sezione III civile; sentenza 17 ottobre 2002, n. 14743; Pres. Vittoria, Est. Manzo, P.M.Napoletano (concl. conf.); Centro ippico S. Maria (Avv. Rostelli, Benecchi) c. Dell'Albani (Avv.Costa, Verdirame), Soc. Milano assicurazioni (Avv. Spinelli Giordano, Tedoldi). Conferma App.Milano 27 ottobre 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1175/1176-1179/1180Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198272 .
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PARTE PRIMA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 17
ottobre 2002, n. 14743; Pres. Vittoria, Est. Manzo, P.M.
Napoletano (conci, conf.); Centro ippico S. Maria (Avv. Ro
stelli, Benecchi) c. Dell'Albani (Avv. Costa, Verdirame), Soc. Milano assicurazioni (Avv. Spinelli Giordano, Tedol
Di). Conferma App. Milano 27 ottobre 1998.
Responsabilità civile — Animali — Caduta da cavallo —
Responsabilità del centro ippico — Fattispecie (Cod. civ., art. 2052).
E responsabile dei danni cagionati dall'animale chi, adoperan dolo secondo la sua destinazione economica, ne trae profitto
(nella specie, il gestore di un maneggio è stato ritenuto re
sponsabile per i danni subiti da un 'allieva caduta da cavallo
nel corso di una lezione di equitazione). (1)
(1) Con la pronuncia in epigrafe, la Corte di cassazione torna ad af fermare la responsabilità del titolare di un maneggio per i danni provo cati ad un'allieva, sbalzata da cavallo, durante una lezione di equitazio ne, escludendo che il cliente del centro ippico possa ritenersi soggetto che ha in uso l'animale ai sensi dell'art. 2052 c.c. In linea con la giuris prudenza dominante (cfr. Cass. 4 dicembre 1998, n. 12307, Foro it., 1999, I, 1938, con nota di S. Di Paola, cui si rinvia per ulteriori riferi menti [la bibliografia ivi indicata va integrata con: E. Santolini, Scuole di equitazione e responsabilità da animati in custodia, in Riv. giur. cir
colai. e trasp., 1997, 854; V. Santarsiere, Responsabilità per i danni subiti dagli utenti di maneggio, in Nuovo dir., 1994, 811]; nonché Trib.
Perugia 16 marzo 1998, Foro it., Rep. 1999, voce Responsabilità civile, n. 342), il Supremo collegio, muovendo dal presupposto che la respon sabilità del danno provocato da animali sia espressione del principio ubi commoda, ibi et incommoda, ritiene il gestore del maneggio, impre sa avente ad oggetto l'addestramento all'equitazione, obbligato al ri sarcimento dei danni provocati dai cavalli beni strumentali all'attività da cui trae profitto.
Contra, nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Vercelli 9 gennaio 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 256, e, per esteso, Nuova giur. civ., 1996, I, 832, con nota di A. Fusaro, Responsabilità civile per l'eserci
zio dell'attività equestre; Trib. Sondrio 20 aprile 1996, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 257; Trib. Asti 31 dicembre 1992, id., Rep. 1994, voce cit.. n. 117, dove (oltre ad escludersi la responsabilità del titolare del maneggio ex art. 2050, come sottolinea Di Paola, op. cit.) si ritiene
che. ogniqualvolta il cliente abbia noleggiato il cavallo presso un ma
neggio e riportato danni alla persona a seguito di una caduta durante la
cavalcata, non possa ottenere il risarcimento dei pregiudizi subiti invo cando la presunzione di responsabilità ex art. 2052 del titolare del ma
neggio, dovendo fornire la prova della responsabilità di quest'ultimo secondo la disciplina generale dell'art. 2043 c.c.
In dissonanza con la pronuncia in rassegna, anche Cass. 12 settembre
2000, n. 12025, Foro it., Rep. 2001, voce cit.. n. 371, e. per esteso,
Resp. civ., 2001. 636, con nota di G. Citarella, Ancora sull'art. 2052
c.c., ha affermato che, in tema di danni cagionati da animali — con ri ferimento all'incidente occorso ad una minore sbalzata da un cavallo
preso a noleggio in un maneggio —, la responsabilità del proprietario dell'animale prevista dall'art. 2052, essendo alternativa rispetto a
quella del soggetto che ha in uso l'animale stesso, è esclusa in tutti i casi in cui il danno sia cagionato mentre l'animale, in virtù di un rap porto anche di mero fatto, sia utilizzato da altri per la realizzazione di un interesse autonomo.
Più in generale, sulla responsabilità per i danni cagionati da animali, ai fini dell'esclusione della responsabilità del proprietario, Cass. 30 marzo 2001, n. 4742, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 372, sostiene la necessità che l'utilizzatore si serva dell'animale in modo autonomo, tanto da escludere ogni ingerenza del proprietario nel suo governo.
In ordine alla possibilità per il danneggiato durante una lezione di
equitazione di agire nei confronti del titolare del maneggio ex art. 2050 c.c., la Suprema corte ha da tempo chiarito che l'attività equestre può considerarsi pericolosa solo quando si tratti di esercitazioni di princi pianti ignari di ogni regola equestre, ovvero di allievi giovanissimi la cui inesperienza, e conseguente incapacità di controllo del cavallo, ren dano imprevedibili le reazioni dell'animale stesso se non sottoposto a comandi efficienti. In tal senso, cfr. Cass. 4 dicembre 1998, n. 12307, cit., ivi, in nota, ulteriori riferimenti.
D'altro canto, in sede di merito non sono mancate pronunce in cui si è affermata la pericolosità dell'attività di equitazione: v. Giud. pace Pergine Valsugana 4 luglio 1996, id., Rep. 1999, voce cit., n. 343, e,
per esteso. Giudice di pace, 1999, 230, con nota di F. Pantè, La re
sponsabilità extracontrattuale del titolare del maneggio: Trib. Terni 5 marzo 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 319.
Ormai è indiscussa in giurisprudenza l'affermazione della responsa bilità per i danni.cagionati da animali, sancita dall'art. 2052. come
ipotesi di responsabilità oggettiva, fondata non sulla colpa, ma sul rap porto di fatto con l'animale da cui consegue la necessità per il proprie
II Foro Italiano — 2003.
Svolgimento del processo. — Antonella Dell'Albani conveni
va in giudizio dinanzi al Tribunale di Monza il centro ippico S.
Maria di Campini Renato nonché Fabio Andreoli, esponendo che mentre prendeva parte ad una passeggiata di addestramento
sotto la guida dell'istruttore del centro Andreoli era stata sbal
zata di sella dal cavallo, che era stato spronato al galoppo su in
vito dello stesso istruttore. Chiedeva quindi la condanna in soli
do dei convenuti al risarcimento dei danni subiti. Il centro ippi co si costituiva, contestando il fondamento della domanda e de
ducendo che l'attrice, allorché aveva deciso di praticare l'equi
tazione, si era assunta anche i rischi connessi all'esercizio di
tale pratica sportiva. Veniva chiamata in causa, quale società as
sicuratrice del centro ippico, la s.p.a. Milano assicurazioni, che
costituitasi in giudizio eccepiva l'inoperatività della garanzia assicurativa. Il tribunale accoglieva la domanda nei confronti
del centro ippico, mentre la respingeva nei confronti delI'An
dreoli. Accoglieva inoltre la domanda di garanzia del centro ip
pico nei confronti della s.p.a. Milano assicurazioni.
Interposto appello, la Corte d'appello di Milano, con sentenza
del 27 ottobre 1998, in parziale riforma dell'impugnazione, re
spingeva la domanda di garanzia del centro ippico nei confronti
della s.p.a. Milano assicurazioni, confermando nel resto la sen
tenza impugnata. La corte territoriale riteneva sussistente la re
sponsabilità del centro ippico a norma dell'art. 2052 c.c. ed
escludeva, in base all'interpretazione dell'art. 1 delle condizioni
speciali di polizza, che la garanzia assicurativa coprisse il ri
schio in questione. Avverso questa sentenza il centro ippico S. Maria propone ri
corso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memo
ria. La Milano assicurazioni s.p.a. resiste con controricorso e
propone, a sua volta, ricorso incidentale articolato sulla base di
tre motivi. La Dell'Albani resiste con controricorso ad entrambi
i ricorsi.
Motivi della decisione. — 1. - Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c.
2. - Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione ed
errata applicazione dell'art. 2052 c.c. Lamenta in particolare che
la corte territoriale aveva fatto derivare la responsabilità del ti
tolare del maneggio dal fatto che lo stesso trarrebbe profitto dall'uso dell'animale. In questo senso non aveva considerato
che anche chi noleggia l'animale ne trae profitto, in quanto pur se non ne ritrae lucro soddisfa il bisogno di svago. Chi pratica uno sport
— qual è l'equitazione
— ne assume anche i normali
rischi e non può esservi responsabilità del gestore del maneggio
quando l'esercizio dello sport dell'equitazione ha causato danni
per fatto stesso di chi lo pratica. Comunque, l'art. 2052 c.c. non
sarebbe applicabile in quanto, come affermato dalla sentenza
della Cassazione del 9 gennaio 1979, n. 116 (Foro it., Rep. 1979, voce Responsabilità civile, n. 123), la responsabilità per il
danno cagionato da un animale grava sul proprietario o su colui
che se ne serve e ciò comporta che la responsabilità sia operante soltanto nei confronti dei terzi — estranei sia alla proprietà che
all'uso dell'animale — e non possa essere fatto valere da uno
degli obbligati verso l'altro.
Il motivo è infondato.
Non può accogliersi la prospettazione secondo cui, con rife
rimento al caso di specie, l'art. 2052 c.c. non sarebbe applica bile.
Va innanzi tutto precisato che nel ricorso si fa riferimento al
noleggio dell'animale per una passeggiata a cavallo. In realtà il
fatto accertato dalla corte d'appello è diverso e riguarda una
tario o utilizzatore dell'animale per essere esentato dall'obbligo del ri sarcimento del danno di fornire la prova che il danno è stato causato da un evento fortuito (id est imprevedibile, inevitabile, assolutamente ec
cezionale): v., in tal senso, Cass. 9 gennaio 2002, n. 200, id., Mass.. 19;
App. Venezia 26 ottobre 2000, id., Rep. 2001, voce cit., n. 373; Cass. 14 settembre 2000, n. 12161, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 345.
In dottrina, sulle problematiche evocate dalla sentenza in rassegna, cfr. E. Filograna, Il mio regno per (colpa di) un cavallo!, in Danno e
resp., 1999, 657; G. Citarella, La natura della responsabilità per danno cagionato da animali, in Resp. civ., 1999, 713; A. Baratto,
L'equitazione e la responsabilità del gestore del maneggio, in Giur. it., 1999, 2048; E. Romano, La scuola di equitazione come attività perico losa, in Rass. giur. umbra, 1999, 62; G. Catalano, Vecchio e nuovo sull'art. 2050 c.c. (intorno a cadute da cavallo e responsabilità civile), in Riv. dir. sport., 1993, 686.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
passeggiata a cavallo con l'accompagnamento dell'istruttore per
perfezionare le posizioni di cavalcata.
Fatta tale precisazione, la sentenza di questa corte n. 116 del
1979, richiamata dal ricorrente, afferma che «la responsabilità
per il danno cagionato da un animale grava sul proprietario o su
colui che se ne serve, e ciò nel senso che la soggezione alterna tiva dell'uno o dell'altro di costoro a tale responsabilità importa che essa sia operante soltanto nei confronti dei terzi — estranei
sia alla proprietà che all'uso dell'animale — e non possa essere
fatta valere da uno degli obbligati verso l'altro». Il principio in
essa enunciato è certamente condivisibile e sta ad indicare che
la responsabilità prevista dalla disposizione in esame non è cu
mulativa, ma ha carattere alternativo riguardando il proprietario o chi ha in uso l'animale. Ciò che non è condivisibile è l'appli cazione che il ricorrente fa del principio in questione, traendone
la conclusione dell'inoperatività dell'art. 2052, per non essere
«terzo» chi cavalca l'animale e trattandosi di una controversia
tra noleggiatore e noleggiante. L'art. 2052 pone la responsabilità del danno cagionato dal
l'animale a carico del proprietario di un animale o «di chi se ne
serve per il tempo in cui l'ha in uso». E questa corte ha già escluso che il cliente del maneggio possa ritenersi colui che ha
in uso il cavallo a norma dell'art. 2052 c.c., affermando che
perché la responsabilità del proprietario «gravi su un altro sog
getto occorre, anzitutto, che il proprietario giuridicamente o di
fatto si sia spogliato di detta facoltà di 'far uso' dell'animale
trasferendola a un terzo. Qualora, invece, il proprietario continui
a far uso dell'animale sia pure tramite un terzo, e, quindi, abbia
ingerenza nel governo dell'animale ... il responsabile rimane
pur sempre il proprietario» (v., in motivazione, Cass. 23 no
vembre 1998, n. 11861, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 300, e 4 di
cembre 1998, n. 12307, id., 1999,1, 1938). In conclusione, chi ha in uso l'animale a norma dell'art. 2052
c.c. è il gestore del maneggio, che esercita la relativa attività
economica, traendone profitto, a favore appunto del cliente e
non quest'ultimo (che altrimenti sarebbe responsabile dei danni
che senza sua colpa il cavallo può cagionare agli altri clienti del
maneggio). Il ricorrente ha ulteriormente prospettato che anche chi no
leggia l'animale ne trae profitto, pur se non economico. Non sa
rebbe dunque corretta la soluzione accolta dalla corte d'appello che aveva fatto derivare la responsabilità del gestore del ma
neggio dal fatto che aveva tratto profitto dall'uso dell'animale.
Anche questa prospettazione è priva di fondamento.
La corte territoriale, nell'applicare l'art. 2052 c.c., ha osser
vato che responsabile dei danni cagionati dall'animale è chi dal
suo uso ne trae profitto. E nel caso di impresa che ha per og
getto l'addestramento all'equitazione i cavalli sono il «bene
strumentale» principale e sono utilizzati allo scopo di trarne
profitto. In tal modo la sentenza ha fatto applicazione del prin
cipio, risalente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui
la responsabilità per danno da animali è espressione del princi
pio ubi commoda, ibi et incommoda. Del danno cagionato dal
l'animale, per la sua stessa indole, è responsabile —
pur essen
do esente da colpa — chi ne trae profitto adoperandolo secondo
la sua destinazione. E irrilevante, invece, che anche colui che
cavalca l'animale ne possa trarre profitto, pur se non economi
co. Infatti, per quanto si è detto, chi cavalca l'animale per di
letto non lo ha «in uso» a norma dell'art. 2052 c.c.
3. - Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione
ed errata applicazione degli art. 1341, 1362, 1363, 1366, 1367, 1370 c.c., lamentando che la corte territoriale aveva erronea
mente ritenuto che l'assicurazione «non fosse operante rispetto al caso in esame, e ciò in forza di un'esclusione affidata ad una
condizione di polizza intitolata 'animali'». Risultavano violate
le norme sull'interpretazione dei contratti e il principio secondo
cui l'interpretazione «va operata con riguardo all'insieme delle
normative contrattuali e non enucleando le singole condizioni,
considerando, inoltre, il principio della buona fede nella conclu
sione ed adempimento dei contratti stessi». In particolare il ri
corrente deduce: a) che era stato violato il canone dell'inter
pretazione complessiva delle clausole, poiché se si fossero con
siderate oltre al testo dell'art. 1 dell'allegato contenente le con
dizioni speciali, anche gli art. 13, 15 e 16 e gli allegati nn. 1 e 2
si sarebbe pervenuti alla conclusione che la tutela offerta dal
l'assicuratore all'assicurato era certamente riferibile al caso di
specie; b) la clausola 1 doveva essere interpretata come applica
li, Foro Italiano — 2003.
bile solo alle fasi di movimento o trasferimento degli animali, cosicché l'esclusione della garanzia era da considerarsi sola
mente nell'ambito di queste operazioni; c) il dubbio interpreta tivo andava risolto a favore dell'assicurato; d) la clausola in
questione, stabilendo a favore dell'assicuratore un vantaggio, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica approvazione a nor
ma dell'art. 1341 c.c.
Anche questo motivo è infondato.
La corte territoriale ha osservato che la clausola 1 delle con
dizioni speciali intitolata «animali» considerava, per escluderle
dall'ambito della copertura assicurativa, tre distinte ipotesi di
danni: «i danni inerenti al trasferimento degli animali; i danni
ad animali sottoposti alla monta, alle coltivazioni e da contagio; i danni alle persone che cavalcano gli animali o li conducono».
Ha affermato che, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, era arbitrario collegare il 1° e il 3° comma della clausola e da
ciò ritenere che l'esclusione dal rischio dei danni alla persona che cavalca o conduce l'animale è limitata al caso di trasferi
mento dell'animale. È quindi pervenuta alla conclusione che
l'assicurazione non si estendeva alla persona che cavalca l'ani
male.
Ciò premesso, appare priva di fondamento la doglianza sub
a). Non si riscontra alcuna violazione del criterio di interpreta zione complessiva dell'atto. La corte d'appello ha fatto applica zione del criterio in questione, interpretando sia analiticamente
che complessivamente le singole proposizioni della clausola 1
intitolata «animali». Manca invece di decisività la circostanza
con la quale il ricorrente si duole che la corte territoriale non
avrebbe fatto riferimento anche alle clausole generali del con
tratto 13. 15 e 16 e agli allegati. Infatti, la considerazione della
clausola 1, contenuta nelle condizioni speciali di polizza, quale clausola di delimitazione dell'oggetto del contratto e di esclu
sione del rischio assicurato con riferimento al caso di specie, rende prive di rilievo le proposizioni generali relative all'og
getto del contratto, ponendosi quale deroga alle stesse.
È infondata anche la doglianza sub b). L'accertamento della
volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si tra
duce in un'indagine di fatto, affidata al giudice di merito e cen
surabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione
inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpreta zione contrattuale di cui agli art. 1362 ss. c.c. Non è dunque suf
ficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, for
mulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudi cante (Cass. 28 maggio 2001, n. 7242, id., Rep. 2001, voce
Contratto in genere, n. 398; 20 marzo 2001, n. 4009, ibid., 402; 26 marzo 2001, n. 4342, ibid., 399). Nel caso di specie, con la
doglianza in questione il ricorrente contrappone la propria inter
pretazione a quella ritenuta dai giudici di merito, criticando non
la violazione dei canoni di ermeneutica legali, ma il convinci
mento espresso nella sentenza impugnata in modo difforme
dalle aspettative. Anche il profilo riassunto sotto la lett. c) non evidenzia moti
vi di illegittimità. La scelta da parte del giudice del merito del
mezzo ermeneutico più idoneo all'accertamento della comune
intenzione dei contraenti non è sindacabile in sede di legittimità
qualora sia stato rispettato il principio del «gradualismo», se
condo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidia
ri (come V interpretatio contra stipulatorem) solo quando il si
gnificato letterale delle espressioni adoperate dai contraenti sia
insufficiente all'identificazione della comune intenzione ed il
giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della rite
nuta equivocità ed insufficienza del dato letterale (Cass. 27 di
cembre 1999, n. 14587, id.. Rep. 1999, voce Espropriazione per
p.i., n. 354; 11 giugno 1991, n. 6610, id., Rep. 1991, voce Con
tratto in genere, n. 292; 20 giugno 1987, n. 5437, id., Rep.
1987, voce cit., n. 304). Nel caso di specie, dall'interpretazione condotta dalla corte di merito non residuavano dubbi che potes sero giustificare il ricorso al criterio di cui all'art. 1370 c.c.
Anche la doglianza sub d) è priva di fondamento. Nel con
tratto di assicurazione, sono da considerare clausole limitative
della responsabilità, per gli effetti dell'art. 1341 c.c., quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadem
pimento o che escludono il rischio garantito. Attengono diver
samente all'oggetto del contratto quelle clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, spe cificano il rischio garantito (v., per es., di recente, Cass. 4 feb
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PARTE PRIMA
braio 2002, n. 1430, id., Mass., 113). Nel caso di specie, la clau
sola in questione era volta chiaramente a delimitare l'oggetto del contratto, escludendo dalla garanzia coloro che cavalcavano
gli animali, cosicché non vi era necessità della sottoscrizione
espressa a norma dell'art. 1341 c.c.
4. - Con il ricorso incidentale la Milano assicurazioni s.p.a.
svolge tre motivi.
I primi due motivi, con i quali si lamenta la violazione e falsa
applicazione dell'art. 2052 c.c. e l'omessa motivazione sulla ri
costruzione dei fatti restano assorbiti dal rigetto del ricorso
principale. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale lamenta la viola
zione degli art. 91 e 92 c.c., nonché motivazione omessa o in
sufficiente sul provvedimento di compensazione delle spese, per avere la corte d'appello rigettato la domanda del centro ippico e
inspiegabilmente compensato le spese.
Questo motivo è privo di fondamento.
Esula dal sindacato di legittimità e rientra nei poteri discre
zionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, essendo la statuizione delle spese adottata dal giudice di merito
sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del
divieto, posto dall'art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le
spese a carico della parte vittoriosa (v., per es., Cass. 7 marzo
2001, n. 3272, id., Rep. 2001, voce Spese giudiziali civili, n.
23). In ogni caso poi, come anche riaffermato dalla più recente
giurisprudenza, la valutazione circa la compensazione totale o
parziale delle spese del giudizio costituisce una facoltà discre
zionale del giudice del merito ed è sottratta all'obbligo di una
specifica motivazione, soggiacendo la relativa pronuncia al sin
dacato di legittimità solo quando il giudice, a giustificazione della disposta compensazione, enunci motivi illogici od erronei
(Cass. 11 febbraio 2002, n. 1898, id., Mass., 136). In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che
quello incidentale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 set
tembre 2002, n. 13158; Pres. Saggio, Est. Marziale, P.M.
Uccella (conci, diff.); Soc. Fornaci Magnetti (Avv. D'Ange
lantonio. Riva) c. Comune di Bergamo (Avv. Romanelli,
Gaggioli), Milanesi (Avv. Bonfiglio, Giua), Peretti (Avv. Pafundi, Calvi). Cassa App. Brescia 21 agosto 1998.
Appalto — Rovina e difetti di cose immobili — Responsabi lità — Ambito applicativo (Cod. civ., art. 1669).
Il fornitore dei materiali utilizzati nella costruzione dell'immo
bile non è responsabile ex art. 1669 c.c. dei danni subiti dal
committente per la parziale rovina dell'edificio. (1)
(1)1.- Sulla responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c. in caso di ro
vina, anche parziale, o di gravi difetti di edifici od altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, persiste un contrasto fra la dottrina prevalente, che ne sostiene la natura contrattuale, e la giurisprudenza che opta per l'extra contrattualità. L'odierna pronuncia aderisce al cristallizzato orienta mento giurisprudenziale, che ravvisa nell'art. 1669 un'ipotesi di illecito
aquiliano (la sentenza è annotata da U. Carnevali, Fornitore di mate riali difettosi e responsabilità ex art. 1669 c.c., in Contratti, 2003, 148).
La posizione assunta dai giudici di legittimità poggia sulla conside razione che l'art. 1669 è norma posta a tutela della stabilità delle co struzioni, come pure dell'incolumità e sicurezza dei cittadini, di modo
che, per esservi sotteso un interesse di ordine pubblico, la sua applica zione è estesa anche a soggetti non legati tra di loro da un contratto di
appalto. In altri termini, ad avviso della Suprema corte il legislatore ha inteso garantire l'interesse generale a che non vengano realizzate opere pericolose per la collettività: si sarebbe, quindi, in presenza di una norma speciale non più in relazione alle comuni disposizioni sulla re
II Foro Italiano — 2003.
Svolgimento del processo. — 1. - Con atto notificato il 10
maggio 1985, il comune di Bergamo conveniva in giudizio da
vanti al tribunale di quella città la s.p.a. Impresa Ama, esponen do:
— che il 30 luglio 1974 aveva affidato in appalto, alla società
convenuta, i lavori di costruzione della nuova sede del liceo ar
tistico statale, i quali erano stati ultimati il 30 agosto 1977; — che nel secondo semestre del 1984 si erano manifestati fe
nomeni di «sfondellamento», prontamente denunziati alla so
cietà appaltatrice, la quale aveva però declinato ogni responsa bilità;
— che, per tale ragione, aveva provveduto ad eliminare di
rettamente i difetti rilevati, affrontando la spesa di lire
46.455.780. Tanto premesso, il comune chiedeva la condanna della con
venuta al pagamento di tale somma, con rivalutazione e interes
si, a titolo di responsabilità ex art. 1669 c.c.
sponsabilità contrattuale, ma all'art. 2043 c.c. (v., ex multis, Cass. 28 novembre 2001, n. 15124, Foro it., Rep. 2001, voce Appalto, n. 39, e Corte conti, sez. II giur. centr. app., 18 settembre 2001, n. 302/A, ri
portata per esteso, insieme a quella che precede, in Danno e resp., 2002, 521, con nota adesiva di P. Dellachà; Cass. 7 gennaio 2000, n.
81, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 59, e, per esteso, Giust. civ., 2001, I, 2511; 22 giugno 1995, n. 7080, Foro it.. Rep. 1996, voce cit., n. 54, e, per esteso, Riv. giur. edilìzia, 1995, I, 819).
Secondo la tesi avallata dalla giurisprudenza, la responsabilità sorge per il solo fatto di aver realizzato l'opera, con la conseguenza di schiu dere il ristoro a danneggiati diversi dal committente. La norma in pa rola si applica, quindi, anche nei casi in cui l'appaltatore incontri una
responsabilità verso i terzi per rovina dell'immobile: può essere invo cata contro di lui da chiunque (semplice detentore dell'immobile, pro prietario contiguo, passante) rimanga pregiudicato dalla rovina del l'immobile.
Che sia questa la ratio della norma in parola è conclusione contestata dalla dottrina in base sia al suo tenore letterale, sia all'espressa men zione della legittimazione attiva degli aventi causa del committente
(spiegabile solo in termini di eccezione ai principi della responsabilità contrattuale dovuta al lungo termine previsto dalla norma), sia ancora all'inutilità della costruzione giurisprudenziale, dato che la responsabi lità del costruttore o delle altre persone alle quali può essere imputato l'evento dannoso è «perfettamente da ammettersi in base ai principi ge nerali» (cfr. D. Rubino-G. Iudica, Appalto, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1992, 424, i quali osservano che, se si consi dera l'art. 1669 come norma speciale rispetto all'art. 2043, escludendo
l'operatività di quest'ultima, si applicherebbe alla fattispecie in esame una disciplina più favorevole per il costruttore almeno per quanto ri
guarda l'onere della denuncia entro l'anno dalla scoperta ed il decorso della prescrizione, e C. Giannattasio, L'appalto, in Trattato Cicu Messineo, Milano, 1967, 212 ss.).
II. - L'asserita natura aquiliana dell'art. 1669 ha condotto la giuris prudenza di legittimità a riconoscere la legittimazione passiva in capo ai soggetti che abbiano collaborato alla costruzione sia nella sua fase ideativa con la redazione del progetto, sia in quella attuativa, mediante l'elaborazione dei calcoli di resistenza per il dosaggio del cemento ar mato, quante volte si dimostri che i vizi si sono verificati in dipendenza e a causa di errori commessi nella progettazione ovvero nei calcoli, op pure al contempo nell'una o negli altri: sì che tali soggetti devono esse re considerati quali costruttori al pari dell'appaltatore verso il quale è
configurata la specifica responsabilità (v. Cass. 11 agosto 2000, n. 10719, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 60, per la quale «la disciplina dell'art. 1669 c.c., relativa ai gravi difetti dell'opera ed applicabile an che negli appalti pubblici, si applica non solo nei confronti dell'appal tatore. ma anche nei riguardi del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che si sia avvalso di detti ausiliari e la relativa
responsabilità esula dai limiti del rapporto contrattuale corso tra le par ti, per assumere la configurazione propria della responsabilità da fatto
illecito»; 7 gennaio 2000, n. 81, cit.; 4 giugno 1999, n. 5455, id., Rep. 1999, voce cit., n. 36). La giurisprudenza, in sostanza, non si è sentita vincolata al tenore letterale della norma, ma attraverso una lettura estensiva ha allargato il novero dei legittimati passivi, includendovi, oltre alla tradizionale figura del costruttore-venditore, anche altri sog getti quali il progettista ed il direttore dei lavori, in quanto, a ragione dell'opera richiesta e prestata, abbiano collaborato in modo attivo alla costruzione dell'edificio.
Ciò, tuttavia, non è sufficiente ai fini della legittimazione passiva; occorre altresì che sussista il requisito dell'autonomia in capo a chi collabora alla costruzione, nel senso che costui deve essere libero di ge stire l'organizzazione e l'attuazione del proprio incarico nel modo rite nuto migliore e più opportuno, assumendone la relativa responsabilità. Tale requisito traspare chiaramente nell'odierna pronuncia, laddove si
opina che il presupposto per la configurabilità della responsabilità ex art. 1669 «risiede pur sempre nella partecipazione alla costruzione del
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