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sezione III civile; sentenza 19 luglio 2005, n. 15224; Pres. Fiduccia, Est. Preden, P.M.Scardaccione (concl. conf.); Falconi e altro (Avv. Mastrangelo) c. Anas - Ente nazionale per lestrade (Avv. dello Stato). Conferma Trib. Potenza 30 giugno 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 129, No. 2 (FEBBRAIO 2006), pp. 443/444-469/470Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200986 .
Accessed: 28/06/2014 18:43
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PARTE PRIMA 444
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 19 lu
glio 2005, n. 15224; Pres. Fiduccia, Est. Preden, P.M. Scar
daccione (conci, conf.); Falconi e altro (Avv. Mastrangelo) c. Anas - Ente nazionale per le strade (Avv. dello Stato).
Conferma Trib. Potenza 30 giugno 2001.
Responsabilità civile — Strade pubbliche — Cattiva manu
tenzione — Responsabilità della pubblica amministrazione
— Insidia — Valutazione — Giudizio di fatto (Cod. civ., art. 2043).
Responsabilità civile — Strade pubbliche — Ostacoli —
Obblighi di segnalazione — Violazione — Responsabilità della pubblica amministrazione — Condizioni (Cod. civ., art. 2043; d.leg. 30 aprile 1992 n. 285, nuovo codice della
strada, art. 42; d.p.r. 16 dicembre 1992 n. 495, regolamento di
esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada, art.
175).
Allorquando si faccia valere la responsabilità extracontrattuale
della pubblica amministrazione per i danni subiti dall'utente
a causa delle condizioni di manutenzione di una strada pub blica, la necessaria valutazione della sussistenza di un'insi
dia, caratterizzata oggettivamente dalla non visibilità e sog
gettivamente dalla non prevedibilità del pericolo, costituisce
un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se
adeguatamente e logicamente motivato. (1) La violazione delle norme che prevedono la segnalazione degli
ostacoli presenti su una strada pubblica, mediante apposita colorazione, non costituisce di per sé fonte di responsabilità
per colpa della pubblica amministrazióne, occorrendo altresì
che l'omissione abbia determinato, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui si è verificato il sinistro, una situazione di
non visibilità oggettiva dell 'ostacolo. (2)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 1° di
cembre 2004, n. 22592; Pres. Duva, Est. Segreto, P.M. Sepe
(conci, diff.); Pellizzoni (Avv. Marcolini) c. Comune di
Tolmezzo (Avv. Marpillero, Properzi). Conferma Trib.
Tolmezzo 20 novembre 2000.
Responsabilità civile — Strade pubbliche — Pubblica am
ministrazione — Responsabilità per danno da cose in cu
stodia — Inapplicabilità (Cod. civ., art. 2043, 2051).
Con riferimento ai pregiudizi asseritamente derivati da omessa o insufficiente manutenzione di strade pubbliche, che siano
oggetto di un uso generale e diretto da parte di terzi, non tro
va applicazione, nei confronti della pubblica amministrazio
ne, la presunzione di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia. (3)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezione HI civile; sentenza 1° ot tobre 2004, n. 19653; Pres. Nicastro, Est. Frasca, P.M. Maccarone (conci, parz. diff.); Conte (Avv. Cucinella) c. Comune di Napoli (Avv. E. Barone). Cassa App. Napoli 23
marzo 2001.
Responsabilità civile — Pubblica amministrazione — Re
sponsabilità per danno da cose in custodia — Applicabilità
(Cod. civ., art. 2051).
Responsabilità civile — Pubblica amministrazione — Re
sponsabilità per danno da cose in custodia — Onere pro batorio del danneggiato (Cod. civ., art. 2051, 2697).
Responsabilità civile — Comune — Responsabilità per dan
(1-9) I. - Con riferimento alle ipotesi di danni subiti dall'utente di una strada pubblica, o più in generale da chi utilizza un bene demaniale o patrimoniale di una pubblica amministrazione, ricollegabili all'omes sa o insufficiente manutenzione, nell'arco dell'ultimo biennio si è regi strata una più frequente applicazione del regime stabilito dall'art. 2051 c.c. (cfr. Cass. 23 luglio 2003, n. 11446, Foro it., 2004, I, 511, con note di Gandino e Caputi, annotata altresì da Laghezza, Responsabilità
Il Foro Italiano — 2006.
no da cose in custodia — Fattispecie relativa a caduta nel
palazzetto dello sport (Cod. civ., art. 2051).
Nei confronti della pubblica amministrazione, non opera alcuna
automatica esclusione del regime di responsabilità per danni
cagionati da cose in custodia, nemmeno qualora il bene de
maniale o patrimoniale, da cui sia derivato l'evento pregiudi zievole, sia adibito ad uso generale e diretto da parte della
collettività ed abbia notevole estensione, potendo tali circo
stanze rilevare ai soli fini dell' individuazione del caso for tuito. (4)
Chi invochi l'applicabilità, nei confronti della pubblica ammi
nistrazione, del regime di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia non è tenuto a provare che il pregiudizio sia derivato da una situazione qualificabile come insidia o
trabocchetto. (5)
Nell'ipotesi di lesioni riportate a seguito di una caduta in una
rampa del palazzetto dello sport (che, peraltro, per essere un
edificio, non può considerarsi di notevole estensione ed è
soggetto ad uso diretto della collettività in relazione a speci
fici eventi), la cui copertura antiscivolo presentava una spor
genza anomala, non segnalata, né transennata, non può escludersi che il comune, proprietario dell'immobile, sia as
soggettato al regime di responsabilità per danni cagionati da
cose in custodia. (6)
IV
TRIBUNALE DI CATANIA; sentenza 30 maggio 2005; Giud. Lima; Lo Verde (Avv. Campione) c. Comune di Catania (Avv.
Muscaglione).
Responsabilità civile — Strada urbana — Profondo avval
lamento — Caduta — Responsabilità del comune (Cod.
civ., art. 2043, 2051; d.leg. 30 aprile 1992 n. 285, art. 14).
Il comune è responsabile dei danni subiti dal conducente di un
ciclomotore, rovinato al suolo a causa di un profondo avval
lamento del selciato di una strada urbana, qualora l'ammini
strazione non alleghi e dimostri che esisteva un piano di sor
veglianza e manutenzione della rete viaria e che l'irregola rità del manto stradale si era prodotta in tempi e con moda
lità tali da sfuggire ad un ragionevole programma di con
trollo. (7)
V
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 16 febbraio 2005; Giud.
Lamorgese; Falcone (Avv. Lisi) c. Comune di Roma (Avv. Giuffré, Scotto), Soc. Astro appalti (Avv. Vizzone).
Responsabilità civile — Strada urbana — Responsabilità
per danno da cose in custodia — Comune — Inapplicabili tà (Cod. civ., art. 2051).
Responsabilità civile — Strada urbana — Escrementi di ca vallo — Scivolata — Responsabilità del comune — Esclu sione (Cod. civ., art. 2043).
Nell'ipotesi di lesioni riportate dall'utente di una strada urba
na, il comune non può essere assoggettato al regime di re
sponsabilità per danni cagionati da cose in custodia. (8) Il comune non è responsabile, nemmeno a titolo di colpa, dei
danni subiti dal conducente di un ciclomotore, scivolato su una strada urbana, a causa della presenza di escrementi di
cavallo, in quanto si trattava di ostacolo visibile (perché vo
luminoso, in rilievo e dì colore presumibilmente diverso ri
spetto alla pavimentazione) ed evitabile se la vittima avesse usato la normale prudenza alla guida (perché non occupava l'intera carreggiata ed era ubicato in una zona centrale fre quentata da pedoni). (9)
della pubblica amministrazione per insidia e trabocchetto, in Danno e
resp., 2004, 1085; Trib. Lucca 7 maggio 2004, Foro it., Rep. 2004, vo ce Strade, n. 56; Trib. Lanciano 30 aprile 2004, ibid., n. 55); in contro tendenza rispetto all'orientamento tradizionale (e predominante) che le riconduce alla disciplina, più severa per il danneggiato, fissata dall'art. 2043 c.c. (cfr. Cass. 4 giugno 2004, n. 10654, ibid., voce Responsabi lità civile, n. 393; 2 aprile 2004, n. 6516, id., 2004, I, 2793, con nota di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Svolgimento del processo. — D'Onghia Giovanni e Falconi
Giannina convenivano davanti al giudice di pace l'Anas - Ente
nazionale per le strade per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti dall'autocaravan di loro proprietà il 30 novem bre 1996 a seguito della collisione con un muretto posto sul lato destro della carreggiata della strada statale n. 92, all'altezza del
Gandino; Trib. Brindisi-Fasano 13 aprile 2005, <www.lexitalia.it>, e 2 dicembre 2004, Resp. civ., 2005, 468; Trib. Bari 3 febbraio 2005, ine
dita). Circa la responsabilità dell'ente proprietario della strada e del con
cessionario per la caduta di massi sulla carreggiata, v. Cass. 14 luglio 2004, n. 13087, Foro it., 2005,1, 159.
Cass. 22592/04 e 19653/04, in epigrafe, sono annotate da M. Bona, Buche sulle strade urbane: spunti per un nuovo modello di responsabi lità dei comuni, in Resp. civ., 2005. 390.
II. - La pronuncia sub II, nell'ambito di un articolato ordito motiva zionale che ripercorre brevemente il percorso tracciato dalla giurispru denza circa la riconducibilità di tali fattispecie all'art. 2043 c.c., ribadi sce che la presunzione di responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia prevista dall'art. 2051 c.c. non si applica agli enti pubblici ogni qual volta il bene, sia esso demaniale o patrimoniale, per le sue ca ratteristiche (estensione e modalità di uso) sia oggetto di una utilizza zione generale e diretta da parte di terzi che limita in concreto la possi bilità di custodia e vigilanza sulla cosa.
Pertanto, la responsabilità dell'ente proprietario, ai sensi dell'art. 2051 c.c., sarebbe configurabile qualora i beni demaniali vengano uti lizzati dall'amministrazione in situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo ovvero qualora si tratti di beni, demaniali o patrimo niali che, per la loro limitata estensione territoriale, consentano un'ade
guata attività di vigilanza e controllo da parte dell'ente ad essi preposto (in tal senso, v. anche Cass. 6516/04, cit.).
Similmente, Trib. Brindisi 13 aprile 2005, cit., in ipotesi di sinistro verificatosi su strada facente parte del demanio accidentale comunale, ha inquadrato la fattispecie nella disciplina di cui all'art. 2043 c.c., in
quanto tali beni, per la loro estensione e per l'apertura all'uso generale ed indiscriminato della collettività, impediscono di esigere dalla pub blica amministrazione il realistico esercizio di quei poteri di controllo e
vigilanza destinati ad impedire la propagazione dalla cosa del determi nismo produttivo dell'evento dannoso, sulla base del principio ad im
possibilia nemo tenetur. III. - Sebbene la pronuncia sub II aderisca all'orientamento tradizio
nale che ascrive tali fattispecie al regime dell'art. 2043 c.c., paiono comunque ravvisabili, entro le pieghe del suo corpus motivazionale, i
presupposti per l'elaborazione di una soluzione in grado di fare (una
quanto meno parziale) chiarezza sul tema. E evidente, infatti, come il rapporto di specialità che connota il regi
me di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., rispetto al paradigma ge nerale del neminem laedere fissato dall'art. 2043 c.c., si estrinsechi in nanzitutto nella diversità dei presupposti.
La ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. è fondata sul
rapporto di custodia con la res e sulla produzione di un evento dannoso
per il terzo che è il risultato eziologico di una serie causale che ha come fattore produttivo proprio la cosa custodita. La generale ipotesi di re
sponsabilità aquiliana prevista dall'art. 2043 c.c. è, invece, fondata sulla condotta (in queste ipotesi per lo più di carattere omissivo) anti
giuridica, dolosa o colposa, produttiva di un damnum iniuria datum. Tali tratti differenziali si apprezzano essenzialmente sul terreno del
l'onere della prova, sicché, nella fattispecie dell'art. 2051 c.c., il dan
neggiato dovrà provare solo il nesso di causalità tra la cosa e l'evento
lesivo, mentre il custode, per andare esente da responsabilità, dovrà fornire la prova dell'esistenza di un fattore esterno — che potrà anche essere il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato — che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità
(in tal senso, v. Cass. 4 febbraio 2004, n. 2062, Foro it., Rep. 2004, vo ce cit., n. 454). Siffatta prova liberatoria potrà essere efficacemente fornita non solo in modo diretto (attraverso la dimostrazione del for tuito accidentale verificatosi), ma anche in modo indiretto (secondo la nota equazione casus = non culpa, ovverosia dimostrando l'oggettiva impossibilità di esercitare un effettivo potere di controllo sulla res cu
stodita, tale da poter efficacemente escludere la propagazione dalla co sa di processi generatori di eventi lesivi).
Alla luce di questa seconda ipotesi, è agevole comprendere la ratio dell'esclusione della responsabilità della pubblica amministrazione per danni dovuti ad omessa od insufficiente manutenzione e connessi al l'utilizzo di beni la cui eccessiva estensione rende inesigibile l'osser vanza di quei poteri-doveri di controllo e vigilanza sulla cosa custodita. Ne discende che il discrimen, ai fini dell'individuazione del regime ap plicabile in materia, è rappresentato essenzialmente dal requisito della eccessiva estensione del bene, per lo più coniugato con l'interdizione all'uso indiscriminato della collettività.
Il Foro Italiano — 2006.
km 75 + 700, privo della segnalazione con strisce alternate di
colorazione bianca e nera.
Il convenuto resisteva.
Il giudice di pace, con sentenza del 2 febbraio 1998, acco
glieva la domanda e condannava l'Anas al pagamento di lire
cinque milioni ed al rimborso delle spese. Pronunciando sull'appello dell'Anas, il Tribunale di Potenza,
con sentenza del 30 giugno 2001, lo accoglieva, rigettava la
Così superata la ricostruzione tradizionale che dalla mera natura de maniale del bene faceva ex se discendere astrattamente l'impossibilità di un continuo ed efficace controllo da parte dell'ente proprietario (in tal senso, v. Cass. 11446/03, cit.), viene rimessa al giudice di merito la valutazione in concreto circa l'effettiva possibilità di controllo, in base alla più o meno vasta estensione del bene.
Alla stregua di tale impostazione, Trib. Lanciano 30 aprile 2004, cit.. in relazione alla caduta in una buca residuata da alcuni lavori stradali, ha affermato la responsabilità della pubblica amministrazione ex art. 2051 c.c., sul presupposto che il difetto era conseguenza di una situa zione che non poteva e non doveva sfuggire al controllo dell'ente pro prietario. Diversamente, con riferimento ad un'ipotesi di caduta dalle scale di un cimitero comunale, dovuta alla presenza di gradini scalfiti o mancanti di pezzi, la Suprema corte ha individuato quale referente normativo l'art. 2043 c.c. (Cass. 10654/04, cit.). Sennonché, alla luce del criterio di selezione fondato sull'estensione del bene, sarebbe ap parso più coerente fare applicazione della disciplina di cui all'art. 2051 c.c. (come, peraltro, avvenuto in ipotesi di caduta sulla scala di colle
gamento di un bar alla toilette: v. Cass. 25 febbraio 2004, n. 3808, ine
dita). Pertanto, l'utente danneggiato in conseguenza dell'utilizzo di beni di
proprietà pubblica potrebbe giovarsi della presunzione di responsabili tà, propria della disciplina dei danni da cose in custodia, quando i beni, per le loro ridotte dimensioni ed alla luce di un giudizio di pericolosità secondo un modello relazionale (di tal che la cosa venga vista nel suo normale contesto di interazione con la realtà circostante), consentano l'esercizio di un effettivo potere di controllo in ordine all'insorgenza di rischi di pregiudizio per la collettività.
Tale regime troverebbe comunque un temperamento nel principio di
autoresponsabilità, in forza del quale ognuno deve.risentire nella pro pria sfera giuridica delle conseguenze della mancata adozione delle cautele e delle regole di comune prudenza che avrebbero consentito di avvedersi della situazione di pericolo e di evitare il danno (v. Trib. Brindisi-Fasano 2 dicembre 2004. cit., che ha escluso la risarcibilità ex art. 2043 c.c. di un danno riportato inciampando in una buca esistente sul manto stradale in un tratto munito di illuminazione pubblica e inte ressato da una serie di asperità).
IV. - Il modello di responsabilità così delineato potrebbe contribuire, inoltre, ad un'efficiente distribuzione degli oneri di diligenza tra dan
neggiarne e vittima, con l'effetto di minimizzare i danni, secondo l'in
segnamento dell'analisi economica del diritto in tema di responsabilità civile con specifico riferimento al requisito della colpa (cfr. P.G. Mo
nateri, Responsabilità civile, voce del Digesto civ., Torino, 1998. XVII, 1 ss.; R. Cooter-U. Mattei-P.G. Monateri-R. Pardolesi-T. U
len, II mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, Bolo
gna, 1999, 387 ss.; per quanto specificamente concerne la responsabi lità civile della pubblica amministrazione, v. F. Fracchia, Colpa del l'amministrazione e «autoprotezione» da parte del privato-vittima, in Foro it., 2005, III, 298).
L'esistenza di uno standard di diligenza che esoneri il danneggiante dal risarcimento (consistente nell'esercizio di poteri di vigilanza sulle strade in ordine all'insorgenza di rischi di pregiudizio per la collettivi
tà) dovrebbe indurre le potenziali vittime (gli utenti della strada) all'at tivazione di comportamenti «precauzionali» e di «autoprotezione», tali da minimizzare la responsabilità complementare per il danno che su
queste ultime verrebbe traslata. La prospettiva dell'analisi economica del diritto potrebbe, altresì, ri
sultare utile ai fini del superamento della questione nodale concernente l'effettiva possibilità di vigilanza da parte dell'ente pubblico sui beni di vaste dimensioni. Nell'incertezza circa il livello di prevenzione adot tato dalla pubblica amministrazione, la strategia migliore sarebbe che la vittima potenziale assumesse che le caratteristiche della strada non con sentono l'esercizio di un effettivo potere di controllo da parte dell'ente
proprietario, così da presumere che, in caso di incidente, il costo le sarà interamente addebitato. Ciò incentiverebbe l'adozione da parte degli utenti della strada di comportamenti preventivi efficienti, con il risul tato di ridurre la frequenza e la gravità degli incidenti. [A. Gandino]
Cadute, scivolate, urti rovinosi contro corpi più o meno contundenti: un campionario di disavventure che, se capitate entro i confini di un suolo o all'interno di un edificio appartenente ad un privato, consento no alla vittima di giovarsi della presunzione di responsabilità sancita
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447 PARTE PRIMA 448
domanda e condannava gli attori ai pagamento delle spese del
doppio grado. Avverso la sentenza gli attori hanno proposto ricorso per cas
sazione, affidandone l'accoglimento a due motivi, illustrati con
memoria.
Ha resistito, con controricorso, l'Anas.
Motivi della decisione. — 1. - Il tribunale ha svolto le se
guenti considerazioni:
dall'art. 2051: disposizione ormai comunemente letta in chiave di im
putazione obiettiva del rischio in capo a! custode (v., da ultimo, Cass. 3
agosto 2005, n. 16231, Foro it., Mass., 1259, e che sarà riportata in un
prossimo fascicolo). Ancorché il regime sia di indubbio favore per il
danneggiato, l'esito della contesa, naturalmente, non è scontato (il pro prietario potrà evitare la condanna se avrà fornito la prova liberatoria), ma almeno si può essere ragionevolmente sicuri del terreno su cui do vrà svolgersi la partita.
Quando, invece, si passano a considerare analoghi episodi, accaduti mentre il malcapitato percorreva una strada o si trovava in un altro spa zio appartenente al demanio o al patrimonio di qualche ente o ammini strazione, la situazione attuale è caratterizzata da una grande incertezza.
La strenua difesa, in questo settore, di privilegi ormai tramontati al trove fa sì che continui ad avere non pochi seguaci la concezione se condo cui occorre rifarsi al regime ordinario dell'illecito, peraltro cor retto in funzione della ricorrenza di un'insidia o di un trabocchetto
(che, secondo M. Bona, op. cit., 413, sarebbero state «artificialmente create in giurisprudenza per circoscrivere ulteriormente la responsabi lità della pubblica amministrazione»).
Questo requisito supplementare è stato ripudiato in altri contesti, do ve tendeva pericolosamente ad insinuarsi. Ad esempio, ne! caso di un'allieva minorenne di un circolo di tennis, caduta a causa di un av vallamento di una stradina in pendenza, bagnata e cosparsa di breccio
lino, che era stata scelta dagli istruttori per lo svolgimento dell'allena mento. il giudice di merito aveva escluso la responsabilità dell'associa zione. proprio perché l'ostacolo, essendo visibile, non presentava i ca ratteri dell'insidia o trabocchetto; ma la Suprema corte ha annullato il verdetto assolutorio, puntando sull'accertata violazione delle regole specificamente poste a salvaguardia dell'incolumità degli allievi (cfr. Cass. 3 aprile 2003, n. 5136, Foro it., Rep. 2004, voce Responsabilità civile, n. 269). Nel nostro campo, però, l'insidia e il trabocchetto conti nuano a penalizzare le vittime, sminuendo le conseguenze della viola zione di obblighi aventi ad oggetto l'eliminazione della fonte di peri colo su una pubblica via o la predisposizione di adeguate protezioni (v., oltre alla pronuncia sub I, Trib. Sanremo 15 luglio 2003, ibid., n. 208, concernente la mancanza del muretto di protezione in un tratto di strada di montagna) o, addirittura, condiziona il sorgere di detti obblighi (così, in ambito penale, Cass. 23 giugno 2004. Santilli, ibid., voce Reato in
genere, n. 22). Ricadute ancor più gravi erano state scongiurate, allor
quando i giudici della legittimità hanno escluso che in tali situazioni
possa venir meno il nesso di causalità tra la situazione di pericolo oc culto e l'evento dannoso sol perché l'utente abbia tenuto un comporta mento irregolare (così Cass. 3 dicembre 2002, n. 17152, id., 2003, I, 1802. con nota di A. Gandino — annotata altresì da U. Molina, in Cor riere giur., 2003, 763; M. Malavasi e U. Violante, in Danno e resp., 2003, 497; A. Fusaro, in Nuova giur. civ., 2003. I. 806; G. Facci, in
Resp. civ., 2003, 67; G. Pizzirusso e A. Canalini, in Arch, circolai., 2004, 295; G. Infantini. in Riv. dir. civ., 2004, II, 303 — che demanda va al giudice di merito il compito di valutare, nel caso di pregiudizio correlato ad insidia o trabocchetto, l'entità dell'apporto causale del
comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell'evento dannoso).
Tuttavia, come dimostra la dialettica tra le pronunce supra riprodot te, la giurisprudenza non è certo compatta, ma presenta una pluralità di
opzioni: alcune compatibili con lo scenario precedente, di cui costitui scono un'evoluzione (v., al riguardo, le considerazioni di A. Gandino nella nota che precede), incentrata sui criteri discretivi delle dimensioni e delle modalità di utilizzo del bene (i quali, però, relativamente ai danni correlati alla cattiva manutenzione delle strade pubbliche, condu cono ben difficilmente ad un approdo nel dominio dell'art. 2051); altre radicalmente eversive (v. la pronuncia di legittimità sub III, sulla cui scia si pone Trib. Catania, sub IV), in quanto spazzano via ogni preclu sione al regime di responsabilità del custode, mettendo in disparte l'ambigua figura dell'insidia, inopinatamente sdoganata dalla Consulta (cfr. Corte cost. 10 maggio 1999, n. 156, Foro it.. Rep. 1999, voce Re
sponsabilità civile, n. 269). In quest'ultima prospettiva, i criteri dianzi ricordati avrebbero rilievo soltanto ai fini della dimostrazione del caso fortuito, o più in generale dell'interruzione del nesso eziologico. Così è da ritenere che non potrebbe cavarsela a buon mercato chi. avendo
l'obbligo di segnalare un ostacolo sulla strada, rivelatosi fatale, non vi abbia ottemperato, confidando sul fatto che non si materializzi un tra bocchetto (o comunque da ciò traendo giovamento); mentre avrebbe una chance di andare esente da responsabilità chi avesse provveduto a colorarlo nei modi prescritti, qualora la tinta non sia svanita per l'ordi
II Foro Italiano — 2006.
— secondo consolidata giurisprudenza, per far valere la re
sponsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione
per i danni subiti dall'utente a causa delle condizioni di manu
tenzione di una strada pubblica, esclusa l'applicabilità dell'art.
2051 c.c., ed operando il generale criterio d'imputazione di cui
all'art. 2043 c.c., il danneggiato deve dimostrare che l'evento
dannoso è eziologicamente ricollegabile ad un'insidia, e cioè ad
una situazione caratterizzata, dal punto di vista obiettivo, dalla
non visibilità del pericolo e, dal punto di vista soggettivo, dal
l'imprevedibilità, vale a dire dall'impossibilità di avvistare in tempo il pericolo per poterlo evitare;
— nella specie, avuto riguardo agli elementi risultanti dalla
c.t.u. e dall'allegata documentazione fotografica, non era confi
gurabile un'insidia, poiché il muretto in cemento contro il quale l'autocaravan aveva urtato, era oggettivamente visibile, in ra
gione delle sue dimensioni (cm 40 di altezza, cm 30 di spessore, m 1,70 di lunghezza), del colore più chiaro rispetto all'asfalto
della pavimentazione e tenuto conto dell'ora mattutina nella
quale si era verificato l'incidente, ed era inoltre posto al di fuori
della sede stradale, sul lato destro della carreggiata, alla con
fluenza della strada statale n. 92 con lo svincolo per Piano del
Campo, ad una distanza di trenta centimetri dalla linea bianca
continua, risultando così agevolmente evitabile solo che il con
ducente avesse marciato all'interno delle strisce che delimitano
la sede stradale, laddove il sinistro era stato determinato da una
condotta di guida negligente ed imprudente di inversione di
marcia, eseguita per rientrare sulla strada statale n. 92, dopo aver erroneamente imboccato lo svincolo;
— accertata la colpa del conducente, era irrilevante valutare
l'omessa colorazione del muretto con strisce zebrate ai sensi
dell'art. 175 del regolamento del codice della strada sussisten
do, come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sent. 156/99
{Foro it., Rep. 1999, voce Responsabilità civile, n. 269), ragioni di incompatibilità logica tra la colpa del danneggiato e la nozio
ne di insidia, essendo quest'ultima contraddistinta dai caratteri
dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità del pericolo, che com
portano necessariamente l'esclusione di qualunque colpa con
corrente del danneggiato. 2. - Con il primo motivo, denunciando omessa, contradditto
ria o quanto meno insufficiente motivazione su punti decisivi
della controversia prospettati dalle parti, in relazione all'art.
360, n. 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 111,6° comma, Cost., i ricorrenti censurano la valutazione compiuta dal tribunale circa l'oggettiva visibilità dell'ostacolo contro il
quale ha urtato l'autocaravan. Sostengono che la visibilità era
ridotta a causa delle condizioni atmosferiche (presenza di fo
schia nell'ora mattutina), e che il muretto si confondeva con la sede stradale.
naria azione degli agenti atmosferici (fattore di cui tener conto in una razionale pianificazione degli interventi manutentivi), ma per qualche fenomeno improvviso di cui ha pagato le conseguenze taluno degli utenti colà transitati nell'immediatezza del fatto.
La prospettiva si ribalta e l'attenzione sulla causalità induce a pensa re che l'efficacia interruttiva possa essere attribuita anche al fatto del
danneggiato. Dunque, in costanza di una regola di responsabilità obiet tiva. può conferirsi rilievo per questa via al mancato rispetto, da parte dell'utente, delle regole di fruizione di quel bene (ad es., limiti di velo cità se si tratta di una strada pubblica). E analogo rilievo può essere valorizzato in funzione di una riduzione del quantum del risarcimento. Si andrebbe, dunque, verso una soluzione che parrebbe ottimale, ove la variabile in gioco fosse esclusivamente il livello di precauzioni che
possono adottare sia il proprietario (id est, efficiente programma di controlli e manutenzioni), sia l'utente, motorizzato e non. Ottimismo destinato, peraltro a vacillare, non appena si consideri l'incidenza sulla
produzione del danno di un utilizzo più o meno intenso, da parte del
singolo, del bene appartenente alla pubblica amministrazione (è il pro blema dei livelli di attività, su cui. v.. per tutti e riassuntivamente, S. Shavell, Foundations of Economic Analysis of Law, Cambridge, MA London, UK, 2004, 203). La difficoltà di costruire uno standard di
comportamento che incorpori tale fattore non implica, tuttavia, un ri torno al modello fondato sulla colpa del custode, modello che da parte sua (anche quando non perturbato dalla sovrastruttura dell'insidia) non risolve il dilemma.
Quel che non può eludersi è una rimeditazione dell'intera problema tica. vuoi per superare l'odierna situazione di instabilità, vuoi per cer care alternative ad uno schema che appare ormai logoro e inidoneo a
fronteggiare in modo adeguato le varie eventualità. [A. Palmieri]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
2.1. - Il motivo non è fondato.
La valutazione della sussistenza di un'«insidia», caratteriz
zata oggettivamente dalla non visibilità e soggettivamente dalla
non prevedibilità del pericolo, costituisce giudizio di fatto, in
censurabile in questa sede se adeguatamente e logicamente mo
tivato.
E la sentenza impugnata ha congruamente motivato sul punto,
svolgendo le considerazioni riassunte nel par. 1.
3. - Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa
applicazione del combinato disposto dell'art. 2043 c.c. e del
l'art. 43, 2° comma, c.p., nonché dell'art. 2056 e 1227 c.c., in
relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., omessa motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti, in relazione
all'art. 360, n. 5. c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art.
Ili, 6° comma. Cost., i ricorrenti addebitano al tribunale di
aver erroneamente ritenuto irrilevante l'omessa colorazione del
muretto con strisce di vernice bianca e nera a norma degli art.
42 cod. strada e 175 del regolamento, e non configurabile il
concorso di colpa del danneggiato.
Sostengono, in relazione al primo profilo di censura, che
l'accertata omissione, integrando violazione di norme di legge o
di regolamento, doveva condurre ad affermare la responsabilità
per colpa della pubblica amministrazione, per poi procedere alla
valutazione della sussistenza del nesso causale, accertando se lo
scopo perseguito dalla norma che prescrive la colorazione ze
brata era proprio quello di prevenire l'evento dannoso realmente
verificatosi, laddove il tribunale si è limitato ad enunciare, apo ditticamente, l'irrilevanza della violazione di legge.
Affermano inoltre che, diversamente da quanto ritenuto dal
tribunale, dal combinato disposto degli art. 2056 e 1227 c.c.
emerge che anche nell'illecito civile è astrattamente configura bile il concorso di colpa del danneggiato.
3.1. - Il motivo è infondato sotto entrambi i profili. 3.1.1. - Quanto al primo, va rilevato che la non conformità
dello stato di manutenzione della strada pubblica è fonte di re
sponsabilità della pubblica amministrazione solo se determina
l'insorgere di una situazione di pericolo, con i caratteri propri dell'insidia. La violazione di norme sulla segnalazione degli ostacoli mediante opportuna colorazione non può quindi essere
di per sé fonte di responsabilità per colpa della pubblica ammi
nistrazione, occorrendo invece che l'omissione abbia determi
nato, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui si è verificato
il sinistro, una situazione di non visibilità oggettiva dell'osta
colo. Ma nella specie il tribunale ha escluso che sussistesse una
situazione di tal genere avendo accertato la visibilità oggettiva del muretto, anche in difetto della colorazione con strisce ze
brate, tenuto conto delle sue dimensioni, del colore più chiaro
rispetto al manto stradale e dell'ora mattutina in cui si è verifi
cato l'incidente. Risulta quindi corretta la valutazione di irrile
vanza della violazione dell'art. 175 del regolamento del codice della strada, precisando, tuttavia, che l'irrilevanza è determinata
dall'insussistenza dell'insidia e non già, come affermato dal tri
bunale, dall'accettata colpa del conducente.
3.1.2. - Quanto al secondo, va rilevato che, secondo la più re
cente giurisprudenza di questa corte, non sussiste incompatibi lità della responsabilità colposa della pubblica amministrazione
in caso di insidia o trabocchetto stradale con il concorso del
fatto colposo del danneggiato (sent. 17152/02, id., 2003, I,
1802), ma la diversa opinione manifestata dal tribunale non ha
assunto rilevanza nell'economia della decisione, dal momento
che, essendo stata esclusa la sussistenza dell'insidia e quindi della responsabilità colposa della pubblica amministrazione, non era in radice configurabile un concorso di colpa del dan
neggiato. 4. - In conclusione, il ricorso è rigettato.
II
Svolgimento del processo. — Con citazione notificata il 17
agosto 1995, Pellizzoni Fabiano conveniva, davanti al Pretore di
Tolmezzo, il comune di Tolmezzo, chiedendo il risarcimento
del danno subito in seguito alla caduta dalla bicicletta, avvenuta
alle ore 14 del 31 marzo 1995 in via Tarvisio, nel centro cittadi
no, occasionata dall'urto del telaio contro un paletto in ferro
sporgente dal manto stradale per circa un metro, a suo dire co
II Foro Italiano — 2006.
stituente insidia, perché inclinato, sia perché avente colorazione
simile a quella dell'asfalto.
Il comune resisteva alla domanda.
Il pretore rigettava la domanda sul rilievo che il paletto era
posizionato su un'area della quale il comune non aveva né la
proprietà né la custodia.
Proponeva appello il Pellizzoni.
Si costituiva il comune e chiedeva il rigetto dell'appello. Il Tribunale di Tolmezzo, con sentenza depositata il 20 no
vembre 2000, rigettava l'appello. Riteneva il tribunale che la zona in questione era oggettiva
mente assoggettata al pubblico transito, asfaltata per tutta la sua
ampiezza; che nella fattispecie non era invocabile la presunzio ne di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., perché, attesa l'e
stensione delle strade comunali del comune di Tolmezzo era
impossibile l'esercizio di un continuo ed efficace controllo; che
conseguentemente in astratto una responsabilità poteva ravvi
sarsi a carico del convenuto solo se fosse esistita un'ipotesi di
insidia o trabocchetto stradale; che tanto non sussisteva in con
creto, in quanto il paletto era ben individuabile, essendo spor
gente dal terreno per un metro ed essendo ben visibile alle ore
14 del 31 marzo 2004.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l'attore.
Resiste con controricorso il comune di Tolmezzo, che ha an
che presentato ricorso incidentale condizionato e memoria.
Motivi della decisione. — 1. - Preliminarmente vanno riuniti i
ricorsi a norma dell'art. 335 c.p.c. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente principale lamenta
la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2051 c.c., in rela
zione agli art. 5 r.d. 2506/23 e 14-21 d.leg. 285/92, nonché
mancata o contraddittoria motivazione in ordine alla sua appli cazione al caso di specie, confondendo i concetti di responsabi lità presunta o oggettiva con quella formatasi nel diritto vivente
in ordine alla responsabilità per insidia stradale e collegata al
regime generale di responsabilità fissato dall'art. 2043 c.c.
Lamenta il ricorrente che il tribunale, pur avendo ritenuto
astrattamente applicabile nella fattispecie la responsabilità di cui
all'art. 2051 c.c., ha poi temperato la stessa con quella di cui al
l'art. 2043 c.c. in tema di insidia stradale; che erratamente il tri
bunale aveva escluso la responsabilità del comune ai sensi del
l'art. 2051 c.c., sulla base delle dimensioni del territorio comu
nale.
2. - Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la
violazione dell'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 1227, 1°
comma, c.c., dell'art. 5 r.d. 2506/23 e degli art. 14-20-21 d.leg. 285/92, nonché il vizio motivazionale in ordine alla natura insi
diosa dei paletti conficcati nel manto stradale e della rilevanza
di eventuale colpa del danneggiato. Ritiene il ricorrente che la sentenza impugnata ha erratamente
applicato i principi in tema di insidia stradale, ritenendo che il
paletto fosse avvistabile da esso attore, e quindi ritenendo che
sussistesse la colpa del danneggiato a norma dell'art. 1227 c.c.; che non era possibile avvistare il paletto di ferro, se non previa
ispezione della sede stradale, mentre l'utente percorreva la stra
da, confidando nella normalità del fondo.
3.1. - Ritiene questa corte che i due motivi di ricorso, essendo
strettamente connessi, vadano esaminati congiuntamente. Essi sono infondati e vanno rigettati. Osserva questa corte che esistono due orientamenti giurispru
denziali in merito alla responsabilità della pubblica amministra
zione per i danni subiti dall'utente conseguenti ad omessa od in
sufficiente manutenzione di strade pubbliche. Secondo l'orientamento predominante questa tutela è esclusi
vamente quella predisposta dall'art. 2043 c.c.
Si osserva, infatti, che la pubblica amministrazione incontra
nell'esercizio del suo potere discrezionale anche nella vigilanza e controllo dei beni di natura demaniale, limiti derivanti dalle
norme di legge o di regolamento, nonché dalle norme tecniche e
da quelle di comune prudenza e diligenza, ed in particolare dalla
norma primaria e fondamentale del neminem laedere (art. 2043
c.c.), in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene
demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, che dia luogo al c.d.
trabocchetto o insidia stradale.
Sussìste l'insidia, fondamento della responsabilità risarcitoria
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PARTE PRIMA 452
ex art. 2043 c.c., della pubblica amministrazione per danni ri
portati dall'utente stradale, allorché essa non sia visibile o al
meno prevedibile (Cass. 22 aprile 1999, n. 3991. Foro it.. Rep. 1999, voce Responsabilità civile, n. 289; 28 luglio 1997, n.
7062, id., Rep. 1997, voce Strade, n. 34; 20 agosto 1997, n.
7742, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 41; 16 giugno 1998, n. 5989,
ibid., n. 43, e molte altre). 3.2. - Un orientamento minoritario, invece, riconduce la re
sponsabilità della pubblica amministrazione, proprietaria di una
strada pubblica, per danni subiti dall'utente di detta strada, alla
disciplina di cui all'art. 2051 c.c., assumendo che la pubblica amministrazione, quale custode di detta strada, per escludere la
responsabilità che su di essa fa capo a norma dell'art. 2051 c.c.
deve provare che il danno si è verificato per caso fortuito, non
ravvisabile come conseguenza della mancanza di prova da parte del danneggiato dell'esistenza dell'insidia, che questi, invece, non deve provare, così come non ha l'onere di provare la con
dotta commissiva o omissiva del custode, essendo sufficiente
che provi l'evento danno ed il nesso di causalità con la cosa
(Cass. 22 aprile 1998, n. 4070, id., Rep. 2000, voce Responsa bilità civile, n. 327; 20 novembre 1998, n. 11749, id., Rep. 1999, voce Strade, n. 47; 21 maggio 1996, n. 4673, id., 1997, I,
1597). 4.1. - Ritiene questa corte di dover condividere il primo
orientamento.
Con riferimento all'orientamento favorevole alla riconduci
bilità di tale responsabilità nell'alveo dell'art. 2043 c.c. appare
opportuno richiamare, sia pure per sommi capi, il percorso trac
ciato dalla giurisprudenza che nei primi anni del 1900 iniziò ad
affermare il principio della responsabilità della pubblica ammi
nistrazione conseguente alla violazione colposa delle regole di
prudenza e di esperienza nell'ambito dell'attività amministrati
va, fissando il limite oltre il quale la discrezionalità (e la corre
lata insindacabilità del suo comportamento da parte dell'autorità
giudiziaria) doveva arrestarsi, e sostenendo la rilevanza sul pia no civilistico dell'inosservanza delle regole di prudenza, perizia e diligenza anche con riguardo alla specifica materia della ma
nutenzione stradale.
In tale contesto la giurisprudenza in un primo tempo elaborò
la figura dell'insidia o trabocchetto quale elemento sintomatico
dell'attività colposa dell'amministrazione, ricorrente allorché la
strada nascondeva un'insidia non evitabile dall'utente con l'or
dinaria diligenza; successivamente, peraltro, tale nozione diven
ne un indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della
pubblica amministrazione, e l'onere probatorio in ordine alla
sua sussistenza ricadeva a carico del danneggiato. Tale orientamento costituisce sostanzialmente ancor oggi un
elemento fondamentale per l'affermazione della responsabilità della pubblica amministrazione ex art. 2043 c.c. con riferimento
ai danni prodotti da omessa o insufficiente manutenzione di
strade pubbliche, ricondotta infatti all'inosservanza del princi
pio del neminem laedere, ma sempre a condizione che venga
provata l'esistenza di una situazione insidiosa caratterizzata
dalla non visibilità e dalla non prevedibilità del pericolo. 4.2. - La problematica in esame è stata esaminata dalla Corte
costituzionale (10 maggio 1999, n. 156, id., Rep. 1999, voce
Responsabilità civile, n. 269) a seguito di un'ordinanza del Giu
dice di pace di Genova che, investito della risoluzione di una
controversia promossa da un privato contro il comune di Geno
va per i danni subiti a causa di una caduta da un motociclo pro dotta dalla presenza, astrattamente percepibile in anticipo ma
non segnalata, di terriccio su una strada comunale, aveva solle
vato la questione di legittimità costituzionale degli art. 2043, 2051 e 1227, 1° comma, c.c. in rapporto agli art. 3, 24 e 97
Cost.
La Corte costituzionale, nel ritenere non fondata la questione, richiamato il principio di autoresponsabilità a carico degli utenti
«gravati di un onere di particolare attenzione nell'esercizio del
l'uso ordinario diretto del bene demaniale per salvaguardare ap
punto la propria incolumità», ha tra l'altro considerato la nozio
ne di insidia «come una sorta di figura sintomatica di colpa, ela
borata dall'esperienza giurisprudenziale, mediante ben speri mentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di nor
malità, con il preciso fine di meglio distribuire tra le parti l'one
re probatorio, secondo un criterio di 'semplificazione analitica'
della fattispecie generatrice della responsabilità in esame» (sul
II Foro Italiano — 2006.
l'infondatezza della sollevata questione di incostituzionalità, v.
anche Cass., sez. un., 10893/01, id., Rep. 2002, voce cit., n.
286). 4.3. - Non può, invece, condividersi l'orientamento, soste
nuto dal ricorrente principale, secondo cui la responsabilità della pubblica amministrazione, nella fattispecie, sarebbe re
golata dall'art. 2051 c.c.
Infatti, in conformità ad una giurisprudenza più che consoli
data di questa Suprema corte, non può non ribadirsi che la pre sunzione di responsabilità per danni cagionati dalla cosa in cu
stodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici,
ogni qual volta il bene, sia esso demaniale o patrimoniale, per le
sue caratteristiche (estensione e modalità di uso) è oggetto di
una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi che limita in
concreto la possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa (tra le
tantissime, ad esempio, Cass. 15 gennaio 1996, n. 265, id., Rep. 1996, voce cit., n. 187, nonché 21 gennaio 1987, n. 526, id.,
1987,1, 786; 4 aprile 1985, n. 2319. id., 1986,1, 1976; 20 marzo 1982, n. 1817, id.. Rep. 1983, voce cit., n. 120).
L'art. 2051 c.c., in tema di presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia — in
realtà — trova applicazione nei confronti della pubblica ammi
nistrazione, con riguardo ai beni demaniali, esclusivamente
qualora tali beni non siano oggetto di un uso generale e diretta
da parte dei terzi, ma vengano utilizzati dall'amministrazione
medesima in situazione tale da rendere possibile un concreto
controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l'insorgenza di
cause di pericolo (Cass. 30 ottobre 1984, n. 5567, id.. Rep. 1984, voce cit., n. Ili), ovvero, ancora, qualora trattisi di beni
demaniali o patrimoniali che per la loro limitata estensione ter
ritoriale consentano un'adeguata attività di vigilanza sulle stes
se (Cass. 7 gennaio 1982, n. 58, id., Rep. 1983, voce cit., n.
119). 4.4. - Pacifico essendo che nella specie l'incidente si è verifi
cato su una strada del comune di Tolmezzo, il giudice d'appel lo, con valutazione fattuale rientrante nei suoi esclusivi poteri, ha ritenuto che date le dimensioni del territorio comunale non
era possibile una forma di controllo sulle strade comunali, nei
termini in cui essa grava sul custode della cosa, per cui, sulla
base di questa premessa fattuale, ha correttamente ritenuto che
la questione andasse decisa esclusivamente sotto il profilo della
disciplina di cui all'art. 2043 c.c., escludendo che potesse in
quadrarsi in quella di cui all'art. 2051 c.c.
Avendo poi il giudice d'appello accertato in fatto, con moti
vazione né insufficiente né contraddittoria, ed in ogni caso im
mune da censure rilevabili in questa sede di sindacato di legit timità, che nella fattispecie non ricorrevano gli estremi dell'in
sidia stradale, poiché il paletto era di notevoli dimensioni in
quanto uscente per circa un metro da terra, avvistabile ed evita
bile, in considerazione delle sue dimensioni, del colore di inten
sità diversa e non confondibile con l'asfalto, correttamente ha
rigettato la domanda anche sotto il profilo dell'art. 2043 c.c.
5. - Il rigetto del ricorso principale, comporta che vada di
chiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Ili
Svolgimento del processo. — 1. - Con atto di citazione notifi
cato il 15 febbraio 1995, Annunziata Conte conveniva in giudi zio avanti al Tribunale di Napoli il comune di Napoli, per sen
tirlo condannare al risarcimento dei danni subiti il 17 dicembre
1994, alle 21, in conseguenza di una caduta, determinata dal
sollevamento della copertura antiscivolo di una rampa del pa lazzetto dello sport, che presentava una notevole sporgenza di
materiale in plastica, non segnalata né protetta. Il comune convenuto si costituiva contestando l'avversa do
manda e, previa autorizzazione, chiamava in causa, a garanzia e
per l'eventuale rivalsa, la Fondiaria assicurazioni, che restava
contumace.
L'adito tribunale rigettava la domanda e compensava le spe se, ritenendo che dalla prova per testi non fosse emersa l'esi stenza dei presupposti della c.d. insidia o trabocchetto, cioè sul
piano oggettivo la non visibilità e su quello soggettivo l'impre vedibilità, essendo risultato che la sporgenza della copertura antiscivolo era «notevole», onde non costituiva pericolo occulto ed era evitabile con l'uso della normale diligenza.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Contro la sentenza proponeva appello la Conte, argomentan do a sostegno: che la copertura antiscivolo, ancorché notevole
ed ingombrante, non si poteva ritenere visibile, stante l'ora
notturna, tanto che due testi escussi avevano dichiarato di non
averla vista prima della caduta della Conte; che il primo giudice non aveva considerato che non vi erano segnalazioni o protezio ni; e che sul comune gravava la presunzione di responsabilità ex
art. 2051 c.c., nella qualità di custode dell'immobile, il che ren
deva sufficiente per l'attrice la sola prova dell'evento dannoso e
del nesso causale. In subordine l'appellante chiedeva di essere
ammessa a provare per testi la scarsa illuminazione del palaz zetto dello sport all'atto dell'evento, il colore nero della coper tura antiscivolo e, dunque, la sua non visibilità nell'oscurità,
nonché la presenza, sul posto, di una calca di persone in uscita,
che limitava ulteriormente la visibilità.
Entrambi gli appellati resistevano all'appello. 2. - Con sentenza del 23 marzo 2001 la Corte d'appello di
Napoli rigettava l'appello (con compensazione delle spese) sulla
base delle seguenti ragioni:
a) non era configurabile una responsabilità extracontrattuale
della pubblica amministrazione, in quanto tenuta a curare la
manutenzione del palazzetto dello sport, giacché occorreva al
l'uopo la dimostrazione del nesso causale tra l'evento ed una
situazione di pericolo occulto, non percepibile dall'utente con
l'uso della normale diligenza, la c.d. insidia, «figura sintomatica
di colpa elaborata dalla giurisprudenza per distribuire fra le parti l'onere probatorio», atteso che dalla destinazione all'uso pub blico discendeva l'obbligo dell'ente di assicurare lo svolgi mento del medesimo in condizioni di regolarità e senza pericolo
per gli utenti, in osservanza del generale principio del neminem
laedere e, dunque, di evitare la verificazione di elementi insi
diosi; b) le testimonianze escusse in primo grado avevano eviden
ziato il carattere notevole della sporgenza del tappetino di
gomma antiscivolo presente sul percorso in uscita del pubblico dalla manifestazione appena svoltasi, in cui era inciampata la
Conte e, quindi, di un'anomalia non segnalata né transennata, ma di grosse dimensioni «e pertanto tale da venire presumibil mente, in condizioni ordinarie, notata ed evitata»;
c) la richiesta di prova per testi formulata in grado d'appello
per dimostrare la non visibilità della situazione pericolosa de
scritta nelle peculiari caratteristiche di tempo e di luogo dell'e
vento, era diretta ad ovviare al fatto che i testi in primo grado non erano stati escussi sulla mancanza nella zona di illumina
zione, né su altre circostanze idonee ad evidenziare la non visi
bilità oggettiva e soggettiva dell'insidia;
d) peraltro, il sinistro, occorso ad una donna di cinquantatré anni era avvenuto non all'esterno, in condizioni in cui difettava
la luce naturale, ma in un luogo pubblico, «da ritenersi illumi
nato, come si verifica di norma»;
e) apparivano rilevanti le circostanze ulteriori che l'appel lante intendeva dimostrare, ma la prova richiesta non era am
missibile, «in quanto formulata in violazione del principio di in
frazionabilità dei mezzi di prova, ricavabile dall'art. 244, 2°
comma, c.p.c., secondo il quale la novità, in sede di gravame, di
una prova testimoniale, rispetto a quella espletata in primo gra do, può configurarsi solo allorquando essa attenga a circostanze
del tutto diverse e distinte da quelle già oggetto della prova as
sunta, senza tendere ad inficiarne le risultanze, mediante la sur
rettizia prospettazione di modalità nuove in ordine allo svolgi mento delle vicende accertate ..., mentre nel caso di specie l'esame dei testi è previsto su circostanze strettamente connesse
ai fatti provati in primo grado, destinate a connotarli diversa
mente e a consentire la formazione di un convincimento opposto a quello espresso dal primo giudice, ovviando al difetto di prova che ha comportato il rigetto della domanda risarcitoria»;
f) sulla base delle risultanze processuali formatesi nel primo
grado restava, pertanto, indimostrata la responsabilità ex art.
2043 c.c. ed andava «condiviso il giudizio di infondatezza della
domanda espresso dal primo giudice sotto il profilo evidenzia
to»;
g) restava, del resto, esclusa la configurabilità di una re
sponsabilità da custodia ex art. 2051 c.c., sia perché «buona
parte della giurisprudenza ritiene necessario che anche in tal
caso si renda configurabile una situazione di pericolo occulto,
connotato dalla non visibilità e dalla non prevedibilità», che era
Il Foro Italiano — 2006.
esclusa in base ai rilievi già svolti a proposito dell'invocazione
dell'art. 2043 c.c., sia perché doveva considerarsi che nei con
fronti degli enti pubblici e riguardo ai beni demaniali o patri moniali, la notevole estensione e le generalizzate modalità di
uso del bene, non rendevano possibile un continuo ed efficace
controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo
per gli utenti, onde solo in difetto di uso diretto della colletti
vità si poteva ricollegare alla pubblica amministrazione l'ob
bligo di un'adeguata vigilanza. 3. - Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione
in data 29 maggio 2001 la Conte, sia contro il comune di Napo li, sia contro la Fondiaria assicurazioni, chiedendone la cassa
zione sulla base di quattro motivi.
Ha resistito con controricorso soltanto il comune di Napoli. Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo si deduce
violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui
agli art. 2051 e 2697 c.c. in relazione al n. 3 dell'art. 360 e si
propone connessa censura di illogicità, contraddittorietà ed in
sufficiente motivazione.
Nell'illustrazione del motivo si premette che sull'accerta
mento del nesso causale tra il sollevamento della copertura anti
scivolo e la caduta della Conte (con la conseguenza del verifi
carsi per la stessa della frattura del terzo medio della mano de
stra) non vi era stata contestazione e/o impugnazione da parte del comune e, quindi, sul punto si doveva ritenersi formato giu dicato.
L'impugnata sentenza avrebbe errato nell'applicare l'art. 2051
in relazione all'art. 2697 c.c., là dove ha ritenuto che incombeva
ad essa ricorrente attrice di dare la prova che l'evento dannoso
era riconducibile ad una situazione di pericolo occulto (insidia o
trabocchetto). Viceversa, il custode, anche quando si tratti di
pubblica amministrazione (per cui l'art. 2051 opererebbe, in
quanto essa non ha solo l'obbligo di manutenzione ex art. 5 r.d.
n. 2506 del 1923, ma anche quello di custodia), per liberarsi
dalla presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalla
cosa, deve provare che esso si è verificato per caso fortuito, non
ravvisabile come conseguenza della mancanza di prova, da parte del danneggiato, dell'esistenza dell'insidia, che questi, invece, non deve provare
— così come non ha l'onere di provare la con
dotta commissiva od omissiva del custode — essendo sufficiente
che provi l'evento dannoso ed il nesso di causalità con la cosa
(vengono citate Cass. n. 4070 del 1998, Foro it., Rep. 2000, voce
Responsabilità civile, n. 327, e n. 12500 del 1995, id., 1996, I,
3179). D'altro canto, la prova del caso fortuito risiederebbe nella
dimostrazione di un fatto avente i caratteri dell'imprevedibilità ed inevitabilità, che non ricorrerebbero nell'evento che può esse
re prevenuto dal custode attraverso l'esercizio dei normali poteri di vigilanza che gli competono.
L'impugnata sentenza avrebbe, in realtà, interpretato il con
tenuto dell'art. 2051 assumendo come ratio decidendi il gene rale principio del neminem laedere, di cui all'art. 2043 c.c.
Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applica zione del combinato disposto dagli art. 2051 e 2697 c.c. e omes
sa motivazione su un punto decisivo della controversia ex n. 5
dell'art. 360 c.p.c. Erroneamente la corte d'appello avrebbe ritenuto inapplica
bile l'art. 2051, sulla base del principio per cui nei confronti de
gli enti pubblici l'applicazione di tale norma dovrebbe fare i
conti, relativamente a beni demaniali o patrimoniali, col fatto
che la notevole estensione e generalizzazione delle modalità di
uso non renderebbero possibile un continuo ed efficace con
trollo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo, on
de solo in difetto di uso diretto della collettività, sarebbe ricol
legabile alla pubblica amministrazione l'obbligo di adeguata vi
gilanza. In particolare, la corte napoletana non avrebbe motivato
sulle ragioni per le quali il palazzetto dello sport di Napoli sa
rebbe ricompreso tra i beni aventi i requisiti della «notevole
estensione e delle generalizzate modalità d'uso». Viceversa, tale
manufatto, costituito da struttura in cemento armato e travi di
ferro, sarebbe di dimensioni limitate (20.000 mq) e soggetto alla
ordinaria manutenzione degli operai comunali e, quindi, non ri
conducibile ai luoghi (ad es. scavi, grotte, arenili, vulcani) che
la giurisprudenza della Suprema corte avrebbe ritenuto sfuggire ad un controllo continuo della pubblica amministrazione, che
invece sarebbe configurabile per i luoghi di dimensione ristretta,
che restano sottoposti al suo controllo (strade, edifici, complessi
immobiliari).
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PARTE PRIMA 456
Inoltre, incombeva al comune l'onere della prova che il pa lazzetto avesse le caratteristiche indicate.
Con il terzo motivo si deduce l'omessa motivazione sulla
scarsa illuminazione del luogo in cui è avvenuto l'incidente:
l'affermazione della corte d'appello che il luogo era illuminato
(comunque di per sé non esaustiva, giacché l'illuminazione
avrebbe dovuto essere sufficiente) non troverebbe riscontro ne
gli atti e sarebbe stata fatta in modo assolutamente apodittico. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazio
ne dell'art. 345 c.p.c. per erronea valutazione di novità delle
prove e connessa contraddittorietà di motivazione sotto il pro filo che l'impugnata sentenza, pur essendosi posta il problema delle condizioni di visibilità riconducibili all'illuminazione, avrebbe contraddittoriamente escluso che le circostanze su cui
era stata richiesta la prova in appello fossero nuove, ancorché
vertessero sulla scarsa visibilità.
D'altro canto, la novità della prova sussisterebbe in appello sia quando si tratti di mezzo di prova diverso da quello assunto
in prime cure, sia quando si tratti dello stesso mezzo di prova, ma esso verta su fatti diversi (vengono citate Cass. n. 3808 del
1995, id.. Rep. 1995, voce Appello civile, n. 59, e n. 1719 del
2001, id., Rep. 2001, voce cit., n. 57). La sentenza impugnata avrebbe trascurato tali principi ed omesso di motivare sulla loro
applicazione. 2. - Preliminarmente, vanno esaminate le doglianze articolate
dal controricorrente sia in tema di interpretazione dei primi due
motivi di ricorso, sia in riferimento all'asserita verificazione di
cosa giudicata sul punto del nesso causale fra la caduta della ri
corrente e l'anomalia della copertura antiscivolo, sia, infine, in
ordine alla ritualità dell'invocazione in appello dell'applicabi lità dell'art. 2051 c.c.
2.1. - Quanto al primo profilo, si rileva che secondo il resi
stente la ricorrente si sarebbe doluta con i primi due motivi che
la corte d'appello abbia, nel rigettare il gravame, ritenuto appli cabile l'art. 2043 c.c. invece che l'art. 2051. La lettura del ricor
so smentisce tale interpretazione. In realtà, come si preciserà ulteriormente in prosieguo, esaminandoli nel merito, i primi due
motivi di ricorso riguardano solo l'erronea applicazione da parte della sentenza impugnata dell'art. 2051 c.c. La ricorrente non
censura con essi l'applicazione dell'art. 2043 invece che del
2051, ma deduce che è stato erroneamente applicato il secondo
in base ai principi che regolano l'applicazione del primo. Con i
due motivi in questione non viene svolta alcuna critica alla sen
tenza nella parte in cui ha escluso la responsabilità alla stregua dell'art. 2043. La sentenza viene criticata solo nella parte nella
quale ha disconosciuto la configurabilità di una responsabilità ai
sensi dell'art. 2051. Inesatta è dunque l'affermazione del resi
stente che con i primi due motivi si lamenterebbe l'applicazione della norma dell'art. 2043 in luogo di quella dell'art. 2051.
Va semmai rilevato che gli altri due motivi — afferendo a
doglianze che pertengono a questioni le quali, in base al tessuto motivazionale della sentenza di appello, sembrerebbero concer
nere sia la negazione della responsabilità ex art. 2043, sia di
quella ex art. 2051 — appaiono astrattamente riferibili alla deci
sione impugnata, tanto sotto l'uno quanto sotto l'altro profilo. Tuttavia, in assenza di precisi indici rivelatori dell'effettiva vo
lontà della ricorrente di porre in discussione la sentenza impu gnata rispetto al profilo concernente la negazione della respon sabilità ex art. 2043 c.c., detti motivi, in coerenza con la riferi
bilità dei primi due motivi esclusivamente all'erronea applica zione dell'art. 2051 c.c., vanno considerati strumentali soltanto
rispetto alla motivazione della sentenza impugnata in punto di
negazione della responsabilità alla stregua di tale norma.
2.2. - Secondo il resistente sarebbe erronea la tesi che la sen
tenza di primo grado avrebbe accertato il nesso di causalità tra
la copertura antiscivolo e la caduta e che, in difetto di impugna zione della statuizione sul punto, tale accertamento sia passato in giudicato.
L'assunto è smentito dall'affermazione contenuta nella pag. 6 della sentenza impugnata. Ivi, infatti, si legge che «nel caso
concreto, le risultanze processuali hanno dato conto dello stato dei luoghi, così come descritto in citazione, avendo i testi con
fermato le circostanze di cui ai capi 1, 2 e 3 dell'atto indicato, e
pertanto il carattere notevole della sporgenza del tappetino di
gomma antiscivolo nella quale è inciampata l'infortunata (...)». Anche senza considerare i capitoli di prova cui il passo della
Il Foro Italiano — 2006.
decisione fa riferimento (cosa che questa corte potrebbe fare, trattandosi di delibare la verificazione di un giudicato interno), è
di tutta evidenza che l'espresso riferimento all'essere l'infortu
nata inciampata nella sporgenza del tappetino di gomma, palesa una chiara affermazione da parte della sentenza impugnata del
nesso di causalità fra l'evento della caduta e l'anomalia presente nel tappetino. Onde, correttamente la ricorrente deduce che su
tale punto, non essendovi stata impugnazione da parte del resi
stente, si è formata cosa giudicata. 2.3. - Priva di pregio è l'ulteriore eccezione preliminare arti
colata dal resistente con la deduzione che, essendo l'invocazio
ne dell'art. 2051 avvenuta soltanto in grado d'appello, sarebbe
inammissibile in questa sede la discussione sul punto. Infatti, dall'esame degli atti dei fascicoli di parte (che è, natu
ralmente, possibile, vertendosi in tema di eccezione processuale relativa allo svolgimento del giudizio di cassazione), emerge: a) che parte ricorrente invocò, con ampi richiami di giurisprudenza della corte e di merito, l'art. 2051 c.c., già nell'atto di appello;
b) che la parte qui resistente nella comparsa di risposta in ap
pello non eccepì in alcun modo la novità della prospettazione invocativa dell'art. 2051 (che, del resto, non sarebbe stata con
siderabile come domanda nuova in appello, trattandosi di nuova
qualificazione giuridica della domanda); c) che la parte qui ri
corrente svolse ampiamente le proprie considerazioni nella con
clusionale in appello proprio sull'invocazione del 2051 c.c.; d) che la sentenza d'appello non contiene alcun riferimento ad ec
cezioni di novità della prospettazione successiva.
È appena il caso, infine, di rilevare che non è pertinente alla
specie quell'orientamento di questa corte che nega l'invocabi
lità dell'art. 2051 per la prima volta in Cassazione, in ragione delle peculiarità proprie del giudizio di cassazione (v. Cass., sez. un., n. 10893 del 2001, id., Rep. 2002, voce Cassazione ci
vile, n. 66; n. 7938 del 2001, ibid., voce Responsabilità civile, n.
291). 3. - Venendo all'esame dei primi due motivi — ricordato che
si è già detto che con essi si lamentano violazione ed erronea
applicazione in relazione alla fattispecie dell'art. 2051 c.c. e si
svolgono connesse censure ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. — si deve rilevare che l'esame del secondo appare logicamente
preliminare, per la ragione che esso attiene alla stessa applica bilità alla fattispecie oggetto di giudizio dell'art. 2051 c.c., mentre il primo pertiene ad una violazione ed erronea applica zione della stessa norma (e propone connessa censura sulla mo
tivazione), una volta che di essa si sia accertata la concreta ido
neità a disciplinare la fattispecie stessa.
3.1. - Ciò premesso, il secondo motivo, per il profilo concer
nente il n. 3 dell'art. 360 c.p.c. è articolato lamentandosi che er
roneamente il giudice del gravame avrebbe ritenuto inapplica bile l'art. 2051 c.c. nel caso di specie, osservando «che nei con
fronti degli enti pubblici, con riferimento a beni demaniali o
patrimoniali, la notevole estensione e le generalizzate modalità
di uso non rendono possibile un continuo ed efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti, per cui solo in difetto di uso diretto della collettività, po trebbe ricollegarsi alla pubblica amministrazione l'obbligo di
una adeguata attività di vigilanza». La sentenza impugnata avrebbe errato nel considerare applicabile tale principio ad un
bene come il palazzetto dello sport di Napoli, che, consistendo in un edificio, non potrebbe considerarsi di notevole estensione.
Al motivo così prospettato si accompagna la deduzione di una
censura ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. per non avere la
sentenza impugnata spiegato in alcun modo perché detto edifi
cio dovrebbe considerarsi bene di notevole estensione.
Il primo profilo del motivo è fondato ed il suo accoglimento determina l'assorbimento del secondo profilo.
Nelle sopra riportate affermazioni della sentenza impugnata si
coglie l'eco del principio al quale la giurisprudenza di questa corte si è per lungo tempo ispirata, nell'applicazione dell'art.
2051 c.c. alle ipotesi di responsabilità civile extracontrattuale
originatesi da beni pubblici demaniali o patrimoniali, là dove
l'esistenza di un uso generale e diretto del bene da parte di un
rilevante numero di utenti congiunta alla notevole estensione del bene stesso veniva automaticamente ritenuta idonea ad esclude re l'applicabilità della norma.
Il principio, però, nella più recente giurisprudenza di questa corte, risulta sostanzialmente abbandonato proprio quanto a tale
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
automatismo, pervenendosi alla conclusione — certamente più
rispettosa dell'assenza nell'art. 2051 c.c., di indici rivelatori di
una peculiarità del trattamento da riservarsi alla pubblica ammi
nistrazione, allorquando rivesta la qualità di custode di una cosa — che la demanialità o patrimonialità del bene, l'essere esso adibito ad uso generale e diretto (sia pure mediato da provvedi mento ammissivo della pubblica amministrazione o da stipula zione di un vero e proprio rapporto contrattuale con essa) e la
sua notevole estensione non comportano di per sé l'esclusione
dell'applicabilità della norma dell'art. 2051, ma implicano sol
tanto che, nell'applicazione di tale norma e, quindi, nell'indivi
duazione delle condizioni alle quali la pubblica amministrazione
può ritenersi esente da responsabilità in base ad essa, quelle ca ratteristiche debbano indurre una particolare valutazione delle
condizioni normativamente previste per tale applicazione, in modo che venga considerata la possibilità che la situazione pe ricolosa originatasi dal bene può determinarsi in vari modi, i
quali non si rapportano tutti alla stessa maniera con le implica zioni che comporta il dovere di custodia della pubblica ammini
strazione in relazione al bene di cui trattasi e particolarmente
quello di vigilare affinché dalla cosa o sulla cosa non si origini
quella situazione.
Si è così sottolineato (in riferimento alle autostrade, ma con
rilievi che possono ritenersi generalizzabili allorché ricorrano le
succitate caratteristiche del bene e delle modalità di godimento da parte dei cives) che al riguardo deve farsi un diverso apprez zamento delle situazioni di pericolo immanentemente connesse
alla struttura o alle pertinenze del bene demaniale o patrimo niale di cui trattasi e di quelle che invece possano originarsi da
comportamenti riferibili agli utenti ovvero ad una repentina od
imprevedibile alterazione dello stato della cosa. Mentre con ri
guardo alle situazioni del primo tipo «l'uso generalizzato e l'e
stensione della res costituiscono dati in via generale irrilevanti
in ordine al concreto atteggiarsi della responsabilità del custode,
per quelle del secondo tipo dovrà configurarsi il fortuito tutte le
volte che l'evento dannoso presenti i caratteri dell'imprevedibi lità e dell'inevitabilità; come accade quando esso si sia verifi
cato prima che l'ente proprietario o gestore, nonostante l'attività
di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire un in
tervento tempestivo, potesse rimuovere o adeguatamente se
gnalare la straordinaria situazione di pericolo determinata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere» (in que sto senso, in motivazione, Cass. n. 298 del 2003, id., Rep. 2003, voce Strade, n. 45; e, in senso pressoché analogo, la coeva Cass.
n. 488 del 2003, ibid., voce Responsabilità civile, n. 182; nella
stessa logica si pone, altresì, sostanzialmente sempre in motiva
zione anche Cass. n. 11446 del 2003, id., 2004,1, 511). In sostanza, come emerge dalle decisioni appena richiamate,
il più recente orientamento di questa corte non considera la
combinazione delle tre caratteristiche della demanialità o patri monialità del bene, dell'uso diretto da parte della collettività e
della sua estensione automaticamente idonee ad escludere l'a
stratta applicabilità dell'art. 2051 c.c., bensì come circostanze, le quali, in ragione delle implicazioni che determinano sul
l'espletamento della vigilanza connessa all'indubbia ricorrenza della relazione di custodia del bene, possono svolgere rilievo ai
fini dell'individuazione del caso fortuito e, quindi, dell'onere
che la pubblica amministrazione, una volta configurata applica bile la norma e ritenuta l'esistenza del nesso causale, deve as
solvere per sottrarsi alla responsabilità. Ancorché le citate pronunce non lo abbiano affermato expres
sis verbis, quelle caratteristiche finiscono, in sostanza, per gio care soltanto un rilievo ai fini dell'operare della prova liberato
ria. Questa, in relazione a situazioni pericolose del primo tipo,
cioè immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze del bene dovrà spingersi alla dimostrazione dell'espletamento da parte dell'ente di tutta la normale attività di vigilanza e ma
nutenzione, esigibile in relazione alla specificità della cosa, di
modo che tale dimostrazione possa anche in via indiretta, cioè
per presunzione, giustificare la conclusione che la situazione pe ricolosa si sia originata in modo assolutamente imprevedibile ed
inevitabile attraverso il corretto e compiuto assolvimento della
custodia e, dunque, per un caso fortuito, ancorché lo specifico evento ricollegabile a tale nozione risulti non identificato.
In relazione alle situazioni del secondo tipo, l'essere stata la
Il Foro Italiano — 2006.
situazione pericolosa determinata dagli utenti o da un'alterazio
ne della cosa assolutamente repentina ed imprevedibile, com
porta che l'assolvimento della prova liberatoria attraverso la
dimostrazione del caso fortuito si sposti tutto sul versante della
verifica della esigibilità o della inesigibilità di un intervento dell'ente, nell'espletamento della custodia, volto a rimuovere la
situazione pericolosa o a segnalarla agli utenti, nel lasso di tem
po fra il verificarsi della situazione pericolosa e l'evento danno
so, sì che possa concludersi che quest'ultimo è dipeso da caso
fortuito, nel senso che il bene sia stato solo occasione e non
concausa dell'evento, perché esso ha contribuito a determinarlo
senza assumere rilievo, in dipendenza dell'indicato fattore tem
porale, in quanto bene soggetto a relazione di custodia. A tali principi, come si è detto emergenti dalla più recente
giurisprudenza di questa corte (ma a ben vedere sostanzialmente
presenti anche in meno recenti decisioni, come non mancano di
ricordare le citate sent. nn. 298 e 488 del 2003: Cass. n. 526 del
1987, id., 1987,1, 786; n. 58 del 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 119), la corte napoletana non si è attenuta, avendo escluso
l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. del tutto automaticamente sulla
base della pretesa ricorrenza delle caratteristiche innanzi indi
cate e senza ad esse attribuire invece rilievo solo nei sensi sopra chiariti, naturalmente previa opportuna verifica in relazione al
caso di specie. Inoltre, come esattamente ha dedotto la ricorrente, la sentenza
impugnata ha errato nell'applicazione dell'art. 2051 c.c., anche
là dove, ai fini della verifica della sussumibilità della fattispecie concreta sotto quella norma ha considerato riferibile la caratteri
stica della notevole estensione del bene ad un edificio, quale il
palazzetto dello sport di Napoli, che, invece: a) in linea generale
proprio per essere «edificio» non può logicamente considerarsi di notevole estensione agli effetti per i quali a tale nozione si è
fatto inesatto riferimento per escludere l'operare dell'art. 2051
c.c., poiché un edificio, per quanto grande che sia non può mai
considerarsi di estensione tale da impedire l'espletamento co
stante della custodia; b) in particolare, per essere un bene sog
getto all'uso diretto della collettività non permanentemente, bensì in relazione a specifici eventi, il che esige come normale
implicazione della custodia che l'ente proceda allo svolgimento di una specifica attività di vigilanza e controllo dell'inesistenza
di situazioni pericolose sulla cosa specie in prossimità di detti
eventi.
Va anzi rilevato che la non ricorrenza nel caso di specie della
caratteristica della notevole estensione del bene sarebbe stata di
per sé sufficiente ad escludere qualsiasi ostacolo all'applicazio ne dell'art. 2051, giacché anche nell'ambito del meno recente
orientamento che attribuiva alla ricorrenza congiunta delle tre
caratteristiche indicate automaticamente il rilievo di escluderla
si sottolineava che il difetto di una di esse impediva quella esclusione, onde, anche nella logica di tale orientamento, l'im
pugnata sentenza avrebbe dovuto essere comunque cassata sotto
il profilo ora considerato.
Ne consegue che, in accoglimento del duplice profilo del se
condo motivo di ricorso la sentenza impugnata dev'essere cas
sata ed il giudice del rinvio, in ottemperanza alle ragioni della cassazione si atterrà al seguente principio di diritto: «L'applica bilità dell'art. 2051 c.c. (nei confronti della pubblica ammini
strazione o del gestore) non è automaticamente esclusa, allor
quando il bene demaniale o patrimoniale da cui si sia originato l'evento dannoso, risulti adibito all'uso diretto da parte della
collettività (anche per il tramite di pagamento di una tassa o di
un corrispettivo) e si presenti di notevole estensione, ipotesi
quest'ultima comunque non ravvisabile ove si tratti di edificio.
Queste caratteristiche del bene, infatti, quando ricorrano con
giuntamente, rilevano soltanto come circostanze, le quali — in
ragione dell'incidenza che abbiano potuto avere sull'espleta mento della vigilanza connessa alla relazione di custodia del
bene ed avuto riguardo alle peculiarità dell'evento — possono
assumere rilievo, sulla base di una specifica e adeguata valuta
zione del caso concreto, ai fini dell'individuazione del caso
fortuito e, quindi, dell'onere che la pubblica amministrazione
(od il gestore) deve assolvere per sottrarsi alla responsabilità, una volta che sia dimostrata l'esistenza del nesso causale».
3.2. - Anche il primo motivo di ricorso, al di là della ricono
sciuta applicabilità dell'art. 2051 c.c. merita accoglimento.
L'impugnata sentenza, infatti, ha errato: aa) nel considerare
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459 PARTE PRIMA 460
che, ai fini dell'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 2051, sarebbe necessaria la ricorrenza di una situazione di peri colo occulto, connotato dalla non visibilità e dalla non prevedi
bilità; bb) nel farne discendere che la qui ricorrente era onerata
della prova della ricorrenza di una simile situazione; cc) e, con
seguentemente, nel rilevare, valutando le risultanze probatorie, che doveva escludersi che quella situazione fosse sussistita.
Invero, la dimostrazione della presenza della c.d. insidia o
trabocchetto è richiesta nell'ambito di quell'orientamento, di
cui si è detto, il quale, esclusa automaticamente la configurabi lità della responsabilità ex art. 2051 a carico della pubblica am
ministrazione (o del gestore) allorquando si tratti di bene dema
niale (o patrimoniale), di notevole estensione e soggetto ad uso
diretto, ritiene configurabile solo la responsabilità ex art. 2043, considerando che, in adempimento del generale dovere del ne
minem laedere, la pubblica amministrazione (o il gestore) sia
tenuta ad evitare che il bene presenti per l'utente una situazione
di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, appunto
integrante quelle figure (e, fra l'altro, come di recente questa corte ha convincentemente sottolineato, la mancata dimostra
zione di una simile situazione, non ha valore di per sé solo
escludente la configurabilità della responsabilità ai sensi della
norma generale dell'art. 2043 c.c., dovendosi apprezzare in re
lazione al caso concreto come integrante il concorso di colpa del
danneggiato: v. Cass. n. 17152 del 2002, id., 2003,1, 1802). La prova di una simile situazione non rientra, invece, tra gli
oneri probatori che deve dimostrare chi invochi l'applicazione dell'art. 2051 c.c., per cui, ritenuta l'applicabilità di questa norma nei sensi indicati anche nell'ipotesi ora descritta, appare
palese l'errore in cui è incorsa l'impugnata sentenza nell'affer
mare il contrario (ed anche, ma è profilo qui non dedotto, nel
non considerare, in sede di applicazione della responsabilità ex
art. 2043, l'eventuale configurabilità della mancanza dell'insi
dia o del trabocchetto solo come circostanze comportanti il con
corso di colpa della ricorrente). In accoglimento del primo motivo, la sentenza deve, dunque,
cassarsi, con l'enunciazione del seguente principio di diritto, al
quale il giudice di rinvio dovrà conformarsi: «Allorquando in
vochi la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. contro una pub blica amministrazione (o il gestore) in relazione a danno origi natosi da bene demaniale o patrimoniale soggetto ad uso gene rale, il danneggiato non è onerato della dimostrazione della veri
ficazione del danno in conseguenza dell'esistenza di una situa
zione qualificabile come insidia o trabocchetto, bensì esclusi
vamente — come di regola per l'invocazione della suddetta
norma — dell'evento dannoso e del nesso causale fra la cosa e
la sua verificazione».
4. - Circa il terzo motivo, che appare validamente dedotto in
relazione al n. 5 dell'art. 360 c.p.c. atteso che la circostanza
dell'illuminazione, nel tessuto motivazionale con il quale il giu dice del gravame ha ritenuto che il sollevamento dello scivolo
fosse pienamente visibile, assume rilievo decisivo, deve farsi
luogo ad un accoglimento, atteso che non risponde ad alcuna
massima di esperienza il ragionamento con il quale quel giudice ha ritenuto configurabile una presunzione per cui un luogo pub blico sarebbe di norma illuminato.
5. - Il quarto motivo dev'essere rigettato, per la ragione che si
verte su tema di prova già esperita in primo grado, come questa corte rileva procedendo al confronto fra i capitoli di prova arti
colati nella citazione in primo grado e quelli dedotti in appello:
quest'ultimo articolato di prova propone domande che bene
avrebbero potuto porsi ai testi quali domande a chiarimento o
dal giudice di primo grado, d'ufficio o su sollecitazione delle
parti (art. 253, 1° comma, c.p.c.) e che, anzi, bene avrebbero
potuto essere oggetto dell'articolazione probatoria in primo gra do, afferendo a mere specificazioni dei fatti oggetto della stessa.
In proposito rileva la corte che la prova testimoniale in primo
grado era stata dedotta nell'atto di citazione, per quanto qui in
teressa, sulle seguenti circostanze: «Vero che il giorno 17 di
cembre 1994, alle ore 21.00 circa in Napoli, nel palazzetto dello
sport (...) allorché l'istante si accingeva ad uscire, a seguito della manifestazione ricreativa organizzata dal Cral/Der della
regione Campania, stante il sollevamento della copertura anti
scivolo di una rampa, con la presenza di una notevole sporgenza di materiale in plastica, priva di qualsiasi segnalazione e/o pro
II Foro Italiano — 2006.
tezione cadeva violentemente sul corridoio, riportando una
frattura scomposta al terzo medio della mano destra».
Nell'atto di appello la Conte ebbe a chiedere di provare: che
il giorno 17 dicembre 1994 alle ore 21.00 circa il palazzetto dello sport era scarsamente illuminato; che la copertura antisci
volo della rampa sulla quale era caduta era di colore nero e non
era visibile nell'oscurità; e che al momento del sinistro vi era
una calca in quanto centinaia di persone percorrevano la zona
per guadagnare l'uscita, anche per la presenza di musica assor
dante per cui la visibilità era limitata anche dalla presenza di
molte persone avanti ad essa appellante. È di tutta evidenza che tutte le circostanze ex novo capitolate
in appello non propongono un tema di prova nuovo, ma tendono
soltanto a proporre nell'ambito di quello già individuato in ap
pello domande ai testi intese a specificare le allegazioni oggetto di prova nella citazione.
Correttamente e con valutazione ineccepibile la corte d'ap
pello ha escluso la novità della prova, che, allorquando si solle
citi lo stesso mezzo probatorio già esperito in primo grado, deve
afferire a fatti diversi.
IV
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 16 marzo 2002, Lo Verde Vincenzo conveniva in giudizio di
nanzi a questo tribunale il comune di Catania.
Esponeva il suo procuratore: «Il giorno 11 agosto 2001 alle 8.00 circa il sig. Lo Verde
mentre percorreva, preceduto da altri veicoli, a bordo del ciclo
motore Liberty 50 telaio 65047, la via Galermo, giunto nei pres si della VI municipalità, a causa di un profondo avvallamento
del selciato stradale, per nulla segnalata, rovinava al suolo.
Immediatamente soccorso il sig. Lo Verde veniva trasportato al vicino ospedale Garibaldi dove i sanitari di turno prestavano le prime cure e ponevano la seguente diagnosi: 'Vasta F.L.C,
sopraccigliare sx. Escoriazioni sparse al corpo e al viso. Trauma
polso dx. con frattura'.
L'evoluzione clinica ha comportato un periodo di danno bio
logico temporaneo assoluto di trenta giorni, un successivo pe riodo di danno biologico temporaneo al cinquanta per cento di
venti giorni, dopo i quali il sig. Lo Verde guariva clinicamente,
ma gli residuavano postumi permanenti invalidanti nella misura
del dieci per cento».
Sulla base di tali premesse, chiedeva al tribunale di «ritenere
e dichiarare essere il comune di Catania responsabile ex art.
2043 e 2051 c.c., dell'incidente occorso in data l i agosto 2001
al sig. Lo Verde e (...) in coerenza condannare il medesimo al
pagamento della somma di euro 21.752,40 o di quell'altra rite
nuta più rispondente, accordare il beneficio della rivalutazione
del credito e degli interessi sulla somma rivalutata dal fatto al
soddisfo».
11 comune di Catania si costituiva deducendo:
«In via preliminare si eccepisce l'inosservanza del dovere di
diligenza ai sensi dell'art. 1227 c.c., applicabile per espresso ri
chiamo contenuto nell'art. 2056 c.c., che è posto a carico del
danneggiato.
Comunque, l'attore non ha provato in alcun modo il relativo
nesso di causalità del fatto.
Inoltre, l'attore non ha usato la dovuta cautela nel percorrere la strada.
Infatti lo stesso parla di un 'profondo avvallamento del sel
ciato stradale' e non si avvede di tale avvallamento alle ore otto
di un mattino di agosto, sostenendo che l'insidia era occulta.
Anche il fatto che l'interessato era preceduto da altri veicoli
dimostra che non rispettava la distanza di sicurezza. Solo in tal
caso, con un comportamento illegittimo poteva non accorgersi dell'insidia.
Inoltre, la Suprema corte ha evidenziato che per i danni subiti
dall'utente a causa delle condizioni di manutenzione della stessa — accertamento da compiersi non in astratto ma in concreto, te
nendo conto delle circostanze di tempo e di luogo, nelle quali si
è verificato il sinistro — assume rilevanza anche la condotta del
danneggiato, attesa la possibilità che questi, per colpa, si sia po sto in una non corretta relazione con la situazione di pericolo, creando egli stesso le condizioni per non avvedersene e non
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
poterla, in seguito, evitare (Cass. 24 maggio 1997, n. 4632, Fo
ro it., Rep. 1997, voce Strade, n. 38).
Pertanto, è da escludere l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. nei
confronti della pubblica amministrazione per i danni cagionati da terzi, quando l'uso generale e diretto e per l'estensione del
bene demaniale non è ragionevolmente possibile l'esercizio or
dinario della custodia.
L'amministrazione ha osservato le specifiche norme e le co
muni regole di prudenza e diligenza poste a tutela dell'integrità
personale e patrimoniale dei terzi, attraverso la pronta pulizia dei luoghi.
L'evento dannoso è da addebitare al danneggiato per non ave
re osservato la dovuta cautela richiesta.
Si fa rilevare, inoltre, che il servizio di manutenzione strade,
non ha potuto individuare l'esatto sito dell'incidente, in quanto nei pressi della VI municipalità esistono due ripristini a seguito di lavori effettuati uno dalla Sidra e l'altro dal servizio di illu
minazione.
Questo dato non ha consentito a questa amministrazione di
poter chiamare in garanzia la ditta che ha espletato i lavori.
Pertanto, il comune, ai sensi dell'art. 106 c.p.c., si riserva il
diritto a chiamare in garanzia la ditta che ha espletato i lavori
nel momento in cui l'attore espliciterà l'esatto sito in cui è av
venuto l'incidente.
In subordine, per mero scrupolo difensivo, si contesta la
quantificazione del danno in quanto parrebbe esoso il danno
provocato dall'esigua anomalia».
Sulla base di tali assunti, chiedeva il rigetto delle domande di
controparte. Veniva assunta una prova testimoniale ed espletata una c.t.u.
Acquisiti i documenti offerti in produzione e precisate le con
clusioni, la causa veniva posta in decisione.
Motivi della decisione. — 1. - In fatto, è stato dimostrato dal
l'attore, mediante le deposizioni dei testi Vinciguerra Angelo e
Di Mauro Grazia, che I'll agosto 2001 Lo Verde Massimo,
mentre era alla guida di un ciclomotore, è caduto procurandosi le lesioni di cui all'atto introduttivo del giudizio, a causa di un
grosso avvallamento della strada, riprodotto nelle tre fotografie
allegate al fascicolo di parte attrice e riconosciuto dai testimoni
escussi.
Dalla dinamica del sinistro come narrata dai testimoni emerge che l'unica causa della caduta del ciclomotore è stato l'avval
lamento della strada di cui si è appena detto.
L'avvallamento in questione è chiaramente visibile nelle foto
prodotte dal procuratore dell'attore e, diversamente da quanto sostenuto dal procuratore del comune, consente con tutta facilità
sia un giudizio sul fatto che la piena individuazione del luogo del sinistro.
Quell'avvallamento, poi, è certamente causa idonea del sini
stro.
Esso, infatti, crea sostanzialmente nel manto stradale un gra dino trasversale alla direzione di marcia dei veicoli e questo
gradino necessariamente produce un movimento della ruota an
teriore di qualsiasi mezzo a due ruote che vi si imbatta, com
promettendone gravemente l'equilibrio.
Dipende poi da molteplici elementi casuali che il conducente
del motociclo riesca o no a mantenerlo comunque in marcia o,
come accaduto al Lo Verde, finisca per terra.
2. - Dunque, ricorrono certamente i presupposti per l'applica
zione al caso di specie delle disposizioni di cui all'art. 2051 c.c.,
fondatamente invocato da parte attrice a sostegno delle proprie domande.
3. - E ricorrono anche, per le ragioni che si esporranno di se
guito, i presupposti per l'applicazione delle disposizioni di cui
all'art. 2043 c.c., pure invocato dal procuratore del Lo Verde a
sostegno delle sue domande.
4. - Quanto all'art. 2051 c.c., il procuratore del comune con
venuto ha invocato — seppure del tutto genericamente — un
orientamento della Suprema corte secondo il quale «la presun zione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. non opera nei
confronti della pubblica amministrazione per danni cagionati a
terzi da beni demaniali sui quali è esercitato un uso ordinario,
generale e diretto da parte dei cittadini, quando l'estensione del
bene demaniale renda impossibile l'esercizio di un continuo ed
efficace controllo che valga ad impedire l'insorgenza di cause di
Il Foro Italiano — 2006.
pericolo per i terzi» (Cass. 31 luglio 2002, n. 11366, id., Rep. 2002, voce Responsabilità civile, n. 298, e altre).
Tale indirizzo giurisprudenziale, però, non può essere condi
viso, perché, così come enunciato nella massima appena ripor tata, è frutto di una errata ricostruzione della disciplina normati
va qui in discussione e. proprio perciò, superato da una più ap
profondita considerazione della stessa fatta dalla Corte di cassa
zione in sue recenti pronunce sul tema.
Né sotto il profilo della sua interpretazione letterale né sotto
quello logico sistematico, l'art. 2051 c.c. può essere interpretato nel senso di una sua generale e incondizionata inapplicabilità alla pubblica amministrazione con riferimento a beni di grandi dimensioni e destinati a un uso generale della collettività.
Sotto il profilo letterale, infatti, quella norma non contiene
nel suo testo alcuna eccezione in favore della pubblica ammini
strazione e/o con riferimento a determinate categorie di beni.
Mentre sotto il profilo logico sistematico, l'uso generale e di
retto dei beni pubblici da parte di terzi è certamente circostanza
che può avere rilievo, anche notevole e molte volte decisivo, nella concreta ricostruzione del modo di atteggiarsi, nel caso
concreto, della responsabilità della pubblica amministrazione
custode del bene, ma proprio con riferimento ai casi concreti e
non come circostanza astrattamente e incondizionatamente ido
nea a produrre una generale irresponsabilità della pubblica am
ministrazione con riferimento ai suoi doveri di custode di beni
destinati a un uso generale e diffuso.
Diverso è, infatti, per esempio, in concreto, il caso in cui l'a
nomalia della cosa in custodia che produce il danno sia stata
causata dal cattivo uso di un utente poche ore prima (per esem
pio dal passaggio sulla strada di un trattore che ne abbia divelto
il manto di asfalto o dalla dispersione su di essa di una certa
quantità di olio), dal caso in cui l'anomalia sia prodotta da incu
ria nella manutenzione da parte del proprietario della strada o,
peggio, dalla totale assenza di un programma di manutenzione.
Puntuale e del tutto convincente è, sul punto, Cass. 1° ottobre
2004, n. 19653 (che precede), secondo la quale «è configurabile, a carico della pubblica amministrazione (o del gestore), una re
sponsabilità ex art. 2051 c.c. allorquando il bene demaniale o
patrimoniale da cui si sia originato l'evento dannoso risulti adi
bito all'uso generale e diretto della collettività (anche per il
tramite di pagamento di una tassa o di un corrispettivo) e si pre senti di notevole estensione, ipotesi che comunque non è ravvi
sabile ove si tratti di edificio. Tali caratteristiche del bene,
quando ricorrano congiuntamente, rilevano soltanto come circo
stanze, le quali — in ragione dell'incidenza che abbiano potuto
avere sull'espletamento della vigilanza connessa alla relazione
di custodia del bene ed avuto riguardo alle peculiarità dell'e
vento — possono assumere rilievo, sulla base di una specifica e
adeguata valutazione del caso concreto, ai fini dell'individua
zione del caso fortuito e, quindi, dell'onere che la pubblica am
ministrazione (o il gestore) deve assolvere per sottrarsi alla re
sponsabilità, una volta che sia dimostrata l'esistenza del nesso
causale».
La massima non è certamente delle più felici.
Chiarissima è, invece, la motivazione, della quale è opportu no riportare un ampio stralcio.
Ha affermato la corte:
«Nelle sopra riportate affermazioni della sentenza impugnata si coglie l'eco del principio al quale la giurisprudenza di questa corte si è per lungo tempo ispirata, nell'applicazione dell'art.
2051 c.c. alle ipotesi di responsabilità civile extracontrattuale
originatesi da beni pubblici demaniali o patrimoniali, là dove
l'esistenza di un uso generale e diretto del bene da parte di un
rilevante numero di utenti congiunta alla notevole estensione del
bene stesso veniva automaticamente ritenuta idonea ad esclude
re l'applicabilità della norma.
Il principio, però, nella più recente giurisprudenza di questa corte, risulta sostanzialmente abbandonato proprio quanto a tale
automatismo, pervenendosi alla conclusione — certamente più
rispettosa dell'assenza nell'art. 2051 c.c., di indici rivelatori di
una peculiarità del trattamento da riservarsi alla pubblica ammi
nistrazione, allorquando rivesta la qualità di custode di una cosa
— che la demanialità o patrimonialità del bene, l'essere esso
adibito ad uso generale e diretto (sia pure mediato da provvedi mento ammissivo della pubblica amministrazione o da stipula zione di un vero e proprio rapporto contrattuale con essa) e la
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PARTE PRIMA 464
sua notevole estensione non comportano di per sé l'esclusione
dell'applicabilità della norma dell'art. 2051, ma implicano sol
tanto che, nell'applicazione di tale norma e, quindi, nell'indivi
duazione delle condizioni alle quali la pubblica amministrazione
può ritenersi esente da responsabilità in base ad essa, quelle ca
ratteristiche debbano indurre una particolare valutazione delle
condizioni normativamente previste per tale applicazione, in
modo che venga considerata la possibilità che la situazione pe ricolosa originatasi dal bene può determinarsi in vari modi, i
quali non si rapportano tutti alla stessa maniera con le implica zioni che comporta il dovere di custodia della pubblica ammini
strazione in relazione al bene di cui trattasi e particolarmente
quello di vigilare affinché dalla cosa o sulla cosa non si origini
quella situazione.
Si è così sottolineato (in riferimento alle autostrade, ma con
rilievi che possono ritenersi generalizzabili allorché ricorrano le
succitate caratteristiche del bene e delle modalità di godimento da parte dei cives) che al riguardo deve farsi un diverso apprez zamento delle situazioni di pericolo immanentemente connesse
alla struttura o alle pertinenze del bene demaniale o patrimo niale di cui trattasi e di quelle che invece possano originarsi da
comportamenti riferibili agli utenti ovvero ad una repentina od
imprevedibile alterazione dello stato della cosa. Mentre con ri
guardo alle situazioni del primo tipo 'l'uso generalizzato e l'e
stensione della res costituiscono dati in via generale irrilevanti
in ordine al concreto atteggiarsi della responsabilità del custode,
per quelle del secondo tipo dovrà configurarsi il fortuito tutte le
volte che l'evento dannoso presenti i caratteri dell'imprevedibi lità e dell'inevitabilità; come accade quando esso si sia verifi
cato prima che l'ente proprietario o gestore, nonostante l'attività
di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire un in
tervento tempestivo, potesse rimuovere o adeguatamente se
gnalare la straordinaria situazione di pericolo determinata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere' (in que sto senso, in motivazione, Cass. n. 298 del 2003, id., Rep. 2003, voce Strade, n. 45; e, in senso pressoché analogo, la coeva Cass.
n. 488 del 2003, ibid., voce Responsabilità civile, n. 182; nella
stessa logica si pone, altresì, sostanzialmente, sempre in moti
vazione, anche Cass. n. 11446 del 2003, id., 2004,1, 511). In sostanza, come emerge dalle decisioni appena richiamate,
il più recente orientamento di questa corte non considera la
combinazione delle tre caratteristiche della demanialità o patri monialità del bene, dell'uso diretto da parte della collettività e
della sua estensione automaticamente idonee ad escludere l'a
stratta applicabilità dell'art. 2051 c.c., bensì come circostanze, le quali, in ragione delle implicazioni che determinano sul
l'espletamento della vigilanza connessa all'indubbia ricorrenza
della relazione di custodia del bene, possono svolgere rilievo ai fini dell'individuazione del caso fortuito e, quindi, dell'onere
che la pubblica amministrazione, una volta configurata applica bile la norma e ritenuta l'esistenza del nesso causale, deve as solvere per sottrarsi alla responsabilità.
Ancorché le citate pronunce non lo abbiano affermato expres sis verbis, quelle caratteristiche finiscono, in sostanza, per gio care soltanto un rilievo ai fini dell'operare della prova liberato ria. Questa, in relazione a situazioni pericolose del primo tipo, cioè immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze del bene dovrà spingersi alla dimostrazione dell'espletamento da parte dell'ente di tutta la normale attività di vigilanza e ma
nutenzione, esigibile in relazione alla specificità della cosa, di modo che tale dimostrazione possa anche in via indiretta, cioè
per presunzione, giustificare la conclusione che la situazione pe ricolosa si sia originata in modo assolutamente imprevedibile ed inevitabile attraverso il corretto e compiuto assolvimento della custodia e, dunque, per un caso fortuito, ancorché lo specifico evento ricollegabile a tale nozione risulti non identificato. In relazione alle situazioni del secondo tipo, l'essere stata la situa zione pericolosa determinata dagli utenti o da un'alterazione della cosa assolutamente repentina ed imprevedibile, comporta che l'assolvimento della prova liberatoria attraverso la dimo strazione del caso fortuito si sposti tutto sul versante della veri fica della esigibilità o della inesigibilità di un intervento del
l'ente, nell'espletamento della custodia, volto a rimuovere la situazione pericolosa o a segnalarla agli utenti, nel lasso di tem
po fra il verificarsi della situazione pericolosa e l'evento danno
so, sì che possa concludersi che quest'ultimo è dipeso da caso
Il Foro Italiano — 2006.
fortuito, nel senso che il bene sia stato solo occasione e non
concausa dell'evento, perché esso ha contribuito a determinarlo
senza assumere rilievo, in dipendenza dell'indicato fattore tem
porale, in quanto bene soggetto a relazione di custodia».
Questi concetti, peraltro, erano già stati anticipati, seppure
più sinteticamente, dalla Corte costituzionale, che nella motiva
zione della sentenza 10 maggio 1999, n. 156 {id., Rep. 1999, voce cit., n. 269) ha statuito:
«Il proprietario delle cose che abbiano cagionato danno a ter
zi è responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c., solo in quanto ne
sia custode, e dunque ove egli sia stato oggettivamente in grado di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sulle cose stes
se.
Ciò basta a rendere ragione dell'approdo ermeneutico, riba
dito anche di recente dalla giurisprudenza di legittimità, secon
do cui alla pubblica amministrazione non è applicabile il citato
articolo, allorché sul bene di sua proprietà non sia possibile —
per la notevole estensione di esso e le modalità d'uso, diretto e
generale, da parte dei terzi — un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti.
S'intende — e in alcune sentenze ciò viene sottolineato —
che la 'notevole estensione del bene' e 'l'uso generale e diretto'
da parte dei terzi costituiscono meri indici dell'impossibilità d'un concreto esercizio del potere di controllo e vigilanza sul
bene medesimo; la quale dunque potrebbe essere ritenuta, non
già in virtù d'un puro e semplice riferimento alla natura dema
niale e all'estensione del bene, ma solo a seguito di un'indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo
criteri di normalità.
Con tale interpretazione si rimane indubbiamente nell'ambito
del sistema codicistico della responsabilità extracontrattuale, venendosi solo a precisare
— in conformità alla evidente ratio
dello stesso art. 2051 — i limiti dell'operatività di uno dei par ticolari criteri d'imputazione previsti dal codice civile in luogo di quello generale posto dall'art. 2043».
5. - L'art. 14 d.leg. 30 aprile 1992 n. 285 (nuovo codice della
strada), intitolato «poteri e compiti degli enti proprietari delle
strade», dispone che:
« 1. Gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la
sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle lo
ro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e ser
vizi; b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative
pertinenze; c) all'apposizione e manutenzione della segnaletica prescrit
ta».
E sembra pacifico che, dunque, se la violazione di questi spe cifici doveri arreca danno a qualcuno, quel danno è ingiusto ai
sensi dell'art. 2043 c.c. e va, conseguentemente, risarcito. Ed è opportuno sottolineare come anche l'affermazione co
stante della Suprema corte secondo la quale, perché possa es servi responsabilità dell'ente gestore di strade ai sensi dell'art. 2043 c.c., è necessario non soltanto che la strada presenti un
qualche profilo d'irregolarità, ma anche che ciò dia luogo a una
situazione qualificabile come insidia o trabocchetto (cfr., per tutte, Cass. 17 marzo 1998, n. 2850, id., Rep. 1998, voce Strade, n. 42, per la quale «non ogni irregolarità del manto stradale —
nella specie per protuberanze determinate dalle radici di piante — costituisce insidia o trabocchetto, tale da configurare la re
sponsabilità della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 2043 c.c., se si verifica un incidente, ma occorrono altresì l'og gettiva invisibilità e la soggettiva imprevedibilità del pericolo, da provare dal danneggiato, nel giudizio di merito»), non può essere intesa come una sorta di riduzione — in favore della
pubblica amministrazione — dell'ambito di operatività della norma generale di cui all'art. 2043 c.c., ma riguarda un profilo del fatto. Nel senso che in presenza di un'anomalia della strada che sia prevedibile, visibile ed evitabile, l'eventuale incidente non potrà dirsi propriamente causato dall'anomalia della strada, ma dalla disattenzione, imprudenza, ecc., dell'utente di essa.
E che le cose stiano in questo modo è dimostrato all'evidenza dalle sentenze della Suprema corte che affermano che «la sussi stenza della responsabilità della pubblica amministrazione per i danni da insidia o trabocchetto stradale (cioè per avere colpo
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
samente creato una situazione oggettivamente pericolosa e sog
gettivamente imprevedibile) non è incompatibile con la possibi lità che una concorrente condotta colposa della vittima contri
buisca alla produzione del danno. Ne consegue che l'accerta
mento dell'imprevedibilità del pericolo non esclude a priori l'affermazione della corresponsabilità del danneggiato, ex art.
1227, 1° comma, c.c.» (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17152, id.,
2003, I, 1802), chiarendo che «l'art. 1227, 1° comma, c.c., non
è espressione del principio di autoresponsabilità, bensì rappre senta un corollario del principio della causalità, in base al quale il danneggiarne non può rispondere di quella parte di danno che
non è a lui causalmente imputabile. Pertanto, la colpa, cui fa ri
ferimento l'art. 1227, 1° comma, c.c., va intesa non nel senso di
criterio di imputazione del fatto, bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato» (altra massima
della stessa sentenza). 6. - In definitiva, così come, con riferimento all'art. 2051 c.c.,
la notevole estensione del bene e l'uso generalizzato di esso da
parte di un numero indeterminato di persone costituiscono con
crete peculiarità del fatto da tenere, caso per caso, nella debita
considerazione con riferimento alle dinamiche causali produtti ve del danno, analogamente, con riferimento all'art. 2043 c.c., le caratteristiche dell'anomalia della strada costituiscono que stione di fatto rilevante con riferimento al nesso causale da ac
certare per giungere a una affermazione di responsabilità del
proprietario della strada.
7. - Nella ricostruzione fin qui proposta e alla luce di quanto definitivamente affermato dalla Corte di cassazione con la sen
tenza delle sezioni unite 22 luglio 1999, n. 500/SU (id., 1999,1, 2487), irrilevante resta che al dovere di manutenzione delle
strade di cui al citato codice della strada corrisponda un diritto
soggettivo o solo un interesse legittimo dei cittadini, quando alla violazione di quel dovere consegua
— con le dinamiche
causali di cui si è detto e alle quali deve prestarsi la dovuta at
tenzione — la lesione della salute e/o della proprietà di un
utente della strada.
8. - Ciò posto in diritto, vanno fatte le seguenti considerazio
ni, in fatto, con riferimento al concreto caso di specie. A) Il tipo di irregolarità del manto stradale che ha determi
nato la caduta del Lo Verde è di quelli che si producono per il
deterioramento della strada nell'arco di un certo tempo non bre
ve. L'avvallamento che ha prodotto lo scalino nel quale si è im
battuto il ciclomotore è conseguenza di un lento e progressivo cedimento della superficie del manto stradale.
B) E vero che non può ragionevolmente pretendersi che il
comune eserciti una vigilanza costante, quotidiana, sullo stato
delle sue strade. Ma, se non si vuole dare un'interpretazione so
stanzialmente abrogante al citato art. 14 cod. strada, una qualche forma di controllo esso deve, comunque, organizzare.
E non c'è dubbio che sarebbe stato onere del comune esporre — e documentare —
quale sia il suo piano di sorveglianza e
manutenzione delle strade e dimostrare che l'avvallamento del
manto stradale in questione si è prodotto in tempi e modi tali da
sfuggire a un ipotetico ragionevole programma di controllo
delle condizioni delle sue strade.
Ove tale onere di allegazione e prova fosse stato assolto, l'a
nomalia della strada che ha causato il danno qui in discussione
per un verso sarebbe rientrata nell'ipotesi del caso fortuito che
l'art. 2051 c.c. sottrae all'area di responsabilità del custode
della cosa e, per altro verso, non avrebbe integrato la violazione
di quel dovere di vigilanza e manutenzione, sanzionata ex art.
2043 c.c. Sottraendo l'amministrazione convenuta alla respon sabilità invocata dal Lo Verde.
Nel caso di specie, invece, il procuratore del comune di Cata
nia non ha neppure allegato che vi sia un programma di con
trollo e manutenzione né ha neppure genericamente descritto
quali caratteristiche — di tempi e di modi — esso ipotetica mente abbia.
E, anzi, il ricorso difensivo alla tesi che la grande estensione
della sua rete stradale esonererebbe il comune dalle responsabi lità conseguenti all'obbligo di curarne la manutenzione sembra
volere dare una qualche legittimità a una condotta d'inerzia e
disorganizzazione assolutamente inaccettabile, con riferimento
ai doveri qui in discussione e ai beni — incolumità degli utenti — alla cui protezione essi sono finalizzati.
Peraltro, l'affermazione di un'impossibilità di sovrintendere
li. Foro Italiano — 2006.
alla manutenzione della rete stradale a causa della sua estensio
ne è contraria all'evidenza logica e alla disciplina legislativa della materia, del tutto ragionevole essendo solo che quella ma
nutenzione avrà i tempi e i modi resi necessari dalle concrete
caratteristiche della rete medesima.
Non si potrà pretendere che una buca creatasi improvvisa mente venga riparata poche ore dopo, ma si potrà pretendere che
non resti dov'è, senza alcun intervento e alcuna segnalazione,
per settimane o mesi.
C) Per di più, l'avvallamento del quale qui si discute non è
stato prodotto nella strada dall'intervento di fattori per così dire
esterni alla stessa e imprevedibili, ma è conseguenza della sua
pessima fattura.
Chi ha realizzato quel tratto di strada non ha eseguito a regola d'arte il massetto sottostante al tappetino di asfalto, che è col
lassato a seguito del disfacimento del massetto medesimo.
Chi, per conto del comune, ha realizzato e/o vigilato sulla
realizzazione e/o collaudato quell'opera è palesemente venuto
meno ai suoi doveri, dando luogo a un'opera pubblica mal rea
lizzata, con le conseguenze che qui sono emerse.
D) È vero che, per le caratteristiche e le dimensioni dell'av
vallamento e per l'ora nella quale l'incidente è avvenuto, quella
irregolarità del manto stradale doveva ritenersi potenzialmente visibile da un guidatore che vi avesse prestato specifica atten
zione.
Ma è altrettanto vero che: —
per le caratteristiche dell'avvallamento, in certe condizio
ni di luce avrebbe potuto non essere adeguatamente percepibile l'esatta natura dell'irregolarità del piano stradale e la profondità dell'avvallamento;
— chi guida un ciclomotore in una trafficata strada cittadina, deve prestare attenzione a molte cose (pedoni, altri veicoli, se
gnali stradali, ecc.) e non può certo mantenere lo sguardo co
stantemente fisso sulla strada sulla quale momento per momento
mette le ruote del suo motociclo, potendo, peraltro, legittima mente presumere che la strada abbia le caratteristiche che il suo
proprietario ha il dovere di assicurarle. Per di più, l'avvalla
mento in questione era immediatamente dopo un incrocio, nel
quale molteplici sono le cose alle quali il motociclista doveva
prestare attenzione; — se, come ipotizzato dallo stesso procuratore del comune di
Catania, il ciclomotore seguiva altre auto, queste gli avrebbero
coperto la vista dell'avvallamento in questione, che sarebbe di
venuto percepibile per lui solo dopo che la macchina che lo pre cedeva lo avesse superato del tutto. Con ciò i tempi di reazione
del motociclista sarebbero stati ridottissimi e, per vedere la buca
egli avrebbe dovuto guidare con gli occhi bassi sul paraurti po steriore dell'auto che lo precedeva. Del tutto privo di coerenza
con il caso concreto è il riferimento, contenuto nella comparsa di risposta di parte convenuta, a una presunta violazione del do
vere di mantenere la distanza di sicurezza dai veicoli che prece dono: questa distanza, infatti, è quella necessaria a non tampo nare quei veicoli se si arrestino improvvisamente e non a vedere
per tempo se la strada sulla quale si circola non ha le caratteri
stiche necessarie per una via cittadina.
9. - In definitiva, manca qualsiasi elemento di giudizio che
consenta di ipotizzare un concorso di colpa dell'attore nella
causazione del sinistro oggetto del contendere. (Omissis)
V
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
il 13 aprile 2000, Paola Falcone, nella qualità di esercente la
potestà sulla figlia minorenne E.A., ha convenuto in giudizio il
comune di Roma e ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei
danni, biologici e patrimoniali, indicati in lire 30.271.000, oltre
interessi e rivalutazione monetaria, deducendone la responsabi lità per l'incidente occorso il 15 gennaio 2000 quando, alle ore
23,35, conducendo il ciclomotore Honda targato 6JZN6, a causa
della presenza di una notevole quantità di sterco di cavallo per alcuni metri sulla rampa F. di Savoia di piazza del Popolo in
Roma, E. era scivolata e, cadendo a terra, si era procurata gravi lesioni.
Il comune di Roma, costituitosi, ha chiesto il rigetto della
domanda, essendo privo di legittimazione passiva, poiché aveva
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467 PARTE PRIMA 468
affidato alla società Astro appalti s.r.l. l'esecuzione dei lavori di
manutenzione di quel tratto di strada, ed essendo la domanda in
fondata, attesa l'inapplicabilità dell'art. 2051 c.c. e l'insussi
stenza dei presupposti di invisibilità ed imprevedibilità della
situazione di pericolo richiesti ai fini dell'applicazione dell'art.
2043 c.c.; in via subordinata, ha chiesto che fosse dichiarata re
sponsabile e condannata la predetta società e, in ulteriore subor
dine, che quest'ultima manlevasse il comune di quanto tenuto a
versare per effetto della decisione.
La Astro appalti s.r.l. si è costituita in giudizio chiedendo il
rigetto della domanda attorea, considerata infondata per le me
desime ragioni evidenziate dal comune, e, in subordine, ha chie
sto il rigetto della domanda di interessi e rivalutazione e, in ogni caso, della domanda di manleva proposta nei suoi confronti.
La causa, istruita con l'espletamento di prove orali e di una
c.t.u. medico-legale, è stata trattenuta in decisione sulle mede
sime conclusioni iniziali all'udienza del 17 novembre 2004.
Motivi della decisione. — È giurisprudenza prevalente e con
divisibile che la responsabilità della pubblica amministrazione,
proprietaria di una strada pubblica, per danni subiti dall'utente
della strada, trova fondamento nella norma primaria del nemi
nem laedere ex art. 2043 c.c., in applicazione della quale essa è
tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l'utente
una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non pre vedibile, che dia luogo al c.d. trabocchetto o insidia (v., tra le
tantissime, Cass. 22592/04, che precede sub II; 10654/04, Foro
it., Rep. 2004, voce Responsabilità civile, n. 393; 6515/04, ibid., n. 450; 11250/02, id.. Rep. 2003, voce cit„ n. 321; 16179/01, id., Rep. 2002, voce cit., n. 299; 3991/99, id.. Rep. 1999, voce
cit., n. 289). Infatti, l'applicazione dell'art. 2051 c.c., invocata
dall'attrice in via alternativa all'art. 2043 c.c., è esclusa dalla
giurisprudenza nelle ipotesi in cui sul bene di proprietà pubblica
venga esercitato un uso generale e diretto da parte dei terzi e
l'estensione dello stesso renda impossibile l'esercizio di un
continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l'insorgere di situazioni di pericolo per l'utente (è significativo che, nel co
dice civile tedesco, ai sensi dei § 836 e 854, la responsabilità
per danni provocati da beni immobili sorge a carico del posses sore, cioè di colui che esercita un «potere di fatto sulla cosa»).
L'opposto orientamento, che qui non si condivide, è invece se
guito da Cass. 11749/98, ibid., voce Strade, n. 47, e 4070/98,
id.. Rep. 2000, voce Responsabilità civile, n. 327, e, recente
mente, in un lungo obiter contenuto nella motivazione di Cass.
19653/04, che precede sub III (mentre Cass. nn. 298 e 488 del
2003, id.. Rep. 2003, voce Strade, n. 45, e ibid., voce Respon sabilità civile, n. 182, talora richiamate a sostegno dell'orienta
mento minoritario, pur facendo applicazione dell'art. 2051 c.c.,
riguardano sinistri accaduti su autostrade ove, anche in conside
razione del pagamento del pedaggio e del conseguente sorgere di un rapporto contrattuale tra l'utente ed il gestore nonché per le caratteristiche, le dotazioni ed i sistemi di assistenza attivabi
li, è legittimo da parte dell'utente l'affidamento sulla concreta
vigilanza esercitata dal gestore onde prevenire le situazioni di
pericolo). Facendo applicazione (anche nelle situazioni di uso genera
lizzato e notevole estensione della res) dell'art. 2051 c.c., che
secondo la giurisprudenza (v. Cass. 5236/04, id., 2004, I, 2098;
5031/98, id., 1998, I, 2875) e la dottrina moderna configurano
un'ipotesi di responsabilità oggettiva (si parla, infatti, come già nella giurisprudenza francese sull'art. 1384 code civil, di «pre sunzione di responsabilità» e non di «presunzione di colpa»), la
pubblica amministrazione sarebbe chiamata a rispondere anche
nei casi in cui essa abbia dimostrato di essere stata perfetta mente diligente nella manutenzione e capillare vigilanza sulla
sicurezza dei beni di uso pubblico. Infatti, la responsabilità in
questione «si fonda non su un comportamento o un'attività del
custode, ma su una relazione (di custodia) intercorrente tra que sti e la cosa dannosa, e poiché il limite della responsabilità ri
siede nell'intervento di un fattore (il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile (come nelle prove liberatorie degli art. 2047, 2048, 2050 e 2054 c.c.), ma alle mo
dalità di causazione del danno, si deve ritenere che la rilevanza
del fortuito attiene al profilo causale, in quanto suscettibile di
una valutazione che consenta di ricondurre all'elemento esterno, anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il danno concreta
mente verificatosi» (v. Cass. 5031/98, cit.; sull'estraneità del
Il Foro Italiano — 2006.
profilo del comportamento del responsabile alla struttura nor
mativa dell'art. 2051 c.c., v. Cass., sez. un., 12019/91, id., 1993,
I, 922; nel codice civile tedesco, invece, ai sensi del § 836, 1°
comma, l'obbligo di risarcimento del danno «non sorge se il
possessore, allo scopo di impedire il pericolo, ha osservato la
diligenza richiesta nel traffico giuridico»). In altri termini, alla
luce dell'art. 2051 c.c., la responsabilità della pubblica ammini
strazione potrebbe essere esclusa solo nei casi in cui essa dimo
stri che l'evento dannoso si è verificato per l'intervento di un
fattore esterno che, presentando i caratteri del fortuito, cioè del
l'imprevedibilità e dell'assoluta eccezionalità, sia idoneo ad in
terrompere il nesso causale. Ma, così ragionandosi, quella re
sponsabilità sarebbe di fatto automatica, se si considera che (a differenza del danneggiato) la pubblica amministrazione, per la
situazione di lontananza dalla prova in cui si trova (sul principio della «vicinanza alla prova», v. Cass. 11316/03, id., 2003, 1,
2970), non è normalmente nelle condizioni di poter provare tale
fattore esterno (che può consistere anche nel fatto del terzo o
dello stesso danneggiato) e che, comunque, la prova del fatto
colposo del danneggiato potrebbe far superare la presunzione
prevista dall'art. 2051 c.c. solo se dotato di un autonomo impul so causale idoneo ad interrompere l'antecedente nesso causale
esistente con la res. Una tale efficacia interruttiva, secondo
l'art. 2051 c.c., non può essere riconosciuta alla semplice circo
stanza che la situazione (in senso lato) di pericolo fosse visibile
ed evitabile, occorrendo che l'uso che del bene pubblico faccia
l'utente sia connotato da elementi di eccezionalità ed impreve dibilità per la pubblica amministrazione. Il sistema verrebbe
sbilanciato tutto in sfavore della pubblica amministrazione,
esposta ad una presunzione quasi assoluta di responsabilità che
mal si adatta alla tipologia dei beni pubblici che soggiacciono alle più diverse ed imprevedibili (nel quomodo e nel quando) modalità d'uso da parte della collettività. Né potrebbe obiettarsi
che la colpa della pubblica amministrazione sussisterebbe per il
solo fatto della presenza della situazione di pericolo sul bene
pubblico, in ragione dell'obbligo di manutenzione gravante sulla pubblica amministrazione, con l'effetto di ritenere per ciò
solo sussistente in concreto la violazione del principio del nemi
nem laedere sancito nell'art. 2043 c.c., ovvero integrata la fatti
specie di cui all'art. 2051 c.c. (interpretata come ipotesi di colpa
presunta, secondo l'orientamento tradizionale). A prescindere dalla constatazione che «la 'pericolosità' non è, nell'ambito
della norma in questione [art. 2051 c.c.] un requisito necessario
della cosa e quindi della fattispecie, come lo è, invece, per la
'attività', considerata nel precedente art. 2050 c.c.» (v. Cass.
5031/98, cit.), è facile replicare, in generale, che, essendo la
colpa un concetto relazionale, non è (giuridicamente) possibile ricercarla in astratto, cioè prima che il rapporto extracontrattuale
sia sorto a seguito dell'evento dannoso (in senso oggettivo).
Quest'ultimo, infatti, si realizza solo per effetto dell'insorgenza nella cosa di un processo dinamico provocato da agenti esterni, tra i quali decisivo rilievo assume il comportamento dello stesso
danneggiato. Pertanto, se non si vuole affermare, in materia, un
principio di colpa presunta sui generis ex art. 2043 c.c., è neces
sario considerare il comportamento del danneggiato quale ele
mento costitutivo della fattispecie di responsabilità della pubbli ca amministrazione, nel senso che quest'ultima può sorgere solo
se e quando l'utente della strada non sia nelle condizioni di av
vistare ed evitare il «pericolo». Ciò, lungi dal costituire un in
giustificato favor per la pubblica amministrazione, è effetto del
l'applicazione del principio di autoresponsabilità a carico degli utenti «gravati di un onere di particolare attenzione nell'eserci
zio dell'uso ordinario diretto del bene demaniale per salvaguar dare appunto la propria incolumità», salvo i casi in cui sia, ap
punto, ravvisabile un'insidia intesa «come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dall'esperienza giurisprudenzia le, mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad
una valutazione di normalità, con il preciso fine di meglio di
stribuire tra le parti l'onere probatorio, secondo un criterio di
semplificazione analitica della fattispecie generatrice della re
sponsabilità in esame» (v. Corte cost. 156/99, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 269). La responsabilità della pubblica amministra
zione, si potrebbe dire, inizia dove finisce il dovere dell'utente
di usare il bene pubblico con l'ordinaria diligenza, della quale si
deve presumere la mancanza quando l'evento dannoso si realiz
zi nonostante la visibilità ed evitabilità della situazione di peri
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
colo. Poiché, in quest'ultimo caso, il comportamento colposo del danneggiato è tale da interrompere il nesso causale, non è
pertinente (al mero scopo equitativo di attenuare il quantum di
responsabilità della pubblica amministrazione) richiamare la
fattispecie del concorso del fatto colposo del creditore (art.
1227, 1° comma, c.c.), la quale è utilmente invocabile nel ben
diverso caso in cui alla realizzazione della situazione di oggetti va insidia (in cui il pericolo è pur sempre imprevedibile ed ine
vitabile) abbia concorso il comportamento colposo del danneg
giato (v. Cass. 17152/02, id., 2003, I, 1802). In altri termini, il principio di autoresponsabilità (in base al quale l'utente non è
meritevole di tutela risarcitoria nei casi in cui la situazione di
«pericolo» era visibile ed evitabile) è incompatibile con la
struttura normativa dell'art. 2051 c.c., che, come s'è detto, eso
nera il custode da responsabilità solo nel caso di fortuito e non,
invece, nel caso in cui la «insidia» sia visibile ed evitabile. Al
contrario, in presenza di una situazione di c.d. insidia o traboc
chetto, invece, la responsabilità della pubblica amministrazione
si deve presumere fino a prova contraria che dev'essere offerta
dalla pubblica amministrazione (nel senso che, una volta che
l'utente abbia dimostrato il c.d. pericolo occulto, spetta alla
pubblica amministrazione dimostrare la propria mancanza di
colpa in concreto, v. Cass. 11250/02, cit., in un caso di un'auto
vettura finita contro un muretto per la presenza di una chiazza di
liquido oleoso sulla carreggiata). Facendo applicazione di questi principi nel caso in esame, es
sendo il sinistro avvenuto su una strada pubblica aperta all'uso
generale della collettività, cioè in un tratto di piazza del Popolo a Roma con transito sia di autovetture e motocicli che di pedoni, si deve fare applicazione dell'art. 2043 c.c. e, pertanto, si deve
valutare se la situazione di pericolo determinata dalla presenza di «escrementi di cavallo» sulla strada fosse visibile ed evitabile
da E.A. che vi finì sopra con le ruote del suo ciclomotore e sci
volò.
Dall'istruttoria è emerso che, nonostante la tarda ora (23,30
circa) in cui l'incidente è avvenuto, l'illuminazione era buona
(v. interrogatorio formale della A. e testimonianza di Claudio
Sinopoli e Manolo Pastore all'udienza del 17 aprile 2003); la
massa degli escrementi, presente al centro (secondo la A. ed i
testi Pastore e Sinopoli) o sul lato destro della carreggiata (v. verbale dei vigili urbani) o, comunque, «in linea con la direzio
ne del motorino» (teste Juria Iannini all'udienza del 6 novembre
2003), era voluminosa e, per questo, visibile anche perché (a differenza di una macchia di olio) in rilievo sull'asfalto e per il
presumibile diverso colore rispetto ai sampietrini (la prova con
traria, sul punto, avrebbe dovuto essere offerta dall'attrice), ol
tre che evitabile (non essendo nemmeno stato dedotto che occu
pava l'intera carreggiata stradale) se la A. avesse usato la neces
saria prudenza nella guida del ciclomotore, in considerazione
anche del luogo in cui l'incidente si è verificato (frequentato da
pedoni nel centro di Roma). Infatti, in citazione si legge che si
trattava di una «striscia lunga alcuni metri»; la A. ha dichiarato
che era lunga circa «mezzo metro» e, secondo il teste Pastore,
circa 40/50 cm; il teste Sinopoli, che passeggiava nella zona, ha
dichiarato di aver notato la presenza degli escrementi prima del
l'incidente. La domanda, in conclusione, dev'essere rigettata, rimanendo
assorbita la decisione sul rapporto processuale con il terzo
chiamato in causa.
Il Foro Italiano — 2006.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 16 lu
glio 2005, n. 15104; Pres. De Musis, Est. Morelli, P.M. Ca
fiero (conci, conf.); Palermo (Avv. Franchi, Comporti, Al
lena) c. Nizzi (Avv. Picciaredda, Racugno, Scano, Dionigi,
Vignolo) e altro. Conferma App. Cagliari 9 dicembre 2004.
Elezioni — Dichiarazione di ineleggibilità o di decadenza
dell'eletto — Azione popolare — Proponibilità — Pubbli
cazione di eventuale delibera di convalida dell'eletto —
Termine di decadenza — Esclusione (D.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle leggi per la composizione e la elezione
degli organi delle amministrazioni comunali, art. 9 bis, 82;
d.leg. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali, art. 70). Elezioni — Comune — Sindaco — Società per azioni con
capitale non maggioritario del comune — Presidenza —
Causa di ineleggibilità — Esclusione (D.leg. 18 agosto 2000
n. 267, art. 60).
Ai fini della proponibilità dell'azione popolare diretta alla di
chiarazione di ineleggibilità o di decadenza dell'eletto non
sussiste alcun termine di decadenza correlato alla pubblica zione dell'eventuale delibera consiliare di convalida. (1)
Non sussiste la causa di ineleggibilità alla carica di sindaco per
(1)1. - In merito alla proponibilità dell'azione popolare. Cass. 10 lu
glio 2004. n. 12807, Foro it.. Rep. 20Q4, voce Elezioni, n. 132, ha sta
bilito che l'art. 70 d.leg. 18 agosto 2000 n, 267 legittima all'azione di
decadenza, oltre al cittadino elettore, «chiunque altro vi abbia interes
se», e quindi, non esigendo un interesse diretto, rende esperibile l'azio ne medesima anche da un altro componente del consiglio municipale, pur se questi non tragga personale vantaggio dall'eventuale accogli mento della domanda, in ragione del suo interesse a che la partecipa zione del singolo consigliere non sia viziata da situazioni potenzial mente atte 'ad influire negativamente sul dovere di conformare il suo
operato a valutazioni esclusivamente inerenti agli scopi istituzionali del comune. Conformemente, v. Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2003, n. 1838, id.. Rep. 2003, voce cit., n. 104.
Nel senso che la previsione secondo cui le deliberazioni adottate in
materia di eleggibilità possono essere impugnate da qualsiasi cittadino
elettore deve essere interpretata alla luce della ratio del sistema, carat
terizzato dalla previsione di una legittimazione diffusa e fungibile, sta bilita in funzione dell'interesse pubblico alla regolare composizione ed
al retto funzionamento degli organi collegiali degli enti pubblici territo
riali, che trova la sua ragion d'essere nell'opportunità di utilizzare l'i niziativa di qualsiasi cittadino elettore, diretta ad eliminare eventuali
illegittimità verificatesi in materia di elettorato amministrativo, v. Cass.
12 novembre 2003, n. 17020, ibid., n. 105, che da tale principio ha de
dotto l'ammissibilità dell'impugnazione da parte di un cittadino eletto
re della delibera del consiglio regionale che dispone la sospensione dalla carica di un consigliere regionale a seguito di sentenza di condan na non definitiva per il reato di cui all'art. 314, 1° comma, c.p.
II. - Con precipuo riferimento ai rapporti tra il provvedimento di
convalida e la proposizione dell'azione, Cass. 7 luglio 2004, n. 12421,
id., Rep. 2004. voce cit., n. 130, ha rilevato che, in tema di incompati bilità con la carica di consigliere regionale, qualora il giudice di merito
abbia adottato la soluzione della c.d. pregiudiziale eventuale, avuto ri
guardo ai rapporti tra azione popolare e procedimento amministrativo — abbia cioè ritenuto che l'azione popolare sia svincolata da termini decadenziali se non preceduta dal procedimento amministrativo, e sia
viceversa soggetta al termine decadenziale breve se preceduta dalla de
libera del consiglio — e la parte, senza contestare tale impostazione
giuridica, abbia in fatto posto la questione dell'inesistenza di una deli
bera ad hoc sulla questione ineleggibilità/incompatibilità alla Corte di
cassazione, la corte stessa è legittimata ad esaminare le delibere del
consiglio regionale in contestazione, onde stabilire se le stesse abbiano
in realtà affrontato la questione della ineleggibilità/incompatibilità del
consigliere, ovvero si siano esaurite nei consueti adempimenti di pro clamazione e convalida degli eletti, non essendo in tal caso ipotizzabile alcuna decadenza dalla proposizione dell'azione de qua.
III. - Per quanto attiene al rapporto processuale che si instaura a se
guito della proposizione dell'azione popolare, Cass. 9 luglio 2003, n.
10776, id., 2004, I, 809, con nota di richiami, ha evidenziato che nelle
controversie aventi ad oggetto la decadenza dalla carica di ammini
stratore di ente locale, ai sensi dell'art. 70 d.leg. 267/00, la notificazio
ne al sindaco del ricorso con cui è promossa l'azione popolare non ha
la funzione di instaurare nei confronti del comune un rapporto proces suale, ma solo di dargli notizia del procedimento, con la conseguenza che essa non comporta l'attribuzione della qualità di parte processuale,
ponendosi il comune in posizione neutra rispetto ai contendenti.
Sul tema, v.. inoltre, Cass. 28 luglio 2004. n. 14199, id., Rep. 2004.
voce cit.. n. 131, secondo cui il giudizio introdotto con azione popolare
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