sezione III civile; sentenza 18 luglio 2002, n. 10403; Pres. Nicastro, Est. Sabatini, P.M. Uccella(concl. parz. diff.); Soc. Arthur Andersen (Avv. Irti, Nobili, Brock) c. Soc. Carraro e altra(Avv. Gambino, Vita Samory, Galiano). Cassa App. Milano 7 luglio 1998 e decide nel meritoSource: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2003), pp. 2147/2148-2159/2160Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198060 .
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2147 PARTE PRIMA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 18 lu glio 2002, n. 10403; Pres. Nicastro, Est. Sabatini, P.M. Uc
cella (conci, parz. diff.); Soc. Arthur Andersen (Avv. Irti,
Nobili, Brock) c. Soc. Carraro e altra (Avv. Gambino, Vita
Samory, Galiano). Cassa App. Milano 7 luglio 1998 e decide
nel merito.
Responsabilità civile — Società di revisione — Revisione volontaria — Terzo danneggiato a causa di negligente cer
tificazione — Responsabilità extracontrattuale (Cod. civ., art. 2043).
Responsabilità civile — Pluralità di azioni od omissioni co stituenti illeciti distinti — Danni diversi provocati da sin gole condotte — Solidarietà — Esclusione — Fattispecie (Cod. civ., art. 1304, 2043, 2055).
La responsabilità extracontrattuale di una società di revisione,
per i danni derivati a terzi dall'attività dì controllo e di certi
ficazione del bilancio di una società quotata in borsa, sussiste
anche nell'ipotesi di revisione volontaria, effettuata su inca
rico della società medesima (nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità ex
tracontrattuale della società di revisione per l'erronea certi
ficazione dello stato patrimoniale di una società, compiuta su
incarico di quest'ultima, nei confronti degli acquirenti delle
quote societarie relative, che non avrebbero stipulato il con
tratto definitivo, esercitando il diritto di recesso stabilito nel
preliminare, ove avessero conosciuto il reale e inferiore valo
re della società). (1) La solidarietà passiva, prevista a favore del danneggiato nel
l'ipotesi di fatto dannoso imputabile a più persone, postula l'unicità del danno configurarle, pur in presenza di più azioni od omissioni costituenti illeciti distinti e va esclusa se
le condotte realizzate da più soggetti hanno leso separata mente interessi diversi del danneggiato (nella specie, è stata
confermata la sentenza di merito che aveva escluso la solida
rietà passiva tra una società di revisione, che con un 'infedele
certificazione aveva arrecato danni ai promissari acquirenti di quote di una società, e i venditori delle quote stesse, attesa
la differenza sussistente tra il danno derivante dall'erronea
certificazione dello stato patrimoniale della società, in se
guito alla quale i promissari acquirenti non avevano valutato
l'antieconomicità della futura gestione e quindi non avevano
esercitato il diritto di recesso previsto nel preliminare, e il
danno derivante dalla violazione del sinallagma contrattuale
per aver pagato una somma non congrua per le quote sociali
acquistate). (2)
(1-2) I. - La Suprema corte, con la sentenza in rassegna, ha configu rato, in capo alle società di revisione, responsabilità extracontrattuale da revisione volontaria. La pronuncia affronta, altresì, il peculiare pro filo della solidarietà passiva, di cui all'art. 2055 c.c., a favore del dan
neggiato, nell'ipotesi di fatto dannoso imputabile a più persone, stabi lendo che, se il danno è unico, pur in presenza di più azioni od omis sioni costituenti illeciti distinti, si applicherà il principio della solida rietà passiva, da escludersi, viceversa, se le condotte realizzate da più soggetti hanno leso separatamente interessi diversi del danneggiato.
Per peculiari aspetti inerenti la sentenza di secondo grado (App. Mi lano 7 luglio 1998, Foro it., Rep. 1999, voce Società, n. 760), v. il commento di V. Salafia, in Società, 1998, 1171.
II. - In merito alla responsabilità extracontrattuale della società di re
visione, diverse pronunce prendono in considerazione l'ipotesi che Vauditor fornisca al terzo informazioni fuorviami o scorrette ovvero il suo contegno abbia carattere meramente omissivo: Trib. Torino 18 set tembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 786 (sulla quale v. anche P.G. Monateri, Gli standard speciali di condotta. La responsabilità ci
vile, in Trattato Sacco, Torino, 1998, III, 787, il quale ritiene che nella
fattispecie in questione si sia di fronte ad uno statutory duty e alla vio lazione di una norma protettiva della vittima); Trib. Milano 18 giugno 1992, Foro it.. Rep. 1993, voce cit.. n. 617, e, per esteso, Giur. it., 1993, I, 2, 1, con nota di P. Montalenti, Responsabilità extracontrat tuale della società di revisione per negligente certificazione. Per l'af fermazione della responsabilità extracontrattuale della società di revi sione che abbia cagionato danno a terzi in conseguenza di una negli gente certificazione, v. App. Torino 30 maggio 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 675, ove si stabilisce che la società che effettua la revisione e la certificazione, ai sensi del d.p.r. 31 marzo 1975 n. 136, è
responsabile se, rilevando gravi irregolarità (c.d. «fatti censurabili») nell'attività della società revisionata, a seguito delle verifiche non attivi tutte le misure per portare tempestivamente a conoscenza del collegio
Il Foro Italiano — 2003.
Svolgimento del processo. — Con scrittura privata del 16 giu
gno 1989 i sig. Stefania Baroni, Pietro Antonio Furlanetto e Mi
chele Costato promisero di vendere alla s.p.a. Carraro, che pro mise «di acquistare per sé o per società da nominarsi anche per
quote frazionate del capitale sociale entro la data di trasferi
mento», la totalità delle quote della Trenton s.r.l. — società fi
nanziaria detentrice della partecipazione totalitaria al capitale delle società del c.d. gruppo Devon — nonché il loro credito di
lire 340.000.000 nei confronti della stessa; il prezzo complessi vo fu determinato in lire 7.000.000.000, comprensivo del valore
sindacale tali irregolarità e, inoltre, se decida poi di rilasciare comun
que la certificazione. V., inoltre, Trib. Milano 21 ottobre 1999, id.,
Rep. 2000, voce cit., nn. 785-788, e Giur. it., 2000. 554, con nota di R. Weigmann.
Punta l'attenzione sulla diffusione dei risultati al pubblico degli in
vestitori, facendone discendere implicazioni significative, A. Addante,
Responsabilità della società di revisione, in Danno e resp., 2003, 365,
per la quale, nonostante la natura privatistica dell'attività svolta, deve ritenersi che i revisori contribuiscano a realizzare l'interesse pubblico alla protezione del mercato finanziario poiché la società di revisione è inserita in un sistema pubblicistico di vigilanza, con la conseguenza che i giudizi positivi da essa espressi sono in grado di conferire una parti colare attendibilità ai bilanci certificati, suscitando in soci e terzi un le
gittimo affidamento. Per una panoramica sui primi giudizi inerenti alla responsabilità dei
revisori, v. (oltre al lavoro citato da ultimo, e a F. Bonelli, op. cit. in
fra, 977), in ottica comparatistica, L. Khoury, The Liability of Auditors
Beyond Their Clients: A Comparative Study, 46 McGill L.J. 413
(2001); e, con riferimento al ruolo degli auditors, trasformati in consu
lenti, nella crisi Enron (e dintorni) — da cui è scaturita la controversa
disciplina del Sarbanes-Oxley Act del 2002 —, G. Colangelo, C'era una volta in America. Gli insegnamenti presunti ed i fallimenti veri
dell'affare Enron, in Mercato, concorrenza, regole, 2002, 455. Si se
gnala inoltre, per un confronto dei diversi sistemi di responsabilità ci
vile, M. Giretti, La responsabilità civile del revisore negli Stati uniti, in Riv. dir. impresa, 1998, 57.
III. - La dottrina dominante, attribuendo rilievo alla specifica funzio ne di sorveglianza che la società di revisione è chiamata ad espletare, riconduce la responsabilità in oggetto allo schema teorico conosciuto come teoria della condicio sine qua non (ma c'è chi sottolinea la peri colosità di un'impostazione tanto perentoria: per tutti, v. A. Addante,
op. cit., 363). Il predetto criterio richiede, in sostanza, la dimostrazione che l'inadempimento o l'illecito (a seconda che s'invochi la responsa bilità contrattuale o extracontrattuale) sia condizione essenziale, senza la quale il danno non si sarebbe verificato; in senso contrario si esprime il criterio dell'efficienza causale esclusiva, che consente di valutare l'eventuale interruzione del nesso causale, in presenza di concause o circostanze sopravvenute, quali il comportamento del creditore o del
danneggiato (D. Casadei, La responsabilità civile delle società di revi sione contabile, Milano, 2000, 140).
IV. - In tema di (tecniche di quantificazione dell'ammontare del) ri
sarcimento, argomento sempre d'attualità oltre oceano, degna di nota è Trib. Milano 18 ottobre 1999, Foro it.. Rep. 2000, voce cit., n. 789, in cui la parte attrice si era spinta al punto da chiedere, nei confronti della società di revisione che aveva effettuato certificazione obbligatoria del bilancio (sulla base del quale era stato determinato il prezzo di cessione del cento per cento di azioni della propria controllata), la condanna al
pagamento della somma restituita all'acquirente, dopo che si era con statato che il credito non era più esigibile. Lo stesso giudicante, dopo aver sottolineato i doveri di diligenza incombenti sulla società di revi
sione, nega tuttavia che la medesima possa essere chiamata a risponde re dell'esistenza delle poste in bilàncio: si legge in motivazione che, altrimenti, si arriverebbe al punto di pretendere dal revisore che reinte
gri di tasca propria l'equivalente delle voci controllate. In dottrina si ricorda come il ricorso al meccanismo dell'ADR, com
posizione stragiudiziale della lite, notevolmente diffuso negli Stati uni
ti, mirasse ad arginare la dilagante tendenza a ricorrere ad un conten zioso onerosissimo, che spesso conduceva alla condanna delle società di revisione, con risarcimenti ingenti (M. Giretti, Il revisore che sba
glia paga: ma quanto e a chi?, in Danno e resp., 2000, 481). Conside razioni di tal fatta devono fare i conti con la profonda differenza di re
gimi vigenti in Italia e Stati uniti: non di meno, c'è ragione per ritenere che l'introduzione del sistema di proportionate liability, stabilito dal Private Securities Litigation Reform Act del 1995, rappresenti lo stru mento più idoneo a determinare un'equa distribuzione dell'onere dei ri sarcimenti (con specifico riferimento alle società non quotate, v. F.
Vella, I controlli interni e la revisione contabile nella riforma delle società non quotate, in Dir. banc., 2001, I, 19, il quale analizza le pro poste avanzate in dottrina per risolvere il problema legato all'eccessivo ammontare dei risarcimenti).
V. - Sugli aspetti legati alla divulgazione della relazione di certifica zione, che potrebbe determinare in capo al revisore una forma di «re
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
patrimoniale netto aggregato di lire 3.000.000.000 attribuito alle
società del gruppo suddetto sulla base dei bilanci esibiti alla
data del 31 dicembre 1988; venne tuttavia prevista la possibilità di variazioni in diminuzione correlate al risultato della verifica e
della revisione dello stato patrimoniale aggregato delle stesse
società alla data suindicata, revisione che si stabilì di affidare
alla società Arthur Andersen (d'ora in avanti: Andersen); qualo ra le variazioni in diminuzione fossero risultate superiori a lire
1.500.000.000, i cedenti sarebbero stati egualmente obbligati a
cedere le quote societarie al prezzo pattuito, ma diminuito di un
sponsabilità da prospetto», v. G. D'Alfonso, Responsabilità da pro spetto informativo (confronto tra evoluzione legislativa, elaborazione
giurisprudenziale e dottrinale nel sistema italiano e tedesco), Napoli, 2002, 157, per il quale «una responsabilità da prospetto dei revisori, differenziata rispetto al modulo generale della responsabilità su di essa
incombente, potrà individuarsi quando tra la pubblicazione della certi ficazione del bilancio dei revisori (attraverso il deposito in allegato al
bilancio) e la pubblicazione del prospetto intercorra un certo periodo di
tempo e la società di revisione venga a conoscenza dell'intenzione della società revisionata di promuovere un'operazione di ricorso al mercato dei capitali, nell'ambito della quale la relazione di certifica zione riprodotta, a tale scopo, nel prospetto non potrà non giocare un ruolo determinante per la formazione dell'affidamento degli investitori, sicché la società dovrà verificare la perdurante validità della certifica zione rilasciata, attraverso nuovi controlli». La peculiare ricostruzione delle problematiche originate dalla responsabilità per informazioni ine satte è affrontata da F.D. Busnelli, Itinerari europei nella «terra di nessuno tra contratto e fatto illecito»: la responsabilità da informazio ni inesatte, in Contratto e impr., 1991, 539.
VI. - In assenza di un puntuale richiamo alla disciplina positiva det tata dal d.p.r. 136/75 e, da ultimo, alle norme contenute nel testo unico, la dottrina si è attestata su posizioni sensibilmente differenti in ordine
all'inquadramento del c.d. «contratto di revisione». Sul punto, v. A. Addante, Responsabilità della società di revisione, cit., 353, che ri chiama le posizioni più significative, classificandole in tre orientamen ti. Per il primo, si tratterebbe di un tipo contrattuale sostanzialmente autonomo (M. Cera, Revisione contabile e certificazione del bilancio, in Carnevali (a cura di), Diritto commerciale ed industriale, Milano, 1981, 767 ss.; A. Rossi, Revisione contabile e certificazione obbligato ria, Milano, 1985, 209; cfr., dello stesso a., anche Spunti sulla nuova
disciplina della revisione contabile, in Società, 1999, 1034). Il secondo
indirizzo, invece, suggerisce l'inquadramento nel contratto d'opera in tellettuale (cfr. M. Bussoletti, Società di revisione, voce deì\'Enciclo
pedia del diritto, Milano, 1990, XLII, 1080). Il terzo, infine, delinea l'esistenza di un vero e proprio appalto di servizi (R. Nobili, La re
sponsabilità del certificatore nel sistema giuridico italiano, in AA.VV., Aspetti giuridici della certificazione di bilancio, Milano, 1977, 43; con
qualche precisazione, ma nello stesso senso, B. Libonati, La revisione
volontaria, effetti, in Giur. comm., 1979,1, 637). Il dibattito afferente l'esatta qualificazione della natura del contratto
in oggetto presenta risvolti notevoli, soprattutto in tema di diligenza ri chiesta ai fini del corretto svolgimento dell'incarico di revisione (F. Bonelli, Responsabilità delle società di revisione nella certificazione obbligatoria e volontaria dei bilanci, in Riv. società, 1979, 971, il
quale sosteneva che il d.p.r. 136/75, attualmente sostituito dal decreto
Draghi, delineasse in maniera già sufficiente la disciplina della respon sabilità, ivi compreso il grado di diligenza, richiesto nell'esecuzione
dell'incarico, con la conseguenza che il dibattito sarebbe di scarsa rile vanza; contra, A. Addante (op. cit., 355), la quale ritiene utile, in pro posito, partire dal dato normativo fornito dall'attuale art. 164, 1° com
ma, d.leg. 58/98, che sancisce l'applicabilità alla società di revisione delle disposizioni di cui all'art. 2407, 1° comma, c.c.).
Per quanto attiene al metro di diligenza, la corte ha ritenuto ch'esso debba innalzarsi a quello richiesto al professionista. Linea condivisa da buona parte della dottrina (in tal senso, M. Santaroni, La responsabi lità del revisore, Milano, 1984, 196; A. Rossi, op. cit., 282; P. Balzari
ni, in La disciplina delle società quotate, commentario a cura di Mar chetti e Bianchi, Milano, 1999, II, 1934). Fra le molteplici pronunce offerte dalla giurisprudenza in materia di diligenza, v. Trib. Milano 21 ottobre 1999, cit.; Trib. Roma 26 aprile 1999, Foro it., Rep. 1999, voce
cit., n. 972; Trib. Torino 21 marzo 1994, id., Rep. 1994, voce cit., n.
789). C'è, però, chi opina che l'applicazione dell'art. 1176, cpv., c.c. sia
troppo rigida (v. F. Galgano, La revisione contabile, in Diritto civile e
commerciale, Padova, 1999, III, 2, 429), e chi vorrebbe limitarsi al ri chiamo della diligenza del buon padre di famiglia, senza spingersi, pe raltro, fino al punto da togliere dal giro il disposto di cui all'art. 2236
c.c., che solleva il prestatore d'opera da responsabilità per danni, salve le ipotesi di dolo o colpa grave, qualora la prestazione comporti la so luzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (P.G. Monateri, Le
fonti. La responsabilità civile, in Trattato dir. civ. a cura di Alpa, Mi
lano, 1999, IV, 213; per l'idea di una «responsabilità alleviata» per il
Il Foro Italiano — 2003.
miliardo, mentre la cessionaria sarebbe stata libera di non acqui stare a detto prezzo; tutte le insussistenze attive e le sopravve nienze passive di qualsiasi natura, non rilevate dalla Andersen
nella suddetta certificazione, sarebbero rimaste a carico dei ce
denti ed a favore della cessionaria.
Con relazioni del 14 luglio e 31 agosto 1989 la Andersen cer
tificò un valore del patrimonio netto delle società del gruppo Devon variabile tra i 2.199 e i 2.309 milioni di lire.
Il 7 settembre successivo fu stipulato il contratto definitivo
tra i predetti cedenti e le società OMG-Officine meccaniche go
revisore contabile, tra gli altri, M. Bussoletti, Le società di revisione, Milano, 1985, 310, il quale, tuttavia, precisa che tale disposizione non deve considerarsi applicabile, quando le speciali difficoltà siano di or dine quantitativo, come ad esempio, il necessario controllo di una mas sa imponente di documenti, perché queste sono superabili dall'organiz zazione della società).
Non sono mancate voci dottrinarie favorevoli ad una responsabilità anche per colpa lieve (così, M. Atelli, La revisione contabile obbliga toria come professione specialistica, in Riv. critica dir. privato, 1996, 77, il quale sostiene che l'attività di revisione non comporti la soluzio ne di problemi di speciale difficoltà; contra, A. Addante, op. loc. cit.).
Ad una soluzione egualmente restrittiva giunge altra parte della dot
trina, muovendo da differenti premesse, ossia ponendo l'accento sull'i dea che il tipo contrattuale più vicino al contratto di revisione è l'ap palto di servizi e non il contratto d'opera professionale, sicché una norma quale l'art. 2236 mal si attaglierebbe all'idea di un incarico svolto con l'organizzazione d'impresa di cui è dotata la società di revi sione; la norma andrebbe perlomeno coordinata con i principi esposti agli art. 2238 c.c. e 8 ss. d.p.r. 136/75 (attualmente abrogato per effetto dell'art. 214, lett. f, d.leg. 58/98, già citato); nell'impossibilità di enu cleare un principio astrattamente applicabile ad ogni situazione, si ri tiene necessario prestare attenzione al caso concreto, con particolare ri
guardo, tra i vari fattori, alle dimensioni, alla struttura organizzativa, alle modalità di svolgimento della gestione delle singole società sog gette a revisione (P. Balzarmi, op. cit., 1934).
Per ciò che attiene al ruolo dei principi di revisione contabile in rela zione alla portata dell'incarico affidato alle società di revisione ed al
conseguente grado di diligenza richiesto, v., tra gli altri, S. Fortunato, Approccio legalistico e principi contabili in tema di struttura e valuta zioni di bilancio, in Giur. comm., 1992, I, 453; F. Lenoci, Principi di revisione e valutazione professionale, in Società, 1984, 1406 ss.
In giurisprudenza, fra le pronunce più significative, Tar Lazio, sez. I, 21 marzo 1997, n. 480, Foro it., 1997, III, 309, con nota di G. Sacchi
Lodispoto, in cui si chiarisce che «l'attività di revisione non può in al cun modo intendersi limitata al mero controllo formale dei dati conta bili, ma deve necessariamente comprendere la sostanziale valutazione di tutti i comportamenti, le situazioni e gli atti comunque ricollegabili non solo al formale dato di bilancio, ma all'attività concretamente posta in essere dalla società revisionata; pertanto, costituisce obbligo della società di revisione la verifica della pianificazione finanziaria e gestio nale degli intermediari finanziari e la segnalazione, ove necessario o anche solo opportuno, nell'interesse dei fiducianti, di tutte le situazioni che pongano in serio dubbio la continuità aziendale del soggetto revi sionato» (cfr. anche Tar Lazio, sez. I, 2 novembre 1995, n. 1887, id., Rep. 1996, voce cit., n. 676). Per A. Addante, op. cit., 357, una volta asserita l'applicabilità della norma di cui al 2° comma dell'art. 1176, resta da verificare se i principi, raccomandati dalla Consob (con delibe ra n. 1079 dell'8 aprile 1982) costituiscano un mero parametro di rife rimento per valutare il comportamento del revisore o, al contrario, val gano come prova conclusiva di un impegno esauriente nell'esecuzione
degli obblighi assunti. Per ulteriori approfondimenti sulla natura giuri dica dei principi contabili, G. Verna, / principi contabili: norme tecni che di integrazione e d'interpretazione della legge, in Giur. comm., 2000, I, 147; S. Fortunato, I principi contabili nell'ordinamento giu ridico italiano, in Contabilità, finanza e controllo, 2001, 555.
Per A. Rossi, op. cit., 179, «l'impegno a carico del revisore importa non solo l'obbligo di applicare diligentemente i principi di revisione
raccomandati, ma anche e soprattutto di valutare se essi siano adeguati e consoni al caso preso in esame; ove risulti che tale adeguatezza non
ricorre, spetta al revisore, tenendo presente l'interesse della società re
visionata, svolgere ulteriori indagini, compiere gli accertamenti e porre in essere quelle procedure che il caso richiede. Solo in tale modo potrà affermarsi che la diligenza dovuta è stata concretamente impegnata».
Si va affermando l'idea che i suddetti principi e procedure rappre sentino una sorta di «soglia minima» del comportamento dovuto, la cui mancata osservanza determina un difetto di diligenza (M. Bussoletti, Le società di revisione, cit., 105), senza possibilità di prova contraria
(contra, V. Salafia, op. cit., 1184, il quale ritiene che i principi di revi sione «non costituiscono di certo regole obbligatorie, la cui osservanza metta il revisore a riparo da contestazioni, ma sono suggerimenti di
condotta, basati sull'esperienza e sulla scienza autorevole di chi li ha
preparati, la cui osservanza, nella maggior parte dei casi, dispenserà da
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PARTE PRIMA
riziane s.p.a. e Gefinc s.r.l., nominate dalla Carrara s.p.a. quali
persone che dovevano acquistare i diritti ed assumere gli obbli
ghi di cui al preliminare del 16 giugno 1989; il prezzo di cessio
ne delle quote della Trenton fu convenuto in 7.000.000.000 di
lire; preso atto della suindicata certificazione, le parti dichiara
rono che intendevano definire in via forfetaria il patrimonio netto aggregato delle società del gruppo in lire 2.600.000.000.
A seguito di nuovo incarico conferitole, con relazioni del 25
maggio e 2 luglio 1990 la Andersen, all'esito dell'esame di fatti
ed elementi non noti all'epoca delle precedenti relazioni, evi
responsabilità il revisore. In concreto spetterà a chi ne contesti l'opera dimostrare come, nella fattispecie, la suddetta osservanza non fosse
sufficiente»), a fronte di quanti, invece, vi attribuiscono mero valore di
indizio, ai fini della formazione del convincimento giudiziale (S. For
tunato, op. cit., 573). VII. - Per ciò che concerne la delicata problematica dell'esatta quali
ficazione delle obbligazioni gravanti sui revisori, secondo il tradizio nale dualismo «obbligazioni di mezzi» ovvero «di risultato», deve ri cordarsi che la stessa è stata messa in discussione dalla dottrina (C.M. Bianca, La responsabilità, in Diritto civile. 5. La responsabilità, Mila
no, 1994, 27), che ha evidenziato come i contorni della suddetta distin zione possano essere talora labili, tentandone un superamento. In Fran
cia, la dottrina configura un terzo tipo di obbligazione, denominata ge neralmente obligation de garantie, nell'ipotesi in cui il debitore non sia liberato dalla responsabilità neppure in caso di forza maggiore (v., per tutti, P. Malaurie-L. Aynes, Cours de droit civil. VI. Les Obligations4, 1993, 447 ss., spec. 452 ; nonché L. Boy, nota a Tribunal de Grande In stance de Paris 5 maggio 1997 e 20 ottobre 1997, in Recueil Dalloz. 1998, 39, 560 ss.; cfr. anche V. Carbone, in Corriere giur., 1997, 550
ss., secondo il quale «la corretta applicazione dei principi generali del l'onere della prova rende superfluo il ricorso alla distinzione in esame, trattandosi di principi valevoli per qualsiasi tipo di obbligazione»; da
ultimo, A. Fabrizio-Salvatore, L'avvocato e la responsabilità da pa rere. in Danno e resp., 2003, 259). Si è reso necessario precisare che
l'inquadramento dell'attività di revisione nell'ambito della disciplina delle obbligazioni di risultato comporta, quale immediata conseguenza, che il debitore (nella specie, la società di revisione) sia considerato ina
dempiente, ma non automaticamente responsabile; in altri termini, in comberà sulla società che opera la revisione fornire la prova della non
imputabilità della mancata scoperta del falso (A. Addante, op. cit., 359; su posizioni più rigide pare V. Salafia, Alcune questioni in mate ria di revisione contabile, cit., 1184).
Spostando l'asse del discorso sul piano probatorio, sulla base della considerazione che, in alternativa all'ipotesi su delineata, si prospetta la
possibilità inversa, laddove si abbia riguardo all'obbligazione di mezzi, in cui l'onere della prova ricade sulla società revisionata, particolar mente oneroso risulterà, poi, dimostrare la mancanza della dovuta dili
genza qualora il suddetto onere incomba su terzi che intendono far va lere una responsabilità extracontrattuale della società di revisione (M. Bussoletti, Le società di revisione, cit., 363 ss).
Vili. - In merito all'esclusione della solidarietà passiva tra la società di revisione e i venditori delle quote societarie, attesa la differenza sus sistente tra il danno derivante dall'erronea certificazione dello stato
patrimoniale della società — in seguito al quale i promissari acquirenti non avevano valutato l'antieconomicità della futura gestione e quindi non avevano esercitato il diritto di recesso previsto nel preliminare — e il danno derivante dalla violazione del sinallagma contrattuale per aver
pagato una somma non congrua per le quote sociali acquistate, v. Cass. 4 giugno 2001, n. 7507, Foro it., Rep. 2001, voce Responsabilità civile, n. 381, ove si rimarca che in contrapposizione all'art. 2043 c.c., che fa
sorgere l'obbligo del risarcimento dalla commissione di un «fatto» do loso o colposo, il successivo art. 2055 c.c. considera, ai fini della soli darietà nel risarcimento stesso, il «fatto dannoso», sicché, mentre la
prima norma si riferisce all'azione del soggetto che cagiona l'evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, ed in cui favore è stabilita la solidarietà. Conseguentemente l'unicità del fatto dannoso richiesta dall'art. 2055 per la legittima predicabilità di una re
sponsabilità solidale tra gli autori dell'illecito deve essere intesa in sen so non assoluto, ma relativo al danneggiato, ricorrendo, pertanto, tale forma di responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, ed anche
diversi, sempre che le singole azioni o omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, e senza che, con tale
principio, contrasti la disposizione dell'art. 187, cpv., c.p., la quale, con 10 statuire per i condannati per uno stesso reato l'obbligo in solido al ri sarcimento del danno, non esclude ipotesi diverse di responsabilità so lidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o che siano
colpiti da condanna per reati diversi o che siano taluni colpiti da con danna e altri no.
In dottrina, B. Quatraro, La responsabilità civile della società di revisione e la responsabilità penale del revisore contabile, in Controllo
legale dei conti, 1997, 21, propende per l'applicabilità del regime di re
11 Foro Italiano — 2003.
denziò una minusvalenza di oltre lire 1.356.000.000 rispetto allo
stato patrimoniale già certificato.
Con atto di transazione del 14 giugno 1991 il gruppo Carrara
rinunciò a promuovere giudizi di responsabilità o rivalsa nei
confronti dei suindicati cedenti mentre costoro ridussero il prez zo pattuito di lire 1.550.000.000, accettando la somma di lire
200.000.000 a tacitazione di ogni pretesa. Con atto di citazione del 26 febbraio 1992 le società Carrara
s.p.a., Carrara OMG s.p.a. e Gefinc s.r.l., tanto premesso, con
vennero dinanzi al Tribunale di Milano la Arthur Andersen & C.
s.a.s. e ne chiesero la condanna al pagamento della somma di
lire 10.956.000.000 a titolo di risarcimento del danno da esse
subito per effetto della certificazione di cui alle relazioni del 14
luglio e 31 agosto 1989 — certificazione alla stregua della quale era stato stipulato il contratto definitivo — affermando che essa
illustrava «una situazione economica e patrimoniale del tutto
falsa e fuorviante».
Resistendo la convenuta, con sentenza del 20 aprile 1995 l'a
dito tribunale, dichiarato il difetto di legittimazione attiva della
Carrara s.p.a., respinse le ulteriori domande rilevando che il
danno, del quale le società Carrara OMG e Gefinc chiedevano il
risarcimento, aveva formato oggetto di transazione, della quale la convenuta, coobbligata solidale, aveva dichiarato di volersi
avvalere.
Tale decisione fu impugnata dalle società Carrara s.p.a. e
Carrara PNH s.p.a., quali incorporanti, rispettivamente, delle
società Gefinc e Carrara OMG.
Con la sentenza, ora gravata, la corte d'appello ha condan
nato la Andersen al risarcimento del danno in favore delle ap
pellanti, danno che ha liquidato in lire 3.867.000.000 oltre inte
ressi legali e spese del doppio grado. La corte ha affermato in primo luogo la natura extracontrat
tuale della responsabilità della Andersen nei confronti delle so
cietà appellanti, con il rilievo che costoro erano rimaste estranee
al mandato conferito dalle società del gruppo Devon alla società
di revisione in data 16 giugno 1989, e che la responsabilità deri
vava dagli effetti verso i terzi dell'illegittimo comportamento di
quest'ultima: le appellanti avevano bensì dedotto la natura con
trattuale della responsabilità, e, tuttavia, la corte ben poteva de
cidere diversamente, sia perché petitum (risarcimento del dan
no) e causa petendi (negligente od imperito comportamento della Andersen) restavano fermi, sia perché il giudice può quali ficare in modo diverso dalle parti i fatti allegati.
Il contratto preliminare del 16 giugno 1989 — stipulato dalla
Carrara s.p.a. in veste di capogruppo e sulla base di un implicito ma reale mandato delle società controllate — doveva essere
qualificato come contratto per persona da nominare, e non già a
favore di terzo, come invece affermava la Andersen, «in quanto
l'ipotesi disciplinata dagli art. 1411 ss. c.c. è quella di un nego zio originalmente trilatero, laddove il contratto preliminare di
cui si discute è un negozio bilaterale»; nello stesso senso depo neva anche la circostanza che era stata la Carrara a nominare le
società OMG e Gefinc, mentre queste ultime non avevano di
chiarato di voler profittare del preliminare; era poi indubitabile
che, nella stipula del successivo contratto definitivo, le parti avessero inteso utilizzare poteri e spendere posizioni contrat
tuali che avevano origine nel preliminare; infine, il termine per la nomina del terzo era stato contrattualmente fissato «entro la
data del trasferimento».
Da tali premesse conseguiva la legittimazione delle società
appellanti, le quali erano subentrate nella posizione della pro missaria acquirente Carrara s.p.a. con effetto retroattivo ed era
no, pertanto, da considerarsi parti del contratto preliminare an
che con riferimento alla clausola di recesso in caso di variazioni
in diminuzione, oltre la soglia convenuta, del patrimonio netto
sponsabilità solidale tra amministratori e revisori, in virtù del disposto di cui all'art. 2055, salvo precisare che tale responsabilità si manifesta solo qualora la società di revisione non si sia adoperata per evitare il
danno, attraverso l'utilizzo dei limitati poteri che ha a disposizione, quali la denunzia al collegio sindacale e la non certificazione del bilan cio. V. altresì, per interessanti spunti di riflessione in tema di responsa bilità concorrente dei revisori e degli organi della società controllata verso la società stessa o verso i terzi, M. Franzoni, Responsabilità delle società di revisione, in Danno e resp., 2002, 110. [A. Fabrizio-Salva
tore]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
aggregato del gruppo Devon: recesso che esse non avevano
esercitato a causa del comportamento negligente della Ander
sen.
Il danno addebitato a costei non era il medesimo fatto oggetto della transazione del 14 giugno 1991: ciò, in difformità da
quanto invece affermato dal tribunale, il quale aveva ritenuto
applicabili gli art. 2055 e 1304 c.c. ed aveva conseguentemente escluso la responsabilità della società di revisione, che della
transazione aveva dichiarato di volersi giovare. Mentre, infatti, nei confronti di quest'ultima era configurabile
una responsabilità extracontrattuale, il rapporto, oggetto della
transazione, aveva invece la sua fonte nella garanzia negoziale assunta dai promittenti cedenti con la scrittura del 16 giugno 1989 riguardo all'effettiva consistenza patrimoniale ed econo
mica della società: donde l'insussistenza della solidarietà tra
debitori e la conseguente inapplicabilità dell'art. 1304 c.c.
Qualificata come intellettuale l'attività di revisione delle so
cietà che, anche su base contrattuale, come nella specie, operano in tale settore, e ritenuti ad esse applicabili, anche per la respon sabilità aquiliana, gli art. 2407, 1° comma, 1710 e 1176, 2° comma, c.c. nonché i principi di revisione elaborati dal consi
glio nazionale dei dottori commercialisti, la corte, sulla base di
tali criteri, ha qualificato colposa l'attività della Andersen, tra
dottasi nelle relazioni del 14 luglio e del 31 agosto 1989, osser
vando che il patrimonio netto aggregato delle società del gruppo Devon era in effetti ben inferiore a quello certificato, valore ef
fettivo che, se conosciuto dalla società cessionaria, le avrebbe
consentito di esercitare il diritto convenzionale di recesso; il
danno è stato quindi determinato nella differenza tra il prezzo effettivamente pagato (lire 5.450.000.000) ed il valore delle
aziende acquistate (lire 1.583.000.000). Per la cassazione di tale decisione la Andersen ha proposto
ricorso, affidato ad otto motivi, cui le società Carrara s.p.a. e
Carrara PNH s.p.a. resistono con unico controricorso e conte
stuale ricorso incidentale, basato su unico mezzo. Entrambe le
parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — 1. -1 due ricorsi, iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere riuniti perché investono la mede
sima sentenza (art. 335 c.p.c.). 2. - a) La sentenza impugnata ha qualificato il preliminare del
16 giugno 1989 come contratto per persona da nominare, come
tale disciplinato dagli art. 1401 ss. c.c., e non già a favore di ter
zo, come invece sosteneva l'appellante società Andersen, ed è
pervenuta a tale conclusione osservando che, sebbene il dato te
stuale («promette di acquistare per sé o per persona da nomina
re») non fosse del tutto univoco, deponeva in tal senso la natura
bilaterale del preliminare in questione, laddove l'ipotesi con
templata dall'art. 1411 c.c. è quella di un negozio originalmente trilatero. Nello stesso senso rilevava il comportamento successi
vo delle parti stipulanti: era stata infatti la Carrara s.p.a. a no
minare le società OMG e Gefinc, e non erano state dunque que ste ultime a dichiarare di voler profittare del preliminare; era in
dubitabile che, nella stipula del contratto definitivo, le parti in
tendessero utilizzare poteri e spendere posizioni contrattuali che
avevano origine nel preliminare, ed il termine per la nomina del terzo era stato contrattualmente fissato, come consentito dal
l'art. 1402 c.c., «entro la data del trasferimento».
Da tale qualificazione la corte territoriale ha tratto che la
OMG e la Gefinc subentrarono nella posizione della promissaria
acquirente Carrara s.p.a. con effetto retroattivo e che dunque es
se dovevano ritenersi parti del preliminare anche con riguardo alla pattuizione di cui al punto 7, la quale accordava loro la fa
coltà di recesso in caso di variazioni in diminuzione, certificate
dalla Andersen superiore a lire 1,5 miliardi — rispetto alla di
chiarazione dei promittenti venditori che lo avevano indicato in
tre miliardi di lire — del patrimonio netto aggregato al 31 di
cembre 1988 delle società del gruppo Devon: facoltà di recesso
non potuta esercitare a causa del comportamento negligente della società di revisione, donde la loro legittimazione a chiede
re il ristoro del danno relativo.
b) Tali argomentazioni sono investite dal primo motivo del
ricorso principale, con il quale la ricorrente deduce, con riferi
mento all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione degli art. 1401
ss., 1411, 1362 ss., 2730 ss. c.c. nonché vizi di motivazione su
punti decisivi, afferma che la OMG e la Gefinc non potevano esercitare la facoltà di recesso prevista da un contratto —
quello
preliminare — del quale non erano state parti, e censura la qua
II Foro Italiano — 2003.
lificazione del contratto, come sopra affermata dalla corte terri
toriale, insistendo nella tesi del contratto a favore di terzo.
Al riguardo la ricorrente: richiama la sentenza in data 13 feb
braio 1981, n. 891 di questa Suprema corte (Foro it., 1981, I,
1614); osserva che il contratto a favore di, terzo è un negozio bilaterale e non già trilaterale, come invece ha erratamente af
fermato detta corte; allega che la stipulazione del contratto defi
nitivo da parte delle società OMG e Gefinc ben poteva conside
rarsi quale dichiarazione del terzo di voler profittare del diritto
derivante dal contratto stipulato; osserva che la stessa corte, mentre ha riconosciuto che la clausola contenuta nel contratto
preliminare non era del tutto univoca, nella doverosa indagine
riguardante il comportamento successivo delle parti ha invece
trascurato di portare la propria attenzione sul contenuto della
transazione del 14 giugno 1991, con la quale si era dato atto che
la OMG e la Gefinc erano intervenute alla conclusione del con
tratto definitivo, fermi restando comunque tutti gli impegni già assunti dalla Carraro s.p.a. nei contratti preliminari; aggiunge che anche dopo la nomina, avvenuta nel settembre 1989, que st'ultima ha costantemente operato come parte attiva in tutti i
rapporti conseguenti al contratto preliminare. Da ciò la ricorrente trae il difetto di legittimazione attiva —
oltre che della Carraro, già affermata con sentenza passata, sul
punto, in giudicato — anche della OMG e della Gefinc, le quali
non potevano esercitare la facoltà di recesso prevista da un con
tratto, del quale non erano state parti. c) La corte osserva che, a norma dell'art. 1401 c.c., nel mo
mento della conclusione del contratto una parte può riservarsi la
facoltà di nominare successivamente la persona che deve acqui stare i diritti ed assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso.
Ai sensi dell'art. 1411, 1° e 2° comma, c.c., è parimenti vali
da la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi
abbia interesse; salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto
contro il promittente per effetto della stipulazione, la quale può essere revocata o modificata dallo stipulante finché il terzo non
abbia dichiarato, anche in confronto del promittente, di volerne
profittare. Entrambi i contratti si inquadrano nella previsione dell'art.
1372, cpv., c.c., il quale dispone che il contratto non produce ef
fetto rispetto ai terzi se non nei casi previsti dalla legge — casi
nei quali rientrano appunto le fattispecie negoziali in esame —
e, tuttavia, ed ai fini in esame, essi si distinguono nettamente
giacché, nell'uno, la nomina del terzo è meramente eventuale
(rappresentando essa l'esercizio di una facoltà della parte, che
tale nomina si è riservata, e che quindi può o non esercitarla), con la conseguenza che, nel caso in cui la nomina sia mancata, invalida od intempestiva, il contratto produce i suoi effetti fra i
contraenti originari (art. 1405 c.c.); diversamente, nel contratto
a favore di terzo la stipulazione a favore di costui deve necessa
riamente essere prevista nel contratto stesso (art. 1411, 1° com
ma, c.c.), il quale produrrà i suoi effetti nei confronti del terzo, salvo che non intervengano la revoca della stipulazione od il ri
fiuto del terzo di profittarne, casi nei quali la prestazione rimane
invece a beneficio dello stipulante purché non risulti diversa
mente dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto (art. 1411, 3° comma); segue da ciò che il terzo deve essere determi
nato o determinabile (Cass. 5298/80, id., Rep. 1980, voce Con
tratto in genere, n. 234), mentre l'ipotesi di cui all'art. 1401 c.c.
dà luogo ad una parziale indeterminatezza soggettiva del con
tratto (Cass. 8410/98, id., Rep. 1999, voce cit., n. 502). Entrambi i negozi hanno, tuttavia, carattere bilaterale: tanto
che, nel caso in cui il terzo prenda parte all'atto, deve escludersi
che esso possa essere configurato quale contratto a favore di
terzo (Cass. 8335/90, id., Rep. 1991, voce Successione eredita
ria, n. 43, e 3115/95, id., Rep. 1995, voce Contratto in genere, n. 413).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema corte
(da ultimo, sent. n. 224 del 2001, id., Rep. 2001, voce Lavoro
(rapporto), n. 582; n. 564 del 2001, ibid., voce Contratto in ge
nere, n. 428, e n. 1666 del 2001, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 581), la qualificazione del rapporto, compiuta dal giudice del merito, è censurabile in sede di legittimità soltanto relativa
mente alla determinazione dei criteri astratti e generali applicati, mentre costituisce apprezzamento di fatto, insindacabile in Cas
sazione se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi
logici e giuridici, la valutazione delle circostanze ritenute in
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PARTE PRIMA
concreto idonee a far rientrare il rapporto nell'uno o nell'altro
schema.
Tanto premesso, deve rilevarsi che nella specie la corte terri
toriale è pervenuta alla ora censurata pronuncia sulla base di
esatti criteri giuridici e di adeguata considerazione della fatti specie dedotta in giudizio.
L'esattezza dei criteri giuridici applicati deve essere affer
mata anche nel punto in cui la corte ha ritenuto, invero impro
priamente, che il contratto a favore di terzo abbia natura trilate
rale: tale affermazione sembra infatti essere l'impropria espres sione della ritenuta necessità che, fin dalla conclusione di tale
contratto, gli effetti di esso siano destinati a prodursi, come si è
premesso esser necessario, nei confronti di un terzo determinato
(e non già, come invece nella specie, di terzi eventuali ed inde
terminati), non senza rilevare che comunque, nell'ipotesi più favorevole alla ricorrente, essa non avrebbe spiegato alcuna de
cisiva influenza sulla legittimità della decisione, e potrebbe
pertanto essere corretta ai sensi dell'art. 384, cpv., c.p.c. Rilevato poi che la ricorrente non pone in discussione la pie
na compatibilità (implicitamente affermata dalla sentenza impu
gnata in adesione al condivisibile indirizzo in tal senso formato
si: tra le altre, Cass. 2570/95, id., Rep. 1995, voce Vendita, n.
30, e 2967/97, id., Rep. 1997, voce Contratto in genere, n. 446) tra contratto preliminare e contratto per persona da nominare —
punto della decisione sul quale, pertanto, si è formato il giudi cato —, deve osservarsi, quanto agli elementi di fatto presi in
considerazione, che la corte territoriale ha in primo luogo por tato la sua doverosa attenzione sulla lettera della relativa clau
sola contrattuale («promette di acquistare per sé o per società da
nominare»; clausola, pertanto, che prevedeva come soltanto
eventuale detta nomina) e, pur riconoscendo che essa era so
stanzialmente aderente alla previsione dell'art. 1401 c.c., ha
nondimeno ritenuto l'argomento non decisivo ed ha legittima mente utilizzato, a norma dell'art. 1362, 2° comma, c.c., argo menti tratti anche dal comportamento successivo delle parti, at
tribuendo particolare rilievo al termine per la nomina del terzo, fissato nel contratto preliminare, alla nomina stessa, da parte della promissaria acquirente Carrara s.p.a., contenuta nell'atto
definitivo di compravendita, ed alla mancata dichiarazione delle
nominate società OMG e Gefinc, ai sensi dell'art. 1411, 2°
comma, c.c., di voler profittare del contratto.
Le censure che la ricorrente muove a tali argomentazioni so
no infondate laddove denunciano il mancato esame di ulteriori
risultanze processuali essendo rimessa al giudice del merito la
scelta di quelle, ritenute decisive, ed invece inammissibili nei
punti in cui sono sostanzialmente dirette ad una diversa valuta
zione delle stesse risultanze, in fattispecie che — come già ac
cennato e come del resto rileva la stessa sent. n. 891 del 1981 di
questa Suprema corte, richiamata dalla ricorrente — involge an
che una questione di fatto.
Il rigetto delle censure, che investono la qualificazione del
contratto, importano l'assorbimento di quelle elevate sulla base dell'anzidetta diversa allegata qualificazione.
3. - Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia, con riferimento all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione degli art. 1403, 1° comma, e 2725 c.c., ed afferma che la dichiarazio
ne di nomina esigeva la forma scritta: che afferma essere man
cata ed in ordine alla quale addebita alla sentenza impugnata di
aver omesso di svolgere qualsivoglia indagine. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
In una controversia nella quale il contratto viene invocato non
già tra le parti contraenti, quale fonte di reciproci diritti ed ob
blighi, sibbene tra una di esse ed un terzo, ed avente ad oggetto, come la sentenza impugnata ha precisato, una domanda di risar
cimento del danno da responsabilità aquiliana, il contratto stesso — dal quale è scaturito il diritto, che la stessa sentenza ha ac
certato essere stato leso dal terzo responsabile — viene infatti in
considerazione come mero fatto storico (v., sul punto, tra le al
tre, Cass. 5944/97, ibid., voce Intervento in causa e litisconsor
zio, n. 12). La questione della forma scritta della electio amici avrebbe in
ogni caso comportato la formulazione, quanto meno in appello secondo il vecchio testo dell'art. 345 c.p.c., applicabile ratione
temporis, della relativa eccezione (che, se proposta in primo
grado, avrebbe dovuto essere riproposta in appello ex art. 346
c.p.c. da parte dell'odierna ricorrente, vittoriosa nel grado pre cedente): eccezione che non è stata esaminata dalla corte territo
riale e che non si afferma esserle stata sottoposta.
Il Foro Italiano — 2003.
Deve, infine, osservarsi che, nel contratto per persona da no
minare, la dichiarazione di nomina non richiede formule sacra
mentali, ed il suo contenuto non è legislativamente determinato
in modo rigido; essa può dunque ravvisarsi in qualsiasi dichia
razione del contraente, che se ne sia riservata la facoltà, con la
quale egli nomini la persona che deve acquistare i diritti ed as
sumere gli obblighi nascenti dal contratto da lui stipulato (Cass.
12965/00, id., Rep. 2000, voce Contratto in genere, n. 532):
rettamente, pertanto, la corte territoriale ha deciso nel senso di
cui sopra. 4. - Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia la
violazione dei principi generali in materia di contratto per per sona da nominare, nonché vizi di motivazione su punti decisivi, ed afferma che, recando le proprie relazioni le date del 14 luglio e 31 agosto 1989, alle stesse date la facoltà di recesso compete va alla sola Carrara essendo la dichiarazione di nomina avve
nuta il 7 settembre successivo; né era pensabile che le odierne
resistenti fossero divenute titolari di detta facoltà nell'atto stes
so in cui, stipulando il contratto definitivo, davano esecuzione al
preliminare, poiché il diritto risarcitorio, loro attribuito, postula un intervallo di tempo tra la data della dichiarazione di nomina
e quella di stipulazione del contratto definitivo.
Il motivo è infondato.
A norma, infatti, dell'art. 1404 c.c., quando la dichiarazione
di nomina è stata validamente fatta — punto sul quale, nella
specie e per quanto già esposto, si è formato il giudicato —, la
persona nominata acquista i diritti ed assume gli obblighi deri
vanti dal contratto con effetto dal momento in cui questo fu sti
pulato, e, dunque, con efficacia retroattiva (Cass. 8410/98, cit.).
Legittimamente, pertanto, la corte territoriale ha riconosciuto
alle odierne resistenti, che stipularono il contratto definitivo, la
facoltà di recesso, di cui al preliminare, facoltà non esercitata
perché la negligente condotta della Andersen, tradottasi nella
relazione, cui la stessa fa ora riferimento, venne accertata solo
successivamente alla stipulazione di entrambi i contratti.
Stante la retroattività degli effetti della electio amici, è giuri dicamente irrilevante che alla data delle suddette relazioni tale
electio non fosse ancora intervenuta; rileva, al contrario, la data
di stipulazione del contratto definitivo, entro la quale il recesso
stesso avrebbe potuto essere esercitato.
5. - Con il quarto motivo la ricorrente principale allega la
violazione degli art. 112 c.p.c., 12 d.p.r. 31 marzo 1975 n. 136,
1372, 2043 e 1218 c.c. nonché vizi di motivazione, e sostiene
che, avendo le attrici proposto una domanda di inadempimento contrattuale, la corte d'appello non poteva affermare la respon sabilità extracontrattuale, come invece ha fatto anche in viola
zione del diritto di difesa; osserva poi che, dovendosi distingue re tra revisione obbligatoria e revisione volontaria, quest'ultima non può ritenersi disciplinata dall'art. 12 d.p.r. 136/75, ma solo
dalle norme sul mandato, con la conseguenza che il mandatario
risponde nei soli confronti del mandante ma non già di terzi.
Osserva la corte che la sentenza impugnata ha fatto discende
re l'affermazione della responsabilità extracontrattuale della
Andersen dalla circostanza che la negligenza — nella quale essa
incorse e che produsse il danno posto a fondamento della do
manda — atteneva all'esecuzione del mandato alla stessa confe
rito, in data 16 giugno 1989, dalle società Devon, Trenton, Mar
cos e Kross, e, dunque, da soggetti diversi dalle attuali resisten
ti, che tale danno lamentavano: punto della decisione sul quale si è formato il giudicato in difetto di specifiche censure e che
anzi trova la sostanziale adesione della ricorrente, la quale, a so
stegno della seconda censura elevata, fa riferimento proprio al
mandato.
Orbene, è vero che nell'atto introduttivo le attrici avevano
dedotto la responsabilità contrattuale della Andersen — a loro
avviso fondata sull'obbligo, assunto dalle parti del contratto
preliminare, di conferire congiuntamente a costei incarico di
certificazione dello stato patrimoniale aggregato al 31 dicembre
1988 —, e, tuttavia, una volta accertato che l'incarico era stato
poi effettivamente conferito dalle sole predette società, ben po teva la corte territoriale trarne le conseguenze di legge in punto di qualificazione della domanda.
Riguardo ai poteri conferiti in proposito al giudice, occorre
distinguere secondo che, nell'agire in giudizio, la parte abbia a
propria disposizione due o più azioni od invece una sola azione.
Nel primo caso, ove la parte prescelga di esercitare una sola
azione, non può il giudice, senza violare l'art. 112 c.p.c., quali ficarla diversamente ed accogliere la domanda per un titolo di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
verso da quello posto a fondamento di essa (Cass. 8656/96, id.,
Rep. 1996, voce Trasporto (contratto di), n. 15).
Diversamente, nel secondo caso — che ricorre nella specie nella quale, in difetto di censure sul punto, si è formato il giudi cato sull'affermazione della configurabilità della sola responsa bilità aquiliana — il giudice può qualificare la domanda anche
in termini diversi da quelli prospettati, purché non proceda ad
un mutamento della domanda, sostituendo la causa petendi con
una differente basata su fatti diversi da quelli allegati dalla par te, e purché resti fermo il petìtum (da ultimo, in tal senso, Cass.
9911/98, id., 1998,1, 3520, e 2574/99, id., Rep. 1999, voce Pro cedimento civile, n. 180).
Nella specie l'una e l'altro sono rimasti immutati, come la
sentenza impugnata non ha mancato di rilevare, giacché a fon
damento della domanda di risarcimento del danno già nell'atto
introduttivo del giudizio le attrici dedussero che la certificazio
ne della Andersen era «del tutto falsa e fuorviarne».
Mentre cadono conseguentemente le doglianze mosse in tema
di asserita lesione del diritto di difesa, prive di fondamento sono
del pari quelle che si pretendono derivare dal carattere soltanto
volontario dell'attività di revisione nella specie espletata, com'è
incontroverso, dalla Andersen.
Sul punto la corte territoriale ha affermato la responsabilità con il rilievo che il d.p.r. n. 136 del 1975 disciplina anche tale caso poiché nessuna contraria disposizione è rinvenibile nel te
sto legislativo ed il contenuto dell'attività svolta è unico come
unica è la ratio, diretta a garantire l'interesse pubblicistico alla
affidabilità delle contrattazioni e del mercato mobiliare; ha
quindi aggiunto che il metro di diligenza, cui commisurare la
legittimità dell'ordinario operato, deve essere ricondotto ai
principi di revisione elaborati dal consiglio nazionale dei dottori
commercialisti, ed ha infine richiamato l'art. 2043 c.c.
Le censure investono solo parzialmente tale apparato argo mentativo e sono infondate nella parte in cui adducono l'impos sibilità di configurare una responsabilità extracontrattuale nei
confronti di terzi nel caso in cui la condotta lesiva sia stata posta in essere in esecuzione di un contratto: la tesi è infatti contra
stata dall'obbligo di neminem laedere posto dall'art. 2043 c.c. a
carico anche delle parti di un contratto e nei confronti di terzi
(Cass. 7186/87, id., Rep. 1988, voce Responsabilità civile, n. 115; 3801/91, id., Rep. 1991, voce Appalto, n. 22; 10956/96, id., Rep. 1997, voce Consorzi per il coordinamento della produzio ne e degli scambi, n. 7; 3146/98, id., Rep. 1998, voce Appalto, n. 50), obbligo, nella specie, di particolare rilievo essendo l'at
tività di revisione strumentale al consapevole esercizio dell'au
tonomia privata delle odierne resistenti, parti del contratto prin cipale (il preliminare) ma terzi rispetto al mandato conferito alla
Andersen.
Non formano oggetto di ricorso le eventuali istruzioni impar tite dai mandanti ed il carattere di esse più o meno rigido e spe cifico, e, tuttavia, non può non osservarsi al riguardo che, nel
l'ipotesi più favorevole alla mandataria, odierna ricorrente, con
la responsabilità aquiliana di essa concorrerebbe quella degli stessi mandanti.
I riferimenti alla legislazione speciale sono stati effettuati
dalla corte territoriale nell'ambito ed agli effetti dell'accerta
mento del fatto illecito, addebitato alla Andersen, e della colpa relativa, richiesta dall'art. 2043 c.c.: colpa che, con giudizio di
fatto motivato ed incensurabile — espresso all'esito delle in
controverse e rilevanti differenze di valutazione risultanti dalle
relazioni della predetta società del luglio-agosto 1989 e del
maggio-luglio 1990 — è stata tratta dal tipo di attività profes sionale, da essa esercitata, e dagli obblighi connessi.
L'art. 12 d.p.r. 31 marzo 1975 n. 136 — recante attuazione
della delega di cui all'art. 2, lett. a), 1. 7 giugno 1974 n. 216, concernente il controllo contabile e la certificazione dei bilanci
delle società per azioni quotate in borsa — pone a carico delle
società di revisione (tra l'altro e per quel che qui rileva, ed in
solido con le persone che hanno sottoscritto la relazione di certi
ficazione e con i dipendenti che abbiano effettuato le operazioni di controllo contabile) la responsabilità civile «per i danni con
seguenti da ... fatti illeciti nei confronti... dei terzi».
In contrasto con la sentenza impugnata, secondo la quale tale
norma, e la connessa legislazione speciale, trovano applicazione anche nei casi di revisione volontaria, la ricorrente apodittica mente lo esclude, senza, tuttavia, come già accennato, far og
getto di censura l'iter argomentativo nel suo complesso. Se la doglianza è, sotto tale profilo, inammissibile, non può
Il Foro Italiano — 2003.
nondimeno non rilevarsi che la stessa sentenza ha rettamente
ravvisato nel citato art. 12 — nella sola parte che viene qui in
considerazione — nient'altro che la specificazione dell'obbligo di neminem laedere, posto in via generale dall'art. 2043 c.c.: il
che trova conferma nel rilievo che lo stesso art. 12 non si occu
pa del profilo soggettivo dell'illecito, talché, dovendosi esclude
re che la responsabilità da esso prevista sia di carattere mera
mente oggettivo, deve ritenersi che la norma implicitamente rinvìi a quanto disposto dal citato art. 2043.
La ricorrente avrebbe dovuto contrastare tale affermazione
sostenendo che la responsabilità verso i terzi, prevista dal men
zionato art. 12, estende l'ambito della tutela, apprestata dall'art.
2043 c.c., oltre i limiti stabiliti da tale norma: censura che però è
mancata e che sarebbe comunque contraddetta da quanto già os
servato.
Conclusivamente: agli effetti della responsabilità aquiliana delle società di revisione non rileva il carattere obbligatorio o
volontario di questa, e la stessa responsabilità è globalmente ed
unitariamente disciplinata dall'art. 2043 c.c. e dalla legislazione
speciale. 6. - Si è esposto in narrativa che, rettificato in senso negativo
dalla Andersen, dopo la stipulazione del contratto definitivo di
trasferimento, il patrimonio netto aggregato delle aziende cedute
per lire 1.356.000.000, con atto di transazione del 14 giugno 1991 il gruppo Carraro rinunciò a promuovere giudizi di re sponsabilità o rivalsa nei confronti dei cedenti, i quali ridussero
il prezzo pattuito di lire 1.550.000.000. La corte d'appello ha affermato che tale atto conseguiva alla
responsabilità contrattuale di costoro, che avevano negozial mente assunto la relativa garanzia, ed ha escluso che il danno
relativo fosse il medesimo oggetto della domanda, ora in esame, con il rilievo che nei confronti della Andersen era stato invece
chiesto il risarcimento del danno consistente nella mancata pos sibilità di esercitare il diritto di recesso di cui alla clausola 7 del contratto preliminare, danno che, pertanto, era costituito dal
l'interesse negativo alla stipulazione del contratto definitivo. Da
tali premesse la stessa corte ha tratto che non ricorreva l'ipotesi di responsabilità solidale, prevista dall'art. 2055 c.c. e non era,
conseguentemente, applicabile l'art. 1304, 1° comma, c.c., il
quale dispone che la transazione, fatta dal creditore con uno dei
debitori in solido, non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare.
Tali argomentazioni sono investite dal quinto motivo del ri
corso principale, con il quale la ricorrente, nel denunciare la
violazione degli art. 2055, 1304, 1175 e 1375 c.c., nonché vizi di motivazione, afferma che il danno, da valutare esclusiva
mente con riferimento alla posizione soggettiva del danneggia to, doveva essere considerato unico, ed addebita inoltre alle ori
ginarie attrici la violazione del dovere di correttezza.
Osserva la corte che la ricorrente muove da esatte premesse
giuridiche che, peraltro, non appaiono adeguate alla concreta
fattispecie. Non v'è dubbio, in primo luogo, che la responsabilità solida
le, prevista dall'art. 2055 c.c., richieda l'unicità del danno:
punto della decisione sul quale si è formato il giudicato in di
fetto di specifiche censure. Si trattava allora di stabilire se tale requisito ricorresse o non
nella specie: indagine che — come la ricorrente esattamente ri
leva richiamando la copiosa giurisprudenza in tal senso forma
tasi — doveva essere condotta con riferimento alla posizione del danneggiato, a cui favore è stabilita la solidarietà, senza che
invece rilevi la pluralità delle azioni od omissioni, poste in esse
re dai danneggiami ed integranti illeciti civili (v., in tal senso, da ultimo, Cass. n. 7507 del 2001, id., Rep. 2001, voce Respon sabilità civile, n. 381, che perviene a tale conclusione sulla base
del diverso modo di disporre degli art. 2043 e 2055 c.c.). Tale indirizzo non è stato affatto ignorato dalla corte territo
riale, la quale ha nondimeno escluso l'unicità del danno sulla
base dei diversi interessi dei danneggiati, sui quali le condotte, separatamente poste in essere dalla Andersen e dai venditori (i
quali ultimi avevano indicato un valore patrimoniale superiore a
quello effettivo, assumendo peraltro la garanzia relativa), aveva
prodotto effetti.
In una situazione complessa nella quale si trattava di accerta
re l'esatto valore patrimoniale delle aziende cedute, accerta
mento per il quale venne conferito apposito mandato alla società
di revisione, era interesse degli acquirenti corrispondere il prez
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PARTE PRIMA
zo adeguato all'effettivo valore ma anche, e prima ancora, rece
dere dal contratto, come era loro consentito dalla clausola 7 del
preliminare, in caso di accertata variazione in diminuzione del
valore, superiore a lire 1.500.000.000: il danno conseguente si
riferiva pertanto, l'uno, alla violazione del sinallagma contrat
tuale, ed incideva invece, l'altro, sulla economicità della futura
gestione della società e, dunque, sulla sussistenza ed ammontare
dei relativi profitti. Orbene, il solo interesse, preso in considerazione dalla tran
sazione, è quello relativo alla congruità del prezzo, mentre nulla
essa dispose — come la sentenza impugnata ha accertato —
quanto al secondo interesse, alla data di essa irrimediabilmente
compromesso essendo ormai intervenuto il contratto definitivo
di trasferimento.
Tali distinte sfere giuridiche dei soggetti danneggiati, sulle quali hanno inciso la garanzia contrattuale assunta dai venditori
e l'illecito civile commesso dall'odierna ricorrente, legittimano la conclusione della non unicità del danno, cui la corte territo
riale è pervenuta, conclusione inoltre supportata dalla motivata, e pertanto incensurabile in questa sede, valutazione del conte
nuto dell'atto transattivo.
Né può tacersi, conclusivamente, che la solidarietà è stabilita
dall'art. 2055 c.c. nell'interesse non già dei danneggiami, ma
del danneggiato, ratio, questa, con la quale si pone in evidente
contrasto la tesi della ricorrente, che nella sostanza finisce con il
privilegiare invece gli autori del danno: tanto che, secondo la
stessa tesi, nessuna concreta responsabilità potrebbe essere ad
dossata alla ricorrente, nonostante l'accertata gravità della con
dotta colposa, da essa posta in essere.
Il rigetto della censura principale importa l'assorbimento di
quella subordinata, relativa alla pretesa violazione del dovere di
correttezza, essendo detta violazione sostenuta sulla base della
infondata premessa dell'unicità del danno.
7. - La corte territoriale ha addebitato alla società di revisione
la violazione della ragionevolezza e della prudenza contabile —
ed in tal senso ha anche richiamato il principio contabile inter
nazionale n. 12 — per aver proceduto alla valutazione del com
plesso aziendale «al netto del teorico effetto fiscale», osservan
do che tale effetto positivo era in realtà del tutto ipotetico ed
esulava inoltre dal mandato ad essa conferito.
Sul punto, la ricorrente principale, con il sesto motivo, ascri
ve alla sentenza impugnata la violazione degli art. 1362, 1368, 1369 e 2697 c.c. e dei principi sull'onere della prova nonché vi
zio di motivazione, ed insiste nell'affermare la legittimità del
calcolo del suddetto effetto.
Osserva la corte che le censure investono questioni di fatto,
l'accertamento, cioè, della diligenza della società di revisione
nell'esecuzione del mandato e l'ammontare del danno: accerta
menti motivatamente, e pertanto incensurabilmente, operati dalla sentenza gravata, della quale nella sostanza si pretende il
riesame, non consentito in questa sede di legittimità. 8. - Con il settimo motivo la ricorrente censura la sentenza
impugnata — nella parte in cui ha interpretato la clausola 7
del preliminare nel senso che essa prevedeva la facoltà di reces
so dei promissari acquirenti in caso di accertata diminuzione del valore del patrimonio delle aziende cedute oltre la soglia conve
nuta, ed ha ritenuto che, se il valore effettivo fosse stato cono
sciuto, essi avrebbero esercitato tale facoltà — deducendo la violazione degli art. 2727, 2729, 1363, 1367, 1369 e 1371 c.c. nonché vizi di motivazione, e sostiene: l'effettivo esercizio della facoltà di recesso è fatto ritenuto accertato sulla base di mere presunzioni e senza tener conto che la Andersen aveva at tribuito al patrimonio netto aggregato delle società un valore tra i 2.309.000.000 e 2.199.000.000 di lire; la sentenza impugnata non ha tenuto conto del tenore e del contenuto della clausola
contrattuale 7, non si è posta il problema se essa contemplas se una mera riduzione del prezzo concordato, e ne ha travisato il
significato, avendo essa tra l'altro omesso di considerare che i cedenti erano comunque impegnati a cedere le quote sociali al
prezzo concordato e che i cessionari erano liberi di non acqui stare «a detto prezzo», inciso, quest'ultimo, del tutto ignorato.
Osserva la corte che anche tali censure investono questioni di fatto (la prova del presumibile effettivo esercizio dell'anzidetta facoltà e l'interpretazione della clausola contrattuale), come tali rimesse al giudice del merito e nella specie decise con motiva zione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, e come tale
insindacabile in questa sede.
Quanto, infatti, alla prova in questione, la corte territoriale ha
Il Foro Italiano — 2003.
ritenuto di trarla dalla circostanza che le stesse parti avevano
previsto la soglia, oltre la quale sarebbe scattata la facoltà di re
cesso: prova, bensì presuntiva, alla quale detta corte ha, nondi
meno e legittimamente, ritenuto di attribuire rilevanza decisiva.
Relativamente, invece, all'interpretazione della clausola, le
censure mirano nella sostanza all'inammissibile riesame della
volontà contrattuale.
9. - Con l'ottavo motivo la ricorrente principale allega la
violazione degli art. 2056, 1223, 1225, 1226 e 1227 c.c. e degli art. 112 e 115 c.p.c. nonché vizi di motivazione, e con esso cen
sura la determinazione del danno, operata dalla sentenza impu
gnata, per aver calcolato due volte l'importo di lire 57.000.000
per aver determinato equitativamente in 678.000.000 di lire le
plusvalenze inespresse e l'avviamento, e per non aver tenuto
conto della franchigia prevista in contratto e delle riduzioni ap
portate dalla Andersen al patrimonio netto aggregato.
a) La prima censura è fondata ed essa ha trovato la sostanziale
adesione delle stesse controricorrenti, le quali, pur dopo aver
sostenuto, in via principale, che la sentenza prende bensì in con
siderazione due volte la somma di lire 57.000.000, ma per due
finalità nettamente distinte, in via subordinata rilevano che si
tratterebbe comunque di errore aritmetico rettificabile ai sensi
del 1° comma dell'art. 384 c.p.c. In effetti — osserva la corte — non risultano dalla sentenza le
due diverse finalità, cui le controricorrenti fanno riferimento, dal che segue l'accoglimento della censura.
b) La seconda censura investe invece la riduzione delle plus valenze da lire 3.660.000.000, determinate convenzionalmente, a lire 678.000.000, equitativamente fissate, e con essa la ricor
rente sostiene essere «ragionevole supporre che la gran parte
dell'importo (convenzionale delle plusvalenze) fosse riferito ai
cespiti ammortizzabili». Così prospettata, la censura è in fatto, e come tale inammissi
bile, perché si sostanzia in un diverso metodo di calcolo del
danno, che la corte territoriale ha invece liquidato in via equita tiva, esplicitando le ragioni che l'avevano indotta a tale riduzio
ne ed all'esercizio di detto potere: motivazione adeguata e, per tanto, insindacabile in questa sede.
c) Considerazioni analoghe vanno ripetute per la terza censu
ra, la quale trascura di considerare che il valore complessivo del
bene acquisito alla Carrara è stato anch'esso determinato equi tativamente e con sufficiente motivazione.
10. - La corte territoriale ha invece escluso che nel calcolo del
danno potessero altresì comprendersi le perdite di gestione regi strate dal gruppo Devon negli anni 1989-91 per lire 9.300 mi
lioni, con il rilievo che tali negativi risultati erano stati determi
nati, con effetto interruttivo del nesso eziologico, dai concreti e
discrezionali atti di gestione dei nuovi amministratori e dalle
imprevedibili condizioni di mercato: punto della decisione inve
stito dall'unico motivo del ricorso incidentale, con il quale le si
addebita la violazione degli art. 2043, 2056, 1223, 1226, 1227 e 2697 c.c. e dell'art. 115 c.p.c., nonché vizi di motivazione.
Il motivo è inammissibile perché investe a sua volta una que stione di fatto — l'accertamento del nesso causale tra la con
dotta della Andersen e l'evento dannoso —, come tale rimessa
al giudice del merito (v., sul punto, da ultimo, Cass. n. 6767 del
2001, ibid., n. 355) e decisa nel senso che detto evento doveva
in realtà riferirsi a fattori estranei all'illecito posto a fondamento
della domanda: decisione adeguatamente motivata e della quale si chiede l'inammissibile riesame.
Deve comunque aggiungersi che la censura si pone in contra
sto con il riconoscimento, fatto dallo stesso gruppo Carrara nel
l'atto di transazione, che le perdite di gestione erano imputabili all'eccezionale congiuntura successiva al subentro dei nuovi so
ci, come l'impugnata sentenza non ha mancato di rilevare.
11.- Alla stregua di quanto esposto, merita pertanto accogli mento l'ottavo motivo del ricorso principale, nella sola parte relativa alla duplicazione del danno di lire 57.000.000: somma,
questa, che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fat
to, può essere detratta da quella di lire 3.867.000.000, comples sivamente liquidata a titolo di risarcimento del danno dalla sen
tenza impugnata, e ciò a norma del novellato art. 384, 1° com
ma, ultima parte, c.p.c., del quale le stesse controricorrenti chie
dono farsi applicazione.
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