sezione III civile; sentenza 18 maggio 2001, n. 6819; Pres. Duva, Est. Segreto, P.M. Raimondi(concl. conf.); Caparesi (Avv. Leproux, Biamonti) c. Soc. Grande distribuzione avanzataPostalmarket (Avv. Bosco, Parenti). Conferma App. Roma 19 marzo 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3183/3184-3187/3188Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197636 .
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PARTE PRIMA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 18
maggio 2001, n. 6819; Pres. Duva, Est. Segreto, P.M. Rai
mondi (conci, conf.); Caparesi (Avv. Leproux, Biamonti) c.
Soc. Grande distribuzione avanzata Postalmarket (Avv. Bo
sco, Parenti). Conferma App. Roma 19 marzo 1998.
Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Interpreta zione secondo buona fede — Presupposti
— Fattispecie
(Cod. civ., art. 1363, 1366). Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Interpreta
zione — Criteri — Fattispecie (Cod. civ., art. 1362). Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Contratti dei
consumatori — Disciplina interpretativa — Efficacia
(Disp. sulla legge in generale, art. 11; cod. civ., art. 1469
quater, 1. 6 febbraio 1996 n. 52, disposizioni per l'adempi mento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle
Comunità europee -
legge comunitaria 1994, art. 1-8, 48, 55
57).
Posto che l'interpretazione del contratto secondo buona fede costituisce mezzo ermeneutico sussidiario che presuppone la
(1-2) I. - Giunge all'epilogo la vicenda processuale della pubblica offerta di un premio di valore, effettuata — nell'ambito di una campa gna pubblicitaria — da una nota azienda di vendita per corrispondenza. In primo grado i giudici avevano rigettato l'opposizione della Postal market al decreto ingiuntivo ottenuto dalla ricorrente, condannando l'a zienda a pagare trenta milioni quale equivalente del valore dell'opera d'arte offerta per le ordinazioni effettuate (v. Trib. Roma 11 gennaio 1995, Foro it., 1995, I, 1355, con nota di P. Lorusso). Il giudizio veni va ribaltato in appello con la revoca del decreto ingiuntivo ed il rigetto della domanda dell'attuale ricorrente, sul presupposto che quest'ultima fosse conscia di aver vinto solo un esemplare tratto dall'opera origina le, cioè una copia, e quindi negando l'effetto ingannatorio ed il conse
guente affidamento della parte. La Cassazione, nel confermare la sentenza d'appello, ribadisce il
proprio orientamento in merito al senso letterale delle parole quale im
prescindibile dato di partenza dell'indagine ermeneutica: v. Cass. 18
luglio 2000, n. 9438, id., Rep. 2000, voce Contratto in genere, n. 459, secondo cui l'interpretazione del contratto rientra nella competenza istituzionale del giudice di merito, il quale deve seguire la gradualità dei criteri stabiliti dall'art. 1362 c.c., così che, ove ritenga di aver rico struito la volontà delle parti sulla base delle espressioni letterali usate, non ha l'obbligo di fare ricorso ai criteri sussidiari, la cui adozione è
legittima e necessaria solo quando l'interpretazione letterale dia adito a dubbi. V. anche Cass. 24 aprile 1998, n. 4221, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 395, ove si precisa che i criteri d'interpretazione della volontà con
trattuale, stabiliti dagli art. 1362 ss. sono graduali, sì che, se il giudice del merito ritiene di averla ricostruita in base alle espressioni letterali usate dalle parti, valutando il contratto nella sua interezza, non ha l'ob
bligo di ricorrere agli altri criteri extratestuali; nonché Cass. 18 agosto 1986, n. 5073, id., Rep. 1987,-voce cit., n. 316, che rimarca come, per essere il giudice tenuto a indagare quale sia stata la comune volontà dei
contraenti, l'elemento letterale esaurisce ed assorbe ogni altro possibile mezzo d'interpretazione soggettiva solo quando non sussista alcuna ra
gione di divergenza tra le espressioni adoperate nel contratto e lo spi rito della convenzione; spetta al giudice del merito il potere-dovere di stabilire se la comune intenzione delle parti risulti in modo certo e im mediato dalla dizione letterale del contratto o se occorra accertarla me diante un'ulteriore indagine secondo le regole stabilite nel codice; an
cora, Cass. 15 maggio 1987, n. 4472, ibid., n. 305, a cui avviso il prin cipio f'/j claris non fit interpretatio — ancorché non possa essere inteso nel suo significato letterale, posto che al giudice del merito incombe
sempre l'obbligo di individuare esattamente la volontà delle parti — è sostanzialmente operante quando il significato delle parole usate nel contratto sia tale da rendere palese l'effettiva volontà dei contraenti: nel
qual caso l'attività del giudice può, e deve, limitarsi al riscontro della chiarezza e univocità del tenore letterale dell'atto per rilevare detta volontà e diventa inammissibile qualsiasi ulteriore attività interpretativa che condurrebbe il giudice a sostituire la propria soggettiva opinione alla volontà dei contraenti. Per Cass. 18 luglio 1987, n. 6359, ibid., n.
306, nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti, il pri mo e principale strumento dell'operazione interpretativa è costituito dalle parole ed espressioni di contratto: qualora queste consentano di ricavarne il contenuto in maniera sufficientemente precisa, il giudice non può ricercarne uno diverso, venendo così a sovrapporre la propria soggettiva opinione all'effettiva volontà dei contraenti. Cfr. anche Cass. 8 marzo 1986, n. 1582, id., Rep. 1986, voce cit., n. 274, ove, pe raltro, si rileva che nell'interpretazione del contratto il ricorso ad ele menti diversi da quello letterale, che si pone come primo ma non pre minente strumento ermeneutico, non è consentito solo quando il signi ficato delle parole usate sia univoco, la volontà delle parti risulti in modo certo dal tenore letterale e non sussista ragione di divergenza fra
Il Foro Italiano — 2001
persistenza di un dubbio suI reale significato delle dichiara
zioni contrattuali delle parti, non è dato farvi ricorso quando il giudice di merito, attraverso l'esame degli elementi di pro va raccolti, abbia già accertato l'effettiva volontà delle par ti. (1)
Nella ricerca della comune intenzione delle parti contrattuali il
principale strumento dell'operazione interpretativa è costi
tuito dalle parole ed espressioni del contratto, la cui chiarez
za preclude al giudice la ricerca di una ratio diversa, sovrap
ponendo la propria soggettiva opinione all'effettiva volontà
dei contraenti (nella specie, è stata confermata la sentenza
con cui i giudici d'appello avevano ritenuto che le espressio ni usate nella comunicazione di vincita pervenuta alla ricor
rente non inducessero a ritenere che oggetto della vincita fos se un'opera d'arte originale, ma al più litografie o mere co
pie, sì che la domanda relativa all'originale dell'opera d'arte, o al suo equivalente valore, andava rigettata). (2)
L'art. 1469 quater c.c. ha effetto solo per i contratti successivi
all'entrata in vigore della I. 52/96, che lo ha introdotto nel
l'ordinamento, oltre che per gli effetti ancora in corso di
quelli stipulati anteriormente. (3)
la lettera e lo spirito del patto; pertanto, il giudice del merito, allorché riconosce che le parole usate non sono congrue rispetto all'effettiva volontà dei contraenti, deve dar conto dei diversi elementi con cui rico struisce l'intento comune delle parti.
Alcune pronunce pongono il criterio letterale come limite vero e pro prio all'indagine del giudice: v. Cass. 24 febbraio 1990, n. 1416, id.,
Rep. 1990, voce cit., n. 266, che precisa come, allorché la volontà delle
parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, l'elemento letterale, che deve essere applicato nel primo momento in
terpretativo. assorbe ed esaurisce ogni altro criterio d'interpretazione del contratto ed impone al giudice di limitarsi all'esame del senso lette rale delle parole; adde Cass. 28 giugno 1986, n. 4309, id., Rep. 1986, voce cit., n. 273; 6 giugno 1983, n. 3831. id.. Rep. 1984, voce cit.. n. 163. e 11 marzo 1983, n. 1845, id., Rep. 1983, voce cit., n. 204, secon do le quali, se non sussiste ragione di divergenza tra senso letterale e
spirito dell'accordo, è addirittura inammissibile per il giudice ricorrere a qualsiasi altro criterio interpretativo, non potendo egli sovrapporre la
propria soggettiva opinione all'effettiva volontà dei contraenti; 17 set tembre 1983, n. 5620, id., Rep. 1985, voce cit., n. 180.
Sulla scorta dell'insegnamento dottrinario (cfr., ex multis, C.M.
Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, Milano, 1984), Cass. 21 maggio 1983, n. 3526, Foro it.. Rep. 1983. voce cit., n. 200, rimarca peraltro che, nell"interpretare il contratto, si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti, senza limitarsi al senso letterale delle
parole; l'art. 1362 va inteso nel senso che, pur essendo l'accertamento della comune intenzione lo scopo precipuo dell'attività interpretativa, la lettera delle dichiarazioni contrattuali deve rappresentare pur sempre il punto di partenza, sicché, qualora si assuma che l'intenzione delle
parti contrasti con il significato proprio delle parole usate, occorre dar ne una rigorosa dimostrazione, specie quando tale significato sia in sé
compiuto e univoco. Si è anche detto che l'indagine ermeneutica non deve limitarsi al senso letterale delle parole e che oggetto della ricerca è l'elemento logico, necessario per l'individuazione dell'effettiva vo lontà dei contraenti: così Cass. 14 marzo 1990, n. 2058, id., Rep. 1990, voce cit., n. 265; 21 novembre 1983, n. 6935, id.. Rep. 1983, voce cit.. n. 196; 22 ottobre 1981, n. 5528, id.. Rep. 1981, voce cit., n. 193; 10
gennaio 1980, n. 198, id.. Rep. 1980, voce cit.. n. 173. D'altronde, deve comunque tenersi presente (Cass. 22 ottobre 1981,
n. 5528, id.. Rep. 1981, voce cit., n. 188) che il giudice non è vincolato
all'interpretazione che le parti danno al contratto, ma alla domanda ed ai fatti confessati dalle parti, per cui non può adottare un'interpretazio ne contraria alla volontà comune affermata dalle parti in giudizio.
II. - In merito al problema delle promesse ingannevoli di premi al consumatore, deve registrarsi l'importanza assegnata dalla giurispru denza al criterio interpretativo basato sulla necessità di valutare la sus sistenza di una specifica esperienza del consumatore nel settore. Se condo tale orientamento (Trib. Milano 12 novembre 1992, id., Rep. 1993, voce Concorrenza (disciplina), n. 198), dalla diuturnitas del rap porto intercorrente con la società di distribuzione deriverebbe una mag giore esperienza da parte del consumatore che, in quanto più smalizia to, avrebbe la possibilità di comprendere d'esser di fronte a promesse ingannevoli. Questa linea interpretativa si ricollega ad alcune pronunce della Suprema corte (Cass. 12 gennaio 1991, n. 257, id., Rep. 1991, vo ce Contratto in genere, n. 355; 6 febbraio 1982, n. 683, id., Rep. 1982, voce cit.. n. 240) a cui dire gli artifici o raggiri, la reticenza o il silenzio in cui si concreta un comportamento doloso devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni
soggettive dell'altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l'affidamento non può rice vere tutela giuridica se fondato sulla negligenza.
Interessante, al riguardo, il rilievo conferito all'autodisciplina del
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 27 aprile 1991 la Grande distribuzione avanzata Postalmarket s.p.a. pro
poneva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal
presidente del Tribunale di Roma in data 19 marzo 1991, con il
quale le si ingiungeva di consegnare alla ricorrente Caparesi Adriana un esemplare dell'opera di Emilio Greco del valore di
trenta milioni di lire o il suo equivalente in denaro.
L'opponente assumeva l'infondatezza della pretesa della ri
corrente opposta, in quanto era chiaro dalla comunicazione di
settore pubblicitario, con il relativo codice, che tende a tutelare anche e
soprattutto il consumatore meno provveduto ed agguerrito criticamente
(v. L.C. Ubertazzi, La giurisprudenza del giurì di autodisciplina pub blicitaria: alcune osservazioni, id., 1986, I, 2948; Giurì codice autodi
sciplina pubblicitaria 15 aprile 1980, n. 9, in Giurisprudenza completa del giurì di autodisciplina pubblicitaria a cura di L.C. Ubertazzi, Mi
lano, 1986). Sul tema specifico della pubblicità ingannevole, disciplinato dal
d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74, di attuazione della direttiva Cee 450/84, v., per una panoramica nei principali settori d'interesse, C. Alvisi, Pa
rallelismi ed interferenze fra ordinamento autodisciplinare e ordina
mento statuale in tema di repressione del mendacio pubblicitario nel
settore delle comunicazioni cellulari, in Resp. comunicazione impresa, 1999, 125; C.S. Carrassi, Attività dell'Autorità garante della concor
renza e del mercato nei servizi turistici, con particolare riferimento ai
provvedimenti in materia dì pubblicità ingannevole, in Economia e dir.
del terziario, 1997, 1015; V. Franceschelli, Il messaggio pubblicitario come ipotesi di pubblicità ingannevole e come elemento della fattispe cie «concorrenza sleale», in Riv. dir. ind., 1998, II, 221; S. Capitano, Alcune riflessioni in tema di pubblicità ingannevole e televendite, in
Disciplina comm., 1998, 288, e Ancora in tema di pubblicità inganne vole: il caso «Millionaire card», ibid., 567; M. Granieri, Garanzie commerciali e pubblicità ingannevole, id., 1997, 1197; G. Besia, Of
ferta di connessione ad Internet e pubblicità ingannevole, in Riv. dir.
ind., 1997, II, 197; nonché, in merito allo specifico aspetto delle ven
dite per corrispondenza con operazioni a premi, R. Bitetti, Vendite per
corrispondenza, operazioni a premi e conseguenze giuridiche della
pubblicità ingannevole, in Nuova giur. civ., 1996,1, 452.
La dottrina, nel ritenere ingannevole anche la pubblicità che sugge stiona anziché informare, distingue tra falsa informazione in senso
stretto (relativa al criterio della conformità al vero dell'affermazione o
rappresentazione) e falso in senso ampio, concernente le modalità di
rappresentazione del messaggio pubblicitario, concretandosi in affer
mazioni vere ma presentate in modo subdolo o tendenzioso (Alpa
Rossello, Prime note sull'attuazione della direttiva comunitaria in
materia di pubblicità ingannevole, in Dir. informazione e informatica, 1992. 267; F. Cafaggi, Pubblicità commerciale, voce del Digesto comm., Torino, 1995, XI, 460, che pure considera come le capacità de
codificative dei molteplici destinatari del messaggio pubblicitario siano
diverse, talché il quesito sullo standard da adottare in relazione alla
percezione del messaggio pubblicitario si risolve normalmente pren dendo in considerazione il consumatore più sprovveduto, a meno che
non vi siano interessi di una parte dei destinatari tali da giustificare l'adozione dello standard del consumatore medio). Ai fini della valuta
zione d'ingannevolezza si prescinde dalla considerazione di elementi
concernenti il dolo o la colpa dell' operatore pubblicitario adottandosi
un criterio oggettivo: così F. Cafaggi, op. cit., 461, il quale pone altresì
in rilievo (477) che la pubblicità ingannevole può avere rilevanza ai fini
della formazione e della validità del contratto anche indipendentemente dall'ipotesi che configuri dolo contrattuale, sì che la tutela inibitoria di
cessazione e quella a carattere restitutorio, il c.d. corrective advertising,
possano operare anche a prescindere dalla colpa o dal dolo.
Altro rilievo attiene alla natura giuridica dell'attribuzione del pre mio, che secondo buona parte della dottrina e della giurisprudenza non
costituisce (proposta di) donazione (G. Sicchiero, Osservazioni sul
contratto gratuito atipico, in Giur. it., 1995, I, 2, 945, che analizza at
tentamente le posizioni dottrinarie al riguardo; Trib. Roma 11 gennaio 1995, cit.; Trib. Milano 12 novembre 1992, cit.).
(3) Nel senso della massima, v. Cass. 29 novembre 1999, n. 13339, Foro it., Rep. 2000, voce Contratto in genere, n. 379, che rimarca come
la nuova disciplina dei contratti del consumatore non sia applicabile ai
contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, in virtù del generale
principio dell'irretroattività della legge, e Trib. Palermo 7 aprile 1998,
id., 1998, I, 1624, con osservazioni di G. Lener, secondo cui gli art.
1469 bis ss. sono applicabili a rapporti negoziali pendenti alla data di
entrata in vigore della novella legislativa in materia di clausole vessato
rie. In dottrina, v. M. Granieri, in Danno e resp., 1998, 906; D. Maffeis,
Somministrazione di energia elettrica e vessatorietà di clausole, in
Contratti, 1998, 344; G. Alpa-S. Patti, Le clausole vessatorie nei con
tratti con i consumatori-Commentario agli art. 1469 bis - 1469 sexies
c.c., Milano, 1997, passim; E. Capobianco, La nuova disciplina delle
clausole vessatorie nei contratti con i consumatori (art. 1469 bis - 1469
sexies c.c.), in Vita not., 1996, 1142. [A. Fabrizio-Salvatore]
Il Foro Italiano — 2001
vincita che l'istante aveva vinto solo una copia riproduttiva del
l'originale, questo sì del valore di trenta milioni di lire.
Resisteva la Caparesi. Il Tribunale di Roma, con sentenza dell'11 gennaio 1995
(Foro it., 1995,1, 1355) rigettava l'opposizione.
Proponeva appello la Postalmarket.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata l'8
aprile 1998, in accoglimento dell'appello, revocava il decreto
ingiuntivo e rigettava la domanda della Caparesi. Riteneva la corte d'appello che nel plico inviato dalla Po
stalmarket all'appellata vi era una comunicazione secondo cui il
maestro Emilio Greco aveva consentito di trarre un numero li
mitato di esemplari da una sua splendida opera d'arte originale; che tra i premi offerti in precedenza e non ritirati vi era un'o
pera del detto maestro del valore di trenta milioni di lire, con
vertibili in gettoni d'oro; che in detto plico vi era anche un buo
no d'ordine speciale, che la Caparesi inoltrava per un totale di
acquisto per ottantamila lire.
Secondo il giudice d'appello la Caparesi, alla luce di queste circostanze, era ben consapevole di aver vinto solo un esempla re tratto dall'opera originale, e cioè una copia, per cui non vi era
stato nessun effetto ingannatorio della Postalmarket e nessun af
fidamento dell'appellata. Secondo la corte territoriale, tuttavia, la pubblicità effettuata
era scorretta ed ambigua, in quanto la stessa poteva far pensare non a mere copie, ma a litografie dell'opera.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
Caparesi. Resiste la Postalmarket con controricorso, che contiene anche
ricorso incidentale condizionato.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione. — 1. - Preliminarmente vanno riuniti i
ricorsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la viola
zione e falsa applicazione degli art. 345 e 112 c.p.c., nonché la
violazione e falsa applicazione degli art. 1427 ss., 1439 ss. e
1441 c.c., nonché il mancato esame di un punto decisivo e di
fetto assoluto di motivazione.
Assume la ricorrente che essa aveva già eccepito in appello l'inammissibilità del gravame concernente il preteso difetto di
idoneità ingannatoria della proposta inviata dalla Postalmarket,
poiché durante il primo grado la controparte aveva espressa mente limitato l'oggetto della controversia al solo «valore della
prestazione», mentre l'eccezione di annullamento, richiedendo
una pronuncia costitutiva, necessita di una domanda in tal sen
so, inammissibile in appello. Inoltre la ricorrente rileva che è solo il soggetto passivo del
dolo che può invocare l'annullamento del contratto e non il
soggetto attivo, che non è legittimato al riguardo. Assume poi la ricorrente che erano inammissibili le eccezioni
mosse in sede d'appello di nullità del contratto per difetto di
causa o di accordo.
2.1. - Il motivo è infondato e va rigettato. Contrariamente all'assunto della ricorrente il thema disputan
dum è rimasto, anche in grado d'appello, quello relativo all'in
terpretazione del contratto intervenuto tra le parti. Infatti il giudice d'appello ha ritenuto che fosse posto il moti
vo d'appello nel merito avverso la decisione di primo grado
(«errata interpretazione da parte del primo giudice dell'effetto
ingannatorio del bando in generale ... poiché chiarissimo nel ri
ferirsi ad una copia dell'originale, e, in particolare sul soggetto
specifico ...»). In questi termini ha deciso la corte di merito che, sulla base
della documentazione prodotta dalle parti, ha ritenuto sì che non
vi fosse un effetto ingannatorio nel comportamento della società
appellante e la conseguente esistenza di un affidamento tutela
bile da parte dell'appellata, ma sempre nell'ambito dell'inter
pretazione del contratto.
Infatti il giudice d'appello si sofferma a valutare quale fosse
il contenuto della documentazione spedita dalla Postalmarket
alla Caparesi, per trarne poi la conseguenza che da esso non si
poteva non essere consapevoli che la vincita atteneva solo ad
una copia e non all'originale dell'opera d'arte.
Se questa poi fosse l'esatta interpretazione della proposta contrattuale (e quindi del contratto) è una questione che attiene
al secondo motivo del ricorso.
2.2. - Ciò che va messo in rilievo in relazione al primo moti
vo di ricorso è che la sentenza impugnata, interpretandola cor
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PARTE PRIMA
rettamente (come rientra nei poteri del giudice dell'impugna
zione), non ha esaminato e deciso su un eventuale vizio del con
senso della Caparesi, ma sul contenuto del contratto intervenuto
tra lei e la Postalmarket (e tanto meno ha deciso su eventuali
cause di nullità dello stesso). Infatti il giudice d'appello ha ritenuto che l'opera d'arte in
originale non fosse dovuta, non in quanto sussisteva una causa
di annullamento del contratto (dolo) o addirittura una causa di
nullità, bensì l'esatto contrario e cioè che l'oggetto del contratto
(evidentemente valido) fosse una riproduzione dell'originale e
che di tanto fosse consapevole non solo la Postalmarket ovvia
mente, ma anche la Caparesi. In altri termini, dalla lettura della sentenza impugnata si in
tende che i giudici d'appello hanno ritenuto che la comune in
tenzione delle parti (art. 1362 c.c.), espressa nel contratto, aves
se ad oggetto una riproduzione dell'opera e non l'originale della
stessa.
3.1. - È vero che la sentenza impugnata si è posta anche il
problema della portata ingannatoria della proposta della Postal
market e dell'affidamento della Caparesi, ma ciò non nell'ottica
di un i ntuale annullamento del contratto, come ritiene la ri
corrente, ma in quella dell'interpretazione del contratto.
Infatti tra i criteri interpretativi del contratto, vi è anche
quello secondo cui il contratto deve essere interpretato secondo
buona fede (art. 1366 c.c.). La buona fede è un criterio che serve ad escludere, nell'inter
pretazione del contratto, il ricorso ad un significato unilaterale o
sforzato o contrastante con un criterio di affidamento dell'uomo
medio (Cass. 13 dicembre 1978, n. 5939, id., Rep. 1979, voce
Contratto in genere, n. 217). Il principio dell'interpretazione dei contratti secondo buona
fede, che rappresenta il punto di sutura tra la ricerca della reale
volontà delle parti — costituente il primo momento del processo
interpretativo, in base alla comune intenzione ed al senso lette
rale delle parole — ed il persistere di un dubbio sul preciso
contenuto della volontà contrattuale, in base ad un criterio
obiettivo, avente per fondamento un canone di reciproca lealtà
nella condotta tra le parti, ed a tutela dell'affidamento che cia
scuna parte deve porre sul significato della dichiarazione del
l'altra, costituisce un mezzo sussidiario dell'interpretazione conferito al giudice, il quale presuppone la persistenza di un
dubbio sul reale significato delle dichiarazioni contrattuali. Tale
principio non è pertanto invocabile quando il giudice, attraverso
l'esame degli elementi di prova raccolti, abbia già accertato
l'effettiva volontà delle parti (Cass. 14 aprile 1975, n. 1418, id.,
Rep. 1975, voce cit., n. 209). 3.2. - Nella fattispecie, quindi, il giudice di merito, avendo
ritenuto che la Caparesi era ben consapevole che si trattava di
una riproduzione, sulla base di quanto emergeva dal contenuto
letterale della proposta contrattuale, correttamente ha ritenuto
che non sussistesse un problema di affidamento della Caparesi. Ciò denota che nell'operazione interpretativa della comune
volontà delle parti il giudice di merito non ha ritenuto perma nessero dubbi sul contenuto contrattuale in questione, tale da
rendere necessaria l'adozione del criterio sussidiario ermeneuti co dell'interpretazione secondo buona fede.
4. - Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 1362 ss. c.c. e dell'art.
1469 quater; nonché il difetto assoluto di motivazione.
Lamenta la ricorrente che erroneamente la corte d'appello ha
omesso di prendere in esame il punto relativo all'espressione
«esemplare originale», che non significa «esemplare unico».
In ogni caso, avendo la corte territoriale ritenuto che la pub blicità «era scorretta ed ambigua», doveva trarne le dovute con
seguenze, ai sensi dell'art. 1469 quater c.c., applicando l'inter
pretazione più favorevole al consumatore.
5. - Il motivo è infondato e va rigettato. Va anzitutto osservato che, quando la parte che denunzi in
Cassazione l'erronea determinazione della volontà negoziale ef
fettuata dal giudice di merito in violazione degli art. 1362 c.c., è
tenuta ad indicare quali canoni o criteri interpretativi siano stati
violati; in mancanza l'individuazione della volontà negoziale —
che avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed oggettiva, si ri solve in un accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al
giudice di merito — è censurabile non già quando le ragioni ad dotte a sostegno sono diverse da quelle della parte, bensì allor ché esse sono insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (Cass. 12 marzo 1994, n. 2415, id.. Rep. 1994, voce
Il Foro Italiano — 2001.
Lavoro (rapporto), n. 1018; 2 febbraio 1996, n. 914, id., Rep. 1996, voce Cassazione civile, n. 81).
Nella fattispecie la ricorrente non indica quale canone erme
neutico sia stato violato, tra i vari indicati dalle norme di cui
agli art. 1362 ss. c.c.
6. - In ogni caso, nella ricerca della comune intenzione dei
contraenti, il primo e principale strumento dell'operazione in
terpretativa è costituito dalle parole ed espressioni del contratto
e, qualora queste siano chiare e dimostrino un'intima ratio, il
giudice non può ricercarne una diversa, venendo così a sovrap
porre la propria soggettiva opinione all'effettiva volontà dei
contraenti (Cass. 29 aprile 1994, n. 4121, id.. Rep. 1995, voce
Contratto in genere, n. 324; 22 aprile 1995, n. 4563, id., 1995,1,
2870, in motivazione). La corte di merito, facendo riferimento alla comunicazione,
proposta dalla Postalmarket, con cui si comunicava che, con un
buono d'ordine speciale, si aveva diritto a ritirare un premio, costituito da un numero limitato di esemplari tratti da un'opera d'arte del maestro Emilio Greco, da assegnare ad alcuni clienti, ha ritenuto che non dell'opera originale si trattasse, ma appunto di copie, potendo, al più pensarsi a litografie.
Trattasi d'interpretazione che la corte di merito ha ritenuto di
poter trarre dalle locuzioni usate dalla Postalmarket nella propo sta contrattuale, e non essendo la motivazione né insufficiente
né contraddittoria, è incensurabile in questa sede di legittimità, risolvendosi le censure della ricorrente in una diversa lettura
delle dette espressioni letterali.
7.1.- Infondata è anche quella parte del motivo con cui si la
menta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1469 quater c.c.
Va infatti osservato che detta norma è stata introdotta solo
con l'art. 25 1. 6 febbraio 1996 n. 52.
Giusta la regola generale posta dall'art. 11, 1° comma, disp.
prel. c.c., la legge non dispone che per l'avvenire e non ha ef
fetto retroattivo.
Ne consegue che lo ius superveniens, costituito dalla detta
normativa, svolge i propri effetti solo in relazione ai contratti
successivi alla data di entrata in vigore, mentre, per quanto con
cerne i precedenti, solo in relazione alla regolamentazione degli effetti ancora in corso (Cass. 13339/99, id.. Rep. 2000, voce cit., n. 379).
7.2. - In ogni caso nella specifica fattispecie (in cui la clau
sola contrattuale del premio era riportata in moduli pubblicitari), il principio, invocato dalla ricorrente come fissato dall'art. 1469
quater, 2° comma, c.c., relativamente alla circoscritta ipotesi del
«contratto del consumatore», secondo cui le clausole proposte
per iscritto al consumatore vanno interpretate, in caso di dubbio, nel modo più favorevole allo stesso, trova già il suo referente
normativo nell'art. 1370 c.c.
Sulla base di detta ultima norma le clausole inserite nelle
condizioni generali del contratto o in moduli o formulari predi sposti da uno dei contraenti si interpretano nel dubbio in favore
dell'altro.
Sennonché, il presupposto per l'applicazione del principio fissato dall'art. 1370 c.c. (come dall'art. 1469 quater c.c. per il
«contratto del consumatore») è che rimanga un dubbio inter
pretativo della clausola contrattuale, dopo aver effettuato l'in
terpretazione della stessa sulla base dei criteri fissati dagli art.
1362 ss. c.c., secondo la gerarchia ivi prevista. 7.3. - Nella fattispecie la sentenza di merito, pur definendo la
pubblicità effettuata dalla Postalmarket «ambigua e scorretta», ha ritenuto che essa facesse pensare che il premio era costituito
da litografie e non da copie. In altri termini, secondo il giudice di merito, non vi era dubbio che l'originale (o il suo equivalente in gettoni d'oro) non costituiva oggetto della clausola contrat
tuale, mentre poteva permanere un dubbio sul punto se dette ri
produzioni erano litografie o mere copie. Poiché però la domanda era relativa all'originale dell'opera
d'arte (o al suo equivalente valore) e non alla litografia, corret
tamente la sentenza impugnata ha rigettato la domanda.
8. - Il ricorso va pertanto rigettato. Il rigetto del ricorso principale comporta l'assorbimento del
ricorso incidentale condizionato.
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