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sezione III civile; sentenza 14 dicembre 1985, n. 6345; Pres. Lo Surdo, Est. Lazzaro, P. M.Valente (concl. conf.); Bertolini (Avv. Vecchioli, Andreucci) c. Negroni (Avv. Carboni Corner,Zetti). Conferma Trib. Bergamo 11 gennaio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 12 (DICEMBRE 1986), pp. 3091/3092-3093/3094Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23181645 .
Accessed: 25/06/2014 02:46
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3091 PARTE PRIMA 3092
confermato che le successive sentenze 21 ottobre 1983, n. 6168 e 6179 (id., 1984, I, 2688 e 329), 10 maggio 1984, n. 2851 (id., Rep. 1984, voce Responsabilità contabile, n. 112) che dalla pur tenden zialmente generale giurisdizione della Corte dei conti esulano i
giudizi di responsabilità amministrativa o contabile di amministra
tori o dipendenti di enti pubblici economici per danni arrecati
agli enti medesimi nell'esercizio delle loro funzioni.
Trattasi di una meditata e ormai costante giurisprudenza dalla
quale, anche in mancanza di ogni diversa considerazaione, non
v'è motivo per discostarsi, e della quale non resta, quindi, che
fare applicazione alla fattispecie.
Della natura di ente pubblico economico dell'I.n.g.i.c. non è
a dubitare, come de plano si ricava dall'esame della disciplina normativa dell'istituto alla stregua dei criteri di individuazione
degli enti pubblici economici, ormai tralaticii nella giurisprudenza di questa corte (si vedano, fra le tante, le sentenze sopra citate).
Basti all'uopo considerare che l'I.n.g.i.c., istituito con r.d.l. 28
dicembre 1936 n. 2418, convertito in 1. 8 aprile 1937 n. 640, allo
scopo di assumere appalti per la riscossione delle imposte di
consumo ed eventualmente di altri tributi locali ovvero di riscuo
tere le imposte « per conto e nell'interesse dei comuni » (median te un rapporto che la giurisprudenza aveva definito di mandato), con versamento a questi dell'ammontare dei proventi al netto
delle spese di gestione e dell'aggio di riscossione, era chiamato
indubitabilmente a svolgere, vuoi nella forma dell'appalto che in
quella del mandato, un'attività economica diretta al conseguimento di utili; e ciò al fine di assicurare un migliore funzionamento del
servizio di riscossione delle imposte di consumo facendo entrare
in concorrenza con i privati appaltatori un istituto che peraltro
per la sua natura pubblica fornisce maggiori garanzie di serietà
e di efficienza; anche se poi, proprio per tentare di battere la
concorrenza dei privati appaltatori, l'I.n.g.i.c. ricorse ad atti quali
quelli per i quali i suoi dirigenti sono stati prima sottoposti a
giudizio penale e indi chiamati a rispondere davanti alla Corte
dei conti.
Chiaramente sintomatici sono altresì la costituzione del capitale con conferimenti per il 50 % da parte di enti pubblici economici
quali le banche; la responsabilità dei partecipanti nei limiti della
quota conferita (art. 1 r.d.l. istitutivo), la prestazione di cauzione
ai sensi degli art. 81 e 87 t.u. per la finanza locale come ogni appaltatore privato (art. 2); il controllo sulla gestione dell'ente
esercitato da un collegio di revisori analogo al collegio sindacale
delle società {art. 7); la determinazione degli utili a compenso del
capitale (art. 9); la previsone della messa in liquidazione (art. 10) in caso di perdita di metà del capitale o cessazione dell'oggetto come per le società commerciali; l'iscrizione all'albo degli appal tatori (art. 2, ult. comma, r.d.l. 29 aprile 1940 n. 473) come per ogni altro privato appaltatore.
Del resto: tale sua natura è stata sempre ritenuta pacifica, come incidentalmente affermato dalla Cassazione 27 ottobre 1980, n. 5765 (id., Rep. 1980, voce Impiegato dello Stato, n. 1289), e
come implicitamente ma inequivocabilmente presupposto dalle
numerosissime decisioni del giudice ordinario che hanno giudicato in ordine al rapporto di impiego di dipendenti dell'istituto,
sempre ritenuto di natura privatistica e perciò soggetto alla
giurisdizione di detto giudice, e non dunque di quello ammini strativo (fra le tante, Cass. 27 luglio 1983, n. 5170, id., Rep. 1983, voce Lavoro (rapporto), n. 1188; 25 ottobre 1983, n. 6306, ibid., n.
1212; 6 gennaio 1983, n. 104, ibid., voce Prescrizione, n.
38; 3 giugno 1982, n. 3379, id., Rep. 1982, voce Impiegato dello
Stato, n. 352; 21 dicembre 1982, n. 7086, ibid., voce La voro (rapporto), n. 513; 27 maggio 1982, n. 3251, ibid., n.
1593; 9 novembre 1981, n. 5936, id., Rep. 1981, voce cit., n.
1260; 2 giugno 1981, n. 3560, ibid., n. 1424; 3 marzo 1980, n.
1423, id., Rep. 1980, voce Cassazione civile, n. 278; 28 agosto 1980, n. 4999, ibid., n. 147; 2 settembre 1980, n. 5057, ibid., voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 282; 30 agosto 1980, n. 5041, ibid., voce Sentenza civile, n. 108; 7 dicem bre 1978, n. 5824, id., Rep. 1978, voce Impiegato dello Sta
to, n. 599; 2 febbraio 1977, n. 5234, id., Rep. 1977, voce Lavoro (rapporto), n. 440; 7 novembre 1973, n. 2904, id., Rep. 1973, voce Impiegato dello Stato, n. 32; 29 aprile 1974, n. 1209, id., Rep. 1974, voce Lavoro (rapporto), n. 287; 20 marzo 1974, n.
776, ibid., n. 289; 11 giugno 1973, n. 1684, id., Rep. 1973, voce Previdenza sociale, n. 256; 29 ottobre 1971, n. 3088, id., Rep. 1971, voce Lavoro (rapporto), n. 267; 10 novembre 1971, n. 3209, ibid., n. 470; 15 luglio 1968, n. 2547, id., Rep. 1968, voce
Esazione, n. 49; 13 agosto 1966, n. 2219, id., Rep. 1966, voce Lavoro (competenza), n. 33).
Parimenti indubbio è che gli atti da cui si sostiene essere
derivato danno all'ente sono stati compiuti non nell'esercizio di
poteri di organizzazione e per il conseguimento di pubbliche
finalità, bensì nell'ambito e per le finalità della gestione imprendi toriale.
Invero nello stesso atto di citazione davanti alla Corte dei
conti si legge che « il presidente dell'I.n.g.i.c., i dirigenti centrali
di esso istituto e i direttori provinciali, al fine di ottenere quante
più gestioni di imposte di consumo potessero, da parte dei
comuni, misero in atto una capillare e, pervero, efficiente opera di corruzione, in modo da riuscire avvantaggiati nei confronti di
altri aspiranti alle gestioni stesse e cioè dei privati concorrenti ».
Dunque gli atti addebitati furono compiuti allo scopo di
incentivare l'assunzione degli appalti e del servizio di riscossione
per conto e nell'interesse dei comuni, che, come si è visto,
rappresentano lo scopo immediato e diretto per il quale fu
istituito l'I.n.gj.c. In accoglimento del ricorso va dunque dichiarato il difetto di
giurisdizione della Corte dei conti. (.Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza
14 dicembre 1985, n. 6345; Pres. Lo Surdo, Est. Lazzaro, P. M. Valente (conci, conf.); Bertolini (Avv. Vecchioli, An
dreucci) c. Negroni (Avv. Carboni Corner, Zetti). Conferma Trib. Bergamo 11 gennaio 1982.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione —
Superficie convenzionale — Superficie condominiale a verde —
Nozione — Costituzione in corso di contratto — Diritto del locatore all'adeguamento del canone — Sussistenza (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art.
13, 25).
Costituisce superficie condominiale a verde, valutabile ex art. 13 lett. f, l. 392/78, ai fini della determinazione della misura legale del canone delle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso
abitativo, anche un semplice prato non attrezzato, spoglio di
piante e privo di recinzione verso la pubblica via. (1) Ai sensi dell'art. 25 l. 392/78, la trasformazione a verde di una
superficie condominiale scoperta, attuata nel corso di svolgi mento del rapporto locatizio, dà al locatore diritto all'adegua mento del canone anche se il conduttore non sia stato
interpellato o non vi abbia aderito. (2)
Motivi della decisione. — Denunciando violazione e falsa
applicazione dell'art. 13 I. n. 392 del 1978, il Bertolini si duole,
<1) In senso sostanzialmente conforme, v., tra i giudici di merito, Pret. Taranto 19 novembre 1982, Foro it., Rep. 1983, voce Locazione, n. 412, che include nella nozione di « verde condominiale » ogni superficie libera idonea a ricoprirsi di vegetazione, che, recintata o meno, sia riservata al godimento del conduttore in concorso con gli altri abitanti; nonché Pret. Roma 29 luglio 1960, id., 1982, I, 1196, con nota di richiami, che ritiene l'espressione « superficie a verde » com prensiva « delle aree a prato o ricoperte di vegetazione ad alto o basso fusto » e, altresì, degli spazi accessori, inseriti nelle zone verdi, destinati a servizi ricreativi o ad aree per giochi (c.d. « verde attrezzato »). Acide: Trib. Genova 6 marzo 1985, Arch, locazioni, 1985, 737, e Pret. Pontedecimo 29 giugno 1983, ibid., 737, che ritengono valutabile ai fini della determinazione del canone il solo « verde attrezzato », con esclusione delle superfici scoperte « allo stato naturale », nonché (Pret. Firenze 25 ottobre 1985, ibid., 157, in relazione ad una fattispecie riguardante un terreno, di notevoli dimen sioni, destinato a giardino e bosco.
iln dottrina v., altresì', P. Cosentino-P. Vitucci, Le locazioni dopo le riforme del 1978-1985, Torino, 1986, 199, ad avviso dei quali « super ficie a verde » deve intendersi in senso stretto con esclusione di ogni altra destinazione.
Il principio espresso nella massima si fonda sulla considerazione che lo spazio verde accresce, in termini di « godimento estetico », « vivibili tà » e « riservatezza », il valore dell'alloggio e ne giustifica un più alto canone. La maggior riservatezza garantita dall'immobile locato è positivamente valutata dalla Cassazione anche in relazione alle decisio ni relative alla definizione del «piano attico»; sent. 21 novembre 1984, n. 5948, Foro it., 1985, li, 755, con nota di richiami e 4 giugno 1985, n. 3314, id., Rep. 1985, voce cit., n. 395.
(2) Nello stesso senso, v., nella motivazione, Trib. Genova 6 marzo 1985, cit.
In dottrina sull'« adeguamento » del canone ex art. 25 1. 392/78, v. G. 'Potenza-C. ChiriccmM. Annunziata, L'equo canone, Milano, 1978, 235; A. M. Marchio, in AA.VV. Equo canone, Padova, 1980, 220, sub art. 25, 1. n. 392/78; e, da ultimo, Cosentino-Vitucci, op. cit., 231.
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
con il primo mezzo di censura, che il tribunale abbia qualificato come « condominiale » un'area che, essendo aperta verso pubblica
via, era usufruibile da qualsivoglia persona; essa, inoltre, costitui
va esclusivamente un ornamento dell'edificio, non essere usufruibi
le dai condomini, per le tipiche attività del tempo libero, man
cando ogni attrezzatura. Si trattava, insomma, di uno « spoglio
prato », che non concretava la nozione di « area condominiale a
verde » voluta dalla norma.
Tale censura è infondata. Invero, ad avviso del collegio, l'addendo costituito del 10 % della superficie condominiale a
verde, nella misura corrispondente alla quota millesimale della
unità immobiliare (art. 13, lett. /, 1. n. 392/78) — che si traduce
in una maggiore « superficie convenzionale » e in un più elevato
corrispettivo per il godimento del bene locato — ha la preminen te finalità di incentivare « la destinazione a verde delle superficie condominiali scoperte » (come è detto nella relazione del governo al parlamento sull'applicazione della legge dell'equo canone), per una valorizzazione del complesso condominiale dal punto di vista
estetico ed ambientale: è, infatti, certamente più appetitibile un
edificio circondato da un prato — specie se tutti gli immobili
della zona presentano tale caratteristica — rispetto ad uno che
presenta cortili ricoperti da cemento o da sterpaglie, che talvolta
diventano ricettacoli di "sporcizia ed habitat ideale di insetti ed
altri animali sgradevoli. È quello che, negli strumenti urbanistici,
normalmente viene qualificato come verde privato, diverso dal
verde pubblico, attrezzato a parco per il gioco e per lo sport.
Troppo ovviamente, siffatte aree possono presentarsi in maniera
più o meno godibile, potendo talune di esse — ove arricchite di
fiori, piante, panchine, ecc. — impreziosire lo svolgimento della
vita dei condomini, che possono in esse trascorrere momenti di
relax, sedendo sulle panchine, passeggiando, ecc.; tuttavia anche
un semplice prato realizza quel minimo di godimento estetico, di
più serena visibilità dell'abitazione e di riservatezza che il legisla tore ha mostrato di valorizzare con la norma in esame. Per
l'applicabilità della quale, di conseguenza, non è necessaria la
presenza di attrezzature.
Non rileva poi, ai fini della qualifica di condominiale dell'area,
la circostanza che essa sia priva di recinzione verso la pubblica
via, non incidendo siffatto stato dei luoghi né sulla qualificazione
giuridica (dato questo sul quale lo stesso ricorrente mostra di
convenire), né su quella godibilità estetico-ambientale della quale
s'è discorso.
Il convincimento del giudice di merito, che ha esattamente
individuato la nozione di superficie condominiale a verde, non
merita pertanto censura.
Il Bertolini si duole poi, con il secondo motivo del ricorso, che
il tribunale abbia reputato che le migliorie all'immobile locato
atte ad incidere sui parametri di determinazione dell'equo canone
possano essere effettuate dal locatore, in corso di svolgimento del
rapporto, anche senza il consenso del conduttore. In particolare, ad avviso del ricorrente, ingongruo appare il richiamo all'art.
1592 c.c., il quale considera i miglioramenti apportati alla cosa
locata dal conduttore (e non dal locatore); mentre, per altro
verso, non era risolutivo il richiamo all'art. 25 1. n. 392/78, in
quanto la modifica ivi prevista presuppone l'accordo delle parti
od il factum principis. In mancanza di essi, doveva trovare
applicazione il disposto dell'art. 1346 c.c. in ordine alla unilatera
le immodificabilità dell'oggetto del contratto.
Osserva questa corte che certamente incongruo appare il ri
chiamo, operato dal giudice del merito, all'art. 1592 c.c., il quale
concerne i miglioramenti apportati alla cosa locata dal condutto
re; detto giudice, tuttavia, ha considerato, da una parte, che il
locatore ha certamente diritto ad effettuare sulla cosa innovazioni
che ne aumentino il godimento, traendo argomento, a contrario,
dall'art. 1582 c.c. (che vieta le innovazioni che il godimento
diminuiscano); ha, d'altra parte, rilevato che l'art. 25 1. n. 392/78 — da collocare nel sistema caratterizzato dall'intenzione del
legislatore di incentivare i proprietari ad eseguire interventi
sull'immobile, onde ovviare al degrado del patrimonio edilizio —
stabilisce che ciascuna delle parti, in ogni momento del rapporto
contrattuale, ha diritto all'adeguamento del canone in relazione
all'eventuale mutamento degli elementi di cui agli art. 13 (su
perficie convenzionale) e 15 (coefficienti correttivi del costo base)
della stessa legge. Siffatto iter argomentativo (con esclusione del richiamo all'art.
1592 c.c.) appare, ad avviso del collegio, rispondente ad esatta
interpretazione della normativa vigente.
Invero, l'art. 1582 c.c. — che certamente consente al locatore di
effettuare innovazioni, anche senza il consenso della controparte,
che non diminuiscano il godimento della cosa — deve essere
coordinato con il richiamato art. 25 1. n. 392/78 il quale ha inteso
affermare una continua corrispondenza tra la maggiore o minore
godibilità dell'immobile ed il corrispettivo (equo canone). Orbene,
nessun problema si pone ove le condizioni nuove siano state
realizzate sull'accordo delle parti ovvero derivino da factum princi
pis (ad esempio, mutamento della zonizzazione) e da eventi natura
li (ad esempio, diminuzione od aumento degli abitanti del comu
ne): tali ultimi eventi, tuttavia, non sarebbero mai idonei a
coinvolgere la superficie convenzionale, sulla quale essi accadi
menti, per cosi dire estranei, non possono, in ipotesi, avere alcun
peso. Accogliendo la tesi del ricorrente, pertanto, dovrebbe trarsi
la conclusione che, con riguardo al dato di cui all'art. 13 1. n.
392/78 (che è quello che interessa il caso in esame), un adegua
mento del canone — in difetto di accordo — potrebbe aversi
solo a vantaggio del conduttore, per il caso di crolli, abbandono
dell'area a verde (trasformata in terreno incolto), ecc., fatti tutti
idonei a diminuire la superficie convenzionale medesima. Siffatta
interpretazione però urta con il dato testuale della norma, per la
quale l'adeguamento del canone può essere richiesto, in ogni
momento del rapporto contrattuale, da « ciascuna delle parti » e,
quindi, anche dal locatore, proprio sul presupposto di un muta
mento (necessariamente in aumento) della superficie convenziona
le. 11 che, a guardar bene, ben diffìcilmente può avvenire per
mera volontà del condominio-locatore, essendo sovente conseguenza
di una decisione dell'assemblea condominiale (si pensi al giardino
che viene assegnato in godimento esclusivo ai condomini del
piano terreno e, quindi, viene ad essere considerato ai sensi della
lett. e dell'art. 13). E poiché l'esistenza di un eventuale accordo delle parti avrebbe
reso del tutto inutile la disposizione in parola, deve concludersi
che — tenuto conto del sistema della 1. n. 392/78 che esige la
continua corrispondenza tra godimento dell'immobile e misura
dell'equo canone, con conseguente suo adeguamento (in aumento
o diminuzione) ove si verifichino mutamenti della superficie
convenzionale; nonché della finalità della legge stessa di favorire
ed incentivare la destinazione a verde delle superfici condominali
scoperte — il locatore ha diritto all'adeguamento del canone, a
seguito della trasformazione a verde di una superficie condominiale
scoperta, attuata nel corso di svolgimento del rapporto locatizio,
anche se il conduttore non sia stato interpellato in ordine a tale
trasformazione od alla stessa non abbia aderito.
Anche la seconda censura dev'essere pertanto disattesa. (Omis
sis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 11 dicembre
1985, n. 6261; Pres. La Torre, Est. Arena, P. M. Caristo
(conci, conf.); Ninni <Avv. Della Pietra) c. Min. tesoro <Avv.
dello Stato Caramazza). Conferma Trib. Napoli 21 maggio
1981.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Appello —
Rimessione della causa al primo giudice — Tassatività —
Esclusione (Cod. proc. civ., art. 353, 354).
Nel processo del lavoro il giudice d'appello deve rimettere la
causa al primo giudice ex art. 354, 2° comma, c.p.c., e non
può decidere nel merito, qualora riformi l'ordinanza (giuridica sostanzialmente sentenza) con la quale il pretore aveva rigettato il reclamo avverso la precedente ordinanza di estinzione del
processo. (1)
(1) I. - La sentenza trova un suo precedente specifico in Trib.
Napoli 21 maggio 19S1, Foro it., 1981, I, 2858, con nota di G.
Balena. IPer quanto concerne la rimessione della causa al giudice di primo
grado nel processo del lavoro fondamentale, cfr. Trib. Napoli 17
gennaio 1980, id., 1980, 1, 475, e in Riv. dir. proc., 1980, 555, con nota di Olivieri, Nullità del decreto di fissazione dell'udienza, nullità della citazione e rimessione al primo giudice nel processo del
lavoro, e in Dir. e giur., 1981, 431 con nota di Balena, Sulla nullità
del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione nel
processo del lavoro, ove si è negato che la violazione dei termini
minimi a comparire di cui all'art. 415 c.p.c., non sanata in primo grado e rilevata in appello, possa consentire la rimessione della causa al pri mo giudice.
Su temi analoghi può vedersi inoltre Lorenzotti, Interruzione e
rimessione della causa al primo giudice nel nuovo processo di lavoro, in Giur. merito, 1877, 92, e Lepore, Mancata comunicazione dell'udien
Il Foro Italiano — 1986.
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