sezione III civile; sentenza 16 ottobre 2001, n. 12599; Pres. Giustiniani, Est. Salluzzo, P.M. Russo(concl. conf.); Soc. Consap (Avv. Lipari) c. Trentini (Avv. Sartori). Conferma Trib. Rovereto 21luglio 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 2 (FEBBRAIO 2002), pp. 423/424-433/434Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196394 .
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423 PARTE PRIMA 424
comma, d.p.r. 917/86 — censura la sentenza impugnata per non
aver rilevato che la decisione di primo grado, circa l'irrilevanza
reddituale delle riserve riguardanti i cantieri Agri-Sauro e Anas
Furio, derivava da un travisamento dei fatti.
E sufficiente rilevare, in proposito, che il travisamento dei
fatti non può comportare, per definizione, violazione di legge e
che non è comunque denunciabile come motivo di ricorso per cassazione.
9. - Il ricorso incidentale deve essere quindi respinto in ogni sua parte. Quello principale deve invece essere accolto entro i
limiti precisati nei par. 5.3 e 6. Entro gli stessi limiti la sentenza
impugnata deve essere pertanto cassata e la causa rinviata ad
altra sezione della Commissione tributaria di secondo grado di
Trento, che si atterrà ai principi di diritto puntualizzati nel par. 5.3.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 16
ottobre 2001, n. 12599; Pres. Giustiniani, Est. Salluzzo, P.M. Russo (conci, conf.); Soc. Consap (Avv. Lipari) c.
Trentini (Avv. Sartori). Conferma Trib. Rovereto 21 luglio 1999.
Locazione — Società a prevalente partecipazione pubblica — Consap — Dismissione del patrimonio immobiliare — Vendita frazionata — Prelazione del conduttore — Eser
cizio — Effetti — Disaccordo sul prezzo — Determinazio
ne da parte dell'Ute — Vincolatività (Cod. civ., art. 2932; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, misure di razionalizzazione della
finanza pubblica, art. 3, comma 109).
In tema di prelazione del conduttore nella vendita di immobili
della Consap in corso di dismissione ai sensi dell'art. 3, comma 109, l. 662/96 (legge finanziaria 1997), qualora alla
denuntiatio della locatrice faccia seguito, nei tempi e con le
modalità previste, la dichiarazione del conduttore di esercizio della prelazione, non si produce l'immediato trasferimento della proprietà dell'immobile locato, ma sorge a carico di
entrambe le parti l'obbligo di pervenire alla conclusione del
contratto di compravendita, con conseguente possibilità di
tutela ai sensi dell'art. 2932 c.c., ancorché il conduttore, non
condividendo la valutazione operata dalla Consap, si rivolga
per la determinazione del prezzo di acquisto all'ufficio tecni
co erariale, la cui stima è vincolante per le parti, quale che
ne sia il contenuto (e cioè sia nel caso in cui il prezzo stimato
risulti inferiore, sia nel caso in cui esso risulti superiore a
quello indicato dalla venditrice). (1)
(1-2) La Corte di cassazione, occupandosi per la prima volta delle
problematiche poste dalle disposizioni del comma 109 dell'art. 3 1. 662/96 (sulle quali, v. anche Pret. Roma, ord. 18 agosto 1998, Foro it., 1999, I, 720, con nota redazionale di inquadramento), conferma l'im
postazione interpretativa di Pret. Rovereto 8 ottobre 1998, ibid., 3672, con nota di richiami, intervenuta in primo grado nella stessa controver
sia, in particolare per ciò che concerne: a) da un lato, l'utilizzabilità dei
principi elaborati dalla giurisprudenza con riferimento all'istituto della
prelazione urbana ex art. 38 1. 392/78, circa la natura e gli effetti della denuntiatio del locatore alienante e dell'esercizio della prelazione da
parte del conduttore avente diritto; b) dall'altro lato, l'efficacia, in caso di disaccordo del conduttore sul prezzo comunicatogli nella denuntia tio, dell'esercizio del diritto di prelazione effettuato con riferimento al
«prezzo legale» stabilito (come specificamente previsto dalla normativa del 1996) dall'Ute.
Sulla questione esaminata dal giudice bergamasco non si rinvengono,
Il Foro Italiano — 2002.
II
TRIBUNALE DI BERGAMO; sentenza 25 settembre 2001;
Giud. Gnani; Norbis (Avv. Nosari) c. Messaggi e altro (Avv.
Ronzoni).
Locazione — Società a prevalente partecipazione pubblica — Consap — Dismissione del patrimonio immobiliare — Vendita a terzi — Diritto del conduttore alla rinnovazione
del contratto di locazione — Ambito di applicazione (L. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 3, comma 109).
Il diritto ex lege alla rinnovazione del contratto di locazione,
garantito dall'art. 3, comma 109, lett. b), /. 662/96, nell'ipo tesi di dismissione del patrimonio immobiliare di proprietà
pubblica (nella specie, immobile appartenente alla Consap), in favore dei conduttori con reddito inferiore ai limiti di de
cadenza previsti per la permanenza negli alloggi di edilizia
popolare, trova applicazione soltanto qualora alla data di
entrata in vigore della suddetta legge la locazione fosse già cessata alla scadenza. (2)
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Rove
reto depositato il 22 gennaio 1998 Trentini Rosa, assumendo di
essere conduttrice di una unità immobiliare individuata come
p.m. 19 e 22 della p. ed 1577 p.t. 3622 c.c. Rovereto censita al
C.N.E.U. in p.c. 1005315 di Rovereto col n. 1577 sub 17, ubi
cata in Rovereto c.so Rosmini 80/A, già di proprietà dell'Ina e
successivamente trasferito alla Consap s.p.a.; di aver ricevuto la
notifica dell'atto di prelazione e di aver accettato la proposta di
acquisto rappresentando, per altro, alla società proprietaria un
diverso valore di mercato del bene; di non avere ricevuto ri
scontro dalla Consap e di avere quindi adito l'Ute, secondo le
previsioni dell'art. 3, comma 109, 1. 23 dicembre 1996 n. 662,
per la definitiva determinazione del prezzo dell'immobile; di
avere sollecitato la Consap alla stipulazione del contratto, di
chiarandosi pronta al pagamento del prezzo, senza ricevere ri
scontro; chiedeva la pronuncia di sentenza costitutiva ex art.
2932 c.c. con la quale le venisse trasferita la proprietà dell'indi
cata unità immobiliare e che la società resistente fosse inoltre
condannata al risarcimento dei danni per l'inadempimento del
l'obbligo di trasferire l'immobile oggetto di causa.
Costituendosi in giudizio la Consap contestava la domanda
sostenendo, fra l'altro, di non essere tenuta alla vendita del
l'immobile al prezzo determinato dall'ufficio tecnico erariale
ove questo fosse minore di quello comunicato da essa società al
conduttore.
Con sentenza in data 25 settembre 1998 (8 ottobre 1998, Foro
it., 1999, I, 3672) l'adito pretore, accogliendo la domanda, tra
sferiva in favore della Trentini l'unità immobiliare in oggetto, determinandone il prezzo in lire 134.120.000 da pagarsi alla
Consap entro trenta giorni dalla pronuncia, e condannava la
convenuta al risarcimento dei danni ed al rimborso di metà delle
spese del giudizio. Avverso tale decisione proponeva gravame la Consap al quale
resisteva la Trentini ed il Tribunale di Rovereto, con sentenza 3
giugno - 21 luglio 1999, rigettava l'impugnazione ed onerava
l'appellante della metà delle spese del grado. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Consap
affidandone l'accoglimento ad un unico articolato motivo illu
strato anche da memoria.
Resiste con controricorso la Trentini che produce a sua volta
memoria.
Motivi della decisione. — Preliminare è l'esame dell'ecce
zione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente
invece, precedenti editi. Per qualche riferimento sul rapporto tra la di
sciplina dettata dalla 1. 662/96, in tema di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti a partecipazione pubblica, e durata delle loca zioni in atto, cfr., peraltro, Trib. Milano 29 marzo 1999, id., Rep. 2000, voce Locazione, n. 94 (per esteso, Rass. locazioni, 1999, 557).
Per un commento alle disposizioni dell'art. 3, comma 109, della leg ge finanziaria 1997, v. inoltre, in dottrina, P.G. Avvisati, Cessione di immobili della pubblica amministrazione, id., 1997, 17.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sotto un duplice profilo: a) per violazione dell'art. 366, 1°
comma, n. 3, c.p.c. perché la trattazione dei fatti premessa alla
trattazione in diritto dell'unico motivo di ricorso sarebbe asso
lutamente insufficiente e tale da non consentire a questa corte
d'avere piena contezza dell 'excursus processuale; b) perché le
censure avanzate con tale motivo sarebbero state fatte valere
«fungibilmente» e «contestualmente», sia come vizio di falsa
applicazione di norme di diritto che come vizio di contradditto
ria motivazione su di un punto decisivo della controversia che
non sarebbe stato in concreto dedotto ed individuato.
L'eccezione è infondata.
Riguardo al primo rilievo ritiene il collegio, contrariamente
all'assunto del ricorrente, che il ricorso contenga un'attenta e
completa ricostruzione dei fatti processuali, ancorché effettuata
negli stessi termini adoperati nella parte relativa allo «svolgi mento del processo» della sentenza del Tribunale di Rovereto.
Se infatti è indubitabile che il ricorrente non può limitarsi, in os
sequio al principio dell'autosufficienza del ricorso, ad operare un mero rinvio a quanto contenuto nella sentenza impugnata, è
comunque certo che può utilizzare la parte espositiva, senza ri
petere tutte le circostanze di causa, purché dal contesto del ri
corso emerga un quadro chiaro dei fatti rilevanti in modo tale da
permettere la comprensione delle censure sollevate.
Ed è proprio quanto si è verificato nel caso che ci occupa nel
quale, occorre per altro tener presente, nessuna contestazione è
stata avanzata in ordine alla ricostruzione dei fatti e si discute
esclusivamente dell'interpretazione di una norma di diritto.
Relativamente al secondo, deve poi osservarsi che nella spe cie non è minimamente ravvisabile la dedotta fungibilità e con
testualità delle censure avanzate in ricorso.
La sentenza del Tribunale di Rovereto è stata denunciata e ne
è stato richiesto l'annullamento per pretesa falsa applicazione dell'art. 3, comma 109,1. 23 dicembre 1996 n. 662.
L'illogicità della motivazione non risulta perciò prospettata come alternativa alla violazione di legge compiuta dal tribunale,
bensì come sua conseguenza e cioè in quanto la falsa applica zione dell'indicata norma avrebbe dato luogo ad una decisione
inaccettabile sotto il profilo della carenza logico-formale.
Occupandoci quindi del merito va rilevato che con l'unico
motivo la Consap denuncia «violazione dell'art. 3, comma 109, 1. 23 dicembre 1996 n. 662, con conseguente falsa applicazione dei principi in tema di prelazione, omessa e contraddittoria mo
tivazione su punto decisivo, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5,
c.p.c.». La decisione del tribunale, premette, risulterebbe basata su
argomentazioni giuridiche non pertinenti, in quanto mutuate da
un orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento ad
una fattispecie legale —
quella della prelazione urbana per im
mobili destinati ad uso non abitativo — completamente diversa
da quella sottoposta al suo giudizio. Il contrasto tra le parti, afferma poi, verterebbe appunto sul
l'interpretazione da darsi all'anzidetta norma: mentre la Trentini
riteneva infatti che in seguito alla notifica, in data 18 luglio 1997, dell'atto della Consap contenente la comunicazione della
sua intenzione di vendere ed alla correlativa dichiarazione da
parte della conduttrice di voler esercitare la prelazione ancorché
senza accettazione del prezzo, si fosse determinato a carico
della società locatrice un obbligo ex lege alla stipula del con
tratto di compravendita dell'immobile dalla stessa condotto in
locazione (sia pure ad un prezzo ancora indeterminato), con la
conseguenza che, essendosi la Consap rifiutata di riceversi il
corrispettivo (successivamente alla determinazione) sarebbe
sorto in capo a lei il diritto di ricorrere al rimedio di cui all'art.
2932 c.c.; la Consap sosteneva l'esatto contrario e cioè che il
meccanismo previsto dalla citata disposizione non fosse assi
milabile a quello della prelazione urbana, onde l'inapplicabilità al caso di specie dell'invocata tutela ex art. 2932 c.c., fermo re
stando il diritto del conduttore a rimanere nel godimento del
l'immobile. Il Tribunale di Rovereto aveva finito col seguire la prima tesi
ma la sua decisione, assume, muoverebbe da un erroneo presup
posto ed opererebbe un'interpretazione della norma in parola corredandola con una motivazione che sarebbe priva di conse
quenzialità logica. Anzitutto, sostiene, l'impugnata decisione, pur muovendo
dall'esatta constatazione che la lett. d) del comma 109 dell'art.
3 della legge in questione va letta congiuntamente al disposto di
Il Foro Italiano — 2002.
cui alla lett. a), giungerebbe alla apodittica conclusione che la
stima espressa dall'Ute, in caso di difforme valutazione del
prezzo dell'immobile, deve ritenersi vincolante per le parti (an che laddove esse non abbiano concordemente ritenuto di fare ri
corso alla stima di detto ufficio). Tale vincolatività, che dovrebbe estendersi anche al caso di
esercizio della prelazione da parte del conduttore, non potrebbe avere, a dire del tribunale, altro significato di quello di voler
rendere effettivo il diritto di prelazione spettante ai locatari e di
evitare la possibilità di elusione delle condizioni di vendita po ste dalla richiamata normativa.
Ma, osserva, anche quando si ritenesse di dover parlare nella
specie di prelazione, ciò dovrebbe, a maggior ragione, condurre
ad un esito completamente opposto e cioè che, ferma restando la
determinazione del prezzo da parte dell'Ute, la Consap rimane
comunque libera di riconsiderare l'opportunità di procedere alla
vendita dell'immobile.
Diversamente si finirebbe a suo dire per introdurre una in
comprensibile discriminazione in quanto il locatario conserve
rebbe la libertà di ritornare in qualsiasi momento sui propri pas si, mentre la Consap, anche in presenza di una valutazione rite
nuta non più vantaggiosa, si vedrebbe costretta ad addivenire
alla stipula del contratto.
Accogliendo poi la tesi della vincolatività ex uno latere della
stima effettuata dall'Ute si garantirebbe una sicura tutela solo
all'interesse del locatario e non anche a quello della Consap che, contrariamente alle finalità perseguite dalla normativa in
esame (di contemperarli entrambi), rimarrebbe totalmente sacri
ficato per altro con la compressione della libertà di iniziativa
economica avente un valore ed una portata chiaramente inco
stituzionale.
Assolutamente inaccoglibile, aggiunge, sarebbe inoltre la tesi
adombrata dal tribunale a tenore della quale la funzione dell'Ute
sarebbe assimilabile a quella di un arbitratore. L'intervento di
un arbitratore in una struttura contrattuale, osserva, supporre in
fatti una concorde investitura da parte dei contraenti, mentre
nella specie l'iniziativa sarebbe partita e sarebbe stata coltivata
dalla sola Trentini.
Alla stregua dei superiori rilievi, osserva, dovrebbe pervenirsi alla conclusione che, fermo il principio in forza del quale l'esercizio del diritto di prelazione suppone l'accettazione della
proposta nell'integralità del suo contenuto — non essendo con
sentito accettare l'effetto traslativo, ma non il prezzo — nel ca
so di mancato incontro di volontà sull'integralità del contenuto, da un lato il proprietario dovrebbe riacquistare la libertà di sce
gliere il momento dell'alienazione in funzione delle condizioni
di mercato, dall'altro l'inquilino dovrebbe permanere nel suo
rapporto di godimento con il bene, per altro assistito dalla ga ranzia della prelazione e dello sconto.
La seconda conclusione del tribunale, anch'essa erronea, sa
rebbe quella secondo cui sarebbe corretta l'assimilazione alla
previsione di cui all'art. 38 della legge sull'equo canone e l'e
stensione della elaborazione giurisprudenziale ad esso relativa.
Ma la prelazione prevista dalla legge sull'equo canone, preci
sa, esclude qualsiasi, anche marginale, divergenza fra le parti e
suppone un'assoluta identità di contenuto tra l'offerta dell'alie
nante e la scelta acquisitiva del conduttore.
Proprio muovendo da tale assimilazione e richiamandosi ad
un orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento al
l'art. 38 1. 392/78, osserva, il tribunale aveva affermato che la
comunicazione della volontà di trasferire il bene a titolo oneroso
non è qualificabile come proposta contrattuale e nemmeno come
mera informativa di generici intenti destinata ad avviare trattati
ve negoziali, ma si inserisce in un particolare meccanismo pre
disposto dalla norma per assicurare al conduttore l'esercizio del
diritto di prelazione quale atto d'interpello, dovuto dal proprie tario e vincolato nella forma e nel contenuto; e correlativamente
che la dichiarazione del conduttore di esercizio della prelazione non costituisce accettazione di proposta e non comporta imme
diato acquisto dell'immobile, ma l'insorgenza per entrambe le
parti dell'obbligo di addivenire, entro un preciso termine, alla
stipula del previsto contratto con contestuale pagamento del
prezzo. Ma l'assimilazione tra le due ipotesi normative che, secondo
un primo argomento svolto dal tribunale, troverebbe una delle
sue principali ragioni nel fatto che entrambe hanno quale fonte
la legge, non sarebbe possibile perché, a suo dire, il comune ri
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427 PARTE PRIMA 428
ferimento alla fonte legale non è di per sé risolutivo dei proble mi di disciplina.
Né potrebbero condividersi le ulteriori argomentazioni secon
do le quali entrambe le normative avrebbero in comune la mate
ria e le finalità in quanto avuto riguardo al primo aspetto mentre
l'art. 38 1. 392/78 ha ad oggetto le locazioni, il citato comma
109 prende spunto dalla legge istitutiva della Consap e dai com
piti assegnati in quella sede a tale ente; e relativamente al se
condo non può parlarsi di identica finalità (essendo diretta la
prima norma alla tutela dell'avviamento commerciale e l'altra a
regolamentare il processo di dismissione del proprio patrimonio immobiliare da parte della Consap).
A parte ogni altra considerazione, rileva, il meccanismo pre visto dalla lett. d) del comma 109 contiene in sé elementi di di
versità tali da impedire qualsiasi operazione di assimilazione a
figure affini. Nell'ipotesi prevista da tale norma il locatore non sa, fino a
quando non glielo comunica l'Ute, il prezzo di vendita dell'im
mobile, manca la certezza del prezzo. Quindi, sostiene la ricor
rente, si dovrebbe escludere che la denuntiatio da lei effettuata
possa avere il valore di atto dovuto di interpello in quanto, di
versamente, ci si troverebbe dinanzi ad un obbligo legale di
contrarre in cui, oltre all'atto in sé, verrebbe ad essere imposto anche il suo contenuto economico.
A ciò andrebbe aggiunto che, mentre nella prelazione urbana,
quali possano essere gli effetti che si producono in virtù delle
dichiarazioni del conduttore, tra le parti sussiste comunque pie no accordo circa il contenuto economico del contratto; nel caso
previsto dall'art. 3, comma 109, lett. d), 1. 662/96, l'accordo non
è dato per scontato e si prevede, per il caso di sua mancanza, un
criterio per giungere alla determinazione finale del prezzo di
trasferimento dell'immobile.
Vale a dire, mentre nel sistema previsto dalla 1. 392/78 l'eser
cizio della prelazione ad opera del conduttore presuppone l'ac
cettazione da parte sua di un determinato contenuto economico
del contratto, in quello delineato dalla norma in questione, oltre
ai casi di esercizio della prelazione alle condizioni stabilite dal
legislatore o di rinuncia allo stesso, si ipotizza per il conduttore
una terza via e cioè quella di dichiarare la propria disponibilità
all'acquisto solo in quanto il prezzo dell'immobile sia diverso o
meglio inferiore a quello indicato dal locatore.
Atteso ciò, in quest'ultima ipotesi, sostiene, ove il valore in
dicato dall'Ute sia inferiore a quello proposto dalla Consap, la
risposta del conduttore non potrebbe avere altro valore che
quello di una controproposta. Diversamente opinando la Consap verrebbe infatti, a suo dire, a trovarsi nella condizione di essere
obbligata a stipulare un contratto a condizioni svantaggiose o
comunque tali da non essere riconducibili alla sua autonoma
valutazione delle condizioni di mercato opportune per dar corso
alla vendita.
Ulteriore circostanza che non sarebbe stata a suo avviso erro neamente considerata dal Tribunale di Rovereto è quella che in
qualsiasi ipotesi di prelazione, qual che ne sia la fonte, il vin colo che viene a determinarsi a carico dell'onerato opera nel
senso che il prelazionario ha diritto di essere preferito ad altri
qualora il primo si induca alla conclusione di un determinato
contratto. Non sorge alcun obbligo immediato a carico dell'one rato il quale rimane libero anche di non stipulare il contratto cui si riferisce la prelazione, essendo obbligato solo a preferire, ove
esso venga concluso, il prelazionario. La denuntiatio viene quindi ad atteggiarsi come vera e pro
pria proposta contrattuale a parità di condizioni offerte dal terzo
e, dunque, non può prescindere dalla specifica indicazione (e,
comunque, dalla concreta esistenza) di un diverso rapporto con
trattuale.
E mentre la dichiarazione del dominus, osserva ancora, vale
come semplice denuntiatio, quella del prelazionario produce soltanto l'effetto di vincolare il dominus a non alienare ad altri, libero restando lo stesso dominus di non alienare affatto.
Quindi, afferma, alle esposte ragioni che ostano all'assimila
zione tra le due ipotesi di prelazione altra se ne aggiunge che non sarebbe stata minimamente considerata dal tribunale nella
ricostruzione del meccanismo di funzionamento della prelazione di cui all'art. 3, comma 109, 1. 662/96 e cioè la mancanza di
ogni riferimento alla esistenza di una trattativa con un terzo.
Assolutamente inconferente, inoltre, a suo dire, sarebbe l'af
fermazione del giudice del merito, che, nell'individuare la ratio
Il Foro Italiano — 2002.
sottesa al meccanismo di cui al citato art. 3, ha rilevato che il
legislatore, prevedendo l'intervento dell'Ute, avrebbe perse
guito l'intento di evitare possibili elusioni del diritto di prela zione da parte del locatore, il quale «per esempio gonfiando i
prezzi di vendita degli immobili, costringerebbe il conduttore, che comunque non volesse rinunciare al proprio diritto, ad ac
cettare supinamente le sue condizioni economiche».
Incomprensibile ed inipotizzabile, al riguardo, sarebbe il
modo in cui la Consap potrebbe, con effetto concreto sulla posi zione del conduttore, gonfiare i prezzi.
In definitiva, conclude, accettando l'impostazione dei giudici di merito si andrebbe incontro alla seguente alternativa: o si do
vrebbe ritenere che la determinazione dell'Ute sia vincolante
per la proprietaria, ma non per il conduttore (dando luogo in tal
modo ad un ulteriore vizio di incostituzionalità e comunque vio
lando la logica stessa della struttura commerciale); ovvero si
dovrebbe assumere che nel caso in cui la stima dell'Ute risulti
superiore al prezzo inizialmente indicato, il conduttore sia ob
bligato a stipulare il contratto a condizioni più sfavorevoli con
la conseguenza che il meccanismo previsto dalla lett. d) della ri
chiamata norma, invece di risolversi in uno strumento di mag
gior tutela per il conduttore, finirebbe per ledere i suoi interessi.
Le esposte censure sono prive di fondamento e vanno disatte
se.
Prendendo le mosse, prima di procedere al loro dettagliato esame, dall'impugnata decisione, ritiene il collegio che corretta
e da condividere è la premessa dalla quale essa muove e cioè
che le lett. a) e d) della disposizione in oggetto vanno lette con
giuntamente con le conseguenze che vi riconnette e cioè che il
legislatore ha inteso in tal modo attribuire per un verso ai con
duttori degli immobili di proprietà di taluni enti un diritto legale di prelazione nell'ipotesi di alienazione degli immobili stessi, e, per l'altro, favorire nel loro acquisto i conduttori medesimi pre vedendo in loro favore particolari agevolazioni in relazione al
prezzo dell'immobile posto in vendita.
Ciò, afferma esattamente, all'evidente scopo di contemperare
gli opposti interessi in gioco: l'esigenza di procedere alla di
smissione del patrimonio immobiliare di enti pubblici al fine di adempiere alle obbligazioni derivanti dalle cessioni legali (art.
3, commi 100 e 110, della legge), da un lato; e garantire il con
traente ritenuto meritevole di tutela, ossia il locatario, dall'altro.
Ed è in questa prospettiva, precisa, che il legislatore, dopo avere riconosciuto ai titolari di contratti in corso — ovvero di
contratti scaduti e non ancora rinnovati, purché si trovino nella
detenzione dell'immobile — e ai loro familiari conviventi, un
diritto legale di prelazione in caso di vendita frazionata degli immobili facenti parte del patrimonio della Consap (sempre che
essi si trovino in regola con i pagamenti al momento della pre sentazione della domanda di acquisto), prevede che «per la de
terminazione dei prezzi di vendita degli alloggi è preso a riferi
mento il prezzo di mercato degli alloggi liberi, diminuito del trenta per cento, fatta salva la possibilità, in caso di difforme
valutazione, di ricorrere ad una stima dell'ufficio tecnico era
riale».
Appare quindi chiara, aggiunge, l'intenzione del legislatore di
favorire nell'acquisto degli immobili i locatari che si trovino
nelle condizioni indicate dalla stessa legge tant'è che è prevista a loro favore una diminuzione del trenta per cento rispetto al
prezzo di mercato e nella medesima ottica deve essere interpre tata la possibilità di rivolgersi all'Ute in caso di difforme valu
tazione.
La possibilità di rivolgersi all'ufficio tecnico erariale, organi smo pubblico, come tale da presumersi al di sopra degli interes
si delle parti, precisa, non può infatti avere altro significato di
quello di volere rendere effettivo il diritto di prelazione spet tante ai locatari ed evitare le possibilità di elusione delle condi
zioni di vendita poste dalla legge in esame.
A fronte di ciò, assume, appare coerente quanto ritenuto dal
primo giudice in ordine alla vincolatività della determinazione
del prezzo effettuata dall'Ute, trovando la lamentata compres sione del diritto di libertà negoziale della società venditrice la
sua giustificazione nell'interesse pubblico e sociale ritenuto
prevalente dal legislatore e di cui è portatore il conduttore.
E consequenziale il successivo assunto secondo cui il legis latore ha inteso appunto, in caso di controversia, domandare la
decisione in ordine al prezzo di vendita ad un organismo rite
nuto terzo — che si pone quasi come se fosse un arbitratore —
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
allo scopo di apprestare idonea garanzia al contraente ritenuto
meritevole di tutela assicurando che le vendite siano effettuate
alle condizioni dettate dall'art. 3, comma 109, lett. a) e d). Pienamente da condividere, sempre secondo il tribunale, sa
rebbe quindi l'assimilazione effettuata dal pretore della norma
tiva in esame alla previsione di cui all'art. 38 della legge sul
l'equo canone, l'estensione della elaborazione giurisprudenziale ad esso relativa e la conseguenza che ne trae che la denuntiatio
prelationis che il locatore effettua ai sensi dell'art. 3, comma
109, 1. 662/96 non integra una proposta contrattuale, ma un atto
dovuto di interpello e la dichiarazione del conduttore di eserci
zio del diritto di prelazione non costituisce accettazione della
proposta e non comporta l'immediato acquisto dell'immobile, ma determina l'insorgenza dell'obbligo a carico di entrambe le
parti di pervenire alla conclusione del contratto, con possibilità di tutela ex art. 2932 c.c.
Tanto premesso ritiene questa corte che l'interpretazione ope rata dai giudici del merito della norma in oggetto sia corretta di
scendendo de plano dalla lettura della stessa mentre quella pro
posta dalla ricorrente appare ispirata, al di fuori di ogni logica e
della precisa intenzione manifestata dal legislatore, all'esclusiva
tutela degli interessi della Consap, perseguita attraverso un ela
borato tentativo di aggiramento del suo contenuto.
Esatta appare così l'affermazione contenuta in sentenza, e che
è tratta dalla chiara lettera di tale norma (e del successivo com
ma 110), che il legislatore, allo scopo di contemperare gli oppo sti interessi costituiti dall'esigenza di dati enti pubblici di di smettere il loro patrimonio immobiliare e dall'intento di garan tire il contraente ritenuto meritevole di tutela (ossia il locatario), ha concesso a quest'ultimo un diritto di prelazione in caso di
vendita dell'immobile ad un prezzo ridotto (il trenta per cento in
meno rispetto alla quotazione di mercato) prevedendo per altro,
nell'ipotesi di difforme valutazione, la possibilità di rivolgersi all'ufficio tecnico erariale.
La procedura viene avviata dalla Consap — che è tenuta a
farlo, atteso il precipuo scopo normativamente previsto, in tem
pi ragionevolmente brevi e senza che possa frapporre ostacoli di
sorta (quale quello che potrebbe essere costituito dalla opportu nità di attendere lievitazioni dei prezzi del mercato immobiliare) — con la comunicazione del suo intento di vendere indirizzata
al conduttore (e questo a prescindere dall'esistenza o meno di
eventuali offerte di terzi e/o di pregressi rapporti contrattuali
con loro intercorsi). Se a tale comunicazione, o denuntiatio prelationis che dir si
voglia, faccia seguito — nei tempi e con le modalità previste
—
la dichiarazione del conduttore di esercizio del diritto di prela zione, si determina, come esattamente osservato in sentenza,
l'insorgenza dell'obbligo a carico di entrambe le parti di perve nire alla conclusione del contratto, con conseguente possibilità di tutela ex art. 2932 c.c.
Tale obbligo cioè, comunque si atteggi la condotta del con
duttore (quindi tanto che accetti la valutazione della Consap o
che, non condividendola, si rivolga all'Ute) e pur essendo esso,
eventualmente, suscettibile di riempimento nell'indicazione del
prezzo di acquisto dell'immobile, è vincolante sin dal primo momento nei confronti di entrambe le parti.
Occorre ora precisare, avuto riguardo alle svolte considera
zioni ed ai contrari rilievi di parte ricorrente, in primo luogo che, nell'economia della decisione impugnata, il riferimento al
l'art. 38 1. 392/78 ha un valore del tutto marginale. Non un'assimilazione tra le due ipotesi di prelazione il tribu
nale ha inteso effettuare, bensì la ricerca e l'evidenziazione, nelle pur notevoli diversità esistenti al loro interno, di quei dati
comuni che consentivano di far rientrare anche la previsione dell'art. 3, comma 109, nell'ampio genus della «prelazione» e
di estendere alla stessa l'elaborazione giurisprudenziale forma
tasi su tale tema.
Comunque il diritto di prelazione in capo al conduttore e
quello relativo al suo esercizio ad un prezzo politico il tribunale
li ha tratti dalla precisa lettera della norma in esame e non da as
similazioni o similitudini di sorta con la previsione di cui all'art.
38 1. 392/78. E poiché di prelazione può comunque parlarsi non par dubbio
che possano anche nella specie utilizzarsi i concetti, elaborati
dalla giurisprudenza, in tema di comunicazione del proprietario o «atto di interpello» che dir si voglia (v. Cass., sez. un., 4 di
cembre 1989, n. 5359, id., 1990, I, 1563; 22 febbraio 1991, n.
Il Foro Italiano — 2002.
1909, id., Rep. 1991, voce Locazione, n. 303; 21 maggio 1991, n. 5711, id., Rep. 1992, voce cit., n. 129, e 21 ottobre 1994, n.
8659, id., Rep. 1995, voce cit., n. 284) definita come atto non
negoziale, ma semplice atto di interpello diretto a mettere il
conduttore in condizione di esercitare il diritto di prelazione e di
dichiarazione di quest'ultimo (cfr. Cass. 27 novembre 1991, n.
12689, id., 1992, I, 2451), intesa, non come accettazione di una
proposta di vendita, ma come manifestazione della volontà di
esercizio della prelazione: per cui deve per l'effetto escludersi
che nel caso che ci occupa possa parlarsi, come sostenuto dalla
ricorrente, di «proposta» e di «controproposta». E va sottolineato che, anche prescindendo dalla richiamata
giurisprudenza, è questo il valore e la portata che la norma in
esame ha inteso attribuire a tali atti.
Quanto poi all'adizione dell'Ute, alla funzione da questo svolta ed al valore da attribuire alle determinazioni da esso
adottate ritiene la corte che le conclusioni del tribunale siano
corrette e che assolutamente prive di consistenza siano invece le
contrarie affermazioni della Consap. Va così rilevato che la possibilità di adizione dell'ufficio tec
nico erariale nella previsione normativa (che è del seguente pre ciso tenore: «fatta salva la possibilità in caso di difforme valuta
zione di ricorrere ad una stima dell'ufficio tecnico erariale») è
concessa alle parti tanto separatamente che congiuntamente e
che non v'è ragione di sorta per la quale possa attribuirsi alle
determinazioni di tale organo un differente valore nell'uno o
nell'altro caso.
Riguardo alla funzione, ancorché non si aderisca alla sua as
similabilità a quella svolta dall'arbitratore (soprattutto in consi
derazione del fatto che questo suppone una concorde investitura
delle parti, nel caso di specie mancante) è fuor di dubbio che es
sa sia fondamentalmente di «garanzia» in quanto affidata ad un
organo pubblico — come tale in grado di assicurare una equidi
stanza dalle parti, un'assoluta trasparenza, il contemperamento
degli opposti interessi e, più in generale, il regolare svolgimento della procedura azionata dalla Consap
— peraltro avente una
specifica competenza in materia — essendo ad esso istitu
zionalmente demandati compiti di valutazione nel settore pub blico.
Relativamente poi alla determinazione dell'Ute risulta evi
dente, essendo nella logica della legge, che sia vincolante, quale che sia il contenuto (cioè tanto che nell'operata stima il prezzo risulti inferiore, tanto che sia superiore a quello indicato dalla
venditrice), nei confronti di entrambe le parti. E tanto segna un chiaro superamento di tutte le osservazioni
della ricorrente volte ad evidenziare delle, inesistenti, situazioni
di diversità nelle posizioni delle parti e della ventilata incostitu
zionalità della normativa in esame.
Né è ipotizzabile la possibilità, prospettata dalla Consap, di
una retrocessione della procedura, con la restituzione alla ven
ditrice della facoltà di non dare corso alla vendita — nel caso
che il prezzo di stima sia inferiore a quello da lei indicato — e
di procedere lei stessa, in un diverso momento, a seguito del rie
same da parte sua del mutamento delle condizioni di mercato, e
ciò per una molteplicità di ragioni: a) in primo luogo perché, come si è detto, nella logica della
legge la valutazione dell'opportunità di procedere alla vendita
può essere fatta, ed in tempi brevi (attese le finalità perseguite dal legislatore), una sola volta dal venditore all'inizio della pro cedura (che una volta iniziata deve andare a compimento);
b) quindi perché, sempre secondo le svolte considerazioni, se
alla comunicazione dell'intento di vendere, diretta al condutto
re, faccia seguito la dichiarazione di quest'ultimo di voler eser
citare la prelazione, viene ad esistenza un obbligo, nei confronti
di tutte le parti, di pervenire alla conclusione del contratto;
c) ancor perché, se la si consentisse, verrebbero frustrate in
radice le finalità della legge, finendo per attribuire ad una delle
parti del rapporto (il venditore) l'assoluto controllo del prezzo di vendita (ad onta di qualsiasi stima dell'Ute) e rendere possi bile l'aggiramento ed azzeramento di quei principi di garanzia e
di favore voluti dal legislatore nei confronti del conduttore (tra dottisi nella concessione della prelazione, in quella di un prezzo
politico di acquisto, e della possibilità di adire l'Ute nel caso di mancato accordo sul prezzo).
Infine nessun esame meritano, non incidendo sul contenuto
della decisione, le ulteriori argomentazioni svolte dalla ricor
rente, intese a sottolineare ulteriori irrilevanti differenze esi
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PARTE PRIMA 432
stenti tra la prelazione, di cui all'art. 38 1. 392/78, e quella in
trodotta dalla disposizione in esame.
Il ricorso va pertanto rigettato.
II
Svolgimento del processo. — Norbis Alessandra intimava li
cenza per finita locazione nei confronti di Messaggi Ester e
Dacquino Maurizio, deducendo di aver acquistato in data 25
maggio 2000, dalla Consap s.p.a., un immobile già locato dal
l'Ina s.p.a. ai convenuti, con contratto del 24 settembre 1993.
Tale contratto era stato stipulato in base all'art. 11 1. 359/92
(c.d. legge sui patti in deroga) con durata quadriennale dal 1°
ottobre 1993 al 30 settembre 1997, e con rinuncia alla facoltà di
disdetta alla prima scadenza. Pertanto, il rapporto si era rinno
vato per altri quattro anni, fino al 30 settembre 2001. E rispetto a tale data, la locatrice aveva dato tempestiva disdetta stragiudi
ziale, con raccomandata del 15 giugno 2000.
Si costituivano i convenuti eccependo l'applicabilità dell'art.
3, comma 109, lett. b), 1. 662/96, che garantisce il rinnovo dei
contratti di locazione agli inquilini con reddito inferiore ai limiti
di decadenza previsti per la permanenza negli alloggi di edilizia
popolare. Nel caso di specie tale limite — come fissato dalla re
gione Lombardia — era rispettato. Secondo l'interpretazione
degli intimati, in particolare, la garanzia del rinnovo prevista dalla citata norma comportava l'ulteriore vigenza quadriennale del contratto a decorrere dal 30 settembre 2001: ciò in quanto,
all'epoca di entrata in vigore della 1. 662/96, il contratto già fruiva del rinnovo quadriennale ex art. 11 1. 359/92 (dal 1° gen naio 1997 al 30 settembre 2001), sicché la garanzia di protra zione del rapporto introdotta dalla legge finanziaria non poteva che produrre effetti proprio a partire dal termine per cui era stata
intimata licenza.
Replicava l'intimante evidenziando l'irrazionalità di una tale
prospettiva, la quale avrebbe comportato una locazione con du
rata di dodici anni (quattro+quattro+quattro); soluzione sicura
mente non voluta da un intervento di settore quale quello del
l'art. 3, comma 109, 1. 662/96. Aggiungeva peraltro, che tale
norma prevede la garanzia del rinnovo del contratto, con ciò ri
ferendosi ai soli contratti già scaduti all'epoca di entrata in vi
gore della legge. Così non era nel caso di specie: al 1° gennaio 1997, infatti, il contratto era pienamente in corso per effetto
dell'avvenuta rinnovazione tacita quadriennale ex art. 11 1.
359/92. Mutato il rito, veniva data lettura del dispositivo. Motivi della decisione. — È incontroverso tra le parti
— e ri
sulta dagli atti — che il naturale termine del contratto di loca
zione sia quello del 30 settembre 2001, in forza dell'art. 11,2°
comma, 1. 359/92: trattasi invero di locazione stipulata successi
vamente (1° ottobre 1993) all'entrata in vigore dei c.d. patti in
deroga, e con rinunzia alla facoltà di disdetta alla prima scaden
za. Altresì incontroverso è che, rispetto al 30 settembre 2001, sia stata inviata tempestiva disdetta.
Si pone allora il problema di accertare se e quale sia l'inci
denza, su tale termine, dell'art. 3, comma 109, lett. b), 1. 662/96.
La norma prevede che le amministrazioni pubbliche — le
quali non rispondano alla 1. 24 dicembre 1993 n. 560 — la Con
sap, nonché le società a partecipazione pubblica, procedono alla
dismissione del loro patrimonio immobiliare con le seguenti modalità: «b) è garantito il rinnovo del contratto di locazione, secondo le norme vigenti, agli inquilini titolari di reddito fami liare complessivo inferiore ai limiti di decadenza previsti per la
permanenza negli alloggi di edilizia popolare. Per le famiglie di conduttori composte da ultrasessantacinquenni o con compo nenti portatori di handicap, tale limite è aumentato del venti per cento». Trattasi di disposizione applicabile al caso di specie, sia
perché l'immobile ottenuto dalla locatrice perviene da vendita
operata dalla Consap, sia perché dalla documentazione prodotta
dagli intimati risulta il rispetto dei limiti reddituali imposti dalla citata lett. b); rispetto peraltro mai contestato dalla locatrice.
Ciò posto, nell'intento di fornire una corretta interpretazione della previsione legislativa, sicuramente non perspicua, occorre
fare qualche considerazione generale. L'art. 3, comma 109, si
inserisce in un complesso di norme della legge finanziaria che,
lungi dal regolare la materia locativa, sono state invece intro
dotte a disciplina della procedura di dismissione e vendita del
Il Foro Italiano — 2002.
patrimonio immobiliare pubblico. In tema, sono poi arrivati ul
teriori interventi (v. 1. 448/98,1. 488/99, 1. 388/00) proiettanti la
loro incidenza pure sull'art. 3, comma 109 (v. art. 2, 2° comma,
1. 488/99, che ha introdotto la lett. f bis, 2, 5° comma, stessa
legge, nonché 44, 18° comma, 1. 388/00, che ha tra l'altro abro
gato la lett. c).
Ora, l'art. 3, comma 109, pur con le successive modifiche,
prevede ancora due tipi di garanzia di fronte alla dismissione del
patrimonio immobiliare. La lett. a) «garantisce» un diritto di
prelazione ai conduttori dei beni alienandi, siano essi locatari
con contratti in corso, siano essi conduttori in base a contratti
già scaduti, purché detentori attuali dell'immobile ed in regola coi pagamenti. Su analoga linea si pone la lett. / bis) che, a fa
vore dei medesimi soggetti di cui alla lett. a), offre l'acquisto dei beni degli edifici di pregio. La seconda garanzia è appunto quella di cui alla lett. b), ovvero il rinnovo del contratto di loca
zione. Titolari di tale diritto non sono tutti i conduttori, bensì
solo le categorie c.d. deboli, aventi cioè diritto alla permanenza
negli alloggi di edilizia popolare. C'è da chiedersi se queste due garanzie (v. l'identico incipit
delle lett. a e b) abbiano la stessa portata. È chiaro infatti che la
garanzia di cui alla lett. a) si risolve in un vero e proprio diritto
creato dalla finanziaria: un diritto di prelazione, in vista della
vendita, attribuito ai conduttori con contratti in corso, o anche
già scaduti ma in regola coi pagamenti e nella detenzione del
l'immobile. Per la lett. b), invece, il discorso appare più compli cato. Due infatti sono le opzioni prospettabili. La prima è quella che colloca la lett. b) sullo stesso piano visto per la lett. a): cioè
a dire che, come è stato voluto dalla legge uno specifico diritto
di prelazione, così la stessa legge ha creato un secondo diritto:
quello al rinnovo del contratto di locazione in favore dei soli
conduttori deboli. Si tratterebbe, in quest'ottica, di un diritto
introdotto ex novo, non previsto nei precedenti testi normativi in
ambito locativo. La seconda opzione prospettabile, invece, col
loca la lett. b) su un piano diverso: cioè a dire che essa non pre vede alcun nuovo diritto, ma, tramite il richiamo alle norme vi
genti, si limita a far salvo il rinnovo se esso già sussisteva in fa
vore dei conduttori deboli. In altri termini, la lett. b) andrebbe
così intesa: «se secondo le norme vigenti v'è un diritto di rinno
vo al contratto, esso è salvaguardato (garantito) pur in caso di
alienazione del patrimonio immobiliare». Quest'interpretazione
potrebbe avere a suo sostegno: 1) il peso del richiamo alle
«norme vigenti», assente nella lett. a), nonché: 2) il rispetto dello specifico contesto in cui si inserisce l'art. 3, comma 109,
ovvero un contesto che non regola affatto le locazioni, bensì le
procedure di dismissione degli immobili statali, sicché — si ar
gomenterebbe — difficilmente il legislatore potrebbe aver in
trodotto una norma, la quale — ove interpretata in senso oppo
sto — si risolverebbe in un intervento dotato di diretta forza in
novativa in ambito locativo.
Ma nonostante queste possibili motivazioni, pare preferibile la prima delle due alternative presentate. Intanto v'è una ragione di simmetria sistematica: sia la lett. a) che la lett. b) iniziano
con l'identico incipit «è garantito». E allora, se è indubbio che, nella lett. a), tale garanzia si risolve nella creazione di un diritto,
la medesima formulazione deve far propendere per la portata innovativa anche della lett. b), verso un diritto di rinnovo sorto
proprio in base alla presente legge. In secondo luogo: se il legis latore avesse voluto semplicemente affermare che l'alienazione
degli immobili in nulla tocca i diritti — già stabiliti aliunde —
dei conduttori c.d. deboli alla permanenza nell'alloggio, non
avrebbe avuto bisogno di ribadirlo con una disposizione ad hoc.
Il fatto che la lett. b) sia individuata come una peculiare «mo
dalità» della dismissione, fa al contrario propendere per una
qualificazione del rinnovo come fattispecie nuova e tipizzata, ossia voluta soltanto per le locazioni aventi ad oggetto quei par ticolari immobili (quelli in proprietà dei soggetti pubblici elen cati all'inizio della norma) e quei particolari conduttori. Il rin
novo, allora, viene introdotto come specifica provvidenza a
vantaggio delle categorie deboli, in quel peculiare contesto che
è la dismissione patrimoniale. Da ultimo, la presente tesi trova
conferma nell'ultima parte della lett. b). Essa introduce una
nuova agevolazione proprio a vantaggio di una species (famiglie con ultrasessantacinquenni e con componenti handicappati) del
genus conduttori c.d. deboli, ovvero l'aumento del venti per cento quanto al limite di reddito previsto onde evitare la deca
denza di assegnazione dagli alloggi per l'edilizia popolare. Il
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
secondo periodo della lett. b) chiaramente interviene in un cam
po estraneo alla dismissione del patrimonio immobiliare: entra
nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica e, correlativa
mente, delle locazioni. Intervento diretto, questo, che sarebbe
invece stato omesso nel corpo della norma, qualora il legislatore l'avesse voluta concepire
— secondo l'interpretazione qui re
spinta — come meramente ricognitiva. L'ultima parte della lett.
b), nella sua valenza esorbitante la sola regolamentazione della
procedura dismissiva, rende anche debole il tentativo di ridurre
la portata dell'intera lettera argomentando su un suo preteso ca
rattere strettamente settoriale, come tale privo di forza espansiva nel campo delle locazioni e relativo al solo contesto dell'aliena
zione dei beni pubblici. Al contrario, si conferma in tale periodo finale l'intentio legislatoris, prima menzionata, di creare nuovi
vantaggi a favore dei locatori deboli; il che non contravviene
alla specificità caratterizzante l'ambito dell'intervento innovati
vo, giacché ci si muove pur sempre entro il limitato settore degli immobili (alienandi) in proprietà di determinati soggetti pubbli ci. Del resto, altre volte il legislatore si è mostrato propenso ad
introdurre provvidenze in favore delle fasce deboli, proprio in
sede di legge finanziaria (v. art. 80, 20°, 21° e 22° comma, 1.
388/00). Va pertanto confermata la tesi che vede nella lett. b) una disposizione introdotta a maggior tutela dei locatori deboli,
allorquando l'alloggio da essi goduto sia oggetto di alienazione
da parte della pubblica amministrazione. A costoro è conferito
ex lege un diritto al rinnovo contrattuale prima inesistente. Se
così è, il richiamo alle «norme vigenti» svolge non più l'ampio ruolo di rinvio alla disciplina generale delle locazioni, compren siva anche delle ipotesi di rinnovo, bensì la più limitata funzio
ne di individuare le caratteristiche (ad es. la sua durata) della
nuova fattispecie di rinnovo ora introdotta.
A questo punto, occorre però chiedersi che cosa significhi di
ritto al rinnovo. Sostengono infatti gli intimati che la proroga
negoziale scatterebbe nel loro caso dopo il 30 settembre 2001, ovvero in epoca in cui la procedura di dismissione dell'immo
bile si è da tempo conclusa, avendo la Consap venduto all'at
tuale proprietaria nel 2000. Il diritto al rinnovo spetterebbe
quindi pur se all'entrata in vigore della 1. 662/96 e, addirittura, al momento di completamento dell'iter di cessione dell'alloggio
all'acquirente privato, i conduttori beneficiavano ancora della
vigenza del rapporto locativo (nel caso di specie, ex art. 11,2°
comma, 1. 359/92). Questa tesi non può essere condivisa. Invero, come ha affer
mato la difesa dell'intimante, il diritto al rinnovo di cui alla lett.
b) presuppone che il contratto di locazione fosse scaduto: cioè
che all'epoca di entrata in vigore della 1. 662/96 i c.d. conduttori
deboli non avessero più titolo — in base ad altre leggi —
per rimanere nella detenzione. Solo a costoro si rivolge la provvi denza normativa.
L'interpretazione qui seguita è innanzitutto confortata dal
dato testuale. La lett. b) parla di rinnovo del contratto, così co
me di rinnovo parla la lett. a), riferendolo esplicitamente ai
contratti già scaduti. La contrapposizione è tra contratti in corso
e contratti da rinnovare perché già scaduti, pur se con la perma nente detenzione ad opera dell'inquilino. E questa contrapposi zione è stata ribadita nella lett./bis) del medesimo comma 109:
ivi, ancora una volta, si parla di rinnovo con riferimento ai con
tratti scaduti. Adottando allora il criterio di interpretazione si
stematica, non si può che pervenire a leggere il termine «rinno
vo» di cui alla lett. b), in relazione all'identico termine usato
nella lett. a), sì da riferire il rinnovo sempre e solo ai contratti
già scaduti alla data di vigenza della 1. 662/96. Se così non fos
se, il legislatore avrebbe specificamente parlato, alla lett. b), di
«rinnovo del contratto di locazione in corso», usando cioè
quella stessa terminologia — «locazione in corso» —
già adot
tata nella lett. a).
All'interpretazione sistematica si aggiunge quella teleologica. Se l'intento del legislatore fu quello di creare un diritto, è chiaro
che il rinnovo non può non limitarsi ai conduttori i quali, all'e
poca di entrata in vigore della legge, tale diritto non avevano: id
est ai conduttori che non potevano rimanere nell'immobile. È
per essi che ha utilità la nuova misura introdotta: si crea un di
ritto al rinnovo per chi, prima della nuova legge, era occupante senza titolo, e dunque soggetto allo sfratto. La ratio di tutela le
gislativa appare limpida: per chi aveva un reddito inferiore ai
limiti fissati per l'edilizia popolare, e abitava un immobile di
proprietà pubblica ma non di tipo popolare, perché ottenuto in
Il Foro Italiano — 2002.
base a normale contratto di locazione (è il caso in questione) si
doveva evitare il rilascio per finita locazione (in base alla durata
ordinaria, già spirata ex 1. 392/78, dei contratti ad uso abitativo), onde non costringere l'inquilino a privarsi dell'immobile, per
poi riassegnargliene altro di edilizia residenziale pubblica, a se
guito della complessa procedura di settore. Poiché egli aveva
comunque diritto di ottenere un alloggio, si è voluto rinnovare il
contratto, con permanenza in quell'immobile, durante i tempi necessari per procedere alla sua dismissione. Per chi invece, avendo ultrasessantacinquenni o un handicappato nella famiglia,
godeva di un immobile non popolare, ma disponeva di un red
dito superiore al limite fissato per l'assegnazione di quello po
polare, sicché nemmeno aveva diritto all'assegnazione secondo
le norme dell'edilizia residenziale pubblica, ecco che si inter
viene, sempre al fine di evitarne lo sfratto, aumentando del venti
per cento il limite reddituale, e garantendogli il rinnovo. Ma per chi già godeva, in base alle norme vigenti, di un contratto in
corso non v'era bisogno di intervenire: il conduttore, infatti, continuava a conservare il suo diritto personale di godimento senza che l'alienazione ad opera dell'ente pubblico lo potesse
pregiudicare, stante la norma generale dell'art. 1599 c.c. Invero, estendere il diritto di rinnovo ai conduttori parti di un contratto
in corso all'epoca dell'entrata in vigore della 1. 662/96, signifi cherebbe sganciare totalmente tale diritto dalla vicenda che in
vece ne rimane pur sempre premessa imprescindibile, ovvero
l'alienazione del patrimonio pubblico. In particolare, significhe rebbe attribuire tale diritto anche per l'epoca in cui — come
pretendono gli intimati — l'alienazione già si è perfezionata. Ciò che equivale al conferimento di una portata innovativa, per il futuro, all'art. 3, comma 109, elevandolo al rango di norma
generale, del tutto estranea alla vicenda dismissiva e volta, in
vece, ad introdurre una indistinta provvidenza a qualsiasi con
duttore debole. Significherebbe, in sostanza, trascurare del tutto
Voccasio legis di cui il diritto al rinnovo è pur sempre figlio.
Significherebbe ancora — adesso sì — fare della sola lett. b) un
precetto avulso dal contesto normativo in cui è inserito, costrin
gendo l'interprete a concludere per la totale irrazionalità della
scelta legislativa compiuta. In realtà il discorso è diverso: in
tanto i conduttori deboli sono tutelati, in quanto l'esigenza di
protezione sorga in corrispondenza della cessione pubblica, cioè
a dire che, al tempo della stessa, costoro risultavano privi di un
legittimo titolo di detenzione dell'immobile alienando. Si con
sideri altresì che, se così non fosse, e si pretendesse un rinnovo
quando già si è completata la procedura di vendita — un rinno
vo dovuto al solo fatto che essa un tempo vi fu — non si po trebbe più parlare della rinnovazione contrattuale come di una
delle varie «modalità» di alienazione del patrimonio immobilia
re (così invece si esprime l'art. 3, comma 109). Va dunque convalidata l'intimata licenza e dichiarato risolto
il contratto per intervenuta scadenza del suo termine (30 set
tembre 2001), posto che i convenuti non avevano diritto al rin
novo ex art. 3, comma 109, lett. b), essendo parti, all'epoca del
l'entrata in vigore della 1. 662/96, di un negozio locativo ancora
in corso. Viste le precarie condizioni economiche della Messag
gi e l'handicap che affligge il Dacquino, si fissa il termine per il rilascio in dodici mesi ex art. 56 1. 392/78.
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