sezione III civile; sentenza 14 dicembre 1985, n. 6339; Pres. Lo Surdo, Est. Laudato, P. M.Dettori (concl. conf.); Bigot (Avv. Porzio, Majo) c. Soc. Lloyd Italico e L'Ancora. Conferma Trib.Gorizia 27 aprile 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1986), pp. 1917/1918-1937/1938Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180750 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
aprile 1982, n. 2467, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 98, 173). Una conferma, infine, dell'appartenenza del rapporto in esame
all'area dell'impiego pubblico proviene dal cit. art. 36 d.p.r. n.
1079 del 1970, che indica il rapporto del personale assunto a
contratto ai sensi della 1. n. 1483 del 1962 e successive modifica
zioni, come « rapporto impiegatizio non di ruolo », nonché dalla 1. 11 luglio 1980 n. 312, sul nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato, per la quale all'art. 31, 3° comma, per il detto personale, il servizio prestato anteriormen te alla data di entrata in vigore della stessa legge è considerato come servizio non di ruolo ai fini del successivo inquadramento in ruolo.
In conclusione, le domande dell'Angelastro e degli altri liti scorti traggono titolo diretto ed immediato da un rapporto di
pubblico impiego, sicché la cognizione della controversia, alla
stregua dei principi sopra enunciati, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, come statuito nell'impugnata sentenza.
Il ricorso dev'essere dunque rigettato. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 14 dicembre 1985, n. 6339; Pres. Lo Surdo, Est. Laudato, P. M. Dettori (conci, conf.); Bigot (Aw. Porzio, Majo) c. Soc.
Lloyd Italico e L'Ancora. Conferma Trib. Gorizia 27 aprile 1981.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione — Rilascio — Indennità di avviamento — Im mobile utilizzato per attività assicurativa — Sussistenza (Cod. civ., art. 2195; 1. 27 luglio 1978 n. 392 disciplina delle loca zioni di immobili urbani, art. 27, 34, 35).
Alla società di assicurazione che nell'immobile condotto in loca zione svolge la propria attività a contatto diretto con il
pubblico degli utenti, spetta l'indennità per la perdita dell'av viamento commerciale prevista dall'art. 34 l. n. 392/78. (1)
[I
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 15 maggio 1986; Pres.
■Nitti, Est. Raineri; Betti (Avv. E. Colombo) c. Soc. Commu nication Service (Avv. Biglia).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione — Rilascio — Indennità di avviamento — Li miti — Attività non comportante contatti diretti con il pub blico degli utenti e dei consumatori — Fattispecie (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 34, 35, 69).
Al conduttore di immobile adibito all'esercizio di attività com merciale non spetta l'indennità per la perdita dell'avviamento
qualora per le modalità di svolgimento dell'attività stessa, la
peculiarità dei destinatari del servizio e la quasi totale assenza di pubblicizzazione dei locali, non può ritenersi sussistente un avviamento commerciale connesso all'ubicazione dell'immobile e di cui il locatore possa in concreto avvantaggiarsi (nella specie, si trattava di immobile adibito ad agenzia pubblicitaria la cui clientela era costituita in massima parte da operatori economi ci). (2)
(1-4, 7) Le sentenze qui riprodotte costituiscono indiscutibilmente un prezioso contributo al dibattito sulla interpretazione dell'art. 35 1. n. 392/78, di sicuro tra i più « scivolosi » dell'intera normativa delle locazioni urbane, che indica i limiti di applicazione dell'istituto dell'indennità di avviamento previsto dall'art. 34 (e, in regime transitorio, dall'art. 69, 7° comma) della stessa legge in favore del conduttore di immobile adibito ad attività latamente imprenditoriale. Tali limiti sono stati ritenuti conformi ai principi fondamentali del nostro ordinamento, in particolare per quanto concerne l'esclusione del diritto all'indennità per il conduttore esercente attività professionale, da Corte cost. 25 marzo 1980, n. 36, Foro it., 1980, I, 1830, con osservazioni di A. Jannarelli (e analogamente, a proposito degli identici limiti di operatività della prelazione prevista dall'art. 38 1. n. 392 nel caso di trasferimento oneroso dell'immobile locato, v. Corte cost. 5 maggio 1983, n. 128, id., 1983, I, 1498, con nota di richiami di D. Piombo).
Dalla -lettura delle decisioni in epigrafe, e soprattutto dal conseguen te confronto con i numerosissimi precedenti in materia, emerge in
Il Foro Italiano — 1986 — Parte 1-125.
Ill
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 15 aprile 1985; Pres. ed
est. Nitti; Soc. Caputo (Avv. Da Re) c. Soc. Molinata (Avv. M ANERA).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Rilascio — Indennità di avviamento — Li
miti — Attività comportante contatti diretti con il pubblico
degli utenti e dei consumatori — Nozione — Fattispecie (L. 27
luglio 1978 n. 392, art. 34, 35, 69).
Il « pubblico degli utenti e dei consumatori » cui fa riferimento l'art. 35 l. n. 392/78 è costituito dai « consumatori minuti », intesi come categoria indifferenziata residuale rispetto a quella « qualificata » dei rivenditori o utilizzatori professionali o in
grande, che acquistano la merce o il servizio non già nell'ambi to di un proprio progetto o di una organizzazione economica di produzione o di scambio di beni o servizi, ma per soddisfa re un bisogno personale e comunque quantitativamente limita
to, e per i quali l'ubicazione dell'immobile costituisce di norma un fattore di scelta di grande importanza, siccome legato al
contesto urbano nel quale gravitano (nella specie, si è escluso il diritto all'indennità di avviamento del conduttore esercente
commercio prevalentemente all'ingrosso di materiali elettrici). (3)
IV
TRIBUNALE DI TRANI; sentenza 13 febbraio 1985; Pres. Modesti, Est. Belsito; Gadaleta e altra (Avv. Gadaleta) c. Gadaleta (Avv. De Lillo).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione — Rilascio — Indennità di avviamento — Li miti — Attività non comportante contatti diretti con il pub blico degli utenti e dei consumatori — Fattispecie (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 34, 35, 69).
Non può ritenersi sussistente il « contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori », e non è quindi dovuta l'in dennità per la perdita dell'avviamento commerciale, nel caso di immobile utilizzato per esposizione di merce senza accesso del pubblico. (4)
modo netto la non omogeneità (ed in taluni casi la profonda difformità) dei vari criteri adoperati dalla giurisprudenza nel valutare, all'atto pratico, i requisiti alla cui sussistenza la legge subordina il diritto all'indennità in parola, e in particolare quello del contatto diretto con il pubblico degli utenti e di consumatori che deve caratterizzare l'attività esercitata nell'immobile locato.
Esempio paradigmatico di tale situazione di incertezza è offerto dalla sentenza del Tribunale di Trani. I giudici pugliesi, nel ritenere non dovuta indennità alcuna per la perdita dell'avviamento nel caso di immobile destinato a mera esposizione di merce senza accesso del pubblico, hanno fatto leva sulla differenza tra il verbo adibire adoperato nell'art. 27 1. n. 392/78 ed il verbo utilizzare (termine di più ristretta accezione) cui ha fatto ricorso il legislatore nel formulare l'art. 35: si legge in motivazione che «...appare conforme a logica ritenere che il legislatore del 1978, se non avesse inteso eslcudere il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento nel caso in cui il conduttore non avesse esercitato la sua attività nel locale oggetto della cessata locazione, non solo avrebbe riprodotto la formulazione prece dente di cui al menzionato art. 27 .... ma non avrebbe neppure avvertito l'esigenza di porre l'accento sulla presenza del requisito di un rapporto ' diretto '
con il destinatario dell'attività dell'imprenditore e, soprattutto, non sarebbe stato costretto, per escludere dalla tutela dell'avviamento anche le attività professionali, a modificare i termini nel corpo della stessa norma... ».
A questo punto, però, saranno repentinamente disillusi coloro i quali dovessero ritenere questo pregevole sforzo interpretativo in linea, ad esempio, con l'orientamento del Supremo collegio. Va infatti dovero samente segnalalo che Cass. 25 febbraio 1983, n. 1457, id., 'Rep. 1983, voce Locazione, n. 981, ha risolto l'identico problema in modo diametralmente opposto alla pronunzia qui riportata, stabilendo che l'indennità di avviamento compete anche al conduttore di locali che, sebbene non consentano l'accesso da parte del pubblico, comportano tuttavia una possibilità di contatto col medesimo e risultano in tal modo funzionali alla produttività aziendale e suscettibili di influire sul volume degli affari. Nello stesso senso della Cassazione, anche se nella specie trattavasi di esposizione di merce con accesso del pubblico, v. Pret. Bari 15 febbraio 1982, id., 1983, I, 253, con nota di richiami (riformata però da Trib. Bari 23 luglio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 987, annotata da Terzago, in Foro padano 1982, I, 182), sulla base dell'argomentazione che nel locale considerato iniziava la trattativa con il cliente, anche se il perfezionamento della vendita avveniva altrove. Non va sottaciuto, peraltro, che lo stesso giudice (Pret. Bari 29 giugno
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1919 PARTE PRIMA 1920
V
PRETURA DI MILANO; sentenza 28 giugno 1985; Giud. Piom
bo; Soc. Communication Service (Avv. Biglia) c. Betti (Avv.
Calini).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Finita locazione — Rilascio dell'immobile —
Indennità di avviamento — Diritto del conduttore — Sussi
stenza — Mancanza di provvedimento di condanna al rilascio —
Irrilevanza (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 34, 69). Locazione — Legge 392/78 — 'Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Disciplina transitoria — Rilascio dell'immobi
le — Indennità di avviamento — Compenso per il mancato
esercizio della prelazione — Identità ontologica — Limiti di
applicazione (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 69). Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Rilascio — Indennità di avviamento — Li
miti — Attività comportante contatti diretti con il pubblico
degli utenti e dei consumatori — Nozione — Fattispecie (L. 27
luglio 1978 n. 392, art. 34, 35, 69).
Ha diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commercia
le, in presenza degli altri requisiti richiesti dalla legge, il
conduttore che, convenuto in giudizio per il rilascio dell'im
mobile alla scadenza contrattuale, lo abbia restituito al loca tore senza attendere l'emissione nei suoi confronti di un
provvedimento di rilascio. (5) Con la locuzione « compenso » e « indennità per avviamento
commerciale » di cui rispettivamente ai commi 6" e T dell'art. 69 l. n. 392/78 (testo originario), il legislatore non ha inteso
riferirsi a due istituti diversi, ma ha previsto due diversi criteri di determinazione dell'indennità di avviamento, secondo che il conduttore sia stato posto o meno nella condizione di esercitare la prelazione alla scadenza del contratto; sicché anche nell'ipo tesi prevista dal 6° comma del predetto articolo operano i limiti stabiliti dall'art. 35 l. n. 392/78. (6)
Spetta l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale al conduttore di immobile adibito ad attività di agenzia pubblici taria, giacché si tratta non di attività professionale, ma di attività commerciale, diretta non ad una ristretta categoria di
utenti, ma a soggetti indeterminati, essendo irrilevante la circo stanza che la maggioranza degli effettivi clienti sia in concreto costituita da imprenditori. (7)
1984, Guerra c. Stancarone, inedita) ha successivamente accolto in loto la surriferita tesi della Cassazione.
La descritta situazione emerge in tutta la sua portata ponendo a confronto le sentenze dei giudici meneghini. Infatti le opposte conclu sioni cui sono giunti in ordine alla stessa fattispecie il pretore e la sentenza più recente del Tribunale di Milano, pur partite sostanzial mente da un eguale presupposto argomentativo (e cioè la previa esatta individuazione del concetto di pubblico degli utenti e dei consumatori) discendono essenzialmente dalla diversa interpretazione del termine « pubblico » adoperato dal legislatore; onde il legittimo quesito su quale dei due giudici abbia correttamente definito tale concetto (su cui v., in senso sostanzialmente conforme alle successive pronunzie qui riprodotte, anche Trib. Milano 6 dicembre 1984, Arch, locazioni, 1985, 526, e 25 marzo 1985, ibid., 512).
Si badi, peraltro, che causa prima dei dubbi e dei contrasti giurisprudenziali è la eccessiva labilità e genericità delle disposizioni contenute nella 1. n. 392/78, le quali troppo spesso obbligano l'inter prete, nel tentativo di meglio farle aderire ai casi di specie, a veri contorcimenti logici.
Val comunque la pena di notare che la giurisprudenza più recente sembra propendere, a differenza che per il passato, per un'interpreta zione sostanzialmente restrittiva degli art. 34 e 35 1. n. 392, pur nel perdurare di molteplici soluzioni contrapposte in ordine a fattispecie analoghe. V., ad es., Trib. Piacenza 23 maggio 1983, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 985, che ha escluso (tanto per ritornare al caso della sentenza del Pretore di Milano, riformata dal tribunale), il diritto all'indennità per il conduttore-agente pubblicitario, ancorché iscritto alla camera di commercio come ditta artigiana, sul presupposto che non sia qualificabile come imprenditore avente contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori; e App. Bologna 12 luglio 1985, Arch, locazioni, 1985, 707, che (confermando la decisione ora richiamata) ha ritenuto l'esercizio di agenzia pubblicitaria inquadrabile tra le attività professionali.
Analogo dissidio nel caso dell'autoscuola: v., in senso favorevole al conduttore, Pret. Foggia 15 gennaio 1985, Foro it., 19S5, I, 1224, con nota di richiami; contra, Pret. Cesena 21 maggio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 983 (che individua nelle capacità professionali dell'esercen te il principale elemento attraente della clientela), e Trib. Forlì 4 novembre 1982, ibid., n. 220. Quest'ultima riporta, peraltro, l'attività in questione tra quelle contemplate dall'art. 42 1. n. 392/78, in relazione alle quali concordemente si esclude il diritto del conduttore all'indenni
II Foro Italiano — 1986.
I
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di annullamento, il ricorrente, denunciata violazione degli art. 34, 35, 27 e 69 1. n.
392 del 1978, nonché dell'art. 2195 c.c. assume che, in base al
disposto dei denunziati articoli della citata 1. 392 del 1978, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale spetta a
chi svolge nell'immobile locato un'attività industriale, commercia
le, artigianale o di interesse turistico, che comporti diretti contatti
tà di avviamento, anche nel regime transitorio della legge citata; v. Pret. Monza 19 dicembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 168; Pret. Milano 18 febbraio 1982, id., 1982, 1, 1758; e Pret. Genova 2
maggio 1985, Giur. merito, 1986, 8, con nota di Sarchi.
Ampia convergenza, invece, in ordine al diritto all'indennità (rico nosciuto anche da Cass. 6339/85, ma con riferimento ad immobile direttamente utilizzato dalla società di assicurazioni) del conduttore-a gente assicurativo: v. Trib. Milano 19 aprile 1984, Arch, locazioni, 1985, 100; Pret. Jesi 23 ottobre 1984, id., 1984, 648; Pret. Milano 15
luglio 1983, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 825; Pret. Piacenza 20
agosto 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 991 (annotata da Coppolino, in Arch, locazioni, 1983, 163); Pret. Valenza 31 luglio 1981, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 1036; e, da ultimo, Trib. Ancona 18 dicembre
1985, Arch, locazioni, 1986, 94. In senso contrario v. Pret. Penne 7
giugno 1984, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 823; e, con riguardo (però) ad un locale adibito ad ufficio « ispettorato sinistri » di una società assicuratrice, Pret. Bari 30 aprile 1983, ibid., n. 826.
In linea con l'orientamento ormai costante di Trib. Milano, Pret. Parma 25 novembre 1981, id., 1982, I, 2086, con nota di richiami, ritiene che l'indennità ex art. 34 non spetti quando gli utenti o consumatori (che in tal caso non possono definirsi « pubblico ») sono determinati a rivolgersi all'impresa non a motivo della sua sede, ma o perché essa sola è in grado di fornire il bene o il servizio in condizioni di monopolio, o per le particolari qualità organizzative dell'imprenditore a prescindere dalla sede, o perché il contatto che precede la conclusione del rapporto commerciale avviene in misura preponderante fuori della sede. Il rilievo della funzione assolta dall'ubi cazione dell'impresa nell'attrazione della clientela è assunto come criterio di discriminazione anche da Pret. Taranto 20 dicembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 824, che ha escluso il diritto all'indennità di avviamento in relazione ad un immobile condotto dall'istituto vendite giudiziarie per lo svolgimento della sua attività.
Il problema, come si vede, è sempre quello della individua zione dell'oggetto della tutela dell'istituto dell'indennità, che vie ne puntualizzato anche da IPret. Milano 26 gennaio 1985, Arch, locazioni, 1985, 343, come «... quel particolare aspetto dell'avvia mento commerciale tecnicamente inteso che è rappresentato dalla clientela strettamente inerente alla ubicazione dell'immobile loca to e determinante uno specifico interesse del conduttore-imprenditore alla continuazione della propria attività nell'immobile medesimo...». Tale argomentazione era già individuabile in Corte cost. 6 ottobre 1983, n. 300, Foro it., 1983, I, 2933, con nota di richiami di D. Piombo (annotata da Buoncristiano-Clarizia, in Nuove leggi civ.. 1984, 862, da Lezza Affatati, in Rass. dir. civ., 1984, 528, e da De Paola, in Locazioni urbane, 1984, 113), la quale peraltro attribuisce all'indennità in argomento natura risarcitoria, anziché inquadrarla nello schema dell'arricchimento senza causa, come avveniva per il « compen so » previsto dal previgente art. 4 1. n. 19/63.
Proprio alla stregua dell'esposto criterio sono stati esclusi dalla tutela dell'avviamento: il deposito commerciale pur strumentalmente connesso ad un'attività commerciale (v. Pret. Milano 26 gennaio 1985, cit.), anche se in esso acceda saltuariamente la clientela dirottatavi dai locali di vendita (v. Pret. Bari 23 ottobre 1981, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 1035, annotata da Paparella, in Rass. equo canone, 1982, 80); la cooperativa di consumo, che, per quanto svolga attività commerciale, può avere rapporti soltanto con i propri soci (v. Pret. Civitavecchia 26 ottobre 1984, Arch, locazioni, 1985, 791, con nota di A.T.); l'esercizio di vendita all'ingrosso (Pret. Treviso 25 luglio 1984, id., 1984, 663), laddove il « pubblico » accede all'immobile locato non per acquistare per sé, ma per rivendere (v. Pret. Roma 20 luglio 1982, Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 1031), ovvero gli esercizi commerciali per i quali non sia provato lo svolgimento di attività di vendita al minuto (v. Cass. 23 febbraio 1983, n. 1408, id., Rep. 1983, voce cit., n. 975). Pret. Milano 9 luglio 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n. 829, osserva tuttavia, nella motivazione, che non v'è necessaria coincidenza tra le attività di commercio qualificate « all'ingrosso » ai sensi della 1. 11 giugno 1971 n. 426, sulla disciplina del commercio, e la nozione di attività commerciale che non comporta contatti diretti con il pubblico dei consumatori, di cui all'art. 35 1. n. 392/78.
Trib. Napoli 31 marzo 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 988, e Pret. Roma 23 gennaio 1982, ibid., n. 991, hanno altresì escluso l'applicabilità dell'art. 34 1. n. 392 nel caso di immobili condotti dall'E.n.el.
L'istituto dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale è stato invece ritenuto applicabile nel caso di immobile adibito all'attivi tà del mediatore professionale, attesa la sua qualità di imprenditore commerciale (v. Cass. 9 marzo 1984, n. 1637, id., Rep. 1984, voce cit., n. 822, riportata per esteso in Giur. it., 1985, I, 1, 1131, con nota di Camerieri), ovvero a studio fotografico, non rientrando tale attività
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
con il pubblico. L'attività assicuratrice, ora, non rientra nelle
predette attività, come risulta dal testo dell'art. 2185 c.c., « che
distingue appunto tali differenti ipotesi, e sancisce, all'ultimo
comma, che solo allorché la legge faccia generico riferimento al termine
' impresa commerciale ', il riferimento stesso deve inten
dersi fatto a tutte le attività elencate nella norma stessa ». Se, dunque, una disposizione di legge non fa generico riferimento
all'impresa commerciale, ma soltanto ad alcune tra le attività
comprese in tale ampia e generica dizione, la norma va riferita
tra le professioni intellettuali in senso stretto, come disciplinate dagli art. 2229 ss. c.c. (v. Trib. Milano 5 luglio 1984, Arch. Locazioni, 1985, 91, richiamata in motivazione da Pret. Milano 28 giugno 1985).
Qualora oggetto del rapporto locatizio sia un immobile adibito solo in parte ad un'attività che dà luogo al diritto all'indennità di avviamento, Pret. Pietrasanta 10 novembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 990, e Pret. Parma 7 aprile 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 596, ritengono che per stabilire se tale diritto sussista o meno si debba fare ricorso al criterio dell'uso prevalente (a proposito del quale v. Cass. 22 dicembre 1983, n. 7554, id., 1984, I, 2547, con nota di richiami, nel senso che si tratta di criterio di generale applicazione; ma difformemen te v., da ultimo, Pret. Bari 24 gennaio 1985, id., 1986, I, 843); e cosi pu re Pret. Ariano Irpino 7 febbraio 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 335, secondo la quale peraltro, ove non si riesca a stabilire quale uso sia prevalente, il computo dell'indennità va effettuato tenendo conto soltanto della parte di immobile che presenta i requisiti di cui all'art. 35 1. n. 392/78. In caso di locazione ad uso promiscuo (negozio + ma gazzino, nella specie), per Pret. Bergamo 25 marzo 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1012, l'indennità di avviamento va invece in ogni caso calcolata con riferimento esclusivo ai locali destinati alla vendita al dettaglio. Dello stesso avviso è Trib. Milano 24 gennaio 1985, Arch, locazioni, 1985, 523, a meno che i locali cui non accede il pubblico risultino indivisibili da quello in cui avviene la vendita della merce.
In merito ai rapporti tra accertamento e corresponsione dell'indenni tà di avviamento dovuta al conduttore, da un lato, e l'esecuzione forzata del provvedimento di rilascio dell'immobile locato, v. Corte cost. 30 dicembre 1985, n. 377, Corte cost. 8 novembre 1985, n. 275 e Cass. 10 maggio 1985, n. 2917, Foro it., 1986, I, 616, con ampia nota di osservazioni e richiami di D. Piombo, ed ivi riferimenti anche sui criteri per la determinazione del canone corrente di mercato cui fa riferimento l'art. 69, 7° comma, 1. n. 392/78 per il calcolo dell'inden nità nel caso di locazioni soggette al regime transitorio della legge. Adde, a quest'ultimo proposito: Cass. 5 dicembre 1985, n. 6100, Arch, locazioni, 1986, 51; e Trib. Napoli 3 novembre 1984, id., 1985, 87. Sulle varie questioni connesse all'applicazione degli art. 34 e 35 (e 69, 7° comma) 1. n. 392/78, in dottrina, v. F. Trifone, Aspetti sostanziali e processuali della disciplina dell'indennità per l'avviamento commer ciale nella legge dell'equo canone, in Rass. equo canone, 1980, 3; Id., Fondamento e funzione dell'indennità per l'avviamento e criteri per la determinazione del canone corrente di mercato (nota a Pret. Castel lammare di Stabia 22 agosto 1980), ibid., 281; G. Furgiuele, Note critiche sulla tutela rinnovata dell'avviamento commerciale, in Giur. comm., 1982, I, 426; M. Cerchiara, L'avviamento commerciale e la materia locativa, in Giust. civ., 1983, I, 3018; F. Lazzaro-R. Preden, Le locazioni per uso non abitativo, Milano, 1985, 427 ss.; P. Giuggioli, Il diritto all'indennità per avviamento commerciale: aspetti pratici e problemi interpretativi in sede di applicazione ai contratti in regime transitorio (art. 69 l. 592/78), in Locazioni urbane, 1984, 156; nonché le rassegne di M. Buoncristiano, in Nuova giur. civ., 1985, II, 309, e di A. V. Poso, in Foro padano, 1985, II, 231.
(5) Il giudice milanese ha inteso ribadire (e l'opinione è condivisa da Trib. Milano 15 maggio 1986), in un panorama giurisprudenziale piuttosto scarso, la sussistenza del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento allorché il conduttore, in pendenza di un giudizio per finita locazione, abbia riconsegnato l'immobile al locatore prima della pronunzia giudiziale di rilascio, e ciò in base alla considerazione che il provvedimento di sfratto, pur costituendo presupposto tipico per l'insorgere del diritto in questione, non ne costituisce tuttavia presup posto necessario. In argomento, v. Corte cost. 8 novembre 1985, n. 275 e Cass. 10 maggio 1985, n. 2917, cit., e relativa nota di richiami. Adde Trib. Piacenza 21 giugno 1985, Arch, locazioni, 1985, 507 (che ha escluso il diritto all'indennità del conduttore che aveva riconsegnato l'immobile dopo aver ricevuto dal locatore un preavviso di recesso per necessità, cui però non aveva fatto seguito alcuna altra iniziativa per il rilascio); e Pret. Napoli 25 novembre 1985, id., 1986, 136.
(6) In senso conforme la giurisprudenza richiamata nella motivazio ne, tra cui Corte cost. n. 300/83, cit., e l'inedita sentenza 28 dicembre 1983 del Pretore di Verona, che risulta confermata nel merito da Trib. Verona 6 aprile 1985, Arch, locazioni, 1985, 734 (ove si osserva che il diritto al compenso di cui al 6° comma dell'art. 69 1. n. 392/78 nasce dal verificarsi di uno svantaggio economico del conduttore conseguente al rilascio dell'immobile, e non già di per sé dal rifiuto da parte del medesimo delle nuove condizioni contrattuali offertegli dal locatore).
Contra, oltre a Pret. Firenze 22 gennaio 1982, Foro it., 1982, I, 1763 (la cui interpretazione complessiva dell'art. 69 cit. contrasta però, come rileva in motivazione la sentenza che si riporta, con quella prevalente che ha trovato conferma in Cass., sez. un., 23 gennaio 1985, nn. 265, 266, 267 e 268, tre delle quali sono riportate id., 1985, I, 403, con nota di richiami), v. Pret. Sestri Ponente 6 maggio 1985,
Il Foro Italiano — 1986.
esclusivamente a quelle tra le imprese o attività espressamente menzionate.
La censura è infondata e va, pertanto, rigettata. È certo che l'art. 34 1. n. 392 del 1978, dispone che la
indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, spetta ai
condutori, i quali esercitano nell'immobile locato un'attività in
dustriale, commerciale, artigianale o di interesse turistico (art. 27
legge stessa). Non è dubbio, ora, cosi come correttamente ritenuto dai giudici
di secondo grado, che l'attività svolta dalla società assicuratrice sia tra quelle aventi carattere commerciale. Il 2° comma dell'art. 2195 c.c., infatti, stabilisce che «le disposizioni di legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si
applicano, se non risulta diversamente, a tutte le altre attività indicate nel medesimo articolo (industrie, trasporti, credito, assi
curazioni). È a dire, cioè, che la indicata norma trova applicazio ne nella ipotesi in cui le predette altre attività non siano
specificamente disciplinate da disposizioni ad hoc e rappresentino estrinsecazione tipica e non similare della attività industriale di
trasporto, bancaria o assicurativa. E sotto tale profilo non è dubbio che l'attività svolta dalla società assicuratrice trova piena rispondenza in quelle attività di cui al n. 4 del citato art. 2195 c.c., e che tale attività, per non essere espressamente citata nella 1. n. 392 del 1978, rinviene nel predetto art. 2195, 2° com ma, c.c. il riferimento normativo che le assicura la natura di attività commerciale.
Il fatto, poi, che la 1. n. 392 del 1978 indica per i fini della predetta indennità solamente le attività industriali, commerciali, artigianali e di interesse turistico, e non anche tutte le altre attività indicate nel citato art. 2195 c.c., non sta a significare la esclusione di queste ultime dalla previsione della predetta legge operando in proposito il richiamo normativo del citato art. 2195 c.c. il cui ambito di applicazione è di ordine generale, sicché a nulla vale il richiamo fatto dal ricorrente alla collocazione sistematica di essa norma nel capo III del libro V intitolato: « Delle imprese commerciali e delle altre imprese soggette a registrazione ».
È, infine, appena il caso di accennare che l'attività svolta dalla società assicuratrice comporta un contatto diretto con il pubblico degli utenti, dovendosi, nei locali adibiti ad uffici, stipulare contratti, effettuare riscossioni dei premi, ecc. E non è dubbio che l'ubicazione degli uffici in un posto piuttosto che in un altro è elemento concorrente dell'avviamento, potendo il cambiamento dei locali provocare lo sviamento della clientela.
Il ricorso va, pertanto, respinto. (Omissis)
li
Motivi della decisione. — Va preliminarmente disatteso l'assun to della ricorrente allorché sostiene che il rilascio dell'immobile di cui è causa sia avvenuto « spontaneamente », con conseguente esclusione del diritto dell'indennità di cui all'art. 34 1. 392/78.
La circostanza secondo la quale la riconsegna dei locali non è avvenuta in esecuzione di un provvedimento giudiziale di rilascio, non esclude invero il diritto al compenso essendo la restituzione del bene avvenuto successivamente all'introduzione, ad iniziativa della locatrice, del procedimento di convalida per finita locazione alla scadenza del 29 marzo 1983 (dunque da esso occasionata), nonché precedentemente all'entrata in vigore della 1. 118/85.
Ciò premesso ritiene il collegio che l'appello proposto sia fondato.
L'art. 34 1. 392/78 introduce una particolare forma di tutela in caso di cessazione del rapporto di locazione relativo ad immobili
Arch, locazioni, 1985, 548; e, in dottrina, G. Salvati, I contratti ad uso diverso da abitazione: il problema delle scadenze nel regime transitorio, in Locazioni urbane, 1984, 305.
Mette conto osservare che Pret. Milano ha fatto applicazione dell'art. 69 1. n. 392/78 nel testo originario, nonostante al momento della decisione esso fosse stato sostituito dall'art. 1, comma 9 bis, d.l. n. 12/85 (convertito nella 1. n. 118/85), sul presupposto che all'atto dell'entrata in vigore della norma novellatrice la fattispecie locatizia si era già del tutto esaurita. Per riferimenti su tale problematica, v. G. Costantino, La riforma delle locazioni commerciali. Profili processuali, in Foro it., 1986, V, 105. D'altra parte, va segnalato che la normativa dettata dall'art. 69 è stata ripristinata per effetto della dichiarazione di incostituzionalità del citato art. 1, comma 9 bis, ad opera di Corte cost. 23 aprile 1986, n. 108, ibid., I, 1145, con richiami ed osservazio ni di D. Piombo. Sui problemi suscitati in precedenza, a proposito del diritto all'indennità di avviamento, dalla novella dell'art. 69, cfr. tuttavia Trib. Torino 5 novembre 1985, ibid., 1074, con nota di richiami.
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1923 PARTE PRIMA 1924
adibiti ad uso diverso da quello abitativo riconoscendo al condut
tore un compenso che la rubrica stessa della norma in esame
definisce « indennità per la perdita di avviamento ».
Risulta di chiara evidenza — stante la natura e finalità della
normativa nel suo complesso volta a disciplinare le locazioni
degli immobili urbani — che la tutela apprestata dalla legge non
può certo ritenersi riferita all'avviamento aziendale tout court, ma a quella particolare forma di avviamento connessa ad un
immobile ed anzi presente solo in quanto allo stesso correlata. Ed invero in un immobile nel quale viene esercitata un'attività
commerciale accede sempre un avviamento: in taluni casi nascen te solo da una situazione di fatto peculiare quale l'ubicazione, non influenzata dall'identità dell'imprenditore; in altre ipotesi connesso alle doti e qualità personali dell'imprenditore che valo rizza l'immobile dotandolo di una « clientela » che ad esso resta
successivamente collegata per inerzia.
In ogni caso la clientela (quale saliente componente dell'avvia mento e come unico aspetto di rilievo dell'avviamento commercia le aderente all'immobile) stabilmente collegata ad un determinato locale costituisce senza dubbio un bene economicamente apprez zabile di cui si spoglia il conduttore-imprenditore che ha concorso a crearla e di cui si avvantaggia il locatore una volta riottenuta la disponibilità dell'immobile.
La ratio della norma risiede proprio in questo: nel riequilibrio della situazione economica successiva all'evento del rilascio del
bene; nel correttivo all'ingiustificato arricchimento del locatore che si appropria di un valore aggiuntivo (cfr. in tal senso Corte
cost. 25 marzo 1980, n. 36, Foro it., 1980, I, 1830) e ciò indipen dentemente dal pregiudizio sofferto dal conduttore, costretto alla ricerca di una nuova sede. Non potrebbe infatti restare esen
te da seri dubbi di legittimità costituzionale la diversa ipotesi che vede posto a carico di una parte un sacrificio economico al quale non corrisponda alcun beneficio o utilità.
Ed in questa prospettiva con una presunzione iuris et de iure il legislatore ha ritenuto di individuare l'esistenza di un avvia mento tutelabile in tutti i casi in cui nell'immobile sia svolta un'attività commerciale che comporti contatti diretti con un
pubblico di consumatori ed utenti.
Sui limti di cui all'art. 35 1. 392/78 concernenti la natura dell'attività svolta e sulla nozione di « diretto contatto » quale modalità pratica dell'esercizio dell'attività protetta non appare opportuno soffermarsi in questa sede.
Occorre per converso approfondire i successivi criteri di delimitazione previsti dalla norma in esame. Ritiene questo tribu nale — analogamente a quanto già affermato in una recente
pronuncia (Trib. Milano n. 3827 del 1985, pres. ed est. Nitti) — che il termine « pubblico di consumatori ed utenti » valga ad iden tificare non solo la massa degli utenti e consumatori finali del
prodotto o del servizio offerto dall'impresa (se il legislatore non avesse inteso distinguere fra l'utente o consumatore mediato e
quello finale avrebbe omesso del tutto l'espressione « pubblico »
perché superflua: espressione che è stato invero frutto di medita ta scelta giacché inserita nella successiva stesura approvata alla camera e non contenuta nell'originario testo governativo), ma debba essere altresì intesa come categoria indifferenziata di frui tori minuti del bene, come « clientela che normalmente acquista la merce o il servizio non già nell'ambito di un proprio progetto o di un'organizzazione di produzione e di scambio, bensì per soddisfare un bisogno personale e comunque quantitativamente limitato.
Per tale clientela l'ubicazione dell'immobile costituisce di nor ma un fattore di scelta di grande rilevanza siccome sganciato da particolari calcoli economici e legato invece al contesto urbano nel quale tale tipo di cliente gravita per esservi inserito ».
D'altra parte è solo nell'ambito di questi potenziali, parcellari, fruitori del bene o servizio che l'offerta, qualunque ne sia il contenuto, localizzata in un preciso contesto geografico-economico può indurre una aspettativa che sopravvive al tempo e ai mutamenti e che rimane legata all'immobile costituendo un valore individuale.
Ciò premesso si osserva in fatto che le attività della Communica tion Service s.r.l. — pur nella eterogeneità delle prestazioni offerte — si sostanzia in definitiva in una funzione di collega mento fra la clientela interessata alle operazioni di reclamizzazio ne di prodotti o messaggi ed i veicoli di informazione pubblicita ria (organi di stampa, radio, televisione ecc.).
Cosi descritta dalle testimonianze rese nel giudizio pretorile e cosi accertata mediante il raffronto con la documentazione offerta dalla stessa appellata, una siffatta attività può certamente definirsi
Il Foro Italiano — 1986.
commerciale in senso Iato e non già professionale ex art. 27, 2°
comma, 1. 392/78. Né il servizio di consulenza talvolta offerto al cliente mediante
la formulazione del messaggio o la predisposizione e realizzazione
del testo pubblicitario può inficiare tale natura posto che si tratta
comunque — come già evidenziato nella sentenza impugnata —
di un aspetto secondario e strumentale rispetto al contesto
operativo della società.
Non appare per converso condivisibile il convincimento del
pretore allorché ritiene sussistere nella specie il diretto contatto
con il pubblico di consumatori ed utenti richiesto dalla norma
per il riconoscimento del beneficio ed inteso da questo collegio nel senso sopra precisato.
Emerge in fatto che la clientela della Communication Service
s.r.l. è costituita quasi esclusivamente da agenti pubblicitari,
rappresentanti, ovvero imprenditori interessati a rivendere il ser
vizio acquistato presso la società o comunque ad usufruirne
nell'ambito di un più vasto progetto imprenditoriale. Si confrontino a questo riguardo le quietanze prodotte dall'ap
pellata nonché le testimonianze del precedente grado: il teste
Marelli/Coppola, rappresentante della editoriale Corriere della
Sera, ha affermato di recarsi presso la sede della Communication
Service per « reperire clienti » interessati agli spazi pubblicitari dei periodici Rizzoli precisando che il tipo di clientela della
società appellata è costituito da grosse imprese e piccoli impren ditori. La teste riferisce di essersi rivolta alla Communication
Service nella qualità di socia accomandataria della LIO 7 S.a.s.
per reclamizzare l'attività di detta società e per effettuare ricerche di personale; precisa inoltre di aver avuto il nominativo della
Communication Service da un cliente della società.
Parimenti il teste Strommer dichiarava di aver avuto frequenti rapporti con l'appellata in ragione della sua qualità di capo ufficio vendite per Milano della SPI, nota società concessionaria della vendita di spazi pubblicitari su quotidiani e periodici.
Orbene non sembra che la clientela della Communication Service
possa individuarsi nel consumatore occasionale e minuto del
servizio offerto e la circostanza secondo cui taluno è stato indotto a richiedere il servizio occasionalmente transitando avanti agli uffici (peraltro pressoché sforniti di qualsivoglia richiamo, come è dato riscontrare dalla produzione fotografica in atti) riveste senza dubbio carattere marginale nel contesto e questione risolvibile secondo un criterio di prevalenza a favore della diversa utenza
sopra descritta.
Detta clientela appare per converso costituita in massima parte da soggetti economici i quali, ancorché destinatari finali del
servizio, scelgono il fornitore sulla base di criteri diversi e affatto connessi all'ubicazione dell'immobile che resta in tale contesto assolutamente indifferente allo scambio economico e dunque in
capace di creare e attrarre una domanda di mercato, qualunque essa sia, di costituire cioè quell'avviamento di impresa che resta, ad esso immobile, inerente.
E nell'ambito della normativa in esame non può prescindersi dal ruolo di centralità dell'immobile poiché l'avviamento può considerarsi qualità dell'azienda (e dunque bene tutelabile) solo ed in quanto riferito all'immobile locato.
A non diverse conclusioni si perviene se si tiene presente la ratio della normativa poiché laddove si aderisca alla tesi secondo cui il compenso ha funzione indennitaria e non risarcitoria (del pregiudizio sofferto dal conduttore) occorre in primo luogo ve rificare l'effettiva esistenza di un avviamento commerciale connes so all'immobile di cui il locatore possa in concreto avvantaggiarsi, in quanto indissolubilmente legato al bene locato.
E nella specie, per le modalità di svolgimento dell'attività, per la peculiarità dei destinatari del servizio e per la quasi totale assenza di pubblicizzazione dei locali, non può ritenersi che l'immobile abbia costituito elemento di formazione o concentra zione della domanda né può ravvisarsi la presenza di un avvia mento commerciale costituito anche solo dalla « attesa » generata dall'attività ivi svolta, quale che ne sia il contenuto.
Alle considerazioni espresse consegue pertanto la condanna della società appellata alla restituzione della somma di lire 19.205.240, oltre interessi legali dalla data della corresponsione al saldo. (Omissis)
III
Motivi della decisione. — L'appello è infondato.
A) Sulla nozione di « attività » che comporti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori. - È pur vero che il pretore non ha fornito una nozione chiara e precisa di tale
tipo d'attività.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Osserva al riguardo il collegio che per l'individuazione di tale
nozione, in considerazione della formulazione letterale generica e
polivalente, può essere operata solo con l'ausilio degli altri criteri ermeneutici di cui l'interprete dispone (criterio logico, teleologico, ecc.).
Il limite previsto dall'art. 35 alla tutela di cui all'art. 34, con riferimento alle attività diverse da quelle che comportino contatti
diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, non può che esprimere, come è stato osservato in dottrina, che una modalità pratica dell'esercizio delle attività protette, posto che
qualsiasi attività economica o d'impresa postula dei rapporti con
il pubblico (clientela) cui sono destinati le merci (consumatori) od i servizi (utenti). Sì che il senso del limite in oggetto può ricercarsi soltanto nel significato dell'aggettivazione « diretti » e
del termine « pubblico », che conseguentemente varrà a connotare il tipo di attività economica che la normativa in oggetto ha inteso tutelare.
L'espressione « contatti diretti », rinvia, in prima approssima zione, al nesso esistente fra l'attività e l'immobile, poiché, in relazione alla materia contrattuale disciplinata dalla 1. n. 392/78 (locazione di immobile) e nella quale la tutela è inserita, la modalià dello svolgimento dell'attività tutelata può solo essere considerata ed apprezzata con riguardo all'immobile locato. Ché altrimenti tale modalità non costituirebbe un limite, dal momento
che, come si è detto, deve ritenersi propria di ogni attività
d'impresa, che, in quanto tale, presuppone rapporti diretti con i terzi ai quali sono offerti i prodotti od i servizi.
Può affermarsi che l'espressione « contatti diretti » vale ad evidenziare il requisito che i destinatari dei beni e dei servizi offerti devono in via normale frequentare l'immobile.
Essa esprime, in altri termini, il collegamento oggettivo fra attività esercitata, il luogo (immobile locato) nel quale viene esercitata e la clientela. E tale particolare collegamento costituisce il « valore », oggetto specifico della tutela di cui all'art. 34, e cioè quello che la norma chiama avviamento (commer ciale). Al di là delle controverse nozioni che, sul piano e conomico e giuridico, vengono date all'« avviamento » dell'a
zienda, deve dunque affermarsi che nell'ambito della normativa in esame l'avviamento è qualità dell'azienda, in quanto riferito all'immobile (locato).
E del resto la Corte costituzionale, nella sentenza n. 300/83 (Fo ro it., 1983, I, 2933) ha ritenuto che alla base della scelta operata dal legislatore con le norme in esame vi è l'esigenza di tutelare, anche nel pubblico interesse, quelle imprese il cui avviamento sia strettamente collegato all'ubicazione dell'immobile.
Che l'indennità per la perdita di avviamento abbia funzione
propriamente indennitaria come ha ritenuto un'autorevole dottrina
(in relazione al « valore », che resterebbe acquisito all'immobile
ed in base ai principi « sull'arricchimento ») o che essa abbia funzione meramente riparatoria, come ha ritenuto la Corte costi tuzionale nella sentenza sopra citata, è questione la cui soluzione
non sposta i termini del problema concernente la definizione della nozione di attività comportante « contatti diretti », posto che, quale che sia la funzione che si voglia ad essa attribuire, resta fermo, anche per l'orientamento espresso dalla corte, che il « valore » oggetto della tutela è strettamente ed intrinsecamente connesso all'immobile locato ed alla ubicazione di questo.
Pertanto ed in ogni caso « i contatti diretti » esprimono le modalità concrete di esercizio dell'attività commerciale nell'immo bile locato, che si sostanziano nella frequentazione dell'immobile da parte della clientela che vi accede normalmente per ivi concludere i contratti aventi ad oggetto merci o servizi: modalità attraverso cui si produce il particolare tipo di avviamento consi derato e tutelato dagli art. 34 e 35 1. 392/78, siccome riferito e connesso all'immobile ed alla sua ubicazione.
Per l'individuazione del significato dell'espressione « pubblico dei consumatori e degli utenti, si osserva che si è affermato in dottrina che il termine pubblico vale ad identificare la massa
degli « utenti e consumatori finali ». Si è precisato che se il
legislatore non avesse inteso distinguere tra l'utente o consumatore mediato a quello finale avrebbe omesso del tutto l'espressione pubblico poiché superflua, mentre è chiaro che la stessa identifica la massa dei « fornitori minuti » del prodotto o del servizio.
Che il termine in oggetto sia stato adoperato dal legislatore in funzione limitativa per identificare cioè una determinata categoria di destinatari del prodotto o del servizio e per escluderne altre, risulta anche dai lavori parlamentari. Ed infatti il testo governa tivo dell'art. 35 non conteneva l'espressione in esame, che fu
aggiunta nel testo approvato alla camera.
Il Foro Italiano — 1986.
L'identificazione dei « fruitori minuti » (o consumatori finali)
costituente il « pubblico » può, in difetto di una più precisa
definizione normativa, discendere soltanto dalla ratio della tutela
di cui agli art. 34 e 35.
Quale che sia la funzione (indennitaria o riparatoria) dell'istitu
to in oggetto (profilo teleologico), è certo che l'art. 34 (o 69 nel
regime transitorio della 1. 392/78) fonda l'indennità su di una
presunzione legale di esistenza di arricchimento per il locatore e
di danno per il conduttore (funzione indennitaria) o soltanto di
danno per il conduttore (funzione risarcitoria).
In ogni caso la ratio della presunzione legale dell'esistenza di
un danno del conduttore, va ricercata con prudenza e ragionevo lezza nella realtà e concretezza del contesto socio-economico in
cui si colloca, al fine di non trasformare l'istituto in oggetto in
un sussidio assistenziale ingiustificato e gratuito posto a carico di
una parte, il cui sacrificio potrebbe perciò dar luogo a seri dubbi
di legittimità costituzionale. Si che l'identificazione dei « fornitori
minuti » o dei consumatori finali che, secondo la terminologia corrente (pur nella polivalenza del significato che viene attribuito
a tali termini) costituiscono il « pubblico » di cui all'art. 35, va
operata con stretto riferimento alla ratio di quella presunzione ed
in stretta aderenza alla realtà del contesto economico, nell'ambito
del quale pertanto va ricercata ed individuata l'ipotesi « norma
le » in cui il trasferimento dell'azienda commerciale del condutto
re dell'immobile produca allo stesso un pregiudizio. Ed in tale ricerca occorre prendere le mosse, ancora una volta,
dalla « centralità » che l'immobile locato assume nella ratio della
tutela normativa. Il danno che il conduttore subisce non può che
essere connesso, come sopra si è detto, all'immobile locato si' che
solo con riferimento a questo il pregiudizio può essere considera
to ed apprezzato. In secondo luogo si osserva che il pregiudizio considerato dal
legislatore è costituito, come si ricava dallo stesso limite previsto dall'art. 35, dalla perdita della clientela che frequentava l'immobi
le locato. E la perdita di tale clientela, poiché deve riferirsi
necessariamente all'immobile locato, è, perciò, legata all'ubicazio
ne dell'immobile. Orbene, secondo un giudizio di normalità l'ubica
zione dell'immobile costituisce fattore decisivo per l'acquisizione della clientela che nel linguaggio comune viene indicata come minuta. Trattasi di quella clientela, cioè, che normalmente acqui sta la merce od il servizio non già nell'ambito di un proprio
progetto o di una organizzazione economica di produzione o di
scambio di beni o servizi, bensì per soddisfare un bisogno personale e comunque quantitativamente limitato. Per tale cliente la l'ubicazione dell'immobile costituisce di norma un fattore di scelta di grande rilevanza, siccome sganciato da particolari calcoli
economici e legato invece al contesto urbano nel quale tale tipo di clienti gravita, per esservi inserito. La scelta del fornitore da
parte dei « soggetti economici » è invece normalmente legata ad altri fattori che assumono rilevanza maggiore di quello costituito
dall'ubicazione dell'immobile, soprattutto allorché le quantità dei
prodotti (o dei servizi) necessarie a soddisfare le esigenze di tali
clienti non siano di piccole ma di notevoli dimensioni.
Tale diversificazione di esigenze al « minuto » o «all'ingrosso »
non è un fatto irrilevante per il nostro ordinamento che della realtà del mercato, cosi come si è venuto strutturando su tali
diverse esigenze, ha preso atto, ad esempio, nella 1. 11 giugno 1971 n. 426 distinguendo il commercio all'ingrosso ed il commer cio al minuto (art. 1, 2° comma) sulla base delle esigenze che il mercato è destinato a soddisfare sia sotto l'aspetto quantitativo delle merci scambiate che sotto quello qualitativo e soggettivo della clientela. È commerciante « all'ingrosso » chiunque acquista e rivende le merci ad altri commercianti o ad « utilizzatori
professionali » o ad altri « utilizzatori in grande ». È commerciante al minuto chiunque le rivende direttamente al
consumatore finale.
Se dunque l'organizzazione commerciale nella realtà del mer
cato si struttura sulle esigenze della clientela; se tale diversifica
zione è recepita anche dall'ordinamento; se l'ubicazione dell'im
mobile locato per il conduttore acquista rilevanza determinante o
meno a seconda delle esigenze quantitative o della qualità del
cliente nell'ambito della tipologia sopra indicata, ritiene il collegio che il pubblico degli utenti o dei consumatori di cui all'art. 35
sia costituito dai consumatori minuti intesa come categoria in
differenziata residuale rispetto a quella « qualificata » che sul
mercato opera, come clientela di rivenditori utilizzatori professio nali o utilizzatori in grande e che vale a caratterizzare, non solo
sul piano normativo (ad es. art. 1 1. n. 426/71), ma anche dell'
organizzazione dell'attività economica, la figura dell'operatore che
scelga di rivolgersi a tale tipo di clientela.
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1927 PARTE PRIMA 1928
Ciò posto, deve escludersi, sulla base dei documenti in atti e
dei dati emergenti dalla relazione del c.t.u. che l'attività del
Caputo fosse tutelabile ex art. 69, 7° comma, e 35 1. n. 392/78. Dalla relazione giurata di stima, depositata per conto del
Caputo I'll luglio 1981 presso l'ufficio volontaria giurisdizione di
questo tribunale (prodotta dalla società locatrice), si evince che il
Caputo, quale titolare della ditta individuale « Caputo forniture
elettroindustriali », è iscritto nel registro delle imprese presso la
camera di commercio di Milano sin dal 1962, quale esercente
attività di rappresentanza e di commercio all'ingrosso di materiali
elettrici e conduttori elettrici, con deposito di materiale elettroin dustriale.
I dati concernenti le vendite ricavati dal c.t.u. e sui quali i consulenti tecnici di parte concordano, evidenziano che l'ammon
tare delle stesse è stato per l'anno 1980: di lire 2.352.602.602 =
(vendite su fattura clienti elenco A)-, di lire 81.130.000 = (vendite su fatture clienti elenco B); di lire 3.231.000 = (vendite contro
corrispettivi); e per il periodo gennaio/luglio 1981: di lire
1.352.487.000 = (vendite su fattura clienti elenco A); di lire 41.647.000 = (vendite su fattura clienti elenco B); di lire 2.521.000 = (vendite contro corrispettivi).
II c.t.u. ha precisato che per vendite contro corrispettivi si
intendono quelle effettuate al banco e senza emissioni di fattura. Per vendite su fattura « clienti elenco B » si intendono, come
ha meglio precisato il c.t.u. di parte della s.r.l. Caputo, quelle « al minuto » effettuate al banco con emissione di fattura ed incasso immediato ai sensi dell'art. 22 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633.
Le vendite su fattura « ai clienti elenco A » riguardano dunque e necessariamente quelle all'ingrosso, e cioè a rivenditori od
operatori professionali o grandi utenti, che il c.t.u. ha esemplifica tivamente indicato (Italcementi, Sacma, Cartiera di Verona, Falk, Fiat s.p.a., ecc.), precisando che per alcuni di questi il fatturato del Caputo è espresso in centinaia di milioni e per altri di
svariate decine di milioni. Le vendite ai clienti elenco B e quelle contro corrispettivi, sommate rappresentano, per l'anno 1980 e per i mesi considerati del 1981, rispettivamente circa il
3,5 % ed il 3,2 % dell'ammontare complessivo delle vendi te (lire 88.361.000 : 2.436.947.000 per l'anno 1980 e lire 44.168.000 : 1.396.655.000).
Ed è solo alla clientela di tali vendite (che rappresentano una
percentuale modestissima del giro d'affari del Caputo), che se mai
può attribuirsi la qualità richiesta dalla normativa della 1. n.
392/78, ai fini della tutela in oggetto, posto che essa frequentava l'immobile concludendo gli acquisti con pagamento immediato del
prezzo (al banco) per piccole partite di merci, con richiesta o meno di fattura (ex art. 22 d.p.r. n. 633/72).
Con tale clientela può dunque ritenersi che il Caputo avesse « contatti diretti ».
Per la clientela dell'elenco A, alla quale è riferibile oltre il 96 % del volume delle vendite del Caputo, si osserva che la
fatturazione, il pagamento che non risulta avvenire al « banco », la qualità di tali clienti e la dislocazione di questi non solo
nell'area metropolitana milanese ma su tutto il territorio nazio nale, non inducono soltanto ad escludere la prova che il Caputo avesse con gli stessi « contatti diretti » e cioè che tali clienti
frequentassero l'immobile per ivi negoziare e concludere l'affare; ma inducono altresì alla certezza che si trattasse dei clienti con i
quali il Caputo svolgeva la sua attività commerciale all'ingrosso (rivenditori, utilizzatori professionali o grandi utenti), non co stituenti perciò neppure « pubblico dei consumatori » ex art. 35 1.
n. 392/78. E che l'attività prevalente del Caputo fosse quella del « grossista » risulta anche dalla struttura ed ubicazione dell'im
mobile, (capannone interno rispetto alla via di transito), nonché dalla scarsa importanza attribuita all'ubicazione dell'immobile nel l'ambito del progetto di ristrutturazione dello stesso Caputo, docu mentato dalla relazione giurata 11 luglio 1981, in cui si legge che il
conferimento dell'azienda del Caputo in una società di capitali aveva anche lo scopo di riorganizzare l'attività di vendita (che aveva raggiunto un notevole livello di espansione), in una sede
più idonea.
Se dunque l'attività vendita « all'ingrosso » del Caputo era di
gran lunga preponderante rispetto a quella « al minuto » che
comportava contatti diretti con il pubblico, per il principio della
prevalenza, che costituisce principio generale nell'ambito della 1. n. 392/78, deve escludersi che al contratto intercorso fra l'appel lata ed il Caputo, fosse applicabile il regime privilegiato dettato
per le attività che comportano contatti diretti con il pubblico dei
consumatori e degli utenti. (Omissis)
Il Foro Italiano — 1986.
IV
Motivi della decisione. — (Omissis). Passando all'esame del
merito, va rilevato che il legislatore del 1978, a differenza di
quello del 1963, ha svincolato il diritto all'indennità per la
perdita dell'avviamento commerciale dalle strettoie del danno
subito dal conduttore entro i confini del vantaggio ricevuto dal
locatore ed ha qualificato l'avviamento come l'accreditamento della
impresa presso la clientela, abituata a recarsi nell'immobile in cui
si esercita l'attività commerciale. Opinare diversamente non è
possibile perché in tal caso non si capirebbe la ragione per cui la
cessazione della locazione avente ad oggetto un immobile nel
quale si esercita una determinata attività comporta sempre ed
automaticamente la perdita dell'avviamento ed il conseguente
diritto del conduttore alla relativa indennità calcolata in maniera
prefissata dalla legge.
Non si comprende soprattutto, inoltre, perché mai la protezione
del legislatore sia stata accordata solo all'esercizio delle piccole
imprese, e cioè a quelle che postulano un immediato contatto con
gli utenti e consumatori (art. 35 1. 392/78).
Viceversa, una volta circoscritto l'avviamento all'accreditamento
presso la clientela ed ai contatti ad personam con i singoli utenti
e consumatori che la compongono quale bene primario dell'attivi
tà aziendale (caratteristica questa che esula dalle imprese di
media e grande dimensione la cui penetrazione presso il pubblico
è assicurata da altri mezzi), il sistema delineato dal combinato
disposto degli art. 34-35 della legge sull'equo canone, e dagli art.
69-73 per le locazioni soggette al regime transitorio di cui alla
stessa legge, si rivela del tutto razionale. È di pronta percezione,
invero, che sono proprio le imprese piccole a venire più incisi
vamente e direttamente colpite dalla interruzione dei rapporti con
la clientela e dalla necessità di dovere riallacciare altrove le
relazioni con la medesima, con tutti i rischi connessi in ordine
alla riuscita di tale operazione commerciale. Ed allora lo scopo di
una simile disciplina è evidente: si vuole nell'interesse generale
dell'economia, per il cui sviluppo e progresso è vitale la presenza
sul mercato della piccola impresa, garantire alla medesima, per
quanto è possibile, la considerazione del bene clientela, assicu
randole la permanenza nel luogo in cui la stessa viene esercitata,
attraverso la tutela dell'avviamento, diretta in caso di sopravvenu
ta necessità di trasferimento in altro luogo della sede dell'attività
commerciale a causa della cessazione della locazione, a far
entrare nel patrimonio dell'imprenditore l'equivalente economico
del bene in questione, sotto forma di indennità predeterminata
per legge. Ma se tali sono la ratio e l'oggetto della normativa nella
materia che ci occupa, consegue, per un verso, che la nozione di
avviamento commerciale è del tutto svincolata da quella di
incremento del volume degli affari la quale è più ampia ed
abbraccia una serie di iniziative di diversa natura (quali ad
esempio la politica di vendita attuata, il sistema della medesima,
la pubblicità, ecc.), e, per altro verso, che l'avviamento stesso
deve essere considerato come strettamente condizionato alla ubi
cazione dell'attività commerciale nell'immobile nel quale la stessa
viene esercitata. Lo stesso contenuto logico dell'art. 35 1. 392/78,
desunto dal tenore letterale del medesimo e dalla comparazione
con i precedenti art. 34 e 27, depone d'altro canto a favore della
conclusione che precede. L'art. 34 della legge sull'equo canone,
invero, riconosce come dovuta l'indennità per la perdita dell'av
viamento commerciale « in caso di cessazione del rapporto di
locazione relativa agli immobili di cui all'art. 27 », il cui ambito
di applicazione è, per letterale formulazione della norma, circo
scritto agli immobili « adibiti » ad una delle seguenti attività: 1)
industriali, commerciali e artigiani; 2) di interesse turistico com
prese tra quelle contemplate dall'art. 2 1. 12 marzo 1968 n. 326;
3) di lavoro autonomo svolto in maniera abituale e professionale.
Come è agevole desumere dalla disciplina innanzi riportata il
legislatore del 1978 ha usato, per individuare le locazioni merite
voli del suo intervento derogatore alla normativa del vigente
codice civile in subiecta materia, il criterio della destinazione in
senso lato di un immobile allo svolgimento di una determinata
attività. Il verbo « adibire » adoperato nel citato art. 27 1.
392/78 per qualificare l'oggetto della locazione non lascia, infatti,
alcuna possibilità di diversa interpretazione, posto che il significa
to del medesimo quale è dato desumere dalla sua derivazione
latina, è quello di « assegnare », « destinare » ad un determinato
scopo o servizio. Orbene, è di agevole percezione che un simile
rapporto, per cosi' dire pertinenziale, dell'immobile con una de
terminata attività prescinde da un legame di diretta immanenza,
ben potendo il primo essere ugualmente destinato al servizio
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della seconda anche se la stessa viene, nella sua connotazione
essenziale, svolta in luogo diverso. In altri termini è del tutto
possibile che un locale sia strutturalmente collegato con un'attivi tà di scambio di beni, nella quale si sostanzia l'attività commer
ciale, anche se la vendita in concreto viene svolta in un altro immobile distinto. È chiaro allora che la res viene inserita
nell'ambito dell'organizzazione dei beni predisposta dall'imprendi tore per il concreto esercizio della propria attività commerciale e, come tale, non può non essere considerata come « adibita » a
questo scopo.
Proprio in virtù di siffatta interpretazione, d'altronde, la corte
regolatrice, fin dal previgente regime vincolistico, è stata costante nel ritenere soggette alla normativa speciale le locazioni aventi ad
oggetto immobili adoperati come semplice deposito, ma comunque collegati con lo svolgimento di una delle attività protette. Ne
consegue che in base al combinato disposto degli art. 34 e 27 l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale dovrebbe
sempre spettare in tutti i casi di cessazione di un rapporto di locazione relativo ad un immobile comunque legato allo svolgi mento di una delle attività specificamente contemplate dall'art.
27, a prescindere dal fatto che la stessa sia stata poi svolta altrove.
Una portata tanto vasta della tutela dell'avviamento commercia le non può però ritenersi voluta dal legislatore del 1978 il quale, proprio al fine di porvi un concreto argine, con il successivo art. 35 ha limitato il diritto al conseguimento della indennità per la
perdita della clientela soltanto a favore di coloro i quali, nell'am bito della previsione di cui all'art. 27, 1" comma, n. 1, svolgeva no, nell'immobile oggetto della cessata locazione, esclusivamente un'attività che comportava necessariamente un contatto diretto con il pubblico degli utenti e consumatori. La normativa in
commento, in altri termini, pone l'accento per un verso sulla
particolare natura dell'attività artigianale o commerciale e, per altro verso, sul rapporto di stretta immanenza dello svolgimento della medesima nel locale a cui si riferisce il rapporto di locazione. Il legislatore del 1978 infatti, diversamente dalla scelta
terminologica di cui al più volte citato art. 27, ha preferito far ricorso al verbo « utilizzare », il cui significato etimologico (im piego di qualcosa per trarne utile) chiaramente implica un uso diretto del bene.
D'altro canto, se non si desse al termine de quo un tale
significato più ristretto rispetto a quello proprio delle espressioni usate nell'art. 27 (« immobili adibiti »), non soltanto sfuggirebbe il motivo del ricorso ad una diversa formulazione della norma, ma sarebbe addirittura incomprensibile il perché dello stretto
legame sancito tra l'uso dell'immobile tolto in locazione e lo
svolgimento dell'attività del conduttore cosi come evidenziano le
parole adoperate nella disposizione in esame (« ... immobili uti lizzati per lo svolgimento ... »). In altri termini, appare conforme a logica ritenere che il legislatore del 1978, se non avesse inteso escludere il diritto alla indennità per la perdita dell'avviamento
nel caso in cui il conduttore non avesse esercitato la sua attività nel locale oggetto della cessata locazione, non solo avrebbe
riprodotto la formulazione precedente di cui al menzionato art. 27
(ed in tal caso il tenore dell'art. 35 sarebbe stato più agevolmente il seguente: « le disposizioni di cui all'articolo precedente non si
applicano in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili adibiti ad attività che non comportino contatti diretti...»), ma non avrebbe neppure avvertito l'esigenza di porre l'accento sulla presenza del requisito di un rapporto « diretto » con il destinatario dell'attività dell'imprenditore e, soprattutto, non sarebbe stato costretto, per escludere dalla tutela dell'avvia mento anche le attività professionali, a modificare i termini nel
corpo della stessa norma.
Sul punto, infatti, l'art. 35 testualmente recita: « Le disposizioni di cui all'articolo precedente non si applicano in caso di cessa zione di rapporti di locazione relativi ad immobili... destinati all'esercizio di attività professionali... ». A meno di voler taccia re il nostro legislatore di scarso tecnicismo normativo e di uso casuale della lingua, non può non riconoscersi che al di fuori del
l'interpretazione svolta, in base alla quale il diritto all'indennità
prevista dall'art. 34 1. 392/78 non spetta a chi nell'immobile locato non ha esercitato la propria attività di piccolo imprendito re (al di fuori cioè del criterio dell'immanenza dell'attività di
scambio nel locale e di stretta ubicazione della medesima nel
bene oggetto del rapporto di locazione), la formulazione dell'art. 35 non avrebbe alcuna coerenza logica. D'altro canto, è la stessa
collocazione della disposizione dell'art. 35 1. 392/78, che rappre senta un'eccezione alla regola di cui al combinato disposto degli art. 27-34, che non solo giustifica ma addirittura impone un'in
II Foro Italiano — 1986.
terpretazione restrittiva della portata di quest'ultima, perché in
caso diverso l'eccezione stessa non avrebbe più alcuna ragione
d'essere. Ed infatti, se la normativa di cui ai menzionati art.
27-34 1. 392/78 prescinde dall'uso immediato del bene locato per
lo svolgimento nel medesimo di un'attività improntata allo scam
bio diretto dei beni e dei servizi, come in precedenza visto, se ne
deve arguire per forza di logica giuridica che l'art. 35, per potere
concretamente corrispondere alla propria funzione di limite alla
tutela dell'avviamento commerciale, non può che condizionare il
diritto all'indennità in esame alla particolare natura dell'attività
svolta dal conduttore ed all'ubicazione della medesima nell'immo
bile locato. Milita, inoltre, a favore della conclusione che precede la considerazione, fin troppo ovvia, che l'indennità in parola mira
a compensare il conduttore del danno derivatogli dalla perdita della clientela, danno questo che certamente non si produce
allorquando, pur essendo cessata la locazione avente ad oggetto un locale destinato nel quadro dell'organizzazione aziendale ad
altro scopo (come, ad es., per restare al caso di specie, ad
esposizione senza accesso del pubblico), l'inquilino continui la
propria attività di scambio diretto con gli utenti e consumatori in
un altro immobile situato altrove. In un'ipotesi del genere, invero,
potrebbe al massimo ravvisarsi una eventuale contrazione della
penetrazione commerciale dell'imprenditore, ma giammai una
perdita totale della clientela a cui è, invece, commisurata l'inden
nità prevista dall'art. 34 1. 392/78. Non vi possono, poi, essere dubbi sull'esattezza della prospetta
ta soluzione se si considera che, seguendo l'opposta interpretazio ne (che riconosce il diritto all'indennità di cui all'art. 34 1.
392/78 anche nel caso in cui la res locata venga semplicemente
adoperata per incrementare il volume degli affari e non già per
svolgervi ivi l'attività vera e propria della vendita), il conduttore, in caso di contestuale cessazione di più rapporti autonomi di
locazione soggetti a regime transitorio ed aventi ad oggetto una
pluralità di immobili situati nella stessa zona ed aventi le stesse
caratteristiche, uno solo dei quali utilizzato per l'attività di
scambio diretto con la clientela e gli altri invece destinati a
semplice esposizione dei beni offerti in vendita, verrebbe a
conseguire più indennità uguali per un unico danno. Il collegio pertanto, pur in presenza di un recente arresto della Suprema corte che ha avallato un diverso indirizzo (Cass., sez. Ili, 25 marzo 1983, n. 1457, Foro it., Rep. 1983, voce Locazione, n. 981), ritiene di doversene discostare, confortato in ciò non solo da una
precedente pronuncia dello stesso giudice di legittimità (cfr. Cass., sez. Ili, 23 febbraio 1983, n. 1408, ibid., n. 975), che non ha riconosciuto al conduttore il diritto all'indennità in esame in caso di mancato esercizio nell'immobile locato dell'attività di vendita al minuto, ma anche dall'orientamento della Corte costituzionale, la quale ha ravvisato la legittimità costituzionale della riserva della tutela dell'avviamento commerciale esclusivamente a favore delle piccole e medie aziende (la cui conservazione sul mercato
per fini di interesse generale costituisce la ratio della diversità di
trattamento) proprio sulla base della considerazione che le stesse « nel contatto diretto con il pubblico degli utenti e consumatori trovano la fonte e la ragione prevalenti del loro avviamento », che è caratterizzato dalla « inerenza diretta all'ubicazione del l'immobile » nel quale è stato creato dal conduttore il rapporto di scambio delle merci o dei servizi con la clientela (cfr. Corte cost. 5 maggio 1983, n. 128, id., 1983, I, 1497).
Orbene, applicando i principi di cui innanzi al caso concreto, non può non pervenirsi ad una decisione difforme da quella impugnata, essendo pacifico tra le parti che i locali posti in Molfetta alla via XX settembre nn. 55-57 erano utilizzati esclusi vamente come esposizione di mobili chiusa all'accesso del pubbli co, che, per concludere un eventuale acquisto e per avere, quindi, un contatto diretto con l'appellato o un suo preposto, doveva
portarsi per forza di cose altrove e cioè nella sede in cui veniva svolta l'attività di vendita.
Di conseguenza, va dichiarato che al Gadaleta Corrado non
compete l'indennità di cui all'art. 69, 7° comma, 1. 27 luglio 1978 n. 392 in dipendenza della cessazione della locazione del suddetto immobile. (Omissis)
V
Motivi della decisione. — 1. - Benché le parti abbiano incentra to il dibattito essenzialmente sulla interpretazione del termine
compenso di cui al 6° comma dell'art. 69 1. n. 392/78 in rapporto a quello di indennità adoperato dal legislatore nel comma succes
sivo, e — soprattutto — sulla qualificazione dell'attività (già) esercitata dalla s.r.l. Communication Service nei locali di via Guicciardini n. 5-Milano ai fini dell'art. 35 stessa legge, il modo
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1931 PARTE PRIMA 1932
in cui nella fattispecie si è realizzata la perdita della detenzione
dell'immobile da parte della società conduttrice (dalla quale trae
l'origine prima il diritto al compenso o indennità fatto valere) e
l'entrata in vigore — nelle more di questo processo — dello ius
supervenìens dell'art. 1, commi 9 bis ss., d.l. 12/85 {nel testo
risultante dopo la conversione nella 1. 5 aprile 1985 n. 118),
rendono opportune (se non strettamente necessarie) alcune consi
derazioni preliminari. 2. - L'immobile è stato riconsegnato alla locatrice, nel caso di
specie, a seguito della disdetta del contratto di locazione per la
scadenza del 29 marzo 1983 (desunta dall'art. 71 1. n. 392/78) comunicata dalla Betti con lettera raccomandata 30 settembre
1981, e dopo che per ottenere la restituzione dell'immobile la
stessa locatrice aveva promosso apposito procedimento per conva
lida di sfratto per finita locazione (con atto di citazione notificato
il 22 giugno 1983). Ciò è sufficiente per affermare che, in presenza degli altri
requisiti richiesti dalla legge, sussiste il diritto del conduttore al
compenso oggetto della domanda in esame, non ostandovi la
circostanza che l'immobile sia stato poi riconsegnato dalla società
conduttrice senza attendere l'emissione nei suoi confronti di una
pronuncia giudiziale di condanna al rilascio: deve infatti osser
varsi (e v. nello stesso senso, con riferimento ad un caso di
recesso ex art. 73 1. n. 392/78, Pret. Milano 9 luglio 1982, Foro
it., Rep. 1984, voce Locazione, n. 829) che sebbene il rilascio
dell'immobile, non sia stato ottenuto attraverso l'esecuzione forza
ta, non può escludersi la ricollegabilità di esso all'iniziativa del
locatore e la conseguente sussistenza del contrapposto interesse
del conduttore alla stabilità della sede della sua attività (tutelato,
appunto, con l'istituto della indennità per perdita dell'avviamen
to); e tale considerazione vale tanto più quando, come nel nostro
caso, la restituzione dell'immobile è avvenuta dopo l'estinzione
del rapporto giuridico di locazione, verificatasi — secondo la
prospettazione della locatrice — fin dalla scadenza del 29 marzo
1983.
Tanto andava detto, pure in assenza di qualsiasi contrasto tra
le parti sul punto, per sgomberare il campo dai possibili equivoci derivanti da una indebita generalizzazione del principio insito in
alcune pronunzie della Corte costituzionale (v. sent. 6 ottobre
1983, n. 300, id., 1983, I, 2933; ord. 8-15 febbraio 1984, n. 31,
G. U. n. 53/84), che hanno dichiarato inammissibile per irrilevan
za nei giudizi a quibus la questione di costituzionalità dell'art. 69,
7° comma, 1. n. 392/78 sollevata senza la previa emissione di un
provvedimento di rilascio dell'immobile locato.
Ed invero, per quanto dianzi osservato, se il provvedimento
giudiziale di condanna al rilascio costituisce il presupposto « tipi co » per l'insorgenza del diritto de quo, non si configura tuttavia
come presupposto necessario di esso; ma l'unica conseguenza è
che, mentre nel caso di rilascio disposto dal giudice il pagamento della indennità in questione si pone (ex art. 69, 8° comma) come
condizione per l'esecuzione forzata, nell'ipotesi contraria ciò non
ha modo di verificarsi.
3. - Va in secondo luogo esaminata la questione relativa ai
riflessi sul caso in esame dell'art. 1, commi 9 bis ss., d.l. 12/85, sia (incidenter tantum, al fine di valutare la persistenza dell'inte
resse ad agire della s.r.l. conduttrice) per quanto concerne la
sorte di contratti di locazione di immobili ad uso diverso
dall'abitazione alle scadenze del regime transitorio della 1. n.
392/78, sia per quanto riguarda, più specificamente, il diritto del
conduttore al compenso o all'indennità per perdita dell'avviamento.
Per quanto concerne il primo aspetto, benché il citato comma
9 bis, nel prevedere la « rinnovazione obbligatoria » dei contratti
in questione, faccia riferimento anche alle scadenze di cui all'art.
71 1. n. 392/78, e benché il successivo comma 9 quater sancisca
l'inefficacia sopravvenuta della disdetta già data dal locatore, se
non motivata da necessità, non sembra possa dubitarsi che la
rinnovazione menzionata (ma più appropriatamente dovrebbe dir
si « proroga ») non può operare nella fattispecie, trattandosi di un
rapporto locatizio già esauritosi anche de facto, in base ad una
disdetta che non ha, dunque, più alcun effetto da produrre.
In ordine al secondo profilo, si pone invece il problema se sia
applicabile il 6° comma dell'art. 69 1. n. 392/78 (testo originario)
ovvero l'art. 69, 4° comma, nel testo novellato dalla 1. n. 118/85
(che ha convertito il d.l. 12/85).
La questione, che rileva sia (in ipotesi) ai fini della individua
zione dei limiti del diritto invocato nella specie dalla conduttrice,
sia ai fini (più limitati) della determinazione della misura del
compenso dovuto, è originata dal fatto che il nuovo testo dell'art.
69 (il quale, coerentemente alla restrizione della facoltà del
locatore di negare la rinnovazione del contratto solo per necessi
II Foro Italiano — 1986.
tà, non prevede più l'ipotesi del 6° comma del testo originario, e
pone come criterio di calcolo dell'indennità di avviamento il
« canone » di mercato, tranne nel caso di rilascio motivato da
necessità abitativa del locatore) si applica, per espressa disposi
zione dell'art. 1, comma 9 quinquies, 1. n. 118/85, «anche ai
giudizi in corso alla data di entrata in vigore » della legge di
conversione del d.l. 12/85.
Anche alla luce del principio di irretroattività delle nuove
leggi, di cui all'art. 11 disp. sulla legge in generale, sembra che il
quesito prospettato debba risolversi, nel nostro caso, nel senso
dell'applicabilità dell'art. 69, 6° comma, nella formulazione origi
naria. Come già si è osservato, infatti, l'applicabilità dell'art. 1,
comma 9 bis, cit. ai giudizi pendenti presuppone un rapporto di
locazione ancora in corso quanto meno de facto.
4. - Ciò premesso, occorre esaminare la questione se il « com
penso » di cui al 6° comma dell'art. 69 (vecchio testo), determina
to nella specie in lire 18.000.000 in base alla proposta di
rinnovazione contrattuale comunicata dalla locatrice con racc.ta
13 gennaio 1983, spetti al conduttore in ogni caso, oppure nei
limiti stabiliti dall'art. 35 1. n. 392/78, la cui applicabilità — in
regime transitorio — all'indennità prevista dall'art. 69, 7° comma,
è assicurata dal richiamo operato dall'art. 73.
Si tratta, in sostanza, di stabilire se il « compenso » in argo
mento abbia la stessa natura, o meno, della « indennità » prevista
dal comma successivo.
Questo pretore ritiene che attraverso le disposizioni dei com
mi 6° e 7° dell'art. 69 il legislatore non si sia riferito a due
istituti diversi, ma abbia in realtà inteso prevedere soltanto due
differenti criteri per la determinazione del compenso dovuto al
condutttore di immobile non abitativo, a titolo risarcitorio, per la
perdita dell'avviamento conseguente al rilascio del bene.
La formulazione letterale delle disposizioni in esame, che
costituisce l'unico argomento deducibile a sostegno della tesi
opposta (cui aderisce la società conduttrice), non può, invero,
ritenersi un sicuro indice della volontà del legislatore di differen
ziare le due figure da esse previste; ed anzi, proprio dal punto di
vista letterale, mette conto osservare che il comma 8° dell'art. 69,
nell'assegnare al pagamento della somma dovuta al conduttore in
base al 6° o al 7° comma la funzione di condizione per
l'esecuzione del provvedimento di rilascio, qualifica « indennità »
anche il compenso previsto dall'anzidetto 6° comma. Del resto, la
stessa rubrica dell'art. 69 menziona soltanto l'« indennità » di
avviamento commerciale, per di più correlandola al « diritto di
prelazione » in caso di nuova locazione.
A conforto dell'opinione della identità tra il « compenso » e la
« indennità » in questione, espressa oltretutto dalla giurispruden
za pressoché unanime (v. Corte cost. 6 ottobre 1983, n. 300, cit.,
incedentalmente in motivazione; Trib. Cagliari 20 settembre 1983,
Pres. ed est. Pisotti, Corrias e altro c. I.B.P.; iPret. Milano 19
dicembre 1983, giud. Claps, s.r.l. Imm. Salwesta c.s.p.a. Lambro;
Pret. Verona 28 dicembre 1983, giud. D'Ascola, s.p.a. Supermer
cati PAM c. s.p.a. Veneta Ass.ni; contra v., invece, Pret. Firenze,
ord. 22 gennaio 1982, id., 1982, I, 1763, sulla base peraltro di una
interpretazione dell'intero art. 69 smentita dalle recenti sent. n.
265, 266, 267 e 268 del 23 gennaio 1985, emesse a sezioni unite
dalla Cassazione, che leggonsi id., 1985, I, 403), deve inoltre
osservarsi che, anche per il parallelismo tra l'art. 69 (testo
originario) e l'art. 40 1. n. 392/78, sottolineando in alcune delle
sentenze della Suprema corte da ultimo richiamate, la simmetria
tra la prelazione in caso di nuova locazione e l'indennità per la
perdita dell'avviamento esistente nel regime ordinario (cfr. l'art.
41) ed in quello transitorio della 1. n. 392/78 dovrebbe impedire
l'applicabilità dell'intera disciplina dell'art. 69 (beninteso, nel testo
originario) oltre i limiti segnati dall'art. 35 della stessa legge (v.,
in tal senso, Pret. Milano 18 febbraio 1982, id., 1982, I, 1758).
In base alle considerazioni svolte, deve dunque ritenersi che
attraverso i commi 6° e 7° dell'art. 69 il legislatore ha semplice
mente previsto due diversi criteri di determinazione dell'indennità
di avviamento, a seconda che il conduttore sia stato o meno
posto in condizione di esercitare la prelazione: e tale diversifica
zione appare quanto mai razionale, ove si consideri, da un lato,
che — dato come criterio generale di calcolo dell'indennità il
canone corrente di mercato dell'immobile — si può fondatamen
te supporre che la richiesta del locatore o l'offerta del terzo (ex
art. 69, 1° comma) « esprimano normalmente meglio di ogni altro
elemento di rilevazione una valutazione aggiornata e reale del
valore locativo dell'immobile », e, dall'altro, l'esigenza — pure
perseguita dal legislatore — di sanzionare il locatore che comu
nicasse, strumentalmente, offerte eccessivamente alte (in questi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
termini v., in motivazione, Pret. Milano 14 giugno 1984, Arch,
locazioni, 1984, 665). 5. - E si giunge, cosi', alla questione maggiormente controversa
tra le parti: se cioè l'attività svolta dalla Communication Service s.r.l. nell'immobile locatole dalla Betti possa (anzi, potesse) qua lificarsi « commerciale, artigianale o industriale » e se il suo svolgi mento abbia comportato « contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori », cosi da conferire alla società stessa —
ai sensi dell'art. 35 1. n. 392/78 — il diritto al compenso (o indennità che dir si voglia) nella misura di cui all'art. 69, 6°
comma.
L'attività della Communication Service, genericamente definibile
di « agenzia pubblicitaria », non è (e non era) realtà omogenea, né nel suo insieme, né ove si consideri individualmente la singola
operazione svolta. Dalle testimonianze raccolte, confermate dalle risultanze delle
fatture acquisite agli atti, si evince, in linea generale, che essa
consiste per lo più nel « fare da tramite » tra i clienti che si
rivolgono alla società per rendere pubblici dei messaggi (testi o
immagini) ed i veicoli di informazione pubblicitaria (organi di
stampa, radio o televisioni, ecc.). Le operazioni pubblicitarie in cui si inserisce l'opera della
società attrice riguardano sia la reclamizzazione di prodotti o
servizi di un'impresa, sia inserzioni di offerte o domande di beni
o servizi, ricerca di personale od altro (ad esempio, i necrologi), che qualsiasi cittadino può avere l'esigenza di realizzare attraver so gli organi di informazione.
Secondo il tipo e le modalità del messaggio pubblicitario che il cliente intenda effettuare, la prestazione del servizio da parte della Communication Service varia potendo includere o meno, oltre alla trasmissione del messaggio stesso, un'attività di consu
lenza, la formulazione e la realizzazione del messaggio (ovvero dei messaggi, quando si tratta non di una singola operazione, ma di una campagna pubblicitaria).
Dall'esame delle fatture (che si riferiscono al periodo 1°
gennaio 1982-29 marzo 1983, ultimi quindici mesi di durata del
contratto di locazione) emerge altresì che, per alcuni clienti, la
società svolgeva una sorta di servizio di informazioni di mercato. I clienti di essa hanno (e avevano) libero accesso nella sua
sede. Anzi, secondo il teste Gatto, il primo contatto con la
clientela avviene sempre negli uffici della società, e cosi tutta la
preparazione dell'operazione pubblicitaria, almeno quando si trat ta di richieste semplici.
L'incarico affidato alla Communication Service è, poi, da questa portato a termine con la trasmissione, a nome proprio o anche del cliente, della commissione pubblicitaria agli organi di infor
mazione che devono pubblicizzare il messaggio; fanno eccezione a tale iter le operazioni pubblicitarie più complesse, per le quali la società in discorso può anche limitarsi a mettere in diretto contatto il proprio cliente con il « veicolo pubblicitario » prescelto.
II corrispettivo della prestazione fornita dalla Communication
Service è sempre costituito da una provvigione a carico degli
organi di informazione che pubblicano il messaggio pubblicitario, ovvero dei fornitori (di manifesti, stampati, ecc.) cui l'agenzia commissiona l'esecuzione materiale del lavoro.
6. - Cosi sommariamente descritta l'attività della società attrice,
questo pretore ritiene che vada certamente disattesa la tesi della locatrice convenuta che si tratti di « attività professionale », per la ragione che nel caso esaminato il momento della « consulen za » — sul quale la convenuta ha fermato la propria attenzione — è eventuale, secondario e, soprattutto, non autonomo ma strumentale rispetto al momento organizzativo.
Come è stato già opportunamente precisato in giurisprudenza (v. Trib. Milano 5 luglio 1984 e 19 aprile 1984, Arch, locazioni, 1985, 91 e 100), l'attività professionale cui si riferisce l'art. 35 1. n. 392/78 va intesa nel senso stretto dell'esercizio di una profes sione intellettuale, ai sensi dell'art. 2229 c.c., la quale non è
produttiva di avviamento perché i rapporti che nel suo svolgi mento si instaurano con la clientela sono basati prevalentemente sull'intuitus personae e sulla fiducia.
Anche dal punto di vista oggettivo l'attività professionale si
distingue dalle altre attività economiche, in quanto oggetto dei
rapporti con la clientela attraverso cui essa si realizza è l'opera intellettuale del professionista, rispetto alla quale tutta l'organiz zazione dello studio si pone come mezzo per una più razionale e
proficua estrinsecazione. Si è, invece, al di fuori dell'esercizio di
una professione intellettuale ove la prestazione di proprie cono scenze specifiche da parte dell'operatore economico (come nella
specie si verifica con la prestazione di consulenza alla clientela) non assuma lo stesso ruolo di centralità nel rapporto obbligatorio
Il Foro Italiano — 1986 — Parte I-126.
con il cliente, ma — al contrario — valore soltanto secondario e funzione strumentale rispetto all'organizzazione di mezzi preordi nata per la fornitura del bene o del servizio richiesto. E, appunto, nel caso in esame la consulenza fornita dalla Communi cation Service ai propri clienti è chiaramente diretta (salvo eccezioni) ad una migliore predisposizione del messaggio pubblici tario da trasmettere ai veicoli di informazione, ed in ciò l'orga nizzazione di mezzi ha certo carattere preminente.
L'attività considerata non può dunque definirsi « professionale » ai sensi dell'art. 27 1. n. 392/78, ma va, invece, inquadrata tra quelle « commerciali » in senso ampio, giacché, tenendo in parti colare presente lo sbocco del servizio richiesto dalla clientela, essa realizza una intermediazione nello scambio di beni, e preci samente nella cessione (acquisto-vendita) di « spazi pubblicitari »; e gli organi di informazione, dal canto loro, si rivolgono anch'essi alla Communication Service s.r.l. perché provveda a vendere ad eventuali interessati gli spazi pubblicitari anzidetti.
A tale configurazione non è di ostacolo (secondo quanto costantemente affermato in tema di attività di mediazione) il fatto che la società assuma anche la veste di mandatario del cliente che le si rivolge per un'inserzione pubblicitaria, ovvero la circo stanza che la retribuzione dell'opera prestata sia a carico di una sola parte dell'affare portato a termine con la reclamizzazione del
messaggio (parte nel cui interesse non agisce, peraltro, la Com munication Service).
7. - Rimane, a questo punto, da risolvere il problema se l'attività esercitata nella fattispecie dalla società conduttrice com porti (anzi, comportasse) « contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori » (nella specie, utenti).
Questo pretore ha avuto modo di precisare in passato (come del resto la giurisprudenza formatasi sul punto) che il « pubblico degli utenti e dei consumatori » si identifica con la « massa dei consumatori o utilizzatori finali » dei prodotti commerciati e dei servizi prestati (v. sentenza 9 luglio 1982, cit.), e che « in tale categoria, se non possono — evidentemente — ricomprendersi i rivenditori al dettaglio ..., vanno invece inclusi coloro che
' con
sumano '
o ' utilizzano
' per sé i beni acquistati, sia senza scopi
utilitaristici, sia quali strumenti per lo svolgimento, lo sviluppo o la promozione di una propria attività economica (per es., a fini pubblicitari) » (v. sentenza 20 settembre 1984, Scotti e altra c. FotoCGM s.n.c.); e che può parlarsi di « pubblico » in relazione ad un esercizio commerciale quando ha « possibilità di acce dervi chiunque sia interessato all'acquisto dei suoi prodotti..., e la selezione dei suoi clienti nella massa del pubblico avvenga esclusivamente in base all'interesse — derivante dalla possibilità di utilizzarli — per gli oggetti da lui commerciati » (v. sentenza 9 luglio 1982, cit.). Si è, quindi, escluso che è la qualificazione di « pubblico » degli utenti e dei consumatori dipenda dall'ambito più o meno vasto di persone che possono essere interessate ai beni o servizi offerti dall'impresa considerata, giacché è indiscuti bile che non può parlarsi di « pubblico » solo nel caso di esercizi commerciali di beni di largo consumo, ma anche « in tutti i numerosissimi casi in cui, per la specialità della merce venduta, solo una parte più o meno cospicua della popolazione è interessa ta ad acquistarla » (v. ancora la sentenza del 9 luglio 1982).
Anche il Tribunale di Milano (v. la sentenza del 31 gennaio 1983. Foro it., Rep. 1983, voce Locazione, n. 337, in tema di diritto di prelazione ex art. 38 1. n. 392/78) ha sostanzialmente attribuito lo stesso significato alla locuzione dell'art. 35 1. n. 392/78, individuando il pubblico degli utenti e dei consumatori negli « utenti e consumatori finali del servizio o delle merci », e cioè nella « massa dei c.d. fruitori minuti, che in via normale
frequentano l'immobile, avendovi libero accesso per concludere il
rapporto negoziale con l'imprenditore-conduttore ».
Orbene, mentre l'espressione « attività che comporta contatto diretto...» deonota chiaramente una modalità concreta di svol gimento dell'attività di impresa, ponendo come condizione per il diritto all'indennità di avviamento la circostanza che nell'immobi le locato acceda normalmente chi intenda acquistare i beni o fruire dei servizi offerti dalla ditta conduttrice, si rende necessaria una attenta rimeditazione della espressione « pubblico degli utenti e dei consumatori » e del rapporto tra i due termini di essa; ciò in considerazione della elaborazione giurisprudenziale al riguardo, ed in particolare della tendenza manifestatasi ad escludere dalla nozione di « pubblico » quegli utenti o consumatori che sono determinati a rivolgersi all'impresa non a motivo della sua sede, ma per altri motivi, come, ad esempio, per le particolari qualità organizzative dell'imprenditore (v. in tal senso: Trib. Milano 25 marzo 1985, Comunione Ciceri-Decorato c. SavMilano s.p.a.; Pret.
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1935 PARTE PRIMA 1936
Parma 18-25 novembre 1981, id., 1982, I, 2086; Pret. Cesena 21
maggio 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 983).
Ai fini di una corretta interpretazione, in parte qua, dell'art.
35, è opportuno soffermarsi in primo luogo sulla ratio dell'istituto della indennità per la perdita dell'avviamento previsto dagli art. 34 e 69 1. n. 392/78. Questo era stato inizialmente ricondotto dalla Corte costituzionale (v. sent. 23 maggio 1980, n. 136, id.,
1980, I, 1830) nell'ampia categoria dell'arricchimento senza causa.
Successivamente, però, la stessa Corte costituzionale (v. la sentenza 6 ottobre 1983, n. 300, id., 1983, I, 2933; nonché, in
obiter, la sentenza 5 maggio 1983 n. 128, ibid., 1497), mutando
indirizzo, ha riconosciuto natura « risarcitoria » o riparatoria all'indennità in questione, ravvisandone lo scopo nella « conserva
zione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate »
(dall'art. 27 1. n. 392/78, salvi i limiti posti dal successivo art.
35), le quali, essendo caratterizzate da una inerenza diretta
dell'avviamento all'immobile in cui l'attività si svolge, risentono, di regola, un danno (concretizzantesi appunto nella perdita del
l'avviamento) allorché sono costrette a spostarsi altrove a causa
della cessazione del rapporto di locazione su iniziativa del
locatore.
Tale inquadramento dell'istituto in esame può in linea di
massima condividersi, con le seguenti precisazioni: a) che l'in
dennità per la perdita dell'avviamento ha certamente carattere di
« risarcimento » (da danno lecito) nelle sue linee fondamentali, mentre appare riconducibile piuttosto alla figura dell'« arricchi
mento senza causa » il supplemento dovuto al conduttore nelle
ipotesi di cui al 2° comma dell'art. 34 (casi in cui l'immobile
venga adibito all'esercizio di attività identica o affine a quella già esercitata dal conduttore); b) che la predeterminazione del crite
rio di calcolo dell'indennità, in base al canone corrente di
mercato dell'immobile — presunto (ultimo canone corrisposto o
canone proposto per la rinnovazione contrattuale) o accertato in
concreto che sia — è significativa del fatto che, nell'ottica del
legislatore, il compenso in discorso deve servire in effetti a
sopperire alle oggettive difficoltà del conduttore sfrattato di repe rire altro locale idoneo per la sua attività di impresa (e ciò non
sembra sia sfuggito alla Corte costituzionale, che nella sentenza n.
300/83 osserva, sia pure incidentalmente, che « l'attività economi
ca del conduttore viene protetta, potendo l'indennità, nel caso di
non evitabile rilascio, facilitarne la ripresa in altra sede »).
Ciò posto, questo pretore è dell'avviso che nessuna rilevanza
possa avere, ai fini della loro qualificazione come « pubblico »
degli utenti e dei consumatori, la circostanza che i clienti di un
determinato imprenditore si rivolgano a lui ratione loci ovvero
per altri motivi.
L'ubicazione dell'immobile come elemento attraente della clien
tela assumerebbe, invero, indubbia importanza ove si potesse
inquadrare (come si è visto) l'indennità in argomento nel concet
to dell'arricchimento senza causa, giacché è evidente che la
clientela del conduttore uscente continuerebbe, per lo più, a
rivolgersi al locatore o a chi altri occupa lo stesso immobile se
ed in quanto l'ubicazione di questo costituiva già prima il fattore
principale di attrazione. Ma, una volta riconosciuto — al contra
rio — all'indennità di avviamento carattere risarcitorio, l'interpre
te dell'art. 35 1. n. 392/78 deve necessariamente capovolgere la
propria ottica, chiedendosi quando — secondo 1 'id quod plerum
que accidit — lo spostamento altrove della sede dell'impresa
produce lo sviamento della clientela: ed allora l'« inerenza diret
ta » dell'avviamento all'immobile assume un significato ben più
ampio, che non può restringersi all'ipotesi della preponderante rilevanza dell'elemento logistico nell'attrazione dei clienti, giacché
la perdita dell'avviamento creato attraverso la permanenza del
l'impresa in un determinato luogo manca di verificarsi soltanto
nei casi in cui la clientela, essendo indotta a rivolgersi a quel dato impreditore per la assoluta peculiarità dei prodotti venduti o
per le sue particolari qualità soggettive (elemento « fiducia ») lo
segue nei nuovi locali, dimostrando cosi che l'ubicazione della
sede dell'impresa ai fini dell'avviamento, ha importanza non solo
non prevalente, ma assolutamente marginale, se non nulla.
Inoltre, se si osserva la realtà quotidiana, deve convenirsi che
l'ubicazione della sede dell'azienda ha un'influenza sicuramente
prevalente solo ai fini della instaurazione del primo contatto con
la potenziale clientela, dando la possibilità ad una massa più o
meno vasta di persone di valutare le qualità dei prodotti o dei
servizi offerti da quel determinato imprenditore, mentre ormai
solo raramente conserva la stessa importanza ai fini della acquisi
zione della clientela, in quanto per una gamma sempre più ampia
di prodotti o servizi la scelta del consumatore o dell'utente ricade
sull'uno o sull'altro imprenditore in base ad una valutazione di
Il Foro Italiano — 1986.
fattori differenti, quali in particolare la qualità del prodotto
offerto, la capacità dell'imprenditore, i prezzi da lui praticati.
Esigenze di certezza del diritto richiedono, d'altra parte, che la
definizione del concetto di « pubblico degli utenti e dei consuma
tori » demandata dal legislatore al giudice, avvenga in base a
criteri maggiormente obiettivi e capaci, al tempo stesso, di
armonizzarsi con il sistema normativo in materia contrattuale.
Deve allora considerarsi che l'art. 35 1. n. 392/78, ai fini del
diritto all'indennità di avviamento, richiede che coloro che acce
dono all'immobile utilizzato dal conduttore per la sua attività
commerciale, artigianale o industriale, possano qualificarsi, al
tempo stesso, « pubblico » e « utenti o consumatori ».
Quest'ultima qualificazione attiene al rapporto che chi accede
nell'immobile instaura o instaurerà con il bene o servizio offerto,
volendo con essa il legislatore riferirsi ai consumatori o utilizza
tori « finali » delle merci o dei servizi.
La nozione di « pubblico », che è altrettanto relativa, attiene
invece al rapporto che si instaura tra potenziali clienti ed
imprenditori in dipendenza del modo in cui costui svolge la
propria attività.
L'imprenditore (commerciale, artigianale, industriale, alberghie
ro) esercita professionalmente e a scopo di lucro un'attività di
produzione di beni o servizi (o di intermediazione nello scambio
di questi) destinati non al consumo o all'uso proprio, ma di altri
soggetti; egli quindi offre i propri prodotti o la propria opera ad
un ambito più o meno ampio di persone, rendendo nota a
costoro la propria attività con i mezzi che ritiene opportuni e che
sono i più vari, dall'insegna pubblicitaria alle inserzioni sui
giornali e agli spot radio-televisivi, alla inserzione del proprio
nominativo in elenchi degli esercenti quel dato tipo di attività,
ecc. Ciò posto, per stabilire quando si ha un'attività artigianale,
commerciale o industriale diretta al « pubblico », appare utile
rifarsi alla nozione di « pubblico » elaborata con riferimento ad
altri istituti del diritto civile, quali la « promessa al pubblico »
(art. 1989 c.c.) e l'« offerta al pubblico » (art. 1336 c.c.). A
proposito di quest'ultima, si afferma tradizionalmente in dottrina
che « per pubblico deve intendersi tutta la folla di soggetti che
possono essere interessati all'offerta, che viene ad essere indirizza
ta in tal modo ad un soggetto indeterminato » (in incertam
personam). Sulla scorta di tale definizione, appare legittimo affermare che,
ai fini dell'art. 35 1. n. 392/78, si ha attività che comporta « contatti... con il pubblico » quando l'imprenditore offre i pro
pri prodotti o servizi alla collettività in genere (anche in un
ambito locale), e cioè a soggetti indeterminati, potenzialmente interessati ad acquistare o a servirsi da lui. È la indeterminatezza
del destinatario dell'attività, e la conseguente possibilità per
chiunque di accedere nei locali dell'impresa, a contraddistinguere,
dunque, come « pubblico » chi vi si reca per acquistare i beni o
fruire dei servizi offerti. E tale qualifica, riguardando non il
singolo avventore ma i potenziali destinatari dell'attività di im
presa, non viene meno per la circostanza che una parte (anche
rilevante) di costoro diventino clienti abituali ed assumano, quin
di, una precisa identità nel rapporto col commerciante o l'artigia no. Criteri di discriminazione diversi ed ulteriori rispetto a quelli
indicati non sembrano utilizzabili con certezza. In particolare, non può attribuirsi rilievo (al fine di limitare il concetto di
« pubblico ») al tipo di prodotto o servizio offerto, che influisce
indubbiamente sulla vastità dell'ambito di soggetti potenzialmente interessati ad esso, giacché il concetto di « pubblico », come si è
visto, è qualitativo e non quantitativo, a meno che l'attività
riguardi un prodotto o servizio talmente particolare, da rendere
individuabili già in anticipo i singoli soggetti destinatari dell'atti
vità; né, sembra, può assumersi come connotato essenziale dell'at
tività di impresa diretta al « pubblico » la predeterminazione del
prezzo del bene o del servizio, giacché non è detto che l'attività
stessa debba realizzarsi con « offerte al pubblico » nel senso
tecnico-giuridico dell'art. 1336 c.c., potendo aversi nell'ambito
dell'attività commerciale o artigianale diretta al pubblico, forniture
di beni non confezionati ovvero prestazioni di servizi che richie
dono operazioni più o meno complesse e tempi di lavoro variabi
li (si pensi, per esempio, alle officine-auto, o ai calzolai).
8. - fn base a tutte le considerazioni svolte, ritiene questo
pretore che all'attività (già) esercitata dalla Communication Servi
ce s.r.l. nei locali di via Guicciardini n. 5 - Milano possano
riconoscersi tutte le caratteristiche richieste dal citato art. 35 per
la sussistenza, in capo al conduttore, del diritto all'indennità (o
compenso) di cui l'art. 69, 6° comma, 1. n. 392/78. Ed invero, in
base agli elementi probatori acquisiti, può ritenersi: a) che
l'attività in questione rientri tra quelle « commerciali », di cui
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
all'art. 27, n. 1, 1. cit.; b) che il suo svolgimento comportasse il
normale accesso dei clienti o possibili clienti nei locali ora
rilasciati; c) che i soggetti che si rivolgevano alla Communication
Service, richiedendo la sua opera per pubblicizzare testi o imma
gini, sono qualificabili come « pubblico », potendo fruire dell'atti
vità dell'agenzia il quisque de populo, senza alcuna limitazione, e
non avendo alcun rilievo — per quanto detto — il fatto che la
maggioranza degli effettivi clienti fossero imprenditori (persone fisiche o società, non fa differenza); d) che i clienti della società
attrice sono altresì qualificabili come « utenti », in quanto utiliz
zatori finali del servizio loro prestato consistente in prevalenza —
nel risultato finale — nel facilitare la conclusione di contratti
pubblicitari con i veicoli di informazione. Per quanto riguarda l'elemento sub c), va altresì osservato che l'assenza, presso i
locali in questione, di mezzi di richiamo della clientela al di
fuori del nome della Communication Service riportato sui vetri
delle finestre (ubicate, peraltro al piano terra dello stabile e
prospicienti la strada), non esclude che l'attività esaminata fosse
diretta a qualsiasi eventuale interessato, ma è soltanto indicativa
o dello scarso interesse della società a procurarsi nuova clientela
in relazione a difficoltà organizzative (come sembrerebbe confer
mare la relazione dell'amministratore unico sul bilancio al 31
dicembre 1982, prodotta dalla parte convenuta) o, secondo quanto
esposto dall'amministratore unico della società conduttrice in sede
di libero interrogatorio, della scelta della Communication Service di reclamizzare (ed offrire a soggetti indifferenziati) la propria atti
vità attraverso le organizzazioni rappresentative di imprenditori, nel quadro del fenomeno c.d. di « quartierizzazione », che investe sia gli imprenditori sia i veicoli di informazione. E, in tale seconda
ipotesi (che appare la più verosimile, considerata una certa
contraddittorietà della prima con lo scopo di lucro dell'attività
svolta), troverebbe conferma la presunzione che lo spostamento in altra zona della sede della società attrice provocherebbe la
perdita dell'avviamento, la cui riparazione appunto si è prefisso il
legislatore con gli art. 34 e 69, 6° e 7° comma (testo originario), della 1. n. 392/78.
Alla s.r.l. Communication Service spetta, pertanto, il compenso (o indennità) per la perdita dell'avviamento commerciale, che si
determina, ai sensi del 6° comma del citato art. 69, nella misura di lire 18.000.000. Consegue senz'altro la condanna della locatrice Betti Anna al pagamento di tale somma, atteso che la restituzione dell'immobile locato è già avvenuta. La Betti dovrà anche corri
spondere gli interessi legali, dalla data di rilascio dell'immobile all'effettivo saldo, sulla somma anzidetta; mentre nulla è da lei dovuto alla controparte a titolo di « rivalutazione » monetaria, non avendo la società conduttrice fornito, neppure in via presun tiva, la prova della sussistenza di un maggior danno, ex art. 1224, 2" comma, c.c., causato dal ritardato pagamento dell'indenni tà. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 2 dicembre
1985, n. 6021; iPres. Scanzano, Est. A. Finocchiaro, P. M. Di
Renzo (conci, conf.); Marrucci (Avv. Pansini, Monaco) c. Proc.
gen. App. Lecce e Micelli, Alò (Avv. Fontana). Dichiara
inammissibile ricorso avverso App. Lecce 24 ottobre 1983.
Adozione — Provvedimenti temporanei nell'interesse del minore — Ricorso per cassazione — Inammissibilità (Cost., art. Ill; 1. 4 maggio 1983 n. 184, disciplina dell'adozione e dell'affidamento
dei minori, art. 10).
È inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost,
proposto avverso il decreto della corte d'appello che in sede di
reclamo abbia confermato il provvedimento temporaneo di
affidamento di un minore a terzi pronunciato dal tribunale per i minorenni ai sensi dell'art. 10 l. 4 maggio 1983 n. 184. (1)
(1, 3) Il contrasto tra le sentenze che si riportano (la n. 2151 è
annotata da G. Monteleone, in Giur. it., 1986, I, 1, 266) è netto in
quanto entrambe hanno ad oggetto provvedimenti della stessa natura e dello stesso oggetto ai sensi dell'art. 10 1. n. 184 del 1983, anche se la sentenza meno recente non ha espressamente e con chiarezza
qualificato i provvedimenti impugnati. La massima, pertanto è stata intenzionalmente redatta in termini descrittivi del contenuto dei detti
provvedimenti, senza esprimere alcuna qualificazione. A quanto pare, tuttavia, la sentenza n. 2151 trae argomento dalla disciplina del
l'affidamento familiare, di cui agli art. 2 e 5 della legge, che invece è istituto autonomo, nei presupposti e negli effetti, dall'adozione e non
Il Foro Italiano — 1986.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 27 marzo
1985, n. 2151; Pres. Santosuosso, Est. Iofrida, P. M. Morozzo
Della Rocca (conci, conf.); Pillitteri e Signorino (Aw. Bivona
Citati) c. Cracchiolo, Angeli (Avv. Sinagra). Cassa App.
Palermo 29 agosto 1984.
Adozione — Allontanamento del minore dagli affidatari di fatto — Ricovero in istituto — Affidamento temporaneo — Ricorso
per cassazione — Ammissibilità (Cost., art. Ill; 1. 4 maggio
1983 n. 184, art. 2, 5, 10). Adozione — Allontanamento del minore dagli affidatari di fatto
— Reclamo — Legittimazione — Esclusione (L. 4 maggio 1983
n. 184, art. 10).
È ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost,
proposto avverso il decreto della corte d'appello che in sede
di reclamo abbia revocato i provvedimenti con i quali il
tribunale per i minorenni aveva ordinato l'allontanamento di
un minore dai coniugi ai quali i genitori lo avevano di fatto
affidato con scrittura privata, ne aveva disposto il ricovero in
istituto e, successivamente, dopo averne dichiarato lo stato di
adottabilità, lo aveva temporaneamente affidato ad altri coniu
gi. (2) I coniugi ai quali i genitori abbiano di fatto affidato il loro figlio
non sono legittimati a proporre reclamo avverso i decreti con i
quali il tribunale per i minorenni ordini l'allontanamento e il
ricovero in istituto del minore stesso e, successivamente, ne
disponga l'affidamento temporaneo ad altra coppia di coniu
gi. (3)
può mai costituire una fase del relativo procedimento, come invece si
sostiene nella decisione di cui si tratta. Mentre quindi la sentenza meno recente, anche in applicazione dell'art. 5 1. cit., individua come
oggetto della tutela giurisdizionale una posizione di diritto soggettivo degli affidatari in quanto titolari della potestà genitoriale, la sentenza n. 6021 afferma che funzione esclusiva dell'affidamento temporaneo è la tutela interinale degli interessi del minore. Pur nella diversità dell'individuazione dell'oggetto e della funzione della tutela, tuttavia, le
conseguenze giuridiche avrebbero dovuto essere identiche, se è vero, come correttamente argomenta la sentenza n. 6021, che in generale la
giurisprudenza prevalente è nel senso dell'inammissibilità del ricorso
per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost, avverso i provvedimenti camerali in materia di potestà dei genitori; oltre alle sentenze citate in
motivazione v. Cass. 22 gennaio 1983 n. 618, Foro it., 1984, I, 2842, con nota critica di M. G. Civinini Taffini, anche sul problema generale delle condizioni di ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost. In senso favorevole all'ammissibilità v. invece Cass. 16 giugno 1983, n. 4128, id., Rep. 1983, voce Potestà dei
genitori, nn. 11, 13; 24 febbraio 1981, n. 1115, id., Rep. 1981, voce
cit., n. 9; 17 ottobre 1980, n. 5594, id., 1981, I, 69, con nota di G. Salmè (erroneamente indicata come espressione del diverso orienta mento nella motivazione della sentenza n. 6021).
La diversità delle soluzioni alle quali sono pervenute le sentenze che si riportano può spiegarsi piuttosto con la circostanza che la prima aveva ad oggetto il provvedimento di revoca di un affidamento
temporaneo, con conseguente ritorno del minore nella famiglia degli affidatari di fatto, mentre la seconda riguardava una semplice conferma. Ma è chiaro che si tratta di spiegazione in meri termini psicologici e non di una ragione giuridica che possa sorreggere la soluzione affermata dalla sentenza n. 2151.
In dottrina, sulla questione specifica di cui alle massime riportate, vedi in senso conforme alla sentenza n. 6021 A. e M. Finocchiaro, Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, Milano, 1983, 146.
(3) Non constano precedenti giurisprudenziali in termini. In dottrina
sembrano nel senso di cui alla massima Finocchiaro, Disciplina, cit.,
146, i quali argomentano dalla espressa previsione dei genitori e del
p.m. come unici destinatari della comunicazione (art. 10, 5° comma, 1.
n. 184/83). Cass. 7 giugno 1985, n. 3403, Foro it., Mass., 638, ha ritenuto che
non sia reclamabile davanti alla corte d'appello il provvedimento del
tribunale dei minorenni che disponga in via provvisoria sull'affidamen
to fiduciario di un minore (in pendenza del procedimento per la
dichiarazione dello stato di adottabilità), in considerazione della natura
cautelare e temporanea del provvedimento stesso, privo di contenuto
decisorio su posizioni di diritto soggettivo. In senso conforme con
riferimento all'abrogato art. 314/6 c.c., App. Milano 2 dicembre 1976,
id., Rep. 1977, voce Adozione, n. 39. Sulla questione della reclamabilità davanti alla corte d'appello del
provvedimento provvisorio ex art. 10 1. 4 maggio 1983 n. 184, cfr., in
senso favorevole, Rossi Carleo, L'adozione, in Trattato di diritto
privato, diretto da Rescigno, Milano, 1985, 66; Finocchiaro, op. cit.,
146; Sacchetti, Adozione e affidamento dei minori, Rimini, 1983, 71:
questo autore afferma che, in mancanza di un'espressa indicazione, « l'obbligo di comunicare al p.m. e ai genitori il provvedimento
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