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sezione III civile; sentenza 16 maggio 2003, n. 7632; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. Finocchi...

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sezione III civile; sentenza 16 maggio 2003, n. 7632; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. Finocchi Ghersi (concl. conf.); Dalla Costa e altri (Avv. Manzi, Dal Lago) c. Soc. Ras (Avv. Spadafora) e altri. Conferma App. Venezia 18 ottobre 2000 Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 10 (OTTOBRE 2003), pp. 2681/2682-2689/2690 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23198700 . Accessed: 25/06/2014 05:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 05:23:36 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 16 maggio 2003, n. 7632; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. FinocchiGhersi (concl. conf.); Dalla Costa e altri (Avv. Manzi, Dal Lago) c. Soc. Ras (Avv. Spadafora) ealtri. Conferma App. Venezia 18 ottobre 2000Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 10 (OTTOBRE 2003), pp. 2681/2682-2689/2690Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198700 .

Accessed: 25/06/2014 05:23

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

mazione dell'efficacia del giudicato penale nel giudizio civile,

giustamente criticata dal ricorrente con censura che comunque non può travolgere la sentenza impugnata per quanto sopra

esposto. In definitiva il Tribunale di Napoli ha sostanzialmente fatto

corretta applicazione dei principi sopra enunciati ed ha dato ra

gione della propria decisione con motivazione congrua ed im

mune da contraddizioni e vizi logici. La sentenza impugnata re

siste dunque validamente a tutte le censure del ricorrente.

Il ricorso pertanto deve essere rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 16

maggio 2003, n. 7632; Pres. Fiduccia, Est. Segreto, P.M. Fi

nocchi Ghersi (conci, conf.); Dalla Costa e altri (Avv. Man

zi, Dal Lago) c. Soc. Ras (Avv. Spadafora) e altri. Confer ma App. Venezia 18 ottobre 2000.

Danni in materia civile — Lesioni mortali — Morte dopo un

apprezzabile lasso di tempo — Danno biologico terminale — Criterio di quantificazione (Cod. civ., art. 2043).

Danni in materia civile — Lesioni mortali — Morte dopo un

apprezzabile lasso di tempo — Danno morale — Criterio

di quantificazione (Cod. civ., art. 2059).

In caso di morte causata da lesioni dopo un apprezzabile lasso

di tempo, la quantificazione del danno biologico terminale

(quale danno alla salute che, se pur temporaneo, è massimo

nella sua entità ed intensità) va effettuata in considerazione delle peculiari caratteristiche del pregiudizio. ( 1 )

Posto che la liquidazione del danno biologico terminale va ef

fettuata personalizzando i criteri risarcitori e conformandoli alla peculiarità del caso concreto, il danno morale derivante

da una grave invalidità (tanto più se conduca a morte il sog

getto) non può essere liquidato con somme irrisorie. (2)

(1-2) I. - La pronuncia in rassegna, in linea con il consolidato orien tamento della giurisprudenza di legittimità (v., da ultimo, Cass. 4 aprile 2003, n. 5332, Foro it., Mass., 457; 7 marzo 2003, n. 3414, ibid., 301; 24 febbraio 2003, n. 2775, ibid., 244) afferma che, nel caso di morte

conseguente, nell'immediato o a breve distanza di tempo, alle lesioni determinate da fatto illecito, non è configurabile un danno biologico da

perdita della vita perché: a) la morte non costituisce la massima lesione del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita; b)

per il bene della vita non è concepibile un risarcimento per equivalente, posto che il risarcimento del danno non svolge una funzione sanziona toria ma di reintegrazione e riparazione degli effettivi pregiudizi; c) la

vittima, finché è in vita, non subisce alcuna perdita e, da morta, non è in grado di acquisire alcun diritto ex art. 2043 c.c. da trasmettere iure

hereditaria, d) come pone in evidenza Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372 (id., 1994, 1, 3297, con nota di G. Ponzanelli, La Corte costituzio nale e il danno da morte), nel nostro ordinamento il sistema risarcitorio non costituisce l'unico mezzo di protezione del diritto alla vita ampia mente tutelato in sede penale e, pertanto, l'interpretazione giurispru denziale che statuisce l'irrisarcibilità del danno da morte non contrasta con i principi emersi nell'ambito dell'ordinamento comunitario.

Contra, nella giurisprudenza di merito, Trib. Brindisi 5 agosto 2002, Trib. Messina 15 luglio 2002 e Trib. Foggia 28 giugno 2002, id., 2002, I, 3494, con ampia nota di richiami cui si rinvia per ulteriori riferimen ti.

Invero, i giudici di legittimità, con la decisione in epigrafe, ribadi scono che, se l'evento morte è stato causato dalle lesioni, l'unico danno

biologico risarcibile è quello correlato all'inabilità temporanea per il

tempo di permanenza in vita, perché l'invalidità permanente sorge al

lorquando l'individuo, cessata la malattia, non sia riuscito a riacquisire completamente il suo equilibrio psico-fisico, non quando la malattia si risolva in un esito letale.

In perfetta sintonia con l'affermazione testé richiamata, Cass. 24 febbraio 2003, n. 2775, cit., ha recentemente statuito che la morte del

soggetto offeso, anche se avvenuta dopo un apprezzabile intervallo di

Il Foro Italiano — 2003.

Svolgimento del processo. — Con citazione notificata il 28

novembre 1995, Dalla Costa Antonio, Zanin Angelina, Dalla

Costa Vannia, Duso Domenica, e Zanin Marco, in proprio, e

Zanin Angela e Zanin Marco, quali eredi della madre Pierantoni

Annamaria, nonna di Dalla Costa Diego, esponeva che il loro

congiunto Dalla Costa Diego, mentre percorreva il 13 aprile 1995, una via del centro abitato di Fara Vicentino, veniva in

collisione con l'autovettura Mercedes condotta da Tedeschi

Giuseppe, di proprietà dello studio tecnico di Giuseppe Tede

schi s.n.c. ed assicurata con La Previdente s.p.a., che, uscendo a

tempo dalle lesioni provocategli, non consente di ritenere che a suo fa vore sia maturato un diritto di credito da danno biologico «consolida

to», da liquidarsi «come se» fosse sopravvissuto alle lesioni per il tem

po corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita, con la conseguen za che il credito trasmissibile agli eredi è esclusivamente quello da danno biologico subito per l'effettiva durata della sopravvivenza. Cfr., in tal senso, da ultimo, Trib. Avellino 27 novembre 2002, Dir. e giusti zia, 2003, fase. 8, 84, con nota di M. Rossetti, Danno biologico e morte della vittima, il risarcimento va commisurato alla durata effetti va della vita.

Per meglio comprendere questa enunciazione si osservi come Cass. 4

aprile 2003, n. 5332, cit., e Trib. Roma 15 aprile 2003, giud. Pernigotti, Caltabiano c. Soc. Vittoria, per quanto consta inedita, asseriscono che, se invece la morte non è stata causata dalle lesioni, ma sopravviene per altre cause quando le lesioni sono già guarite con postumi, il danneg giato al momento della dipartita ha già acquisito al suo patrimonio il di ritto al risarcimento del danno biologico da invalidità permanente resi duata al sinistro (diritto trasmissibile agli eredi), sì che non si versa più in ipotesi di danno biologico da inabilità assoluta temporanea cui con

segua la morte. Diversamente, in caso di decesso, per procedere alla li

quidazione del danno il giudice dovrà tener conto della durata effettiva della vita del danneggiato, non essendo più ipotizzabile un danno futuro con riferimento a criteri probabilistici.

D'altro canto, la sentenza su riportata, discostandosi dai recentissimi

precedenti testé evocati, dichiara che il danno biologico c.d. terminale

(id est il danno biologico da inabilità temporanea assoluta patito dal de cuius in un limitato, ma pur sempre apprezzabile, lasso di tempo tra la lesione del bene salute e la morte conseguente a tale lesione) va quanti ficato in considerazione delle peculiari caratteristiche del pregiudizio, trattandosi nella specie di un danno alla salute che se, pur temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità. La differenza tra il danno bio

logico da invalidità temporanea assoluta e la nuova figura di danno

biologico terminale, a parere della corte, è data dal fatto che in que st'ultima ipotesi l'aggressione subita dalla salute dell'individuo incide anche sull'attitudine di quest'ultima a recuperare (in tutto o in parte) le funzionalità perdute o quanto meno stabilizzarsi sulla perdita funzio nale già subita. A tal proposito sembra opportuno sottolineare la discra sia fra Cass. 7 marzo 2003, n. 3414, cit., che, confermando App. Pa lermo 17 giugno 1999, ritiene congrua liquidazione l'irrisoria somma di lire 3.250.000 (ammontare ricavato da una valutazione del danno bio

logico da invalidità temporanea totale di lire 50.000 al giorno moltipli cate per sessantacinque giorni di invalidità) rispetto all'odierna pronun cia, che conferma la liquidazione dei giudici di appello, valutando il danno pari a lire 62.500.000. Orbene, la differenza non è di poco rilievo se si considera che, qualora i giudici di legittimità, anche con la deci

sione in rassegna, avessero utilizzato i criteri di quantificazione del cri stallizzato orientamento in materia avrebbero liquidato soltanto l'esi

guo importo (riconosciuto, per la verità, in primo grado dal Tribunale di Vicenza) di lire 630.000 (id est invalidità temporanea totale di lire

63.000 al giorno moltiplicata per dieci giorni). La corte, invece, quanti fica il danno biologico terminale sofferto dall'individuo nell'intervallo di tempo tra le lesioni e la morte, riconoscendogli una somma dieci volte superiore a quella corrispondente alla semplice invalidità tempo ranea assoluta.

II. - Per quel che concerne il danno morale patito dalla persona offe

sa, trasmissibile iure hereditatis ai familiari, il Supremo collegio ritiene che la liquidazione vada operata in considerazione della valutazione del

danno biologico terminale e, per esattezza, si concretizzi in una frazio

ne di quest'ultimo (nel caso di specie, la metà). In senso conforme, af fermano la risarcibilità, iure successionis, del danno morale da lesione, cui sia conseguita la morte del danneggiato dopo un apprezzabile lasso di tempo, quantificandolo in ragione del danno biologico patito dalla

vittima, Cass. 7 marzo 2003, n. 3414, cit.; 14 marzo 2002, n. 3728, Fo

ro it., Rep. 2002, voce Danni civili, n. 217; 3 gennaio 2002, n. 24, ibid., n. 216; 11 agosto 2000, n. 10725, id., Rep. 2001, voce cit., n. 207; 19

gennaio 1999, n. 475, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 266, e, per esteso, Guida al dir., 1999, fase. 5. 51, con nota di Cimapi; Trib. Milano 31

maggio 1999, Foro it.. Rep. 2000, voce cit., n. 176, e, per esteso. Dan

no e resp., 2000, 67, con nota di R. Caso, Danno per lesione del rap

porto parentale: tra esigenze di giustizia e caos risarcitorio', 12 dicem

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2683 PARTE PRIMA 2684

retromarcia da un accesso privato, si immetteva con manovra di

svolta a sinistra sulla pubblica via, intersecando la traiettoria di

marcia del motociclista Dalla Costa, che cadeva sulla carreg

giata, finendo nella corsia opposta, ove veniva travolto dal se

mirimorchio di proprietà di Chiarcosso Sandro, trainato dalla

matrice condotta da Maoret Luigi e di proprietà dell'Autotra

sporti Chiarcosso s.r.l., assicurata con L'Italica s.p.a.; che il

Dalla Costa Diego riportava lesioni gravissime e, sottoposto a

vari interventi chirurgici, decedeva dopo 10 giorni. Gli attori, pertanto, convenivano davanti al Tribunale di Vi

cenza i vari suddetti convenuti per sentirli condannare in solido

al risarcimento dei danni, che quantificavano nell'importo com

plessivo di lire 1.399.000.000. Si costituivano i convenuti che resistevano alla domanda.

Il Tribunale di Vicenza, con sentenza del 1° luglio 1998, ac

certata l'esclusiva responsabilità del Tedeschi nella produzione dell'evento, condannava questi, lo studio tecnico di Giuseppe Tedeschi s.n.c. e La Previdente assicurazioni, al risarcimento

dei danni nella misura di lire 246.000.000, già detratto l'acconto

di lire 200.000.000 versato da La Previdente, oltre agli interessi

legali. Rigettava la domanda contro Maoret Luigi e gli altri

convenuti, condannando gli attori al pagamento delle spese pro cessuali.

Avverso questa sentenza proponevano appello gli attori.

La Corte d'appello di Venezia, con sentenza depositata il 18

febbraio 2000, condannava Tedeschi, lo studio Tedeschi s.n.c. e

La Previdente al pagamento della residua somma di lire

bre 1998, Foro it., Rep. 1999, voce cit., n. 167; Trib. Napoli 23 settem bre 1998, id., Rep. 2000, voce cit., n. 202, dove, per converso, si esclu

de la configurabilità del danno morale del danneggiato e, quindi, la sua trasmissibilità ai congiunti in considerazione della morte a distanza di un'ora e mezzo dall'evento lesivo; Trib. Ascoli Piceno 25 febbraio

1998, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 165; Trib. Monza 30 gennaio 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 189; 28 ottobre 1997, id.. Rep. 1999, voce

cit., n. 194, e, per esteso, Resp. civ., 1998. 1102, con nota di G.P. Miot

to; Trib. Massa Carrara 19 dicembre 1996, Foro it., Rep. 1997, voce

cit., n. 177, e, per esteso, Danno e resp., 1997, 354, con nota di G. Co

mande, Verso una moltiplicazione delle tabelle?', Trib. Latina 4 aprile 1996, Foro it.. Rep. 1997, voce cit., n. 171; Trib. Trento 19 maggio 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 173; Trib. Torino 31 marzo 1995, id.,

Rep. 1996, voce cit., n. 148; Trib. Nuoro 3 dicembre 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n. 179, e, per esteso, Riv. giur. sarda, 1992, 462, con nota di G. Deiana; Cass. 6 ottobre 1994, n. 8177, Foro it., 1995, I, 1852, con nota di R. Caso, cui si rinvia per ulteriori indicazioni.

Contra, App. Cagliari-Sassari 16 febbraio 1998, id.. Rep. 2000, voce

cit., n. 201, e, per esteso, Riv. giur. sarda, 1999, 645, con nota di F.

Nissardi, Ancora sul risarcimento dei danni derivanti dall'uccisione del familiare.

Da segnalare, altresì, App. Napoli 10 luglio 2000, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 152, e, per esteso, Riv. giur. circolai, e trasp., 2000,

946, che si discosta dall'orientamento giurisprudenziale maggioritario affermando che, anche se nel caso di lesioni personali seguite quodam tempore dalla morte del leso, quest'ultimo non acquista — e quindi non trasmette agli eredi — il diritto al risarcimento del danno biologico poiché la durata della sopravvivenza è tale da non rendere misurabile la concreta incidenza delle lesioni sulla qualità della residua vita del dan

neggiato, la persona deceduta può tuttavia acquistare il diritto al risar cimento del danno morale.

In ordine al criterio di quantificazione del danno morale patito dai

prossimi congiunti iure proprio, cfr. Trib. Palermo 25 giugno 2001, Foro it., 2001, I, 3198, con nota di R. Caso, e la giurisprudenza ivi ri chiamata.

III. - Per un primo commento alla sentenza in epigrafe, cfr. M. Capu

ti, Tra Pilato e La Patisse: ovvero, quando il fatto morte determina il danno tanatologico. ma il relativo risarcimento non contempla il fatto morte, in Danno e resp., 2003, in corso di pubblicazione.

In dottrina, per un approfondimento della tematica del danno per la

perdita dei prossimi congiunti, cfr. R. Conti, Il danno morale da morte del congiunto e l'obbligo di motivazione, ibid., 26; B. Tassone, Omici di di mafia: risarcimento ai congiunti e danni morali, id., 2002, 47; V.

Severi, in Corriere giur., 2001, 1319; B. Farsaci, Il risarcimento del danno morale ai congiunti della persona lesa nella salute: una contro versa parabola evolutiva ed involutiva, in Assicurazioni, 2001, II, 2, 15; G. Bertuetti, Danno del congiunto e danno alla salute, Padova, 2001.

Fra le più recenti trattazioni sul danno alla persona, v. F.D. Busnelli, Il danno alla persona al giro di boa, in Danno e resp., 2003, 237; M.

Rossetti, Il danno da lesione della salute - Biologico - Patrimoniale -

Morale, Padova, 2001; G. Barzazi-P. Bosio-A. Demori-D. Roncali, Il danno da morte biologico e morale, Padova, 2000. [A.L. Bitetto]

Il Foro Italiano — 2003.

305.000.000, con gli interessi legali e rivalutazione, secondo i

criteri ivi indicati.

Riteneva la corte di merito che il danno biologico iure here

ditatis, richiesto dagli attori e riconosciuto dal tribunale, non

poteva essere liquidato in complessive lire 630.000 per giorni 10 di sopravvivenza della vittima e cioè nella misura di lire

63.000 al giorno, come ritenuto dal primo giudice, tenuto conto

che esso era massimo nella sua entità, avendo le lesioni portato a morte il ragazzo, nonostante la breve durata di giorni 10. Per

tanto detto danno biologico veniva liquidato in lire 62.500.000.

Riteneva il giudice di appello che era equa la liquidazione del

danno morale riportato dal ragazzo in detti 10 giorni, nella mi

sura di lire 30.000.000, già liquidata dal tribunale; riliquidava il danno morale subito dai prossimi congiunti nella misura com

plessiva di lire 326.000.000, e rigettava l'appello degli attori

avverso la condanna al pagamento delle spese in favore di Mao

ret, Chiarcosso, Autotrasporti Chiarcosso e L'Italica s.p.a., poi ché gli attori erano soccombenti rispetto agli stessi, in cui favore

condannava gli appellanti anche al pagamento delle spese pro cessuali di secondo grado.

Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassa

zione gli attori.

Resiste con controricorso esclusivamente la Ras s.p.a., incor

porante L'Italica s.p.a. Entrambe le parti hanno presentato memorie.

Non si sono costituiti gli altri intimati.

Motivi della decisione. — 1.1.- Con il primo motivo di ricor

so i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di

norme di diritto in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., con parti colare riguardo al risarcimento del danno da morte.

Assumono i ricorrenti che erratamente la sentenza impugnata ha ritenuto l'irrisarcibilità a norma dell'art. 2043 c.c. del danno

da morte. Ritengono i ricorrenti che, costituendo il diritto alla

vita il massimo diritto inviolabile dell'uomo, a norma dell'art. 2

Cost., nonché dei trattati internazionali ratificati dall'Italia ed ai

quali il nostro ordinamento si deve necessariamente armonizza

re a norma dell'art. 10 Cost., la perdita della vita va necessaria

mente risarcita a norma dell'art. 2043 c.c. per la lesione in sé e

non per le conseguenze negative, patrimoniali, non patrimoniali o esistenziali.

1.2. - In ogni caso lamentano i ricorrenti che, essendo inter

venuta la morte, come conseguenza delle lesioni causate dal

fatto illecito, dopo 10 giorni, il diritto al risarcimento del danno

biologico era ormai interamente entrato nel patrimonio della

vittima Diego Dalla Costa e che pertanto poteva essere doman

dato per l'intero dai suoi eredi, attuali ricorrenti.

2.1. - Ritiene questa corte che il motivo sia infondato e che,

quindi, vada rigettato. Infatti la domanda di risarcimento del danno «da perdita del

diritto alla vita» subito dal de cuius e da questi trasmesso agli eredi è infondata.

Infatti come questa corte ha più volte rilevato in tema di dan

no biologico, richiesto iure hereditatis, ma il discorso è identico

per la richiesta di danno da perdita del diritto alla vita, detto an

che danno tanatologico, la lesione dell'integrità fisica con esito

letale, intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione

possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuri dico della vita, la cui perdita, per il definitivo venir meno del

soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimo nio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, non rilevando in contrario la mancanza di

tutela privatistica del diritto alla vita (peraltro protetto con lo

strumento della sanzione penale), attesa la funzione non sanzio

natoria ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente con

nesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in

natura, esso operi quando tale persona abbia cessato di esistere

(Cass. 25 febbraio 2000, n. 2134, Foro it., Rep. 2000, voce

Danni civili, n. 169; 25 febbraio 1997, n. 1704, id., Rep. 1997, voce cit., n. 180; 20 gennaio 1999, n. 491, id., Rep. 2001, voce

cit., n. 150; 10 settembre 1998, n. 8970, id., Rep. 1999, voce

cit., n. 202; Corte cost. 372/94, id., 1994,1, 3297). 2.2. - Per il bene della vita è inconcepibile una forma di risar

cimento anche solo per equivalente (Cass. 14 febbraio 2000, n.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

1633, id., Rep. 2001, voce cit., n. 149): infatti, con riguardo alla

lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del

suo titolare e da questi fruibile solo in natura, è impossibile un

risarcimento per equivalente, che operi quando tale persona ab

bia cessato di esistere.

2.3. - Inoltre, attraverso questa via, tenuto conto che il sog

getto che perde la vita non è in grado di acquistare un diritto ri

sarcitorio, perché finché è in vita non vi è perdita e quando è

morto da una parte non è titolare di alcun diritto e dall'altra non

è in grado di acquistarne, si finirebbe per assegnare alla tutela

dell'art. 2043 c.c. una funzione solo sanzionatrice (o di pena

privata), mentre pacificamente la sua funzione è quella risarcito

ria.

2.4. - Né si può ritenere, come sostengono i ricorrenti, che il

predetto orientamento si pone in contrasto con l'art. 2 Cost., con

la convenzione europea sui diritti dell'uomo del 4 novembre

1950, con la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del

10 dicembre 1948, con il patto internazionale sui diritti civili e

politici, del 16 dicembre 1966, tutti ratificati dall'Italia, con ap

posite leggi. Infatti, a parte il rilievo che detto orientamento è stato fatto

proprio dalla Corte costituzionale con sentenza 372/94, va os

servato che il sistema risarcitorio non è l'unico mezzo di tutela

e che nel nostro ordinamento il diritto alla vita è ampiamente tutelato in sede penale (ex multis, art. 575 e 589 c.p.) e la san

zione penale è la massima forma di reazione dell'ordinamento

ad un illecito.

2.5. - Non esistono dunque nel nostro ordinamento né lacune

né contrasti con l'ordinamento comunitario; e ciò a prescindere dalla risolutiva osservazione che il giudice nazionale può disap

plicare norme interne in contrasto con l'ordinamento comunita

rio, ma non può «creare in via interpretativa» norme attributive

di diritti, se questi non siano previsti da fonti comunitarie ad ef

ficacia orizzontale.

3.1. - Infondata è anche la seconda censura secondo cui, es

sendo decorso un apprezzabile lasso di tempo (dieci giorni) tra

11 fatto illecito (sinistro stradale) ed il decesso della vittima, il

diritto al risarcimento del danno biologico sarebbe entrato per intero nel patrimonio del de cuius e non limitatamente a detto

periodo, con la conseguenza che esso passerebbe per intero nel

patrimonio degli eredi.

Infatti, come questa corte ha già affermato, nel caso in cui

intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni colpose e

la morte causata dalle stesse è configurabile un danno biologico risarcibile subito dal danneggiato, da liquidarsi in relazione al

l'effettiva menomazione dell'integrità psicofisica da lui patita

per il periodo di tempo indicato, e il diritto del danneggiato a

conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi che potranno

agire in giudizio nei confronti del danneggiale iure heredìtatis

(Cass. 10 febbraio 1999, n. 1131, id.. Rep. 1999, voce cit., n.

205; 26 settembre 1997, n. 9470, id.. Rep. 1998, voce cit., n.

173). 3.2. - Assumere, come mostrano di ritenere i ricorrenti, che il

risarcimento del danno biologico, cui consegua la morte, è do

vuto per intero (come se il soggetto avesse raggiunto la durata

di vita conforme alle speranze) nel caso in cui il decesso è con

seguenza delle lesioni, non è corretto perché esclude uno degli elementi costitutivi del danno risarcibile: e cioè la durata di es

so.

Poiché, secondo i più recenti orientamenti, anche il danno

biologico è una perdita (del bene salute), non può dar luogo allo

stesso risultato risarcitorio risentire di questa perdita del bene

salute nella misura del cento per cento per alcuni giorni/mesi o

per l'intera durata della vita media.

3.3. - Se la morte è stata causata dalle lesioni, l'unico danno

biologico risarcibile è quello correlato dall'inabilità tempora nea, in quanto per definizione non è in questo caso concepibile un danno biologico da invalidità permanente.

Infatti, secondo i principi medico-legali, a qualsiasi lesione

dell'integrità psicofisica consegue sempre un periodo d'invali

dità temporanea, alla quale può conseguire talora un'invalidità

permanente. Per l'esattezza l'invalidità permanente si considera

insorta allorché, dopo che la malattia ha compiuto il suo decor

so, l'individuo non sia riuscito a riacquistare la sua completa validità.

Il consolidarsi di postumi permanenti può quindi mancare in

due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita

Il Foro Italiano — 2003.

senza reliquati; ovvero quando la malattia si risolva con esito

letale. La nozione medicolegale di «invalidità permanente» pre

suppone, dunque, che la malattia sia cessata, e che l'organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile.

Si intende, pertanto, come nell'ipotesi di morte causata dalle

lesioni, non sia configurabile alcuna invalidità permanente in

senso medicolegale: la malattia, infatti, non si risolve con esiti

permanenti, ma determina la morte dell'individuo.

Ne consegue che quando la morte è causata dalle lesioni, do

po un apprezzabile lasso di tempo, il danneggiato acquisisce (e

quindi trasferisce agli eredi) soltanto il diritto al risarcimento

del danno biologico da inabilità temporanea e per il tempo di

permanenza in vita.

3.4. - Ovviamente, come correttamente ha effettuato la corte

di merito, la quantificazione del danno biologico da inabilità

temporanea assoluta subito dal de cuius nell'apprezzabile inter

vallo di tempo tra la lesione del bene salute e la morte conse

guente a tali lesioni, va operata tenendo presenti le caratteristi

che peculiari di questo pregiudizio, costituite dal fatto che si

tratta di un danno alla salute che, se pure è temporaneo, è mas

simo nella sua entità ed intensità.

Di tanto il giudice di merito dovrà necessariamente tener

conto, sia se applica il criterio di liquidazione equitativa, c.d.

«puro», sia se applica i criteri di liquidazione tabellare o a punti,

poiché, come questa corte ha più volte ribadito, la legittimità dell'utilizzazione di detti ultimi sistemi liquidatori, essendo

fondata sempre sul potere di liquidazione equitativa del giudice,

passa necessariamente attraverso la c.d. «personalizzazione»

degli stessi, costituita dall'adeguamento al caso concreto (Cass. 22 maggio 1998, n. 5134, ibid., n. 238; 16 novembre 1998, n. 11532, id., Rep. 1999, voce cit., n. 245; 11 novembre 1996, n.

9835, id., Rep. 1996, voce cit., nn. 188, 214; 14 maggio 1997, n.

4236, id., Rep. 1997, voce cit., n. 225). La peculiarità del «danno biologico terminale» è che esso è di

tale entità ed intensità da condurre a morte un soggetto in un li

mitato, sia pure apprezzabile, lasso di tempo. 3.5. - Qui non si vuole far rientrare —

per così dire — dalla

finestra quello che è stato cacciato dalla porta (il danno tanato

logico). L'evento morte non rileva di per sé ai fini del risarcimento,

per tutte le ragioni suddette, mentre rilevano esclusivamente due

fattori: l'entità della perdita subita (per effetto della lesione al

bene salute) ed il tempo di durata di detta perdita. Mentre il fattore tempo è circoscritto necessariamente al pe

riodo tra l'evento lesivo e la morte successiva conseguente, per cui se esso è pari o prossimo allo zero, finisce per azzerare il ri

sultato finale risarcitorio, il fattore della lesione del bene salute

va valutato nella sua espressione massima, per entità ed inten

sità, avendo essa avuto come esito la morte.

È «lapalissiano» che la morte (id est: la perdita della vita) è

fuori dal danno biologico, poiché il danno alla salute presuppo ne pur sempre un soggetto in vita, ma è altrettanto «lapalissia no» che nessun danno alla salute è più grave, per entità ed in

tensità, di quello che, trovando causa nelle lesioni che esitano

nella morte, temporalmente la precede. In questo caso, infatti, il danno alla salute raggiunge quanti

tativamente la misura del cento per cento, come nel caso dell'i

nabilità temporanea assoluta, cui consegue la guarigione, ovve

ro una stabilizzazione dei postumi, sia pure nella stessa entità, in quanto sotto il profilo dell'entità, il limite massimo ovvia

mente non può essere superiore alla misura del cento per cento.

Ciò che fa la differenza è che il danno biologico terminale è più intenso perché l'aggressione subita dalla salute dell'individuo

incide anche sulla possibilità di essa di recuperare (in tutto o in

parte) le funzionalità perdute o quanto meno di stabilizzarsi

sulla perdita funzionale già subita.

In altri termini, nel danno biologico terminale anche questa

capacità recuperatoria o, quanto meno stabilizzatrice, delia sa

lute risulta irreversibilmente compromessa. La salute danneg

giata non solo non recupera (cioè non «migliora») né si stabiliz

za, ma degrada verso la morte: quest'ultimo evento rimane fuori

dal danno alla salute, per i motivi sopra detti, ma non la «disce

sa» verso di esso, poiché durante detto periodo il soggetto leso

era ancora in vita.

Anche se si utilizza la nozione giuridica (e non medico

legale) di danno alla salute, che non si limita a postulare in via

logica la vita futura, ma si manifesta ed esiste solo all'interno di

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2687 PARTE PRIMA 2688

quella vita, immersa in essa in termini di minore qualità esisten

ziale, anche la perdita di quest'ultima estrema attitudine della

salute rende più intenso quel minus esistenziale che accompagna la residua vita della vittima, anche se è chiaro che detto danno

cessi con il decesso.

3.6. - In effetti il limitare la liquidazione del danno biologico terminale alla mera applicazione dei valori liquidatori tabellari a

punti per ogni giorno d'invalidità, da una parte comporta la

violazione del principio sopra detto in tema di necessaria «per sonalizzazione» di detti criteri, conformandoli alla peculiarità del caso concreto (e nella fattispecie la peculiarità consiste nel

fatto che la lesione alla salute non solo è stata massima, ma an

che così intensa da dar luogo alla morte), e dall'altra finisce per

porsi in contrasto logico-argomentativo, con quanto ormai paci ficamente ammesso in sede di liquidazione di danno morale.

Anzitutto anche il danno morale da lesione, cui sia conseguita la morte, presuppone l'esistenza in vita del soggetto leso per un

apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte (Cass. 25 feb

braio 1997, n. 1704, cit.; 6 ottobre 1994, n. 8177, id., 1995, I,

1852). Ciò significa da una parte che non è concepibile, per le ragio

ni già esposte in tema di danno biologico, un danno morale da

morte iure proprio del soggetto, allorché il decesso sia imme

diatamente (o quasi) conseguente alla lesione, e dall'altra che

anche nella liquidazione del danno morale il fattore «tempo di

durata» del danno morale ha una sua incidenza: una cosa è che

il «patema d'animo» duri per qualche giorno o mese ed una co

sa è che esso duri tutta la restante vita.

La giurisprudenza di merito utilizza in modo prevalente il

criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risar

cimento del danno morale in una frazione dell'importo ricono

sciuto per il risarcimento del danno biologico. Ciò è stato rite

nuto non di per sé illegittimo, se il giudice abbia tenuto conto

delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria

«personalizzazione» del criterio detto al caso concreto ed ap

portando, se del caso gli eventuali consequenziali correttivi in

aumento o in diminuzione.

Il criterio, infatti, è ispirato alle stesse esigenze che giustifi cano la liquidazione del danno alla salute in base al sistema c.d.

del «valore del punto d'invalidità» ed è quindi volto proprio ad

evitare che la valutazione inevitabilmente equitativa del danno

non patrimoniale assuma connotazioni ogni volta diverse, im

prevedibili, suscettibili di apparire arbitrarie anche in ragione

dell'insopprimibile difficoltà di offrire appaganti e controllabili

ragioni giustificative di una determinazione quantitativa che ha

funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze

indotte dal fatto lesivo costituente reato.

Il dichiarato ricorso a tale criterio è pertanto legittimo solo

ove il giudice abbia mostrato, per quanto con motivazione sin

tetica, di aver tenuto adeguato conto delle particolarità del caso

concreto (essendo questo specifico l'oggetto della sua valuta zione e del suo giudizio) e di non aver rimesso la liquidazione del danno ad un puro automatismo (Cass. 19 gennaio 1999, n.

475, id., Rep. 1999, voce cit., n. 226; 11 agosto 2000, n. 10725,

id., Rep. 2001, voce cit., n. 207; 29 maggio 1998, n. 5366, id.,

Rep. 1999, voce cit., n. 229). Il riferimento all'entità oggettiva del danno può essere tra

dotto, operativamente, nella regola per cui il danno morale deri

vante da una grave invalidità (tanto più se conduca a morte il

soggetto) non può essere liquidato con somme irrisorie. A tal fi

ne il giudice di merito, al cui prudente criterio equitativo è ri

messa la liquidazione, deve rispettare l'esigenza di una razio

nale correlazione tra l'entità oggettiva del danno (specie se re

iterato nel tempo) e l'equivalente pecuniario, in modo che que sto mantenga la sua connessione con l'entità e la natura del

danno da risarcire, così che non rappresenti un mero simulacro o una parvenza di risarcimento. Ne consegue che è censurabile

l'esercizio del potere equitativo del giudice di merito ogni volta

che la liquidazione del danno morale appaia manifestamente simbolica o per nulla correlata con le premesse di fatto in ordine

alla natura ed all'entità del danno dallo stesso giudice accertate

(Cass. 21 maggio 1996, n. 4671, id., Rep. 1996, voce cit., n.

213; 2 marzo 1998, n. 2272, id., Rep. 1998, voce cit., n. 224). Orbene, una volta ritenuto che la liquidazione del danno mo

rale, per quanto possa legittimamente avere come base di par tenza le tabelle di liquidazione del danno biologico ed essere,

Il Foro Italiano — 2003.

quindi, valutata in termini di frazione del danno biologico (ge neralmente da un quarto alla metà), e che, tuttavia, il risultato — così raggiunto

— deve poi essere personalizzato, con riferi

mento al caso concreto ed all'entità del danno, con la conse

guenza che non può giungersi a liquidazioni simboliche o irriso

rie (ove anche esse costituissero il risultato massimo consegui bile dall'applicazione delle c.d. tabelle), non si giustifica un iter

argomentativo diverso in ipotesi di danno biologico da inabilità

temporanea assoluta, esitata nella morte.

3.7. - Nella fattispecie, quindi, correttamente la sentenza im

pugnata ha ritenuto che sussistesse esclusivamente un danno

biologico da invalidità assoluta temporanea di giorni 10, ma, te

nuto conto che le lesioni avevano portato a morte il soggetto di

anni 17 nell'arco di 10 giorni, ha liquidato il danno biologico nella misura di lire 6.250.000 per ciascun giorno, a fronte di lire

63.000 al giorno, liquidate dal primo giudice per il danno biolo

gico da inabilità assoluta temporanea, su base tabellare.

Entrambi i giudici hanno ritenuto che il danno biologico fosse

relativo ad un'inabilità temporanea assoluta e che quindi avesse

un'entità del cento per cento, ma il secondo giudice ne ha colto

correttamente anche l'intensità, non potendo considerarsi eguali il danno biologico da inabilità assoluta temporanea, in un sog

getto che all'esito recuperi completamente o parzialmente ovve

ro si stabilizzi, rispetto a quello sofferto da un soggetto che, per effetto delle stesse lesioni che hanno causato il danno biologico da inabilità assoluta temporanea, deceda.

Così operando il giudice di appello non ha creato una nuova

categoria di danno alla persona, posta «a cavallo» tra il danno

tanatologico (da escludersi) ed il danno biologico, ma sempre rimanendo in quest'ultimo, e cioè con riferimento al solo perio do di tempo in cui il soggetto leso è rimasto in vita, ha provve duto alla «personalizzazione» dei valori monetari espressi dalle

tabelle per l'inabilità assoluta (lire 63.000 giornalieri), aumen

tandoli secondo il suo prudente apprezzamento equitativo, con

riferimento alla peculiarità del caso concreto di un danno alla

salute, che fu anche così intenso e grave da condurre il soggetto verso la morte.

Oltre questo limite non è legittimo andare, per cui il motivo

di ricorso, con cui viene richiesto il risarcimento del danno da

perdita della vita, va rigettato. 4. - Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la

violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione

all'art. 360, n. 3, c.p.c., con particolare riguardo al risarcimento

del danno patrimoniale.

Ritengono i ricorrenti che la liquidazione del danno morale

della vittima del sinistro, Diego Dalla Costa, effettuata dal tri

bunale in lire 30 milioni è irrisoria, tenuto conto delle indicibili

sofferenze patite dallo stesso, rimasto cosciente, fino ali'exitus; che erratamente il giudice di appello si è fatto condizionare

dalla brevità di dette sofferenze; che la somma in questione è la

stessa liquidata dal tribunale, che pure aveva liquidato a titolo di danno biologico della vittima solo lire 630.000; che detta som

ma è irrisoria.

5.1. - Ritiene questa corte che il motivo è infondato e che lo

stesso vada rigettato. A tal fine va ricordato che, pur essendo rimessa la liquidazio

ne del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito alla

valutazione discrezionale del giudice di merito, questi deve te ner conto, nell'effettuarne la valutazione, delle effettive soffe renze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito di rilievo pe nale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da

rendere il risarcimento adeguato al caso concreto (Cass. 6 otto bre 1994, n. 8177, cit.; 26 febbraio 1996, n. 1474, id.. Rep. 1997, voce cit., n. 278).

5.2. - Richiamati i principi già esposti in tema di liquidazione di danno morale al punto 3.6, nella fattispecie il giudice di ap pello ha fatto esatta applicazione di questi principi.

Infatti, proprio tenendo conto della gravità assoluta delle le sioni subite dalla vittima, la corte territoriale ha aumentato di circa 10 volte il valore del danno biologico giornaliero, secondo la misura tabellare, e poi ha calcolato il danno biologico nella frazione di circa la metà di detto danno biologico, ritenendo che la somma liquidata di lire 30.000.000 fosse equa in relazione alle gravi sofferenze patite dalla giovane vittima e — tuttavia —

anche della relativa brevità temporale delle stesse. 6. - Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l'o

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

messa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, in relazione

all'art. 360, n. 5, c.p.c., con particolare riguardo all'errata appli cazione del principio della soccombenza.

Assumono i ricorrenti, che, pur avendo essi richiesto nel giu dizio di appello che il Tedeschi, lo studio tecnico di Giuseppe Tedeschi s.n.c. e la Milano assicurazioni fossero condannati a

manlevarli di quanto fossero stati chiamati a pagare agli altri

convenuti (Maoret, Autotrasporti Chiarcosso s.r.l., Sante Chiar

cosso e la Ras s.p.a.), il rigetto di detta richiesta non era stato

motivato.

Assumono i ricorrenti che, se la corte avesse correttamente

applicato il principio della soccombenza, avrebbe dovuto rileva

re che anche il Tedeschi e la Milano assicurazioni avevano

avanzato in sede di conclusioni di primo grado la domanda di

accertamento della responsabilità concorrente del Maoret e con

seguentemente quella gradata di sentirsi condannare (essi Tede

schi, studio tecnico e Milano assicurazioni) solo in proporzione all'accertata percentuale di colpa.

7. - Ritiene questa corte che il motivo sia inammissibile.

Infatti, premesso che gli stessi ricorrenti assumono che la ri

chiesta avanzata alla corte di appello era quella di manleva da

parte dei convenuti Tedeschi e Milano assicurazioni di quanto dovuto a titolo di spese processuali al gruppo di convenuti as

solti (Maoret, Ras ed altri), va osservato che su detta richiesta di

manleva la corte di merito non si è assolutamente pronunciata, limitandosi a pronunciare la condanna degli attori alle spese

processuali del doppio grado di giudizio, sostenute da questo secondo gruppo di convenuti.

Ne consegue che, indipendentemente dalla fondatezza nel

merito della proposta domanda di manleva e dalla sua ammissi

bilità in grado di appello, non essendosi la corte pronunciata su

detto motivo di appello, la censura poteva essere avanzata solo

come violazione dell'art. 112 c.p.c. e quindi una violazione

della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve

essere fatta valere esclusivamente a norma dell'art. 360, n. 4,

c.p.c. (nullità della sentenza e del procedimento) e non come vi

zio motivazionale a norma dell'art. 360, n. 5, c.p.c. (attenendo

quest'ultimo esclusivamente all'accertamento e valutazione di

fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia: Cass. 9

aprile 1990, n. 2940, id., Rep. 1990, voce Sentenza civile, n. 20; 27 marzo 1993, n. 3665, id., Rep. 1993, voce Cassazione civile, n. 109).

Infatti il vizio di omessa pronunzia, in quanto pretesamente incidente sulla sentenza pronunziata dal giudice del gravame, è

passibile di denunzia esclusivamente con ricorso per cassazione

ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c. (Cass., sez. un., 14 gennaio

1992, n. 369, id., Rep. 1992, voce Revocazione (giudizio di), n. 19; 25 settembre 1996, n. 8468, id., Rep. 1996, voce Cassazione

civile, n. 85). 8. - Con il quarto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la

violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione

all'art. 360, n. 3, c.p.c., con particolare riguardo all'errata appli cazione di norme di diritto.

Assumono i ricorrenti che la sentenza impugnata ha comple tamente sorvolato sulla norma di cui all'art. 92 c.p.c., che pre vede esplicitamente la possibilità di compensare le spese pro

cessuali, esistendo giusti motivi; che nella fattispecie andavano

compensate le spese del doppio grado di giudizio tra essi attori

ricorrenti ed i convenuti Maoret, Ras ed altri, poiché nel mo

mento in cui essi attori proposero la domanda, risultava che la

condotta del Maoret non era stata ininfluente nell'incidente de

quo, essendo stata provocata fisicamente la morte dall'automez

zo del Maoret (per quanto poi la sua condotta sia risultata suc

cessivamente incolpevole), e risultando pendente all'epoca della

citazione un giudizio penale nei confronti non solo del Tede

schi, ma anche del Maoret.

9. - Ritiene questa corte che il motivo sia infondato e che lo

stesso vada rigettato. In tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato

della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti

violato il principio secondo il quale le spese non possono essere

poste a carico della parte vittoriosa.

Pertanto esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezio

nale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di

compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell'ipo

II Foro Italiano — 2003.

tesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso con

altri giusti motivi (Cass. 11 novembre 1996, n. 9840, id., Rep. 1997, voce Spese giudiziali civili, n. 8).

Nella fattispecie, nell'ambito del rapporto processuale tra gli attori ed il secondo gruppo di convenuti (Maoret, Ras ed altri), i

primi sono risultati soccombenti, essendo stata rigettata la loro

domanda nei confronti dei secondi, per cui non risulta violato il

suddetto principio di diritto.

10. - Con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la

violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione

all'art. 360, n. 3, c.p.c., con particolare riguardo all'eccessiva

liquidazione delle spese del giudizio di appello. Assumono i ricorrenti che la sentenza impugnata ha liquidato

a Luigi Maoret ed ai suoi responsabili civili lire 3.800.000 per diritti e lire 10.000.000 per onorari, in maniera eccedente a

quanto previsto dalla tabella professionale, tenuto conto che il

valore dell'appello, avente ad oggetto le sole spese processuali dì primo grado, era pari a lire 14.800.000, per cui, anche appli cando nel massimo l'importo per ogni voce tariffaria, nella fat

tispecie, gli onorari non potevano superare lire 6.270.000.

11.1. - Ritiene questa corte che il motivo sia in parte inam

missibile ed in parte infondato.

Va, infatti, osservato che la parte che intende impugnare per cassazione la liquidazione dei diritti di procuratore e degli ono

rari di avvocato ha l'onere dell'analitica specificazione delle

voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli

importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di

legittimità senza bisogno di procedere alla diretta consultazione

degli atti, giacché l'(eventuale) violazione delle tariffe profes sionali integra un'ipotesi di error in iudicando e non in proce dendo (Cass. 25 maggio 2000, n. 6864, id., Rep. 2000, voce cit., n. 68; 8 settembre 1986, n. 5480, id., Rep. 1986, voce Avvocato, n. 73).

11.2. - Nella fattispecie, quanto all'assunta violazione delle

tariffe professionali, in tema di diritti, il motivo di ricorso è

inammissibile, poiché non sono riportate le varie voci tariffarie

che si assumono violate.

11.3. - Quanto agli onorari, il motivo di ricorso è infondato.

Infatti, pur indicando i ricorrenti le varie voci e rilevando —

sia pure a titolo esemplificativo — che l'importo massimo degli

onorari, per le voci considerate, era pari a lire 6.270.000, a

fronte della somma di lire 10.000.000 fissata dalla corte territo

riale per il giudizio di secondo grado, non tiene conto che, a

norma dell'art. 5 delle tariffe professionali (tutte identiche in

merito a questo specifico punto), l'avvocato che assista o difen

da più persone, aventi la stessa posizione processuale, ha diritto

ad un aumento per ogni parte del venti per cento.

Da ciò consegue che, poiché i convenuti, delle cui spese pro cessuali si discute, nella fattispecie erano quattro (Maoret Luigi, Chiarcosso Sante, Autotrasporti Chiarcosso s.r.l. ed Italica s.p.a.

incorporata dalla Ras s.p.a.) calcolato il suddetto aumento, la

somma liquidata dalla corte di appello (lire 10.000.000) rimane

inferiore rispetto a quella che si ottiene aumentando lo stesso

importo indicato dai ricorrenti con le suddette varie percentuali del venti per cento.

12. - Il ricorso va pertanto rigettato.

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