sezione III civile; sentenza 17 aprile 2000, n. 4922; Pres. Longo, Est. Lucentini, P.M. Palmieri(concl. conf.); Asquer (Avv. G. e A. Petretti, Cabras) c. Gabrielsen; Gabrielsen (Avv. Pellegrini,Mereu) c. Asquer. Conferma Trib. Cagliari 2 maggio 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2000), pp. 2185/2186-2189/2190Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194599 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 17 apri le 2000, n. 4922; Pres. Longo, Est. Lucentini, P.M. Palmie
ri (conci, conf.); Asquer (Avv. G. e A. Petretti, Cabras) c. Gabrielsen; Gabrielsen (Aw. Pellegrini, Mereu) c. Asquer.
Conferma Trib. Cagliari 2 maggio 1997.
Locazione — L. 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione —
Equo canone — Appartamento compreso in edificio di inte
resse artistico o storico — Esclusione — Condizioni (L. 27
luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili ur bani, art. 26).
Le unità immobiliari ricavate all'interno di palazzi di eminente
pregio storico o artistico (palazzi classificabili nella categoria catastale A/9 solo se destinati, ancorché non interamente, ad
abitazione) non sono automaticamente sottratte alla normati
va dell'equo canone, ai sensi dell'art. 26, lett. A), l. 392/78, ma possono esserlo, qualora ripetano le caratteristiche
architettonico-costruttive del tutto, secondo l'incensurabile va
lutazione del giudice del merito. (1)
(1) La Corte di cassazione ritorna sul problema dell'applicabilità del la disciplina dell'equo canone ai rapporti di locazione ad uso abitativo
riguardanti unità immobiliari comprese in edifici assoggettati al vincolo
di cui alla 1. 1089/39, mostrando di condividere le conclusioni cui era a suo tempo pervenuta Cass. 8 ottobre 1985, n. 4897, Foro it., 1986, I, 483, circa la rilevanza — ai fini considerati — delle caratteristiche e del classamento catastale del singolo immobile concesso in locazione
(nella specie, si trattava di una porzione di una villa globalmente acca
tastata come A/8, e la corte ritenne disapplicabile tale classificazione da parte del giudice ordinario, ai fini della determinazione del canone
legale di locazione), e dissentendo, invece, dalla successiva Cass. 19 novembre 1993, n. 11445, id., 1994, I, 3488, con nota critica di M.
Annecchino, espressasi nel senso che ai fini tributari un palazzo assog
gettato al vincolo di cui alla I. 1089/39 deve essere necessariamente
inquadrato, unitariamente, nella categoria catastale A/9.
Successivamente, come si rammenta in motivazione, la Corte costitu
zionale, con la sentenza 15 luglio 1997, n. 237, id., 1997, I, 2759, con nota di richiami, ha escluso che possa considerarsi manifestamente irra
gionevole (e, quindi, in contrasto con l'art. 3, 1° comma, Cost.) la
scelta del legislatore di escludere l'operatività del regime dell'equo ca
none, ex art. 26, lett. d), 1. 392/78, solo per il fatto che l'unità abitativa
locata sia compresa in un edificio di eminente pregio storico o artistico
(e indipendentemente, dunque, dalle caratteristiche del singolo allog gio); ma, tuttavia, al contempo, ha dato atto della possibilità di una
diversa interpretazione della norma impugnata. Ed appunto a favore di una siffatta interpretazione «alternativa»,
ora confermata dalla pronunzia in rassegna, secondo cui non può omet
tersi di tenere conto delle caratteristiche della singola unità immobiliare
oggetto della locazione, v. di recente, con riferimento al caso dell'ap
partamento compreso in una «villa» unitariamente accatastata come A/8, Cass. 11 dicembre 1998, n. 12463, id., Rep. 1998, voce Locazione, n.
371, nella parte non massimata, che può leggersi in Arch, locazioni,
1999, 626; e Pret. Firenze 21 luglio 1998, ibid., 849. Con riferimento
all'ipotesi di unità immobiliare compresa in un edificio di particolare interesse storico-artistico, vincolato ex 1. 1089/39, v. invece, in senso
tendenzialmente difforme, Trib. Milano 8 maggio 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 95 (per esteso, in Arch, locazioni, 1998, 424, che
tuttavia, nell'escludere l'assoggettabilità all'equo canone di un apparta mento ricavato da un edificio di particolare interesse artistico-storico,
pone in evidenza come l'alloggio in questione risentisse, in concreto, delle peculiari caratteristiche del complesso unitariamente considerato), e Pret. Palermo 12 maggio 1998, id., 1999, 144 (secondo cui in tal
caso l'immobile «non può non rientrare nella categoria catastale A/9,
indipendentemente dalle sue intrinseche caratteristiche»). Sulla rilevanza della problematica in discorso anche ai fini dell'appli
cazione della nuova disciplina in materia di locazioni abitative (dal mo
mento che, a norma del 2° comma dell'art. 1 1. 431/98, le locazioni
relative ad immobili vincolati ai sensi della 1. 1089/39, o inclusi nelle
categorie catastali A/1, A/8 e A/9, sono — di regola — soggette esclu
sivamente alla disciplina degli art. 1571 ss. c.c.), cfr., tra gli altri, D.
Piombo, Lineamenti della disciplina delle locazioni abitative e dell'ese
cuzione degli sfratti per finita locazione, dopo l'entrata in vigore della
I. 431/98, in Foro it., 1999, V, 137; Id., Alcuni spunti a proposito delle locazioni abitative escluse dalla tutela della I. 431/98, in Rass.
equo canone, 1999, 447; F. Petrolati, in AA.VV., La nuova disciplina delle locazioni ad uso abitativo, in Gazzetta giur., 1999, suppl. al n.
14-15, 8 ss.; A. Scarpa, in AA.VV., Commento alla I. 9 dicembre
1998 n. 431, in Rass. locazioni, 1999, 7 ss.; A. Bucci, La disciplina delle locazioni abitative dopo le riforme, Padova, 1999, 13, e, da ulti
mo, S. Giove, Le fattispecie contrattuali escluse, in Le locazioni ad
uso di abitazione a cura di V. Cuffaro, Torino, 2000, 221 ss.
Il Foro Italiano — 2000.
Svolgimento del processo. — Con ricorso 27 aprile 1992 An
ke Gabrielsen — premesso di condurre in locazione, dal 1° no
vembre 1986, un appartamento posto in Cagliari, via Lamar
mora 38, di proprietà della locatrice Luisa Asquer — esponeva che il canone corrisposto, inizialmente di lire 350.000 mensili
e progressivamente aumentato a lire 400.000, era superiore a
quello che avrebbe dovuto pagare ai sensi della 1. 27 luglio 1978
n. 392. Chiedeva pertanto al Pretore di Cagliari che fosse accer
tato l'equo canone e che la locatrice fosse condannata alla resti
tuzione di quanto indebitamente corrisposto. Radicatosi il contraddittorio, la convenuta contestava il fon
damento della domanda, eccependo che non era applicabile la
normativa sull'equo canone, giacché l'unità immobiliare locata
era parte di un edificio di interesse artistico e storico.
Ritenuta la causa in decisione, il pretore — disapplicato l'in
quadramento dell'immobile nella categoria catastale A/2, alla
stregua del provvedimento 8 aprile 1993 con cui il sovrintenden
te per i beni ambientali ne aveva dichiarato l'interesse storico
ed artistico, ai sensi della 1.1° giugno 1939 n. 1089 — osserva
va che esso immobile era da includere nella categoria A/9, e
come tale sottratto al regime vincolistico ai sensi dell'art. 26, 1° comma, lett. d), 1. 392/78. Peraltro, su gravame della soc
combente, il Tribunale di Cagliari accoglieva la domanda, e con
seguentemente condannava la locatrice a restituire a contropar te la somma di lire 14.135.297, oltre accessori.
Per la cassazione della sentenza l'Asquer ha proposto ricorso
sulla base di un motivo.
Resiste con controricorso la Gabrielsen, che a sua volta pro
pone ricorso incidentale condizionato avverso la medesima
sentenza.
L'Asquer resiste con controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione. — Il ricorso principale e quello inci
dentale condizionato vanno riuniti, in quanto proposti contro
la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.). Con l'unico motivo del ricorso principale, denunciando vio
lazione e falsa applicazione dell'art. 26 1. 27 luglio 1978 n. 392, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., la ricorrente Asquer si
duole che il giudice d'appello, in contrasto con alcune pronunce
giurisprudenziali, abbia escluso la valutazione unitaria, sotto il
profilo catastale, del palazzo nel quale era compreso l'immobile
locato, tanto più che con sentenza 15 luglio 1997, n. 237 (Foro
it., 1997, I, 2759), la Corte costituzionale, nel dichiarare non
fondata la questione di legittimità costituzionale della norma, sollevata dal Pretore di Firenze, aveva osservato che la scelta
del legislatore di sottrarre le unità abitative comprese in immo
bili di eminente pregio storico od artistico alla disciplina limita
tiva della libera contrattazione non era in contrasto con l'art.
3 né sotto il profilo della ragionevolezza, né sotto quello della
parità di trattamento. Era peraltro da considerare che l'appar tamento locato alla Gabrielsen aveva caratteristiche particola
rissime, tali da fare apparire ingiustificato il regime vincolistico.
Osserva il collegio. Il secondo giudice accolse la domanda della conduttrice moti
vando che la diversa decisione del pretore si fondava sulla rite
nuta inscindibilità fra le caratteristiche dello stabile e quelle del
la singola unità abitativa, il che era però assunto contrario non
solo alla legge (la quale, col riferirsi agli immobili inclusi nella
categoria catastale A/9, appariva escludere le singole unità even
tualmente poste al loro interno) ma anche al principio, che l'i
spirava, di «forte tutela» del conduttore, del quale era espres sione l'art. 79: ché «l'ammettere un canone soggetto a libera
contrattazione per unità abitative contenute (magari in seguito a lavori finalizzati ad un più redditizio sfruttamento economi
co) in un palazzo di particolare valore storico-artistico (come nella fattispecie, già dall'inizio della locazione) sarebbe in con
flitto non soltanto con i principi contenuti nella disciplina vin
colistica vigente all'epoca del rapporto (iniziato nella specie in
data 1° novembre 1986), ma costituirebbe pure il corollario di
un'irragionevole differente disciplina con riferimento a locazio
ni di appartamenti di caratteristiche analoghe (ed eventualmen
te anche di vicina ubicazione), ma parte di un edificio non di
interesse storico o artistico». In ogni caso, la giurisprudenza aveva affermato doversi distinguere la singola unità abitativa,
oggetto del contratto, dall'edificio del quale faccia parte, aven
te ex se un certo classamento catastale, precisando che, quando sia previsto un classamento soltanto per l'edificio, esso non si
estende automaticamente all'immobile locato, il quale dunque
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2187 PARTE PRIMA 2188
è da considerare come non censito, con conseguente determina
zione del coefficiente alla stregua dei criteri previsti dall'art.
16, 2° comma, 1. 392/78. Ne derivava che il canone dovuto
per l'appartamento locato all'Asquer, in quanto classato in A/2, era quello equo, secondo legge.
Per decidere in merito alla censura riguardante la prima delle
due rationes decidendi enunciate dal tribunale, occorre prende re le mosse da Cass. 19 novembre 1993, n. 11445 {id., 1994,
I, 3488), attinente alla materia tributaria, ove questa corte sta
bilì che un palazzo assoggettato al vincolo di cui alla 1. 1089/39
(com'è quello oggi in contestazione) deve essere inquadrato ca
tastalmente nella categoria A/9 a prescindere dal fatto che sin
gole parti di esso — sia pure suscettibili di essere apprezzate come distinte unità immobiliari — possano avere destinazioni
proprie di altre categorie catastali.
Il nucleo essenziale della pronuncia consta delle seguenti pro
posizioni: 1) la pressoché totalità delle categorie catastali dei
vari gruppi, secondo il quadro redatto dalla direzione generale del catasto del ministero delle finanze (in relazione al r.d.l. 13
aprile 1939 n. 652, convertito in 1. 11 agosto 1939 n. 1249), si caratterizza per la particolare destinazione dell'unità immobi
liare (abitazioni, uffici, per il gruppo A; collegi, caserme, case
di cura, ecc., per il gruppo B; negozi, botteghe, magazzini, ecc.
per il gruppo C; immobili «a destinazione speciale», per il gruppo D; immobili «a destinazione particolare», per il gruppo E); 2) la categoria A/9 (relativa a «castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici») reca eccezione a tale criterio, caratterizzan
dosi per la natura intrinseca della costruzione, indipendentemente dalla sua concreta destinazione; 3) considerato che i castelli o
i palazzi hanno, nell'attuale realtà, precise destinazioni (tutte tendenzialmente contemplate nel quadro di cui sopra), è inim
maginabile che si sia istituita la relativa categoria sul presuppo sto che essi immobili non siano adibiti a nessuna delle destina
zioni ivi indicate, l'opinione contraria ostando alla valorizzazio
ne di tali beni culturali.
Il collegio non ritiene di adeguarsi a questa decisione.
Se nel linguaggio comune, cui deve farsi riferimento ex art.
12 disp. prel. c.c., il «castello» identifica una «grande e mae
stosa residenza signorile (almeno in origine), strutturata a forti
ficazione, tipica dimora di signori feudali o rinascimentali» (co sì nella sentenza de qua), nello stesso senso di residenza, cioè
di luogo di abitazione, non può non intendersi, per identità di
materia, il «palazzo» (anche se è innegabile che il termine ha
un contenuto più ampio, sotto il profilo della normale destina
zione del bene). Del resto, tutte le altre categorie catastali del
gruppo A (fatta eccezione della categoria A/10, relativa ad «uf
fici e studi privati») sono relative ad abitazioni, mentre poi la
categoria A/9 significativamente segue, suggerendo quasi un'i
potesi di elencazione in progressione, la categoria (A/8) relativa
ad «abitazioni in villa». Né coglie il segno, in contrario, la sen tenza de qua laddove sostiene, per negare la destinazione abita tiva propria dei castelli, che, sebbene essi originariamente ser
vissero ad abitazione dei signori feudali o rinascimentali che li possedevano, non erano affatto escluse secondarie destinazio ni di natura commerciale, in connessione con l'economia cur
tense dell'epoca (quali botteghe, laboratori, magazzini), sol che
si consideri che il termine in questione dev'essere inteso nel si
gnificato oggi acquistato — ché la legge si riferisce all'oggi —
e non a quello di un tempo. L'infondatezza dell'opinione qui confutata pare del resto ul
teriormente confermata ove si consideri: 1) che unità immobi
liari aventi una propria specifica destinazione ed un proprio di
verso classamento catastale finirebbero altrimenti per confluire
indistintamente, al di fuori di una qualunque esplicita previsio ne derogatoria, nella categoria A/9, pur conoscendo, la disci
plina de qua, una disposizione siffatta, che è quella — solo
quella, si noti — che stabilisce che le biblioteche, le pinacote
che, i musei, le gallerie e le accademie, che di per sé fanno
parte della categoria B/6, appartengano invece alla categoria A/9 qualora abbiano sede nei relativi edifici. Vale qui, in so
stanza, il principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit taquit; 2) che, se il sistema catastale ha per finalità la determinazione dei red diti degli immobili censiti, secondo la loro effettiva destinazio
ne, l'applicazione dell'opposta tesi condurrebbe, di contro al
l'intendimento della legge, a risultati non coerenti con la realtà
delle cose, e semplicemente apparenti (o figurativi). Oltre tutto, la situazione di favore, che in tale modo si determinerebbe nei
Il Foro Italiano — 2000.
confronti del contribuente, non parrebbe collegabile al pur gra voso complesso di vincoli ed obblighi dato dalla 1. 1089/39 (in questo senso, invece, Cass. 11445/93, cit.), in mancanza di qual siasi riscontro normativo.
In definitiva, deve negarsi la premessa relativa al diverso cri
terio di qualificazione della categoria A/9, e con essa vanno
rifiutate le conseguenze che (pur coerentemente) ne sono state
tratte, così potendosi affermare che i palazzi di interesse storico
od artistico vanno classati nella categoria A/9 solo se destinati
ad abitazione. Non occorre, tuttavia, come invece ritenne il tri
bunale, che tale destinazione comprenda l'intero palazzo, ba
stando che sia relativa pur ad una sola parte di esso, allorché
tale parte, nonostante le minori dimensioni, si possa considera
re, a questi soli fini, ripetendo le caratteristiche architettonico
costruttive del tutto, un palazzo di eminenti pregi storici od
artistici, secondo l'incensurabile valutazione del giudice del
merito.
La conclusione, conviene puntualizzare, si coordina perfetta mente con quanto stabilito da Cass. 8 ottobre 1985, n. 4897
(id., 1986, I, 483), richiamata dal secondo giudice, giacché tale decisione — in conformità della pacifica giurisprudenza, che
ammette, in materia locatizia, la disapplicazione dell'atto di clas
samento — giunse ad affermare, attraverso una compiuta anali
si delle norme previste per la determinazione dell'equo canone, che il coefficiente correttivo della tipologia catastale ex art. 16
si riferisce alla specifica unità immobiliare oggetto del contratto
di locazione e non all'edificio di cui quella faccia eventualmente
parte, traendone la conseguenza che, pur in presenza di un clas
samento catastale di tale edificio, non comportando esso auto
maticamente la medesima tipologia per l'unità immobiliare lo
cata, questa (mancante di specifico classamento) va considerata
come immobile non censito, con la correlativa legittimità della
determinazione della categoria catastale da parte dell'ufficio tec
nico erariale a norma del 2° comma dell'art. 16 cit.
Notasi appena, per incidens, che il caso sottoposto all'esame
del collegio è praticamente il reciproco di quello appena indica
to, dal momento che, in presenza di uno specifico classamento
catastale in A/2 dell'unità immobiliare locata alla Gabrielsen, la locatrice ne pretenderebbe la disapplicazione, con inclusione
dell'unità medesima, agli effetti dell'art. 26, lett. d), 1; 392/78, nella categoria catastale A/9, quale (al di là di un formale clas
samento dell'ufficio tecnico erariale) potenzialmente posseduta dall'immobile di cui l'appartamento faceva parte, trattandosi
di palazzo di particolare pregio artistico e storico.
Né può essere ragione di un qualche ripensamento la senten
za 237/97, cit., con cui la Corte costituzionale dichiarò infon
data la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, 1°
comma, lett. d), 1. 392/78, in relazione all'art. 3, 1° comma,
Cost., sul rilievo che rientrava nella discrezionalità del legislato re e non era manifestamente irragionevole la norma che consi
dera, ai fini del canone di locazione, i requisiti oggettivi del
l'immobile, attribuendo rilievo al particolare pregio storico o
artistico che esso presenta, e che neppure sussisteva, peraltro, la denunciata disparità di trattamento tra il conduttore di una unità abitativa compresa in un palazzo di eminente pregio arti
stico o storico rispetto al conduttore di un'abitazione posta in
un edificio privo di tali requisiti, dato che proprio questi ultimi
costituiscono l'elemento di differenziazione, idoneo ad esclude
re l'omogeneità e, quindi, la comparabilità delle situazioni.
Non senza osservare che le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale costituiscono, nei giudizi diversi da
quello in cui la questione fu sollevata, un semplice, pur autore
vole, precedente (giurisprudenza pacifica), sta in fatto che la
stessa corte diede atto esser possibile una diversa interpretazio ne — evidentemente quella oggi seguita —, pur sempre confor
me alla Costituzione, della disposizione denunciata («sebbene sia possibile una diversa interpretazione della disposizione de
nunciata, non v'è ragione per discostarsi da quella fatta propria dal giudice rimettente, sostenuta dalla giurisprudenza prevalen te. Una diversa interpretazione s'imporrebbe solo se fosse l'uni
ca compatibile con la Costituzione»). Una volta ritenuto, a questo punto, che anche le unità immo
biliari ricavate nei palazzi di eminenti pregi storici o artistici
possono essere sottratte alla legge dell'equo canone in ragione delle loro caratteristiche dimensionali ed architettonico-costruttive
—, acquista rilievo la seconda, subordinata argomentazione del
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
giudice d'appello, la quale escluse che, alla stregua della catego ria catastale attribuita all'appartamento di cui trattasi, esso fos
se da inquadrare nella categoria A/9.
Tale affermazione — come detto in parte narrativa — è stata
impugnata dalla ricorrente sub specie di vizio logico, in base
alla considerazione che il secondo giudice non avrebbe tenuto
conto che «i soffitti (dell'alloggio locato dall'Asquer) sono alti
ben sei metri, le pareti sono rivestite di tessuto, nel soggiorno vi è un caminetto, mentre il palazzo è sito nel quartiere storico
artistico più caratteristico di Cagliari». La censura è inammissibile e comunque infondata.
Come si sa, nel giudizio di legittimità il ricorrente, che dedu ce l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugna ta per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze pro batorie ha l'onere, in considerazione del principio di autosuffi
cienza del ricorso per cassazione, di specificare, trascrivendole
integralmente, le prove non (o male) valutate, nonché di indica
re le ragioni del carattere decisivo delle stesse (così, da ultimo, Cass. 25 marzo 1999, n. 2838, id., Mass., 368).
Tale indicazione non risulta nel ricorso, derivandone, appun
to, l'inammissibilità della censura.
Peraltro, indipendentemente da ciò, le circostanze enunciate
dall'Asquer non sarebbero affatto decisive, poiché — non deli
neando un'unità immobiliare da equiparare al palazzo (nei sensi
anzidetti) — non sono tali da fare ritenere che, se considerate,
diversa e contraria, secondo un giudizio di certezza e non di
mera probabilità, sarebbe stata l'assunta decisione (così, da ul
timo, Cass. 13 gennaio 1999, n. 287, ibid., 29). Va dunque rigettato il ricorso principale, con correzione della
motivazione della sentenza ex art. 384, 2° comma, c.c., sul punto della ritenuta (dal secondo giudice) esclusione in radice della
normativa dell'equo canone nel caso di unità immobiliari rica
vate all'interno di palazzi di eminente pregio storico o artistico.
Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 13 apri
le 2000, n. 4801; Pres. Iannotta, Est. M. Finocchiaro, P.M.
Velardi (conci, conf.); Tiribelli e altri (Avv. Mazzarelli)
c. Credito italiano (Avv. Santagata). Conferma App. Roma
5 giugno 1997.
Fideiussione e mandato di credito — Fideiussione «omnibus»
contratta prima del 1992 — Morte del fideiussore — Succes
sione automatica degli eredi — Obbligo di comunicazione della
banca — Esclusione (Cod. civ., art. 1938; 1. 17 febbraio 1992
n. 154, norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi
bancari e finanziari, art. 10). Fideiussione e mandato di credito — Fideiussione «omnibus»
contratta prima del 1992 — Questione manifestamente infon
data di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. civ., art. 1938;
1. 17 febbraio 1992 n. 154, art. 10). Fideiussione e mandato di credito — Fideiussione «omnibus»
contratta prima del 1992 — Norme bancarie uniformi — Abu
so di posizione dominante e intesa limitativa della concorren
za — Esclusione (Trattato Ce, art. 81, 82; cod. civ., art. 1938;
1. 17 febbraio 1992 n. 154, art. 10).
Posto che la morte del garante non estingue il contratto di fi
deiussione omnibus, gli eredi, che abbiano accettato l'eredità
con accettazione pura e semplice, succedono nel contratto (sen
za che occorra una comunicazione da parte della banca) e
rispondono anche delle obbligazioni contratte dopo la morte
del de cuius secondo la disciplina anteriore al 1992 (nella spe
Tt. Foro Italiano — 2000.
eie, la stipulazione del contratto era avvenuta in epoca ante
riore al 1992 e la morte del de cuius in epoca successiva). (1) È manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale dell'art. 10 I. 17 febbraio 1992 n. 154, interpretato nel senso che lo stesso è inapplicabile retroattivamente, in ri
ferimento all'art. 3 Cost. (2)
(1) Con la sentenza su riportata, in cui si confermano le decisioni dei precedenti gradi di giudizio (Trib. Roma 25 ottobre 1995, e App. Roma 5 giugno 1997, inedite), la Cassazione affronta nuovamente la
fideiussione omnibus, nel caso di un contratto stipulato prima del 1992, con morte del fideiussore in epoca successiva alla riforma. Per la Su
prema corte l'evento morte non implica la nascita di un nuovo contrat to con gli eredi (soggetto ai limiti della nuova disciplina), ma costituisce sostituzione soggettiva nel contratto preesistente, alle condizioni ivi pre viste, sicché gli eredi non possono invocare nessuna limitazione di re
sponsabilità. Inoltre la successione è automatica, senza oneri di comu
nicazione in capo alla banca beneficiaria della garanzia.
Negli stessi termini si erano già pronunciate Cass. 10 novembre 1993, n. 11084, Foro it.. Rep. 1994, voce Fideiussione e mandato di credito, n. 23, e 5 dicembre 1970, n. 2575, id., Rep. 1971, voce cit., n. 27, citate in motivazione. I giudici di merito pervengono alle medesime con
clusioni: mentre Trib. Milano 15 maggio 1995, id., Rep. 1996, voce
cit., n. 16, ritiene conforme al principio di buona fede la comunicazio ne agli eredi effettuata dalla banca e considera comportamento conclu dente il silenzio degli eredi, Trib. Napoli 8 giugno 1978, id., Rep. 1979, voce cit., n. 9, e Trib. Milano 12 gennaio 1978, id., Rep. 1978, voce
cit., n. 9, non pongono alcun onere di comunicazione a carico dell'isti tuto di credito.
Fin qui per quanto concerne la trasmissibilità dell'obbligazione futu ra agli eredi. Problema simile è quello della validità della clausola (con tenuta nell'art. 3 dello schema-tipo introdotto dall'A.b.i.), che pone a carico degli eredi (al pari di ogni avente causa) una responsabilità solidale per i debiti garantiti.
Per la validità di detta clausola, che non costituisce un patto succes
sorio e non è vessatoria, cfr. App. Napoli 24 aprile 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 53; Trib. Napoli 23 maggio 1990, id., Rep. 1991, voce cit., nn. 45, 54; 26 marzo 1986, id., Rep. 1988, voce cit., n. 55; 8 giugno 1978, cit.; Trib. Bergamo 31 marzo 1971, id., Rep. 1972, voce
cit., n. 19. In senso contrario, Trib. Rovigo 20 gennaio 1988, id., Rep.
1990, voce cit., n. 37, per il quale si tratta di clausola vessatoria.
La dottrina esibisce minore univocità. Un'opinione (apertamente cri
ticata nella sentenza che si riporta), muovendo dal presupposto che a) la fideiussione comporta i diversi obblighi di copertura e di pagamento, b) la morte del garante estingue l'obbligo di copertura, approda alla
conclusione che gli eredi debbano rispondere dei soli debiti che siano
certi ed esigibili e sorti prima della morte; l'estinzione dell'obbligo di
copertura impedisce al carattere accessorio dell'obbligazione di garan zia di produrre i suoi effetti sulla posizione debitoria del fideiussore.
In questo senso, A. Breooli, Per un'«amministrazione controllata» della
fideiussione «omnibus», in Banca, borsa, ecc., 1983, I, 475; E. Fava
ra, La fideiussione «omnibus» come contratto di durata, in Giust. civ.,
1989, II, 400, 404. Per U. Salvestroni, Osservazioni in tema di con fideiussione «omni
bus», in Banca, borsa, ecc., 1979, II, 405, gli eredi non rispondono dei debiti successivi alla morte del garante perché viene meno la capaci tà del soggetto di determinare i rapporti non ancora definiti. A. Calde
rale, La trasmissibilità agli eredi del fideiussore dei debiti contratti dal debitore principale dopo la morte del garante nell'ordinamento fran
cese, quebechese ed italiano, in Foro it., 1985, IV, 235 (e Fideiussione
«omnibus», voce del Digesto civ., Torino, 1992, Vili, 277, 287 s.) sot
tolinea la differenza tra la posizione monolitica della giurisprudenza italiana (criticata per gli effetti pregiudizievoli nei confronti degli eredi
ignari) e la tendenza innovatrice dei giudici francesi e dei legislatori francofoni. In senso critico anche M. Massironi, in Giur. it., 19%,
I, 1, 676, che ricostruisce le differenze tra la trasmissibilità di diritto
dell'obbligazione e quella prevista nel contratto. Per G. Santoni, Fideiussione «omnibus» ed eredi del fideiussore,
in Banca, borsa, ecc., 1993, I, 15, 24, il contratto di fideiussione non
è scomponibile; l'obbligazione fideiussoria sorge con la conclusione del
contratto, ma con effetti obbligatori sospesi, sicché, in caso di morte, l'erede subentra nell'intera obbligazione, senza possibilità di scissione
con i debiti successivi all'apertura della successione, salvo l'obbligo di
comunicazione da parte della banca in base al principio di buona fede.
Altra parte della dottrina non dubita della diretta trasmissibilità agli eredi del contratto, sul presupposto che la fideiussione non è contratto
stipulato intuitu personae: per tutti, v. Fragali, Fideiussione e manda
to di credito, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1968, 141.
In tema, v. anche D. Di Gravio, La responsabilità (verso le banche) del fideiussore e dei suoi eredi, in Dir. fallim., 1992, I, 601, 606; L.
Cap aldo, Fideiussione ed estensione del vincolo solidale agli eredi, in
Banca, borsa, ecc., 1990, II, 398; per una ricognizione, v. D. Mara
sciulo, La fideiussione «omnibus» nella giurisprudenza, Milano, 1999, 302 s.
(2-3) La terza sezione civile della Suprema corte in modo reciso in
tende sgombrare il campo dai rilievi volti a porre in dubbio la costitu
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