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Sezione III civile; sentenza 2 aprile 1981, n. 1872; Pres. M. Pedroni, Est. A. Caleca, P. M. Valente...

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Sezione III civile; sentenza 2 aprile 1981, n. 1872; Pres. M. Pedroni, Est. A. Caleca, P. M. Valente (concl. conf.); Soc. T.o.r.o.s. (Avv. Donzelli) c. Lovatelli (Avv. Esposito, Lepri, Scarabelli). Conferma Trib. Siena 17 novembre 1978 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 2469/2470-2471/2472 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23172936 . Accessed: 28/06/2014 10:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.193 on Sat, 28 Jun 2014 10:44:17 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sezione III civile; sentenza 2 aprile 1981, n. 1872; Pres. M. Pedroni, Est. A. Caleca, P. M. Valente (concl. conf.); Soc. T.o.r.o.s. (Avv. Donzelli) c. Lovatelli (Avv. Esposito, Lepri,

Sezione III civile; sentenza 2 aprile 1981, n. 1872; Pres. M. Pedroni, Est. A. Caleca, P. M. Valente(concl. conf.); Soc. T.o.r.o.s. (Avv. Donzelli) c. Lovatelli (Avv. Esposito, Lepri, Scarabelli).Conferma Trib. Siena 17 novembre 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 2469/2470-2471/2472Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172936 .

Accessed: 28/06/2014 10:44

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

È evidente, invero, che non sarebbe stato neppure astrattamen

te proponibile il problema degli effetti della sentenza di rinvio

sulla seconda sentenza d'appello, se le questioni da questa risol

te fossero state per principio estranee al giudizio di rinvio, sic

ché non sarebbe stato possibile constatare, nella specie, che tali

questioni erano coperte da un giudicato. Altrettanto evidente è la violazione dell'art. 336 cod. proc. civ.

nella formulazione della terza proposizione: la cassazione esten

de i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sen

tenza cassata, e quindi i punti della sentenza definitiva logica

mente e giuridicamente collegati a quella non definitiva vengono senz'altro meno appena questa è annullata (v. per tutte Cass.,

Sez. un., 11 settembre 1979, n. 4751, id., 1980, I, 98). Tale con

cetto è fondamentale, perché dimostra non solo che il passaggio in giudicato della seconda decisione è, nell'ipotesi considerata,

solo apparente, in quanto le relative statuizioni sono condizio

nate al mancato annullamento della precedente sentenza, la quale ne costituisce il presupposto (sent. 27 giugno 1974, n. 1925, id.,

Rep. 1974, voce Cassazione civ., n. 78); ma anche che la sorte

di detta decisione non può dipendere dal giudizio di rinvio, es

sendo essa già segnata dalla pronuncia della Cassazione.

Nel caso concreto, dunque, l'annullamento della sentenza del

Tribunale di Verona, con cui era stato dichiarato l'obbligo del

quartier generale di integrare il trattamento retributivo ed assi

curativo degli attori, aveva automaticamente provocato la cadu

cazione della seconda sentenza dello stesso tribunale, con la qua le era stato determinato in concreto il contenuto di quell'obbli

go. E quindi al Tribunale di Vicenza si poneva, sotto il profilo

processuale, una sola questione, consistente nello stabilire se la

cognizione della materia trattata nella predetta seconda sentenza

rientrasse nella competenza — funzionale — del giudice di rin

vio, oppure in quella — territoriale — dell'originario giudice d'ap

pello.

Ora, è ben vero che in favore della prima soluzione può argo

mentarsi dai limiti del giudizio di rinvio, il quale, per essere

preordinato precipuamente a completare il sillogismo giudiziale con l'applicazione del dictum della Corte di cassazione ad un ma

teriale di cognizione normalmente già formato (sent. 19 luglio

1975, n. 2864, id., Rep. 1975, voce Rinvio civ., n. 16) non tol

lerava l'introduzione di questioni che non appartenevano al pre

cedente giudizio di merito. Ma questo principio, che neppure

l'art. 394 accoglie in termini assoluti, ammettendo nell'ultimo

comma che si prendano « nuove conclusioni » se ciò è necessario

in conseguenza della sentenza di cassazione, non è idoneo a re

golare in modo adeguato tutte le complesse situazioni che pos

sono essere provocate dalla facoltà di impugnare separatamente

le sentenze non definitive e quelle definitive (art. 340 e 361 cod.

proc. civile). E quindi non è stato applicato, nell'ipotesi in esa

me, da questa corte, la quale ha seguito, invece un diverso orien

tamento, secondo autorevoli indicazioni date già in sede di inter

pretazione del codice abrogato (sent. 15 dicembre 1949, n. 2608,

id., Rep. 1949, voce cit., n. 4; 17 maggio 1950, n. 1226,

id., Rep. 1950, voce cit., n. 5; 20 giugno 1960, n. 1633, id., Rep.

1960, voce cit., n. 45; 17 aprile 1964, n. 922, id., Rep. 1964, voce

cit., n. 4; 24 luglio 1965, n. 1725, id., Rep. 1965, voce cit., n. 2;

8 ottobre 1969, n. 3221, id., Rep. 1969, voce cit., n. 21; 1° feb

braio 1974, n. 270, id., 1974, I, 3428; 28 gennaio 1978, n. 416,

id., Rep. 1978, voce cit., n. 15). In realtà, dall'art. 383, il quale dispone — come disponeva l'art.

544 del vecchio codice — che il rinvio abbia per oggetto « la

causa » e non la mera pronuncia di statuizioni sostitutive di

quelle cassate, può dedursi una vera e propria attribuzione di

competenza all'« altro » giudice in ordine a tutta la lite, ovvia

mente per quanto di questa è ancora discutibile (è a tale ultimo

riguardo, quindi, che vanno applicati i limiti posti nel T e nel 3°

comma dell'art. 394). E ciò perché, se si ritenesse altrimenti, non

solo si creerebbe il pericolo di discrepanze fra quanto, nella stes

sa controversia, avessero a decidere il giudice d'appello territorial

mente competente e quello del rinvio, dato che ciascuno potrebbe

procedere ignorando l'altro, ma, in contrasto con la regola del

ne bis in idem, si affiderebbe al primo di costoro anche la ripeti

zione di un giudizio che egli ebbe già a formulare e che, inoltre,

è caduto non per vizi propri, ma per l'eliminazione del giudizio

da esso presupposto; in concreto, il Tribunale di Verona dovrebbe

ripetere l'esame che ha già effettuato in sede di appello sulla

sentenza definitiva del pretore. Va pertanto accolto il primo motivo. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 2 aprile

1981, n. 1872; Pres. M. Pedroni, Est. A. Caleca, P. M. Valente

(conci, conf.); Soc. T.o.r.o.s. (Avv. Donzelli) c. Lovatelli (Avv.

Esposito, Lepri, Scarabelli). Conferma Trib. Siena 17 no

vembre 1978.

Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Intervento dei

creditori — Giudizio di ammissibilità — Competenza del giu

dice dell'esecuzione — Sussistenza (Cod. proc. civ., art. 563).

Il giudice dell'esecuzione ha il potere-dovere di porsi, anche d'uf

ficio, la questione relativa all'ammissibilità e legittimità dell'in

tervento dei creditori nella procedura esecutiva immobiliare ed

è competente a decidere tale questione anche in assenza di

un'espressa disposizione di legge (nella specie, il giudice era

stato sollecitato in tal senso da una « eccezione » del debi

tore). (1)

(1) In giurisprudenza (tutte non richiamate in motivazione), v. Cass.

27 febbraio 1979, n. 1292, Foro it., Rep. 1979, voce Esecuzione for

zata per obbligazioni pecuniarie, n. 76, secondo la quale il requisito

della certezza, liquidità ed esigibilità del credito costituisce una con

dizione di ammissibilità, in rito, dell'intervento nel processo esecu

tivo del creditore non munito di titolo esecutivo al fine della sua

partecipazione alla distribuzione della somma che verrà ricavata dal

la vendita dei beni pignorati; pertanto l'opposizione del debitore ri

volta a contestare l'ammissibilità dell'intervento del creditore per di

fetto dei suddetti requisiti del credito, deve qualificarsi come oppo

sizione agli atti esecutivi; Cass. 25 ottobre 1976, n. 3860, id., Rep.

1976, voce cit., n. 10, per la quale l'inammissibilità dell'intervento

per carenza dei requisiti richiesti dalla legge ove non venga eccepita

dagli interessati con opposizione agli atti esecutivi può essere rile

vata d'ufficio dal giudice dell'esecuzione, con provvedimento avente

natura sostanziale di ordinanza e, come tale, non impugnabile; Cass.

18 febbraio 1975, n. 640, id., Rep. 1975, voce cit., n. 7, per la

quale qualora né il giudice dell'esecuzione abbia esaminato d'ufficio,

con ordinanza, l'inammissibilità dell'intervento (...) né il debitore

o alcuno dei creditori abbia proposto opposizione agli atti esecutivi

deducendo il difetto dei requisiti del credito la relativa questione

non può essere sollevata nel giudizio avente per oggetto la contro

versia circa la sussistenza o l'ammontare dello stesso credito sorta

in sede di distribuzione della somma ricavata dall'espropriazione, né

d'ufficio, né ad iniziativa di parte, giacché siffatta questione, rien

trando nell'ambito dell'opposizione agli atti esecutivi, deve conside

rarsi assorbita e superata da quella che investe il merito, che va ri

solta indipendentemente dall'indagine, ormai preclusa, sull'ammissi

bilità dell'intervento nell'esecuzione; Cass. 23 giugno 1972, n. 2114,

id., 1973, I, 498, con nota di richiami, che fa esplicito riferimento

alla possibilità di rilievo d'ufficio da parte del giudice della carenza

dei requisiti di ammissibilità del credito ai fini dell'intervento; Cass.

18 settembre 1972, n. 2753, id., 1972, I, 3411, con nota di richiami

e osservazioni di M. Acone, per cui il giudice dell'esecuzione, con

l'ordinanza con la quale determina in sede di conversione del pigno

ramento la somma da sostituirsi al bene pignorato, è tenuto a risol

vere, in via incidentale, la contestazione sull'entità del credito del

creditore procedente sollevata specificamente dal debitore; cfr. anche

Trib. Roma, ord. 3 aprile 1970, id., 1970, I, 3217, con nota di ri

chiami, per cui il giudice dell'esecuzione può, con ordinanza, di

chiarare l'inammissibilità dell'intervento proposto, prima dell'udienza

fissata per l'autorizzazione della vendita immobiliare, da chi fa va

lere un credito assistito da causa di prelazione ma privo dei requi

siti della certezza e della esigibilità, nonché Cass. 10 gennaio 1964,

n. 65, id., 1964, I, 28, con nota di richiami, per cui il giudice del

l'esecuzione, al fine di determinare la somma necessaria per la con

versione del pignoramento, deve esaminare la legittimazione dei cre

ditori intervenuti. In dottrina appare dissentire dal principio espresso dalla Cassa

zione nella decisione che si riporta Montesano, Conversione del

pignoramento e distribuzione del denaro, in Riv. dir. proc., 1965,

383, per il quale sarebbe piuttosto concesso al debitore lo strumento

previsto dall'art. 512 cod. proc. civ. al fine di rinnovare, nel corso

dell'udienza fissata ex art. 495, 3° comma, cod. proc. civ., contesta

zioni in ordine all'esistenza ed all'ammontare dei crediti degli inter

venuti. Dello stesso autore cfr. anche: La cognizione sul concorso

dei creditori nell'esecuzione ordinaria, in Riv. trim. dir. proc. civ.,

1968, 561. Riconosce invece la possibilità per il giudice di procedere ad un

esame « ufficioso » delle domande d'intervento Verde, Intervento e

prova del credito nell'esecuzione forzata, 1968, 75 ss., mentre per Garbagnati, Espropriazione e distribuzione della somma ricavata, in

Riv. dir. proc., 1971, 201, la fondatezza delle pretese dei creditori

può formare unicamente oggetto di controversia ex art. 512 cod. proc. civ. nella fase di distribuzione della somma versata in sostituzione del

bene pignorato. Il dibattito è stato di recente ripreso da Lanfranchi, La verifica

del passivo nel fallimento, 1979. Quanto alle perplessità presenti in gran parte della dottrina in or

dine alla configurabilità come eccezione in senso tecnico dell'attività

difensiva delle parti nell'ambito del processo esecutivo, cfr. le opi nioni riportate in Tarzia, Il contraddittorio nel processo esecutivo, in Studi in onore di Liebman, 1979, III.

Il Foro Italiano — 1981 — Parte I-158.

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2471 PARTE PRIMA 2472

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto depo sitato il 13 ottobre 1977 la soc. T.o.r.o.s. propose domanda

di intervento nella procedura esecutiva immobiliare promossa da

Barbara Hutton contro Loffredo Gaetani Lovatelli, e dedusse di

essere, nei confronti del debitore esecutato creditrice di lire

6.000.000.

Con ordinanza del 13 ottobre 1977, in sede di esame dell'istan

za per la conversione dei crediti vantati dalla creditrice proce dente e dagli altri creditori intervenuti, il giudice dell'esecuzione,

su eccezione del debitore esecutato, dichiarò inammissibile tale

intervento e ne escluse dalla conversione il credito con esso fatto

valere.

La soc. T.o.r.o.s., con ricorso depositato il 17 ottobre 1977,

propose, innanzi al Tribunale di Siena, opposizione al provvedi

mento, sostenendo la incompetenza funzionale del giudice della

esecuzione a pronunciarsi in ordine all'ammissibilità dell'inter

vento.

Il debitore opposto, costituitosi, chiese il rigetto dell'opposi zione e la condanna della opponente al risarcimento dei danni

ex art. 96 cod. proc. civile. Nel merito rilevò che l'intervento

nella espropriazione immobiliare presuppone la certezza e la li

quidità del credito e che la sussistenza di tali requisiti, costituen

do condizione relativa alla legittimazione ad agire, doveva essere

accertata dal giudice dell'esecuzione; che nella specie, pertanto, rettamente il detto giudice aveva dichiarato inammissibile l'inter

vento avendone, appunto, constatato la mancanza dei relativi

presupposti. All'udienza di discussione della causa il procuratore dell'oppo

nente propose istanza di ricusazione di uno dei giudici del col

legio in quanto istruttore della causa.

Il tribunale, sospeso il procedimento, con apposito provvedi mento dichiarò inammissibile l'istanza di ricusazione. Successiva

mente, con sentenza depositata il 17 novembre 1978, rigettò l'op

posizione avendo considerato che: 1) compito primario del giu

dice è quello di controllare l'instaurazione di un rituale rappor to processuale e, in particolare, la sussistenza, nelle parti, della

legittimazione attiva e passiva; 2) tale potere-dovere deve essere

esercitato anche dal giudice dell'esecuzione, specie nel momento

in cui sta per realizzarsi la pretesa creditrice del procedente o

del creditore intervenuto e, a maggior ragione, quindi, nel mo

mento in cui il giudice dell'esecuzione è chiamato a decidere

sull'istanza di conversione dei crediti, stante che con la speciale

procedura di cui nell'art. 495 cod. proc. civ., se da un lato si

tende a liberare il bene sottoposto a pignoramento dall'altro si

realizza il credito fatto valere, sempre che questo abbia i requi

siti della certezza e della liquidità.

Esposti tali principi, il tribunale ha considerato che nella spe

cie la soc. T.o.r.o.s. nella sua istanza di intervento, e poi anche

nel corso del giudizio di opposizione, non aveva fornito alcun

elemento di valutazione circa i requisiti di certezza, liquidità ed

esigibilità del proprio credito, essendosi limitata solo ad affer

marne l'esistenza e a indicarne l'ammontare in maniera del tutto

generica. Avverso la predetta sentenza la soc. T.o.r.o.s. ha proposto ri

corso per cassazione con la deduzione di due motivi, cui resiste

mediante controricorso il Gaetani Lovatelli.

Motivi della decisione. — (Omissis). Con il primo motivo la

ricorrente si duole della violazione degli art. 112, 569 cod. proc.

civ. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, stesso codice, e sostiene:

che il complesso delle norme processuali pone in evidenza che

tra i poteri attribuiti al giudice dell'esecuzione non è compreso

quello di decidere sull'ammissibilità e validità dell'intervento dei

creditori, essendo il relativo giudizio funzionalmente riservato

al tribunale; che, infatti, al detto magistrato spettano soltanto i

compiti di convocare le parti, di rimetterle davanti al tribunale

per la trattazione delle eventuali opposizioni agli atti esecutivi,

e di disporre le vendite. In particolare rileva che nel caso in esa

me il giudice dell'esecuzione con la declaratoria di inammissi

bilità dell'intervento di essa soc. T.o.r.o.s. avrebbe statuito ex

officio e, quindi, in violazione dell'art. 112 cod. proc. civile.

Anche queste censure devono essere disattese. Va premesso che

nella procedura esecutiva immobiliare l'intervento dei creditori

è previsto dalla disposizione di cui all'art. 563 cod. proc. civ., la quale stabilisce che possono intervenire, a norma dell'art. 499, tutti coloro che nei confronti del debitore hanno un credito, an

che se sottoposto a termine o a condizione. Consegue, che l'in

terveniente può partecipare alla procedura espropriativa dell'im

mobile pignorato solo se dimostri di essere munito di un titolo

attestante l'esistenza di un credito certo, anche se non ancora li

quido ed esigibile. Nella procedura esecutiva immobiliare, infatti, dall'art. 563

cod. proc. civ., a differenza dell'art. 525 dello stesso codice ri

guardante l'esecuzione mobiliare, è solo richiesto il requisito del

la certezza: entro questi limiti, pertanto, viene corretta, sul pun to specifico, la diversa motivazione che nella sentenza impugna ta è stata erroneamente svolta senza, però, alcuna influenza sulla

decisione adottata. Dall'anzidetto deriva che, costituendo il men

zionato requisito una condizione dell'intervento, il giudice della

esecuzione deve, volta per volta, anche d'ufficio, accertarne la

sussistenza e, quindi, ammettere o no l'intervento, con la conse

guente partecipazione o meno dell'interveniente alle operazioni connesse alla procedura espropriativa.

Nel caso in esame, quindi, rettamente il tribunale ha rigettato la opposizione ritenendo legittima la declaratoria di inammissi

bilità dell'intervento pronunciata dal giudice dell'esecuzione; e

con motivazione esente dai vizi denunziati, pertanto sottratta al

sindacato della Cassazione, ha ritenuto mancante il requisito della

certezza del credito fatto valere dato che, come giustamente ave

va rilevato il giudice dell'esecuzione, la interveniente né nella

istanza di intervento, né successivamente, aveva fornito alcun

elemento di valutazione, essendosi limitata ad affermare l'esi

stenza e a indicarne l'ammontare in maniera del tutto generica. Il ricorso, per le esposte ragioni, deve essere rigettato. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II civile; sentenza 28 mar

zo 1981, n. 1787; Pres. G. Caleca, Est. G. Mare se a, P. M.

Gazzara (conci, parz. diff.); Gazzolo (Avv. Molè) c. Gazzolo

(Avv. Paleani). Conferma App. Roma 28 febbraio 1977.

Successione ereditaria — Chiamato non in possesso dei beni —

Apposizione dei sigilli — Termine per la redazione dell'inven

tario — Decorrenza (Cod. civ., art. 487; cod. proc. civ., art.

762). Successione ereditaria — Azione di riduzione — Accettazione

con beneficio d'inventario — Mancata redazione dell'inventario

nel termine (Cod. civ., art. 487, 564).

Il termine per la redazione dell'inventario decorre, per il chia

mato non in possesso dei beni, dalla data della dichiarazione di

accettazione beneficiata, anche se fatta contemporaneamente alla

richiesta di apposizione dei sigilli. (1) L'azione di riduzione non compete al legittimario che abbia ac

cettato con beneficio di inventario, ma che, ai sensi degli art.

485 e 487 cod. civ., debba essere considerato erede puro e sem

plice per non avere compiuto l'inventario nel termine prescritto o prorogato. (2)

(1) Questione nuova. Sui rapporti tra apposizione dei sigilli e re dazione dell'inventario, cfr. Cass. 5 aprile 1968, n. 1044, Foro it.,

1968, I, 1173; in dottrina, cfr. Moscati, Sigilli (dir. priv. e dir. proc. civ.), voce del Novissimo digesto, 1970, XVII, 320. Nel senso che è necessario che entro il termine dei tre mesi le operazioni di inven tario siano ultimate, cfr. App. Lecce 22 novembre 1957, Foro it., Rep. 1958, voce Successione, n. 71 (peraltro, una volta eseguito e chiuso nelle forme prescritte, l'inventario non può considerarsi in

compiuto agli effetti del termine di cui all'art. 487 cod. civ. per il

solo fatto che, per qualsiasi ragione, taluni beni non siano stati com

presi nell'inventario stesso: cfr. App. Firenze 22 maggio 1953, id.,

Rep. 1953, voce cit., n. 72). Avuto riguardo alla funzione che è pro pria dell'inventario nell'ambito della procedura di accettazione be

neficiata, si ritiene sufficiente, ai fini della completezza dell'atto e

del rispetto del termine, che in esso siano descritte le sole attività ereditarie: Cass. 3 ottobre 1959, n. 2664, id., 1960, I, 93. Sulla ope ratività dei termini di decadenza di cui agli art. 487 e 485, in tema di redazione dell'inventario, anche nei confronti delle persone giuri diche, v., da ultimo, Cass. 8 maggio 1979, n. 2617, id., Rep. 1979, voce

cit., n. 41 (contra, per l'omessa dichiarazione di accettazione nei

quaranta giorni dopo il compimento dell'inventario, Trib. Genova 15

luglio 1978, id., 1979, I, 531, con nota di richiami). Sulle questioni connesse alla proroga del termine per il compimento dell'inventario, cfr. Cass. 9 luglio 1975, n. 3674, id., 1976, I, 79, con nota di ri chiami.

(2) In senso sostanzialmente conforme, che cioè, ai fini della espe bilità dell'azione di riduzione, occorra non la sola dichiarazione di accettazione beneficiata, ma la effettiva redazione dell'inventario, cfr. Cass. 18 giugno 1964, n. 1562, Foro it., Rep. 1964, voce Successione, n. 67. L'accettazione con beneficio di inventario è generalmente con siderata come condizione di ammissibilità dell'azione di riduzione: cfr. Cass. 7 luglio 1973, n. 1954, id., Rep. 1973, voce cit., n. 109; 6

giugno 1968, n. 1701, id., Rep. 1968, voce cit., n. 75; App. Lecce 7 febbraio 1966, id., Rep. 1966, voce cit., n. 74; Cass. 18 giugno 1964, n. 1562, id., Rep. 1964, voce cit., n. 67, innanzi ricordata; 20 dicem bre 1962, n. 3386, id., Rep. 1962, voce cit., n. 47; 7 dicembre 1962, n. 3299, id., Rep. 1963, voce cit., n. 52; 27 novembre 1957, n. 4499,

id., Rep. 1957, voce cit., n. 139; App. Lecce 20 settembre 1957, id.,

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