sezione III civile; sentenza 16 maggio 2003, n. 7632; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. FinocchiGhersi (concl. conf.); Dalla Costa e altri (Avv. Manzi, Dal Lago) c. Soc. Ras (Avv. Spadafora) ealtri. Conferma App. Venezia 18 ottobre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 10 (OTTOBRE 2003), pp. 2681/2682-2689/2690Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198700 .
Accessed: 25/06/2014 05:23
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 05:23:36 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
mazione dell'efficacia del giudicato penale nel giudizio civile,
giustamente criticata dal ricorrente con censura che comunque non può travolgere la sentenza impugnata per quanto sopra
esposto. In definitiva il Tribunale di Napoli ha sostanzialmente fatto
corretta applicazione dei principi sopra enunciati ed ha dato ra
gione della propria decisione con motivazione congrua ed im
mune da contraddizioni e vizi logici. La sentenza impugnata re
siste dunque validamente a tutte le censure del ricorrente.
Il ricorso pertanto deve essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 16
maggio 2003, n. 7632; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. Fi
nocchi Ghersi (conci, conf.); Dalla Costa e altri (Avv. Man
zi, Dal Lago) c. Soc. Ras (Avv. Spadafora) e altri. Confer ma App. Venezia 18 ottobre 2000.
Danni in materia civile — Lesioni mortali — Morte dopo un
apprezzabile lasso di tempo — Danno biologico terminale — Criterio di quantificazione (Cod. civ., art. 2043).
Danni in materia civile — Lesioni mortali — Morte dopo un
apprezzabile lasso di tempo — Danno morale — Criterio
di quantificazione (Cod. civ., art. 2059).
In caso di morte causata da lesioni dopo un apprezzabile lasso
di tempo, la quantificazione del danno biologico terminale
(quale danno alla salute che, se pur temporaneo, è massimo
nella sua entità ed intensità) va effettuata in considerazione delle peculiari caratteristiche del pregiudizio. ( 1 )
Posto che la liquidazione del danno biologico terminale va ef
fettuata personalizzando i criteri risarcitori e conformandoli alla peculiarità del caso concreto, il danno morale derivante
da una grave invalidità (tanto più se conduca a morte il sog
getto) non può essere liquidato con somme irrisorie. (2)
(1-2) I. - La pronuncia in rassegna, in linea con il consolidato orien tamento della giurisprudenza di legittimità (v., da ultimo, Cass. 4 aprile 2003, n. 5332, Foro it., Mass., 457; 7 marzo 2003, n. 3414, ibid., 301; 24 febbraio 2003, n. 2775, ibid., 244) afferma che, nel caso di morte
conseguente, nell'immediato o a breve distanza di tempo, alle lesioni determinate da fatto illecito, non è configurabile un danno biologico da
perdita della vita perché: a) la morte non costituisce la massima lesione del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita; b)
per il bene della vita non è concepibile un risarcimento per equivalente, posto che il risarcimento del danno non svolge una funzione sanziona toria ma di reintegrazione e riparazione degli effettivi pregiudizi; c) la
vittima, finché è in vita, non subisce alcuna perdita e, da morta, non è in grado di acquisire alcun diritto ex art. 2043 c.c. da trasmettere iure
hereditaria, d) come pone in evidenza Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372 (id., 1994, 1, 3297, con nota di G. Ponzanelli, La Corte costituzio nale e il danno da morte), nel nostro ordinamento il sistema risarcitorio non costituisce l'unico mezzo di protezione del diritto alla vita ampia mente tutelato in sede penale e, pertanto, l'interpretazione giurispru denziale che statuisce l'irrisarcibilità del danno da morte non contrasta con i principi emersi nell'ambito dell'ordinamento comunitario.
Contra, nella giurisprudenza di merito, Trib. Brindisi 5 agosto 2002, Trib. Messina 15 luglio 2002 e Trib. Foggia 28 giugno 2002, id., 2002, I, 3494, con ampia nota di richiami cui si rinvia per ulteriori riferimen ti.
Invero, i giudici di legittimità, con la decisione in epigrafe, ribadi scono che, se l'evento morte è stato causato dalle lesioni, l'unico danno
biologico risarcibile è quello correlato all'inabilità temporanea per il
tempo di permanenza in vita, perché l'invalidità permanente sorge al
lorquando l'individuo, cessata la malattia, non sia riuscito a riacquisire completamente il suo equilibrio psico-fisico, non quando la malattia si risolva in un esito letale.
In perfetta sintonia con l'affermazione testé richiamata, Cass. 24 febbraio 2003, n. 2775, cit., ha recentemente statuito che la morte del
soggetto offeso, anche se avvenuta dopo un apprezzabile intervallo di
Il Foro Italiano — 2003.
Svolgimento del processo. — Con citazione notificata il 28
novembre 1995, Dalla Costa Antonio, Zanin Angelina, Dalla
Costa Vannia, Duso Domenica, e Zanin Marco, in proprio, e
Zanin Angela e Zanin Marco, quali eredi della madre Pierantoni
Annamaria, nonna di Dalla Costa Diego, esponeva che il loro
congiunto Dalla Costa Diego, mentre percorreva il 13 aprile 1995, una via del centro abitato di Fara Vicentino, veniva in
collisione con l'autovettura Mercedes condotta da Tedeschi
Giuseppe, di proprietà dello studio tecnico di Giuseppe Tede
schi s.n.c. ed assicurata con La Previdente s.p.a., che, uscendo a
tempo dalle lesioni provocategli, non consente di ritenere che a suo fa vore sia maturato un diritto di credito da danno biologico «consolida
to», da liquidarsi «come se» fosse sopravvissuto alle lesioni per il tem
po corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita, con la conseguen za che il credito trasmissibile agli eredi è esclusivamente quello da danno biologico subito per l'effettiva durata della sopravvivenza. Cfr., in tal senso, da ultimo, Trib. Avellino 27 novembre 2002, Dir. e giusti zia, 2003, fase. 8, 84, con nota di M. Rossetti, Danno biologico e morte della vittima, il risarcimento va commisurato alla durata effetti va della vita.
Per meglio comprendere questa enunciazione si osservi come Cass. 4
aprile 2003, n. 5332, cit., e Trib. Roma 15 aprile 2003, giud. Pernigotti, Caltabiano c. Soc. Vittoria, per quanto consta inedita, asseriscono che, se invece la morte non è stata causata dalle lesioni, ma sopravviene per altre cause quando le lesioni sono già guarite con postumi, il danneg giato al momento della dipartita ha già acquisito al suo patrimonio il di ritto al risarcimento del danno biologico da invalidità permanente resi duata al sinistro (diritto trasmissibile agli eredi), sì che non si versa più in ipotesi di danno biologico da inabilità assoluta temporanea cui con
segua la morte. Diversamente, in caso di decesso, per procedere alla li
quidazione del danno il giudice dovrà tener conto della durata effettiva della vita del danneggiato, non essendo più ipotizzabile un danno futuro con riferimento a criteri probabilistici.
D'altro canto, la sentenza su riportata, discostandosi dai recentissimi
precedenti testé evocati, dichiara che il danno biologico c.d. terminale
(id est il danno biologico da inabilità temporanea assoluta patito dal de cuius in un limitato, ma pur sempre apprezzabile, lasso di tempo tra la lesione del bene salute e la morte conseguente a tale lesione) va quanti ficato in considerazione delle peculiari caratteristiche del pregiudizio, trattandosi nella specie di un danno alla salute che se, pur temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità. La differenza tra il danno bio
logico da invalidità temporanea assoluta e la nuova figura di danno
biologico terminale, a parere della corte, è data dal fatto che in que st'ultima ipotesi l'aggressione subita dalla salute dell'individuo incide anche sull'attitudine di quest'ultima a recuperare (in tutto o in parte) le funzionalità perdute o quanto meno stabilizzarsi sulla perdita funzio nale già subita. A tal proposito sembra opportuno sottolineare la discra sia fra Cass. 7 marzo 2003, n. 3414, cit., che, confermando App. Pa lermo 17 giugno 1999, ritiene congrua liquidazione l'irrisoria somma di lire 3.250.000 (ammontare ricavato da una valutazione del danno bio
logico da invalidità temporanea totale di lire 50.000 al giorno moltipli cate per sessantacinque giorni di invalidità) rispetto all'odierna pronun cia, che conferma la liquidazione dei giudici di appello, valutando il danno pari a lire 62.500.000. Orbene, la differenza non è di poco rilievo se si considera che, qualora i giudici di legittimità, anche con la deci
sione in rassegna, avessero utilizzato i criteri di quantificazione del cri stallizzato orientamento in materia avrebbero liquidato soltanto l'esi
guo importo (riconosciuto, per la verità, in primo grado dal Tribunale di Vicenza) di lire 630.000 (id est invalidità temporanea totale di lire
63.000 al giorno moltiplicata per dieci giorni). La corte, invece, quanti fica il danno biologico terminale sofferto dall'individuo nell'intervallo di tempo tra le lesioni e la morte, riconoscendogli una somma dieci volte superiore a quella corrispondente alla semplice invalidità tempo ranea assoluta.
II. - Per quel che concerne il danno morale patito dalla persona offe
sa, trasmissibile iure hereditatis ai familiari, il Supremo collegio ritiene che la liquidazione vada operata in considerazione della valutazione del
danno biologico terminale e, per esattezza, si concretizzi in una frazio
ne di quest'ultimo (nel caso di specie, la metà). In senso conforme, af fermano la risarcibilità, iure successionis, del danno morale da lesione, cui sia conseguita la morte del danneggiato dopo un apprezzabile lasso di tempo, quantificandolo in ragione del danno biologico patito dalla
vittima, Cass. 7 marzo 2003, n. 3414, cit.; 14 marzo 2002, n. 3728, Fo
ro it., Rep. 2002, voce Danni civili, n. 217; 3 gennaio 2002, n. 24, ibid., n. 216; 11 agosto 2000, n. 10725, id., Rep. 2001, voce cit., n. 207; 19
gennaio 1999, n. 475, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 266, e, per esteso, Guida al dir., 1999, fase. 5. 51, con nota di Cimapi; Trib. Milano 31
maggio 1999, Foro it.. Rep. 2000, voce cit., n. 176, e, per esteso. Dan
no e resp., 2000, 67, con nota di R. Caso, Danno per lesione del rap
porto parentale: tra esigenze di giustizia e caos risarcitorio', 12 dicem
This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 05:23:36 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2683 PARTE PRIMA 2684
retromarcia da un accesso privato, si immetteva con manovra di
svolta a sinistra sulla pubblica via, intersecando la traiettoria di
marcia del motociclista Dalla Costa, che cadeva sulla carreg
giata, finendo nella corsia opposta, ove veniva travolto dal se
mirimorchio di proprietà di Chiarcosso Sandro, trainato dalla
matrice condotta da Maoret Luigi e di proprietà dell'Autotra
sporti Chiarcosso s.r.l., assicurata con L'Italica s.p.a.; che il
Dalla Costa Diego riportava lesioni gravissime e, sottoposto a
vari interventi chirurgici, decedeva dopo 10 giorni. Gli attori, pertanto, convenivano davanti al Tribunale di Vi
cenza i vari suddetti convenuti per sentirli condannare in solido
al risarcimento dei danni, che quantificavano nell'importo com
plessivo di lire 1.399.000.000. Si costituivano i convenuti che resistevano alla domanda.
Il Tribunale di Vicenza, con sentenza del 1° luglio 1998, ac
certata l'esclusiva responsabilità del Tedeschi nella produzione dell'evento, condannava questi, lo studio tecnico di Giuseppe Tedeschi s.n.c. e La Previdente assicurazioni, al risarcimento
dei danni nella misura di lire 246.000.000, già detratto l'acconto
di lire 200.000.000 versato da La Previdente, oltre agli interessi
legali. Rigettava la domanda contro Maoret Luigi e gli altri
convenuti, condannando gli attori al pagamento delle spese pro cessuali.
Avverso questa sentenza proponevano appello gli attori.
La Corte d'appello di Venezia, con sentenza depositata il 18
febbraio 2000, condannava Tedeschi, lo studio Tedeschi s.n.c. e
La Previdente al pagamento della residua somma di lire
bre 1998, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 167; Trib. Napoli 23 settem bre 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n. 202, dove, per converso, si esclu
de la configurabilità del danno morale del danneggiato e, quindi, la sua trasmissibilità ai congiunti in considerazione della morte a distanza di un'ora e mezzo dall'evento lesivo; Trib. Ascoli Piceno 25 febbraio
1998, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 165; Trib. Monza 30 gennaio 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 189; 28 ottobre 1997, id.. Rep. 1999, voce
cit., n. 194, e, per esteso, Resp. civ., 1998. 1102, con nota di G.P. Miot
to; Trib. Massa Carrara 19 dicembre 1996, Foro it., Rep. 1997, voce
cit., n. 177, e, per esteso, Danno e resp., 1997, 354, con nota di G. Co
mande, Verso una moltiplicazione delle tabelle?', Trib. Latina 4 aprile 1996, Foro it.. Rep. 1997, voce cit., n. 171; Trib. Trento 19 maggio 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 173; Trib. Torino 31 marzo 1995, id.,
Rep. 1996, voce cit., n. 148; Trib. Nuoro 3 dicembre 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n. 179, e, per esteso, Riv. giur. sarda, 1992, 462, con nota di G. Deiana; Cass. 6 ottobre 1994, n. 8177, Foro it., 1995, I, 1852, con nota di R. Caso, cui si rinvia per ulteriori indicazioni.
Contra, App. Cagliari-Sassari 16 febbraio 1998, id.. Rep. 2000, voce
cit., n. 201, e, per esteso, Riv. giur. sarda, 1999, 645, con nota di F.
Nissardi, Ancora sul risarcimento dei danni derivanti dall'uccisione del familiare.
Da segnalare, altresì, App. Napoli 10 luglio 2000, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 152, e, per esteso, Riv. giur. circolai, e trasp., 2000,
946, che si discosta dall'orientamento giurisprudenziale maggioritario affermando che, anche se nel caso di lesioni personali seguite quodam tempore dalla morte del leso, quest'ultimo non acquista — e quindi non trasmette agli eredi — il diritto al risarcimento del danno biologico poiché la durata della sopravvivenza è tale da non rendere misurabile la concreta incidenza delle lesioni sulla qualità della residua vita del dan
neggiato, la persona deceduta può tuttavia acquistare il diritto al risar cimento del danno morale.
In ordine al criterio di quantificazione del danno morale patito dai
prossimi congiunti iure proprio, cfr. Trib. Palermo 25 giugno 2001, Foro it., 2001, I, 3198, con nota di R. Caso, e la giurisprudenza ivi ri chiamata.
III. - Per un primo commento alla sentenza in epigrafe, cfr. M. Capu
ti, Tra Pilato e La Patisse: ovvero, quando il fatto morte determina il danno tanatologico. ma il relativo risarcimento non contempla il fatto morte, in Danno e resp., 2003, in corso di pubblicazione.
In dottrina, per un approfondimento della tematica del danno per la
perdita dei prossimi congiunti, cfr. R. Conti, Il danno morale da morte del congiunto e l'obbligo di motivazione, ibid., 26; B. Tassone, Omici di di mafia: risarcimento ai congiunti e danni morali, id., 2002, 47; V.
Severi, in Corriere giur., 2001, 1319; B. Farsaci, Il risarcimento del danno morale ai congiunti della persona lesa nella salute: una contro versa parabola evolutiva ed involutiva, in Assicurazioni, 2001, II, 2, 15; G. Bertuetti, Danno del congiunto e danno alla salute, Padova, 2001.
Fra le più recenti trattazioni sul danno alla persona, v. F.D. Busnelli, Il danno alla persona al giro di boa, in Danno e resp., 2003, 237; M.
Rossetti, Il danno da lesione della salute - Biologico - Patrimoniale -
Morale, Padova, 2001; G. Barzazi-P. Bosio-A. Demori-D. Roncali, Il danno da morte biologico e morale, Padova, 2000. [A.L. Bitetto]
Il Foro Italiano — 2003.
305.000.000, con gli interessi legali e rivalutazione, secondo i
criteri ivi indicati.
Riteneva la corte di merito che il danno biologico iure here
ditatis, richiesto dagli attori e riconosciuto dal tribunale, non
poteva essere liquidato in complessive lire 630.000 per giorni 10 di sopravvivenza della vittima e cioè nella misura di lire
63.000 al giorno, come ritenuto dal primo giudice, tenuto conto
che esso era massimo nella sua entità, avendo le lesioni portato a morte il ragazzo, nonostante la breve durata di giorni 10. Per
tanto detto danno biologico veniva liquidato in lire 62.500.000.
Riteneva il giudice di appello che era equa la liquidazione del
danno morale riportato dal ragazzo in detti 10 giorni, nella mi
sura di lire 30.000.000, già liquidata dal tribunale; riliquidava il danno morale subito dai prossimi congiunti nella misura com
plessiva di lire 326.000.000, e rigettava l'appello degli attori
avverso la condanna al pagamento delle spese in favore di Mao
ret, Chiarcosso, Autotrasporti Chiarcosso e L'Italica s.p.a., poi ché gli attori erano soccombenti rispetto agli stessi, in cui favore
condannava gli appellanti anche al pagamento delle spese pro cessuali di secondo grado.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassa
zione gli attori.
Resiste con controricorso esclusivamente la Ras s.p.a., incor
porante L'Italica s.p.a. Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Non si sono costituiti gli altri intimati.
Motivi della decisione. — 1.1.- Con il primo motivo di ricor
so i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di
norme di diritto in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., con parti colare riguardo al risarcimento del danno da morte.
Assumono i ricorrenti che erratamente la sentenza impugnata ha ritenuto l'irrisarcibilità a norma dell'art. 2043 c.c. del danno
da morte. Ritengono i ricorrenti che, costituendo il diritto alla
vita il massimo diritto inviolabile dell'uomo, a norma dell'art. 2
Cost., nonché dei trattati internazionali ratificati dall'Italia ed ai
quali il nostro ordinamento si deve necessariamente armonizza
re a norma dell'art. 10 Cost., la perdita della vita va necessaria
mente risarcita a norma dell'art. 2043 c.c. per la lesione in sé e
non per le conseguenze negative, patrimoniali, non patrimoniali o esistenziali.
1.2. - In ogni caso lamentano i ricorrenti che, essendo inter
venuta la morte, come conseguenza delle lesioni causate dal
fatto illecito, dopo 10 giorni, il diritto al risarcimento del danno
biologico era ormai interamente entrato nel patrimonio della
vittima Diego Dalla Costa e che pertanto poteva essere doman
dato per l'intero dai suoi eredi, attuali ricorrenti.
2.1. - Ritiene questa corte che il motivo sia infondato e che,
quindi, vada rigettato. Infatti la domanda di risarcimento del danno «da perdita del
diritto alla vita» subito dal de cuius e da questi trasmesso agli eredi è infondata.
Infatti come questa corte ha più volte rilevato in tema di dan
no biologico, richiesto iure hereditatis, ma il discorso è identico
per la richiesta di danno da perdita del diritto alla vita, detto an
che danno tanatologico, la lesione dell'integrità fisica con esito
letale, intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione
possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuri dico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del
soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimo nio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di
tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo
strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzio
natoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente con
nesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in
natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere
(Cass. 25 febbraio 2000, n. 2134, Foro it., Rep. 2000, voce
Danni civili, n. 169; 25 febbraio 1997, n. 1704, id., Rep. 1997, voce cit., n. 180; 20 gennaio 1999, n. 491, id., Rep. 2001, voce
cit., n. 150; 10 settembre 1998, n. 8970, id., Rep. 1999, voce
cit., n. 202; Corte cost. 372/94, id., 1994,1, 3297). 2.2. - Per il bene della vita è inconcepibile una forma di risar
cimento anche solo per equivalente (Cass. 14 febbraio 2000, n.
This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 05:23:36 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1633, id., Rep. 2001, voce cit., n. 149): infatti, con riguardo alla
lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del
suo titolare e da questi fruibile solo in natura, è impossibile un
risarcimento per equivalente, che operi quando tale persona ab
bia cessato di esistere.
2.3. - Inoltre, attraverso questa via, tenuto conto che il sog
getto che perde la vita non è in grado di acquistare un diritto ri
sarcitorio, perché finché è in vita non vi è perdita e quando è
morto da una parte non è titolare di alcun diritto e dall'altra non
è in grado di acquistarne, si finirebbe per assegnare alla tutela
dell'art. 2043 c.c. una funzione solo sanzionatrice (o di pena
privata), mentre pacificamente la sua funzione è quella risarcito
ria.
2.4. - Né si può ritenere, come sostengono i ricorrenti, che il
predetto orientamento si pone in contrasto con l'art. 2 Cost., con
la convenzione europea sui diritti dell'uomo del 4 novembre
1950, con la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del
10 dicembre 1948, con il patto internazionale sui diritti civili e
politici, del 16 dicembre 1966, tutti ratificati dall'Italia, con ap
posite leggi. Infatti, a parte il rilievo che detto orientamento è stato fatto
proprio dalla Corte costituzionale con sentenza 372/94, va os
servato che il sistema risarcitorio non è l'unico mezzo di tutela
e che nel nostro ordinamento il diritto alla vita è ampiamente tutelato in sede penale (ex multis, art. 575 e 589 c.p.) e la san
zione penale è la massima forma di reazione dell'ordinamento
ad un illecito.
2.5. - Non esistono dunque nel nostro ordinamento né lacune
né contrasti con l'ordinamento comunitario; e ciò a prescindere dalla risolutiva osservazione che il giudice nazionale può disap
plicare norme interne in contrasto con l'ordinamento comunita
rio, ma non può «creare in via interpretativa» norme attributive
di diritti, se questi non siano previsti da fonti comunitarie ad ef
ficacia orizzontale.
3.1. - Infondata è anche la seconda censura secondo cui, es
sendo decorso un apprezzabile lasso di tempo (dieci giorni) tra
11 fatto illecito (sinistro stradale) ed il decesso della vittima, il
diritto al risarcimento del danno biologico sarebbe entrato per intero nel patrimonio del de cuius e non limitatamente a detto
periodo, con la conseguenza che esso passerebbe per intero nel
patrimonio degli eredi.
Infatti, come questa corte ha già affermato, nel caso in cui
intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e
la morte causata dalle stesse è configurabile un danno biologico risarcibile subito dal danneggiato, da liquidarsi in relazione al
l'effettiva menomazione dell'integrità psicofisica da lui patita
per il periodo di tempo indicato, e il diritto del danneggiato a
conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi che potranno
agire in giudizio nei confronti del danneggiale iure heredìtatis
(Cass. 10 febbraio 1999, n. 1131, id.. Rep. 1999, voce cit., n.
205; 26 settembre 1997, n. 9470, id.. Rep. 1998, voce cit., n.
173). 3.2. - Assumere, come mostrano di ritenere i ricorrenti, che il
risarcimento del danno biologico, cui consegua la morte, è do
vuto per intero (come se il soggetto avesse raggiunto la durata
di vita conforme alle speranze) nel caso in cui il decesso è con
seguenza delle lesioni, non è corretto perché esclude uno degli elementi costitutivi del danno risarcibile: e cioè la durata di es
so.
Poiché, secondo i più recenti orientamenti, anche il danno
biologico è una perdita (del bene salute), non può dar luogo allo
stesso risultato risarcitorio risentire di questa perdita del bene
salute nella misura del cento per cento per alcuni giorni/mesi o
per l'intera durata della vita media.
3.3. - Se la morte è stata causata dalle lesioni, l'unico danno
biologico risarcibile è quello correlato dall'inabilità tempora nea, in quanto per definizione non è in questo caso concepibile un danno biologico da invalidità permanente.
Infatti, secondo i principi medico-legali, a qualsiasi lesione
dell'integrità psicofisica consegue sempre un periodo d'invali
dità temporanea, alla quale può conseguire talora un'invalidità
permanente. Per l'esattezza l'invalidità permanente si considera
insorta allorché, dopo che la malattia ha compiuto il suo decor
so, l'individuo non sia riuscito a riacquistare la sua completa validità.
Il consolidarsi di postumi permanenti può quindi mancare in
due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita
Il Foro Italiano — 2003.
senza reliquati; ovvero quando la malattia si risolva con esito
letale. La nozione medicolegale di «invalidità permanente» pre
suppone, dunque, che la malattia sia cessata, e che l'organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile.
Si intende, pertanto, come nell'ipotesi di morte causata dalle
lesioni, non sia configurabile alcuna invalidità permanente in
senso medicolegale: la malattia, infatti, non si risolve con esiti
permanenti, ma determina la morte dell'individuo.
Ne consegue che quando la morte è causata dalle lesioni, do
po un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato acquisisce (e
quindi trasferisce agli eredi) soltanto il diritto al risarcimento
del danno biologico da inabilità temporanea e per il tempo di
permanenza in vita.
3.4. - Ovviamente, come correttamente ha effettuato la corte
di merito, la quantificazione del danno biologico da inabilità
temporanea assoluta subito dal de cuius nell'apprezzabile inter
vallo di tempo tra la lesione del bene salute e la morte conse
guente a tali lesioni, va operata tenendo presenti le caratteristi
che peculiari di questo pregiudizio, costituite dal fatto che si
tratta di un danno alla salute che, se pure è temporaneo, è mas
simo nella sua entità ed intensità.
Di tanto il giudice di merito dovrà necessariamente tener
conto, sia se applica il criterio di liquidazione equitativa, c.d.
«puro», sia se applica i criteri di liquidazione tabellare o a punti,
poiché, come questa corte ha più volte ribadito, la legittimità dell'utilizzazione di detti ultimi sistemi liquidatori, essendo
fondata sempre sul potere di liquidazione equitativa del giudice,
passa necessariamente attraverso la c.d. «personalizzazione»
degli stessi, costituita dall'adeguamento al caso concreto (Cass. 22 maggio 1998, n. 5134, ibid., n. 238; 16 novembre 1998, n. 11532, id., Rep. 1999, voce cit., n. 245; 11 novembre 1996, n.
9835, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 188, 214; 14 maggio 1997, n.
4236, id., Rep. 1997, voce cit., n. 225). La peculiarità del «danno biologico terminale» è che esso è di
tale entità ed intensità da condurre a morte un soggetto in un li
mitato, sia pure apprezzabile, lasso di tempo. 3.5. - Qui non si vuole far rientrare —
per così dire — dalla
finestra quello che è stato cacciato dalla porta (il danno tanato
logico). L'evento morte non rileva di per sé ai fini del risarcimento,
per tutte le ragioni suddette, mentre rilevano esclusivamente due
fattori: l'entità della perdita subita (per effetto della lesione al
bene salute) ed il tempo di durata di detta perdita. Mentre il fattore tempo è circoscritto necessariamente al pe
riodo tra l'evento lesivo e la morte successiva conseguente, per cui se esso è pari o prossimo allo zero, finisce per azzerare il ri
sultato finale risarcitorio, il fattore della lesione del bene salute
va valutato nella sua espressione massima, per entità ed inten
sità, avendo essa avuto come esito la morte.
È «lapalissiano» che la morte (id est: la perdita della vita) è
fuori dal danno biologico, poiché il danno alla salute presuppo ne pur sempre un soggetto in vita, ma è altrettanto «lapalissia no» che nessun danno alla salute è più grave, per entità ed in
tensità, di quello che, trovando causa nelle lesioni che esitano
nella morte, temporalmente la precede. In questo caso, infatti, il danno alla salute raggiunge quanti
tativamente la misura del cento per cento, come nel caso dell'i
nabilità temporanea assoluta, cui consegue la guarigione, ovve
ro una stabilizzazione dei postumi, sia pure nella stessa entità, in quanto sotto il profilo dell'entità, il limite massimo ovvia
mente non può essere superiore alla misura del cento per cento.
Ciò che fa la differenza è che il danno biologico terminale è più intenso perché l'aggressione subita dalla salute dell'individuo
incide anche sulla possibilità di essa di recuperare (in tutto o in
parte) le funzionalità perdute o quanto meno di stabilizzarsi
sulla perdita funzionale già subita.
In altri termini, nel danno biologico terminale anche questa
capacità recuperatoria o, quanto meno stabilizzatrice, delia sa
lute risulta irreversibilmente compromessa. La salute danneg
giata non solo non recupera (cioè non «migliora») né si stabiliz
za, ma degrada verso la morte: quest'ultimo evento rimane fuori
dal danno alla salute, per i motivi sopra detti, ma non la «disce
sa» verso di esso, poiché durante detto periodo il soggetto leso
era ancora in vita.
Anche se si utilizza la nozione giuridica (e non medico
legale) di danno alla salute, che non si limita a postulare in via
logica la vita futura, ma si manifesta ed esiste solo all'interno di
This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 05:23:36 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
2687 PARTE PRIMA 2688
quella vita, immersa in essa in termini di minore qualità esisten
ziale, anche la perdita di quest'ultima estrema attitudine della
salute rende più intenso quel minus esistenziale che accompagna la residua vita della vittima, anche se è chiaro che detto danno
cessi con il decesso.
3.6. - In effetti il limitare la liquidazione del danno biologico terminale alla mera applicazione dei valori liquidatori tabellari a
punti per ogni giorno d'invalidità, da una parte comporta la
violazione del principio sopra detto in tema di necessaria «per sonalizzazione» di detti criteri, conformandoli alla peculiarità del caso concreto (e nella fattispecie la peculiarità consiste nel
fatto che la lesione alla salute non solo è stata massima, ma an
che così intensa da dar luogo alla morte), e dall'altra finisce per
porsi in contrasto logico-argomentativo, con quanto ormai paci ficamente ammesso in sede di liquidazione di danno morale.
Anzitutto anche il danno morale da lesione, cui sia conseguita la morte, presuppone l'esistenza in vita del soggetto leso per un
apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte (Cass. 25 feb
braio 1997, n. 1704, cit.; 6 ottobre 1994, n. 8177, id., 1995, I,
1852). Ciò significa da una parte che non è concepibile, per le ragio
ni già esposte in tema di danno biologico, un danno morale da
morte iure proprio del soggetto, allorché il decesso sia imme
diatamente (o quasi) conseguente alla lesione, e dall'altra che
anche nella liquidazione del danno morale il fattore «tempo di
durata» del danno morale ha una sua incidenza: una cosa è che
il «patema d'animo» duri per qualche giorno o mese ed una co
sa è che esso duri tutta la restante vita.
La giurisprudenza di merito utilizza in modo prevalente il
criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risar
cimento del danno morale in una frazione dell'importo ricono
sciuto per il risarcimento del danno biologico. Ciò è stato rite
nuto non di per sé illegittimo, se il giudice abbia tenuto conto
delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria
«personalizzazione» del criterio detto al caso concreto ed ap
portando, se del caso gli eventuali consequenziali correttivi in
aumento o in diminuzione.
Il criterio, infatti, è ispirato alle stesse esigenze che giustifi cano la liquidazione del danno alla salute in base al sistema c.d.
del «valore del punto d'invalidità» ed è quindi volto proprio ad
evitare che la valutazione inevitabilmente equitativa del danno
non patrimoniale assuma connotazioni ogni volta diverse, im
prevedibili, suscettibili di apparire arbitrarie anche in ragione
dell'insopprimibile difficoltà di offrire appaganti e controllabili
ragioni giustificative di una determinazione quantitativa che ha
funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze
indotte dal fatto lesivo costituente reato.
Il dichiarato ricorso a tale criterio è pertanto legittimo solo
ove il giudice abbia mostrato, per quanto con motivazione sin
tetica, di aver tenuto adeguato conto delle particolarità del caso
concreto (essendo questo specifico l'oggetto della sua valuta zione e del suo giudizio) e di non aver rimesso la liquidazione del danno ad un puro automatismo (Cass. 19 gennaio 1999, n.
475, id., Rep. 1999, voce cit., n. 226; 11 agosto 2000, n. 10725,
id., Rep. 2001, voce cit., n. 207; 29 maggio 1998, n. 5366, id.,
Rep. 1999, voce cit., n. 229). Il riferimento all'entità oggettiva del danno può essere tra
dotto, operativamente, nella regola per cui il danno morale deri
vante da una grave invalidità (tanto più se conduca a morte il
soggetto) non può essere liquidato con somme irrisorie. A tal fi
ne il giudice di merito, al cui prudente criterio equitativo è ri
messa la liquidazione, deve rispettare l'esigenza di una razio
nale correlazione tra l'entità oggettiva del danno (specie se re
iterato nel tempo) e l'equivalente pecuniario, in modo che que sto mantenga la sua connessione con l'entità e la natura del
danno da risarcire, così che non rappresenti un mero simulacro o una parvenza di risarcimento. Ne consegue che è censurabile
l'esercizio del potere equitativo del giudice di merito ogni volta
che la liquidazione del danno morale appaia manifestamente simbolica o per nulla correlata con le premesse di fatto in ordine
alla natura ed all'entità del danno dallo stesso giudice accertate
(Cass. 21 maggio 1996, n. 4671, id., Rep. 1996, voce cit., n.
213; 2 marzo 1998, n. 2272, id., Rep. 1998, voce cit., n. 224). Orbene, una volta ritenuto che la liquidazione del danno mo
rale, per quanto possa legittimamente avere come base di par tenza le tabelle di liquidazione del danno biologico ed essere,
Il Foro Italiano — 2003.
quindi, valutata in termini di frazione del danno biologico (ge neralmente da un quarto alla metà), e che, tuttavia, il risultato — così raggiunto
— deve poi essere personalizzato, con riferi
mento al caso concreto ed all'entità del danno, con la conse
guenza che non può giungersi a liquidazioni simboliche o irriso
rie (ove anche esse costituissero il risultato massimo consegui bile dall'applicazione delle c.d. tabelle), non si giustifica un iter
argomentativo diverso in ipotesi di danno biologico da inabilità
temporanea assoluta, esitata nella morte.
3.7. - Nella fattispecie, quindi, correttamente la sentenza im
pugnata ha ritenuto che sussistesse esclusivamente un danno
biologico da invalidità assoluta temporanea di giorni 10, ma, te
nuto conto che le lesioni avevano portato a morte il soggetto di
anni 17 nell'arco di 10 giorni, ha liquidato il danno biologico nella misura di lire 6.250.000 per ciascun giorno, a fronte di lire
63.000 al giorno, liquidate dal primo giudice per il danno biolo
gico da inabilità assoluta temporanea, su base tabellare.
Entrambi i giudici hanno ritenuto che il danno biologico fosse
relativo ad un'inabilità temporanea assoluta e che quindi avesse
un'entità del cento per cento, ma il secondo giudice ne ha colto
correttamente anche l'intensità, non potendo considerarsi eguali il danno biologico da inabilità assoluta temporanea, in un sog
getto che all'esito recuperi completamente o parzialmente ovve
ro si stabilizzi, rispetto a quello sofferto da un soggetto che, per effetto delle stesse lesioni che hanno causato il danno biologico da inabilità assoluta temporanea, deceda.
Così operando il giudice di appello non ha creato una nuova
categoria di danno alla persona, posta «a cavallo» tra il danno
tanatologico (da escludersi) ed il danno biologico, ma sempre rimanendo in quest'ultimo, e cioè con riferimento al solo perio do di tempo in cui il soggetto leso è rimasto in vita, ha provve duto alla «personalizzazione» dei valori monetari espressi dalle
tabelle per l'inabilità assoluta (lire 63.000 giornalieri), aumen
tandoli secondo il suo prudente apprezzamento equitativo, con
riferimento alla peculiarità del caso concreto di un danno alla
salute, che fu anche così intenso e grave da condurre il soggetto verso la morte.
Oltre questo limite non è legittimo andare, per cui il motivo
di ricorso, con cui viene richiesto il risarcimento del danno da
perdita della vita, va rigettato. 4. - Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la
violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione
all'art. 360, n. 3, c.p.c., con particolare riguardo al risarcimento
del danno patrimoniale.
Ritengono i ricorrenti che la liquidazione del danno morale
della vittima del sinistro, Diego Dalla Costa, effettuata dal tri
bunale in lire 30 milioni è irrisoria, tenuto conto delle indicibili
sofferenze patite dallo stesso, rimasto cosciente, fino ali'exitus; che erratamente il giudice di appello si è fatto condizionare
dalla brevità di dette sofferenze; che la somma in questione è la
stessa liquidata dal tribunale, che pure aveva liquidato a titolo di danno biologico della vittima solo lire 630.000; che detta som
ma è irrisoria.
5.1. - Ritiene questa corte che il motivo è infondato e che lo
stesso vada rigettato. A tal fine va ricordato che, pur essendo rimessa la liquidazio
ne del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito alla
valutazione discrezionale del giudice di merito, questi deve te ner conto, nell'effettuarne la valutazione, delle effettive soffe renze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito di rilievo pe nale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da
rendere il risarcimento adeguato al caso concreto (Cass. 6 otto bre 1994, n. 8177, cit.; 26 febbraio 1996, n. 1474, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 278).
5.2. - Richiamati i principi già esposti in tema di liquidazione di danno morale al punto 3.6, nella fattispecie il giudice di ap pello ha fatto esatta applicazione di questi principi.
Infatti, proprio tenendo conto della gravità assoluta delle le sioni subite dalla vittima, la corte territoriale ha aumentato di circa 10 volte il valore del danno biologico giornaliero, secondo la misura tabellare, e poi ha calcolato il danno biologico nella frazione di circa la metà di detto danno biologico, ritenendo che la somma liquidata di lire 30.000.000 fosse equa in relazione alle gravi sofferenze patite dalla giovane vittima e — tuttavia —
anche della relativa brevità temporale delle stesse. 6. - Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l'o
This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 05:23:36 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
messa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, in relazione
all'art. 360, n. 5, c.p.c., con particolare riguardo all'errata appli cazione del principio della soccombenza.
Assumono i ricorrenti, che, pur avendo essi richiesto nel giu dizio di appello che il Tedeschi, lo studio tecnico di Giuseppe Tedeschi s.n.c. e la Milano assicurazioni fossero condannati a
manlevarli di quanto fossero stati chiamati a pagare agli altri
convenuti (Maoret, Autotrasporti Chiarcosso s.r.l., Sante Chiar
cosso e la Ras s.p.a.), il rigetto di detta richiesta non era stato
motivato.
Assumono i ricorrenti che, se la corte avesse correttamente
applicato il principio della soccombenza, avrebbe dovuto rileva
re che anche il Tedeschi e la Milano assicurazioni avevano
avanzato in sede di conclusioni di primo grado la domanda di
accertamento della responsabilità concorrente del Maoret e con
seguentemente quella gradata di sentirsi condannare (essi Tede
schi, studio tecnico e Milano assicurazioni) solo in proporzione all'accertata percentuale di colpa.
7. - Ritiene questa corte che il motivo sia inammissibile.
Infatti, premesso che gli stessi ricorrenti assumono che la ri
chiesta avanzata alla corte di appello era quella di manleva da
parte dei convenuti Tedeschi e Milano assicurazioni di quanto dovuto a titolo di spese processuali al gruppo di convenuti as
solti (Maoret, Ras ed altri), va osservato che su detta richiesta di
manleva la corte di merito non si è assolutamente pronunciata, limitandosi a pronunciare la condanna degli attori alle spese
processuali del doppio grado di giudizio, sostenute da questo secondo gruppo di convenuti.
Ne consegue che, indipendentemente dalla fondatezza nel
merito della proposta domanda di manleva e dalla sua ammissi
bilità in grado di appello, non essendosi la corte pronunciata su
detto motivo di appello, la censura poteva essere avanzata solo
come violazione dell'art. 112 c.p.c. e quindi una violazione
della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve
essere fatta valere esclusivamente a norma dell'art. 360, n. 4,
c.p.c. (nullità della sentenza e del procedimento) e non come vi
zio motivazionale a norma dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (attenendo
quest'ultimo esclusivamente all'accertamento e valutazione di
fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia: Cass. 9
aprile 1990, n. 2940, id., Rep. 1990, voce Sentenza civile, n. 20; 27 marzo 1993, n. 3665, id., Rep. 1993, voce Cassazione civile, n. 109).
Infatti il vizio di omessa pronunzia, in quanto pretesamente incidente sulla sentenza pronunziata dal giudice del gravame, è
passibile di denunzia esclusivamente con ricorso per cassazione
ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c. (Cass., sez. un., 14 gennaio
1992, n. 369, id., Rep. 1992, voce Revocazione (giudizio di), n. 19; 25 settembre 1996, n. 8468, id., Rep. 1996, voce Cassazione
civile, n. 85). 8. - Con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la
violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione
all'art. 360, n. 3, c.p.c., con particolare riguardo all'errata appli cazione di norme di diritto.
Assumono i ricorrenti che la sentenza impugnata ha comple tamente sorvolato sulla norma di cui all'art. 92 c.p.c., che pre vede esplicitamente la possibilità di compensare le spese pro
cessuali, esistendo giusti motivi; che nella fattispecie andavano
compensate le spese del doppio grado di giudizio tra essi attori
ricorrenti ed i convenuti Maoret, Ras ed altri, poiché nel mo
mento in cui essi attori proposero la domanda, risultava che la
condotta del Maoret non era stata ininfluente nell'incidente de
quo, essendo stata provocata fisicamente la morte dall'automez
zo del Maoret (per quanto poi la sua condotta sia risultata suc
cessivamente incolpevole), e risultando pendente all'epoca della
citazione un giudizio penale nei confronti non solo del Tede
schi, ma anche del Maoret.
9. - Ritiene questa corte che il motivo sia infondato e che lo
stesso vada rigettato. In tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato
della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti
violato il principio secondo il quale le spese non possono essere
poste a carico della parte vittoriosa.
Pertanto esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezio
nale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di
compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipo
II Foro Italiano — 2003.
tesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso con
altri giusti motivi (Cass. 11 novembre 1996, n. 9840, id., Rep. 1997, voce Spese giudiziali civili, n. 8).
Nella fattispecie, nell'ambito del rapporto processuale tra gli attori ed il secondo gruppo di convenuti (Maoret, Ras ed altri), i
primi sono risultati soccombenti, essendo stata rigettata la loro
domanda nei confronti dei secondi, per cui non risulta violato il
suddetto principio di diritto.
10. - Con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la
violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione
all'art. 360, n. 3, c.p.c., con particolare riguardo all'eccessiva
liquidazione delle spese del giudizio di appello. Assumono i ricorrenti che la sentenza impugnata ha liquidato
a Luigi Maoret ed ai suoi responsabili civili lire 3.800.000 per diritti e lire 10.000.000 per onorari, in maniera eccedente a
quanto previsto dalla tabella professionale, tenuto conto che il
valore dell'appello, avente ad oggetto le sole spese processuali dì primo grado, era pari a lire 14.800.000, per cui, anche appli cando nel massimo l'importo per ogni voce tariffaria, nella fat
tispecie, gli onorari non potevano superare lire 6.270.000.
11.1. - Ritiene questa corte che il motivo sia in parte inam
missibile ed in parte infondato.
Va, infatti, osservato che la parte che intende impugnare per cassazione la liquidazione dei diritti di procuratore e degli ono
rari di avvocato ha l'onere dell'analitica specificazione delle
voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli
importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di
legittimità senza bisogno di procedere alla diretta consultazione
degli atti, giacché l'(eventuale) violazione delle tariffe profes sionali integra un'ipotesi di error in iudicando e non in proce dendo (Cass. 25 maggio 2000, n. 6864, id., Rep. 2000, voce cit., n. 68; 8 settembre 1986, n. 5480, id., Rep. 1986, voce Avvocato, n. 73).
11.2. - Nella fattispecie, quanto all'assunta violazione delle
tariffe professionali, in tema di diritti, il motivo di ricorso è
inammissibile, poiché non sono riportate le varie voci tariffarie
che si assumono violate.
11.3. - Quanto agli onorari, il motivo di ricorso è infondato.
Infatti, pur indicando i ricorrenti le varie voci e rilevando —
sia pure a titolo esemplificativo — che l'importo massimo degli
onorari, per le voci considerate, era pari a lire 6.270.000, a
fronte della somma di lire 10.000.000 fissata dalla corte territo
riale per il giudizio di secondo grado, non tiene conto che, a
norma dell'art. 5 delle tariffe professionali (tutte identiche in
merito a questo specifico punto), l'avvocato che assista o difen
da più persone, aventi la stessa posizione processuale, ha diritto
ad un aumento per ogni parte del venti per cento.
Da ciò consegue che, poiché i convenuti, delle cui spese pro cessuali si discute, nella fattispecie erano quattro (Maoret Luigi, Chiarcosso Sante, Autotrasporti Chiarcosso s.r.l. ed Italica s.p.a.
incorporata dalla Ras s.p.a.) calcolato il suddetto aumento, la
somma liquidata dalla corte di appello (lire 10.000.000) rimane
inferiore rispetto a quella che si ottiene aumentando lo stesso
importo indicato dai ricorrenti con le suddette varie percentuali del venti per cento.
12. - Il ricorso va pertanto rigettato.
This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 05:23:36 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions