto detto, può risultare inutilmente eseguita solo
se, alla stregua dell'atto notificato, non sia dato individuare
il soggetto cui essa vada riferita, mentre, in caso contrario, si
deve ritenere che la persona interposta abbia agito quale nudus
minister di detto soggetto, da costui verbalmente incaricato.
Tale imputazione risulta evidente per gli atti di parte formati
proprio per essere significati alla persona alla quale si indirizza
no: per essi la volontà di procedere alla notifica è insita nell'at
to stesso, sicché non può che essere riferita all'autore di questo la conseguente operazione di consegna all'ufficiale giudiziario
per la notifica, da intendersi essenziale alla natura dell'atto me
desimo: tanto deve dirsi, ad esempio, per le citazioni, in rela
zione alle quali la parte che le sottoscrive, con ciò stesso, mani
festa l'intento che siano notificate, e per gli atti del processo formati per essere portati a conoscenza di altri soggetti.
In queste fattispecie, che vengono in diretta considerazione
nel caso in esame, la persona alla quale l'atto è notificato è
sempre tenuta a riferire la notificazione alla parte cui va attri
buito l'atto medesimo, ancorché questi risulti consegnato all'uf
ficiale giudiziario da un diverso soggetto e sussista taluna delle
carenze suindicate. Nessuna norma impone al destinatario l'o
nere di accertare se tale soggetto sia un incaricato della parte, ovvero di verificare se l'incarico enunciato sia effettivamente
esistente (il quale controllo, peraltro, risulta quasi sempre inat
tuabile): inoltre, l'assenza dell'incarico, e dunque il carattere
arbitrario dell'attività della persona interposta, potrebbe essere
eccepita dal soggetto cui deve essere riferita la notificazione, non certo dalla controparte.
Per quanto concerne, poi, la parte cui vanno imputati l'atto
e, conseguentemente, la sua notifica, è agevole osservare che
il possesso del medesimo atto da parte di colui che ne effettua
la consegna è, di per sé, sufficiente per ritenere che egli agisca su incarico del dominus, al quale vanno necessariamente riferi
te, ai fini della rituale instaurazione del giudizio, le conseguenze della disponibilità dell'atto medesimo, da lui consentita e della
quale non può non essere responsabile sul piano processuale. Ciò senza dire che la configurabilità di un vizio comportante
l'inesistenza della notificazione, perciò rilevabile in ogni stato
e grado, confligge con l'esigenza di un ordinato e leale svolgi mento del processo: essa, infatti, finirebbe per consentire al le
gittimato di eccepire in qualsiasi fase la non imputabilità della
notifica, in pratica riconoscendogli la possibilità di disconosce
re, o meno, il giudizio a seconda della propria convenienza; e ciò in relazione ad una disciplina non finalizzata ad assicurare la certezza del diretto coompimento dell'attività di impulso ad
opera della parte e, conseguentemente, con riferimento a situa zioni non immediatamente percepibili dalla controparte.
In conclusione, si deve affermare che l'attività di impulso del
procedimento notificatorio può dal soggetto legittimato, e cioè dalla parte o dal suo difensore in giudizio, essere delegata ad altra persona, anche verbalmente: in tal caso, l'omessa indica
zione, nella relazione di notifica, della persona che material mente ha eseguito l'attività suddetta, ovvero della sua qualità di incaricato del legittimato resta irrilevante ai fini della validità
della notificazione se, alla stregua dell'atto da notificare, risulti
ugualmente la parte ad istanza della quale essa deve intendersi
effettuata; e tanto si verifica in ogni caso per la citazione, il
ricorso per cassazione e, in genere, per gli atti di parte destinati alla notificazione, la quale deve essere imputata alla parte me
desima, con la conseguenza che le omissioni suddette non dan no luogo a inesistenza e/o a nullità della notificazione.
Questo collegio condivide pienamente siffatte argomentazio ni, cui non ha da aggiungere alcunché.
In relazione ad esse, pertanto, non essendo seriamente conte
stabile, nella specie, la riferibilità al Censi della citazione in rias sunzione davanti alla Corte d'appello di Ancona, l'imputabilità al predetto della relativa notificazione non può essere messa in discussione, stante l'irrilevanza del fatto che l'attività di im
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pulso del procedimento notificatorio sia stato promosso da per sona (l'avv. Di Biase) diversa dalla parte e dal suo procuratore ad litem (l'avv. Barbieri).
In definitiva, infondata è la prima censura, quantunque per
ragioni diverse da quelle enunciate dal giudice a quo. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 7 marzo
1998, n. 2539; Pres. Sensale, Est. Olia, P.M. Lo Cascio
(conci, conf.); Banca agricola Mantovana (Avv. Pelà, Mac
cam, Berti Arnoaldi Veli) c. Fall. soc. Parmacarton (Avv.
Casavola, Arrigoni). Cassa App. Bologna 17 luglio 1995.
Amministrazione controliata — Contratti bancari — Anticipa zione su ricevute bancarie in conto corrente — Incasso della
banca successivo all'ammissione alla procedura — Diritto di
trattenere le somme riscosse — Condizioni (R.d. 16 marzo
1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 56, 188).
Nell'ipotesi in cui, anteriormente all'ammissione alla procedura di amministrazione controllata, il correntista ponga in essere
con la banca un 'operazione di anticipazione su ricevute ban
carie regolata in conto corrente e quest'ultima incassi gli im
porti delle ricevute successivamente a tale evento, è necessa
rio accertare se la convenzione relativa all'operazione di anti
cipazione abbia previsto il diritto della banca di incamerare
le somme riscosse (c.d. «patto di compensazione» o «patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno oppo
sto»), posto che, in tal caso, la banca ha diritto di «compen sare» il proprio debito restitutorio sorto per effetto dell'in
casso con il credito vantato verso il correntista in relazione
al medesimo rapporto di conto corrente, ancorché quest'ulti mo sia anteriore all'ammissione alla procedura. (1)
(1) La sentenza ribadisce un principio già in precedenza affermato
dai giudici di legittimità anche per l'ipotesi del concordato preventivo: v., infatti, negli esatti termini, Cass. 5 agosto 1997, n. 7194, Foro it.,
Mass., 700, e Fallimento, 1998, 56, con nota di Gior. Tarzia. V. poi,
sempre in conformità, Cass. 23 luglio 1994, n. 6870, Foro it., Rep.
1994, voce Fallimento, n. 352, nonché Cass. 18 dicembre 1990, n. 11988,
id., Rep. 1991, voce Concordato preventivo, n. 123, e Fallimento, 1991,
467, entrambe in tema di concordato preventivo. In dottrina, v. Gior.
Tarzia, Gli effetti del concordato preventivo e dell'amministrazione con
trollata sui rapporti bancari, in Giur. comm., 1986, I, 464.
Sebbene nella motivazione non se ne dia compiutamente conto, rin
venendosi in essa un sostanziale rinvio a precedenti in senso conforme,
giova qui evidenziare quelli che costituiscono i logici presupposti del
principio massimato. La possibilità per la banca di incamerare le somme riscosse trova
la propria ragion d'essere, innanzitutto, nella circostanza che l'ammis
sione alla procedura minore non determina lo scioglimento del rappor to di conto corrente bancario e di quelli di volta in volta in esso con
fluenti (v. Cass. 5 agosto 1997, n. 7194, cit.; 3 dicembre 1968, n. 3868, Foro it., 1969, I, 1585; più in generale, sul tema della prosecuzione dei rapporti preesistenti, v. Cass. 8 giugno 1981, n. 3683, id., Rep.
1982, voce Amministrazione controllata, n. 30, e Fallimento, 1981, 897,
preceduta e seguita da numerose decisioni conformi, tra le quali v., da ultimo, Cass. 27 agosto 1997, n. 8076, Foro it., Mass., 810. Per
entrambi gli argomenti, v., in dottrina, anche per la difforme opinione di chi afferma l'applicabilità degli art. 72 ss. 1. fall., S. Satta, Diritto
fallimentare, Padova, 1996, 490, 530, nonché A. Maffei Alberti, Com
mentario breve alla legge fallimentare, Padova, 1991, 542, 597). In tale prospettiva, peraltro, assume rilievo determinante la circo
stanza che, nella fattispecie, non opera il principio della «cristallizza
zione» dei crediti di cui agli art. 168 e 188 1. fall., e ciò in ragione del fatto che l'anticipazione concessa e l'incasso delle ricevute da parte della banca (eventi, questi, rispettivamente anteriore e successivo alla
data della presentazione del ricorso) si inseriscono nell'ambito di un
unitario rapporto di conto corrente (v., ancora, Cass. 5 agosto 1997, n. 7194, cit.).
In primo luogo, infatti (e a differenza di quanto avviene nel mero
mandato all'incasso), la banca non si limita ad incassare gli importi
Il Foro Italiano — 1998.
Svolgimento del processo. — 1. - Con ricorso in data 17 di
cembre 1982 la s.r.l. Parmacarton chiese al Tribunale di Parma
di essere ammessa alla procedura di amministrazione controlla
ta per la durata di un anno, così come previsto dall'art. 187
1. fall. Con decreto 8-11 gennaio 1983 il tribunale adito accolse la
domanda.
La procedura di amministrazione controllata fu dichiarata chiu
sa con decreto in data 5 gennaio 1984. Indi, con sentenza del
28 gennaio 1984, il Tribunale di Parma dichiarò il fallimento della Parmacarton.
2. - Con atto notificato alla Banca agricola Mantovana il 14
aprile 1987, la curatela del fallimento della Parmacarton dedus
se che durante il corso della procedura di amministrazione con
trollata, ed in attuazione di un contratto bancario stipulato il
15 luglio 1982, detta banca aveva incassato per conto della Par
macarton la somma di lire 337.216.977, attraverso la riscossio
ne di ricevute bancarie che la stessa Parmacarton le aveva con
segnato contro anticipazione del corrispondente importo; aveva
accreditato le somme riscosse sul conto corrente di corrispon denza che la società fallita aveva stipulato con essa banca; e
l'aveva portata a compensazione del proprio credito corrispon dente ad una anticipazione in conto corrente contestuale alla
consegna delle ricevute.
Ciò premesso, con lo stesso atto detta curatela convenne in
giudizio davanti al Tribunale di Parma la Banca agricola Man
tovana e chiese al giudice adito: in via principale, la condanna
della convenuta alla restituzione delle somme riscosse in pen
delle ricevute «appoggiatele», ma provvede ad erogare, contestualmente alla presentazione delle stesse, una somma a favore di chi le consegna
(v., al riguardo, Cass. 5 agosto 1997, n. 7194, cit.; 23 settembre 1994, n. 7835, Foro it., Rep. 1995, voce Contratti bancari, n. 43, nelle quali si parla di «natura essenzialmente creditizia» dell'operazione di «ap
poggio delle ricevute»; si trattasse invece di un mero mandato all'incas
so, in ossequio al principio della «cristallizzazione» dei crediti alla data
del deposito del ricorso, gli importi incassati andrebbero senz'altro con
segnati all'imprenditore ammesso alla procedura o, se successivamente
fallito, all'attivo fallimentare; v. Cass. 28 agosto 1995, n. 9030, id.,
Rep. 1996, voce Concordato preventivo, n. 45, e Fallimento, 1996, 69; 23 luglio 1994, n. 6870, cit.; 18 dicembre 1990, n. 11988, cit.; 14 feb braio 1979, n. 975, Foro it., Rep. 1979, voce Fallimento, n. 271, e
Giur. comm., 1979, II, 1014; 14 febbraio 1979, n. 974, Foro it., Rep. 1979, voce Amministrazione controllata, n. 20; nella giurisprudenza di
merito, v. App. Milano 4 maggio 1993, id., Rep. 1994, voce Concorda
to preventivo, n. 73; 6 aprile 1993, ibid., n. 74; Trib. Milano 18 gen naio 1988, id., Rep. 1989, voce cit., n. 51; App. Torino 27 maggio 1985, id., Rep. 1986, voce Fallimento, n. 285; App. Milano 17 maggio 1985, id., Rep. 1985, voce Concordato preventivo, n. 72; Trib. Torino 31 maggio 1984, id., Rep. 1986, voce cit., n. 75).
In secondo luogo, il debito relativo alle somme riscosse successiva
mente all'ammissione del debitore alla procedura, lungi dall'essere com
pensato con altri crediti a questa anteriori (ciò che non sarebbe possibi le, sempre in ragione del detto principio di «cristallizzazione»; v., a
tal proposito, oltre a Cass. 5 agosto 1997, n. 7194, cit., in motivazione, ed agli altri precedenti citati con riferimento all'ipotesi del mandato
all'incasso, Cass. 9 gennaio 1997, n. 123, id., Mass., 13; 29 marzo 1995, n. 3722, id., Rep. 1995, voce Fallimento, n. 380, e Fallimento, 1995,
1132; 1° dicembre 1992, n. 12827, Foro it., Rep. 1992, voce Concorda
to preventivo, n. 58; 19 agosto 1992, n. 9655, id., Rep. 1993, voce
Amministrazione controllata, n. 24, e Fallimento, 1993, 259; 15 giugno 1988, n. 4079, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 18, e Fallimento, 1988,
981; 28 giugno 1985, n. 3879, Foro it., Rep. 1986, voce Fallimento, n. 347; 9 novembre 1982, n. 5882, id., Rep. 1982, voce Amministrazio ne controllata, n. 36; 14 febbraio 1979, n. 974, id., Rep. 1979, voce
cit., n. 17, e Giur. comm., 1979, II, 1014; 21 ottobre 1964, n. 2636, Foro it., 1965, I, 48), viene invece «compensato» con il credito sorto
in virtù dell'anticipazione concessa. Sul tema della compensazione in sede fallimentare, v. Cass. 6 settem
bre 1996, n. 8132, id., 1997, I, 165, con nota di M Fabiani, Porte
aperte per la compensazione giudiziale nel fallimento, e, in precedenza, Cass. 20 marzo 1991, n. 3006, id., Rep. 1991, voce Fallimento, n. 339, entrambe nel senso che, ai fini dell'applicabilità dell'art. 56 1. fall., ciò che rileva non è già la preesistenza al fallimento di tutti i requisiti di cui all'art. 1243 c.c. (con l'eccezione del presupposto dell'esigibilità del credito nei confronti del fallito), bensì l'anteriorità al fallimento
del fatto costituente fonte delle situazioni giuridiche contrapposte. In
senso contrario pare tuttavia Cass. 25 agosto 1997, n. 7961, id., Mass., 794 (ma il riscontro è costituito dalla sola massima ufficiale), nonché
la prevalente giurisprudenza, per la quale v. ancora Fabiani, op. cit., nota 22.
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