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sezione III civile; sentenza 20 agosto 1985, n. 4445; Pres. Scribano, Est. Mattiello, P. M. Paolucci...

Date post: 30-Jan-2017
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sezione III civile; sentenza 20 agosto 1985, n. 4445; Pres. Scribano, Est. Mattiello, P. M. Paolucci (concl. conf.); Marzi (Avv. G. Guerra, Cadeppi) c. Sterza (Avv. Giarratana, Cugini). Cassa App. Brescia 1° luglio 1981 Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 507/508-509/510 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23180511 . Accessed: 25/06/2014 03:01 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.96 on Wed, 25 Jun 2014 03:01:36 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 20 agosto 1985, n. 4445; Pres. Scribano, Est. Mattiello, P. M. Paolucci(concl. conf.); Marzi (Avv. G. Guerra, Cadeppi) c. Sterza (Avv. Giarratana, Cugini). Cassa App.Brescia 1° luglio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 2 (FEBBRAIO 1986), pp. 507/508-509/510Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180511 .

Accessed: 25/06/2014 03:01

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.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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PARTE PRIMA

costituiti da un decreto ingiuntivo e da cambiali; il quale Boni

presentò (superfluamente) una seconda istanza di vendita (sempre secondo la narrazione contenuta nel ricorso introduttivo per opposizione) probabilmente allegando i suddetti documenti, poi ché il giudice dell'esecuzione dispose la vendita.

Sembra, secondo l'assunto degli odierni ricorrenti, che il credi tore pignorante non fosse comparso alle udienze fissate dal

giudice dell'esecuzione, alle quali sarebbe stato presente, nella

posizione di soggetto attivo dell'esecuzione, soltanto il creditore

intervenuto.

Era rilevante, allora, accertare se il Boni fosse effettivamente munito di titoli esecutivi; il che era stato contestato dagli odierni ricorrenti deducendo che il decreto ingiuntivo era divenu to inefficace perché non notificato nel termine di cui all'art. 644

c.p.c. e che le cambiali erano prescritte. Accertamento, questo, che era rilevante sotto due aspetti.

Anzitutto, il deposito della documentazione di cui al 2° comma dell'art. 567 c.p.c., integrativo dell'istanza di vendita, è attività

processuale alla quale è legittimato, oltre al creditore pignorante, il creditore intervenuto munito di titolo esecutivo. Sicché, se il Boni non avesse avuto tale qualità, sarebbe stato inidoneo il

deposito della documentazione da lui (eventualmente) effettuato, e

perciò il giudice dell'esecuzione non avrebbe potuto disporre la

vendita. In secondo luogo, è indispensabile la presenza, nelle udienze

fissate dal giudice dell'esecuzione, di un soggetto legittimato attivamente al compimento di atti del processo esecutivo, cioè

provvisto di potere di iniziativa in quanto titolare dell'azione

esecutiva esercitata (creditore pignorante) o legittimato a prose guirne l'esercizio nell'inerzia del titolare (creditore intervenuto munito di titolo esecutivo). Nel processo esecutivo, non caratte rizzato da un contraddittorio, non esistono parti, cioè soggetti di un rapporto processuale in contrapposzione dialettica, ma esistono

invece, uno o più soggetti attivi (creditore pignorante e creditori

intervenuti muniti di titolo esecutivo), che esercitano, o possono esercitare, l'azione esecutiva ed hanno, perciò, potere di disponibi lità del processo, ed un soggetto passivo (debitore esecutato), che si

trova in posizione di soggezione, avendo soltanto il diritto di essere

inteso, quando stabilito dalla legge, prima che il giudice dell'ese

cuzione, su iniziativa di uno dei soggetti attivi, stabilisca le modalità dell'esecuzione, oltre ai creditori intervenuti non muniti di titolo esecutivo, i quali si trovano in situazione di aspettativa, attivandosi la loro posizione nella fase di distribuzione della

somma ricevuta dalla vendita o dall'assegnazione delle cose o dei crediti pignorati. Perciò è indispensabile la presenza in udienza

di almeno uno dei soggetti attivi, aventi potere di disponibilità del processo. E perciò l'art. 631 c.p.c., il quale dispone, nell'ipote si che nessuna delle « parti » si presenti all'udienza, il rinvio ad una udienza successiva, e, se anche a questa nessuna delle « parti » si presenta, la dichiarazione di estinzione del processo esecutivo, va interpretato nel senso della mancata presenza, all'una ed all'altra udienza, di tutti i soggetti attivi del processo; perché l'udienza è fissata per il compimento di un atto esecutivo o di un'attività ad esso preliminare; ed a tal fine è ritenuta

indispensabile l'insistenza di almeno uno dei soggetti attivi nell'e sercizio dell'azione esecutiva, da attuarsi con la presenza in udienza.

La corte di Napoli ha disatteso la detta contestazione mossa

dagli odierni ricorrenti rilevando che mancava in atti il fascicolo dell'esecuzione e, quindi, non era possibile compiere accertamenti

circa i titoli esecutivi in base ai quali il Boni era intervenuto nel

processo esecutivo.

È fondata la censura, contenuta nel terzo motivo del ricorso, rivolta contro questa decisione dai ricorrenti, i quali sostengono che la corte di Napoli avrebbe dovuto richiedere il fascicolo

dell'esecuzione. Richiesta che doveva essere fatta dalla corte di

Napoli, che, quale giudice dell'opposizione, doveva avere la

disponibilità del fascicolo dell'esecuzione, come si è già rilevato nell'esame del secondo motivo del ricorso.

Restano assorbite, in conseguenza, le altre censure contenute

nello stesso terzo motivo. Con il settimo motivo, infine, i ricorrenti, denunciando viola

zione degli art. 599 ss., 615 e 619 c.p.c. e degli art. 2913 ss. c.c.

in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., lamentano che la corte

di Napoli abbia errato nell'escludere l'applicabilità della norma di

cui all'art. 599 c.p.c. nella specie, in cui ricorreva l'ipotesi della

indivisibilità, determinata dal sorgere del condominio in conse

guenza dell'alienazione, da parte del debitore esecutato, delle

singole unità immobiliari di cui si componeva il fabbricato; ed

aggiungono che la forma di espropriazione di cui agli art. 599 ss.

Il Foro Italiano — 1986.

c.p.c. è applicabile anche quando tutti i comproprietari sono

obbligati verso il creditore.

11 motivo è infondato. A parte ogni altra considerazione circa

la situazione giuridica del bene che, al momento del pignoramen

to, esisteva nei confronti del creditore pignorato e dei creditori

successivamente intervenuti, è sufficiente rilevare che l'espropria zione aveva per oggetto porzioni di singoli appartamenti, in

proprietà esclusiva di ciascuno degli acquirenti, cui accedevano le

quote sulle parti comuni dell'edificio. E comunque è il caso di

rilevare che, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, le

norme degli art. 599, 600 e 601 c.p.c. disciplinano l'ipotesi di

pignoramento di una cosa in comproprietà nei limiti della quota o delle quote spettanti ad uno o ad alcuni soltanto dei comproprie

tari, restando estranei all'espropriazione gli altri comproprietari: tanto vero che deve procedersi alla separazione della quota o

delle quote in natura o alla vendita della quota o delle quote o

alla divisione (art. 600 e 601 c.p.c.). In conclusione, devono essere accolti il secondo motivo e, per

quanto di ragione, il terzo, il quinto ed il sesto motivo del

ricorso principale, devono essere rigettati il primo, il quarto ed il

settimo motivo dello stesso ricorso e deve essere rigettato il

ricorso incidentale.

La sentenza impugnata deve essere cosi cassata in relazione ai

motivi accolti e la causa deve essere rinviata ad altro giudice, che procederà a suo nuovo esame facendo applicazione dei

principi di diritto risultanti dalla suestesa motivazione. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 20 agosto 1985, n. 4445; Pres. Scribano, Est. Mattiello, P. M. Paolucci

(conci, conf.); Marzi (Avv. G. Guerra, Cadeppi) c. Sterza

(Avv. Giarratana, Cugini). Cassa App. Brescia 1° luglio 1981.

Albergo, pensione, locanda — Consegna di capo d'abbigliamento a cameriere — Responsabilità del gestore del ristorante — Fatti

specie (Cod. civ., art. 1783, 1784).

Il gestore di un ristorante risponde illimitatamente per le co se affidategli dai clienti quante volte la consegna delle stesse

avvenga con modalità chiaramente finalizzate alla loro custodia

(nella specie, trattavasi della mancata restituzione di una pellic cia consegnata da un cliente al cameriere nel corso del pran zo). (1)

(1) La corte affronta e risolve in modo persuasivo i delicati interrogativi circa il perfezionamento del contratto di deposito alber ghiero che, per le cose affidate in custodia, chiamava l'albergatore ad una responsabilità illimitata ex art. 1783 c.c. <ed ora, ex art. 1784, n.

1, dopo la riforma operata con 1. 10 giugno 1978 n. 316, con cui si è data esecuzione alla convenzione europea sulla responsabilità degli albergatori). All'origine della controversia la ricorrente sottrazione di capi d'abbigliamento '(per lo più pellicce) o altri beni di valore, che si verifica negli alberghi, o negli esercizi assimilati ex art. 1786 c.c., ove « il frequentatore è solito effettuare un minimo di permanenza, ripo nendo soprabito, cappello, borsa, ecc. » (in questi termini, con riferi mento ad un parrucchiere, App. Roma 28 gennaio 1981, Foro it., 1982, I, 828, con nota di richiami).

In particolare, mentre il servizio di guardaroba, espletato mediante rilascio di scontrini numerati, non ha dato luogo a dubbi circa la conclusione di un contratto di deposito — essendo l'eventuale furto direttamente imputabile alla negligenza degli addetti — (cfr., sul punto, Majello, La responsabilità del ristoratore per il furto di un cappotto di pelliccia che il cliente ha consegnato al cameriere [nota ad App. Milano 6 dicembre 1968, id., Rep. 1969, voce Albergo, n. 2], in Foro pad., 1969, I, 1035, e Figlioli, Brevi considerazioni in tema di deposito in ristorante [nota ad App. Milano 19 gennaio 1971, Foro ir., Rep. 1971, voce cit., n. 6], in Giur. it., 1971, I, 2, 490), l'affidamento di un capo di vestiario al gestore del locale od ad un suo preposto, magari in seguito ad un loro esplicito invito, è stato in molti casi considerato insufficiente in vista della costituzione di un obbligo di custodia, nel presupposto che lo stesso possa sorgere solo in forza di un « univoco accordo » da cui risulti una chiara volontà delle parti in tai senso (cosi Cass. 14 aprile 1972, n. 1195, Foro it., Rep. 1972, voce cit., n. 3; App. Milano 19 gennaio 1971, cit., e 6 dicembre 1968, cit., annotata anche da Visco, Responsabilità del gestore di trattoria per gli indumenti consegnati dai clienti, in Nuovo diritto, 1970, 50; Pret. Parma 15 aprile 1972, Foro it., Rep. 1973, voce cit., n. 10, secondo cui dalla predisposizione di un vano autonomo fornito di attaccapanni non è lecito desumere, nel caso il cliente lo utilizzi, la conclusione di un accordo.

Su una tale direttiva, che ha come immediata conseguenza quella di « degradare la consegna a semplice introduzione della cosa nel locale »

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con atto del 23 aprile 1977 Marisa Marzo conveniva innanzi al Tribunale di Brescia Virgilio Sterza ed esponeva che il giorno 6 marzo detto si era recata nell'esercizio dello stesso in Sirmione, l'albergo ristorante « Vec chia dogana », per consumare il pasto unitamente ad alcuni familiari e amici. All'ingresso il titolare dell'esercizio aveva invi tato tutti i clienti a depositare in guardaroba cappotti e pellicce, ma a tale invito avevano aderito soltanto gli uomini mentre essa ed una sua amica erano entrate in sala indossando le relative

pellicce; poco dopo, su invito di un cameriere, si erano liberate delle pellicce consegnandole allo stesso. Alla fine del pranzo verso le ore 14, mentre stavano per uscire, avevano constatato che mancava la sua pelliccia, una giacca di visione americano a suo

tempo pagata lire 1.800.000. Epperò, essendo rimasta vana la richiesta di risarcimento, chiedeva che lo Sterza fosse condannato a tale titolo al pagamento di lire 2.700.000 oltre la svalutazione monetaria e gli interessi.

Resisteva a tale pretesa il convenuto negando di essere obbliga to al risarcimento dacché la richiedente non gli aveva consegnato la pelliccia, della quale per altro ignorava il valore perché la

custodisse; in ogni caso il risarcimento non poteva andare oltre il limite massimo previsto dall'art. 1784 c.c.

Esauritasi l'istruttoria, l'adito tribunale con sentenza del 10

luglio 1980 accoglieva la domanda per lire 3.899.000 compresa la

rivalutazione, oltre gli interessi legali. Su appello del soccombente la Corte di Brescia, con sentenza

ora denunziata del 1° luglio 1981, in riforma dell'impugnata decisione, limitava l'idennizzo risarcitorio a lire 200.000 avendo ritenuto che la fattispecie si inquadrasse nello schema dell'art.

1784, 1° comma, c.c. dacché era da escludersi che la Marzo avesse consegnato la pelliccia in « custodia » e che di conseguen za sul titolare del ristorante ricadesse la responsabilità illimitata ex art. 1783 c.c.

Per l'annullamento di tale sentenza ha proposto ricorso la

soccombente, deducendo tre motivi, illustrati con memoria. Resi ste mediante controricorso lo Sterza.

Motivi della decisione. — Con i primi due motivi, da trattarsi

congiuntamente perché connessi, deducendosi difetto di motiva zione nonché confusione ed erronea interpretazione degli art. 1783 e 1784 c.c. (nel testo dell'epoca dei fatti) in relazione all'art.

360, nn. 3 e 5, c.p.c., si lamenta che la corte di Brescia: da un lato abbia non sempre ricostruito i fatti con la dovuta precisione, dall'altro abbia equivocato nel concetto di consegna pretendendo al riguardo una formale manifestazione di volontà che consentisse univocamente di ritenere che quella consegna era finalizzata alla custodia della pelliccia.

(cosi Mastropaoi.o, Jl deposito in albergo, in Trattato, diretto da Rescigno, 12, Torino. 1985, 563, e Bonilini, in Nuove leggi civ., 1979, 134) nonché quella di ridurre la responsabilità nei limiti previsti dall'art. 1783, ult. cpv., si sono appuntate per tempo critiche penetran ti; in specie, si è denunciata l'inadeguatezza di una prospettiva che, colpevolizzando gli avventori per non aver sollecitato il consenso (o il rifiuto) del titolare circa la custodia del bene, da un lato trascura di valutare l'apparentia ìuris connessa alla presenza di attaccapanni in sala (o in luogi appositi) o ai premurosi inviti formulati dai camerieri, dall'altro evita di indagare sulla sufficienza della traditio a perfeziona re, secondo quanto lascia intendere il dato normativo, il rapporto di deposito (cfr. Bonilini, cit., 134, che si richiama pure al principio della buona fede in executivis; Figlioli, cit., 491, a cui dire la

presenza di piantane e l'invito del camerire costituiscono un'offerta in incertam personam, accettata dal cliente nel momento in cui il vestito è appoggiato sulla prima ovvero consegnato al secondo; Majello, cit., 137).

Avallando l'orientamento testé cennato, la corte di legittimità esclude che, ai fini della conclusione di un contratto di deposito, il cliente debba farsi carico di prendere informazioni sul luogo di custodia e la relativa sicurezza ovvero segnalare il valore dell'oggetto consegnato (da ritenersi, nel caso di una pelliccia, in re ipsa), bastando la mera traditio a persone che, per la loro qualificazione, diano sufficienti

garanzie di serietà nella custodia. In questo senso v. App. Venezia 3 mar zo 1972, Foro it., Rep. 1973, voce cit., n. 8, e Pret. Milano 9 dicembre

1972, ibid., n. 9, che ha ritenuto « depositata » la pelliccia riposta dal ristoratore in un locale munito di attaccapanni, e Cass. 27 aprile 1984, n. 2633, id., Rep. 1984, voce cit., n. 16, che considera l'albergatore responsabile ex art. 1784 per tutte le cose comunque portate in

albergo (ma la direttiva appare fortemente condizionata dalla particola rità della fattispecie).

Infine, per quanto attiene alla tematica del deposito di autoveicoli

che, per le sue implicazioni, ha dato luogo a sviluppi affatto particola ri, v. Trib. Salerno 5 febbraio 1984, ibid., n. 15 e Cass. 27 maggio 1982, n. 3288, id., 1982, I, 2479, con nota di S. Di Paola, cui adde,

Mastropaolo, cit., 565 s., non senza ricordare che la materia del

contendere è venuta meno con l'introduzione ad opera della 1. 316/78 dell'art. 1785 quinquies c.c.

Il Foro Italiano — 1986.

Le censure sono nel complesso fondate. Quanto all'esposizione dei fatti si può dire che essa, pur nella sua sostanziale aderenza alla realtà processuale (che non può dirsi presenti travisamento

alcuno) rivela l'inconsapevole preoccupazione del collegio di sot tolineare al limite della dialettica il comportamento della Marzi

in funzione del principio ricavato dalla massima della sentenza di

questa Corte di cassazione (14 aprile 1972, n. 1195, Foro it., Rep. 1972, voce Albergo, n. 3) secondo cui « la consegna in custodia di cui all'art. 1783 c.c. deve essere effettuata allo scopo specifico di custodia e presuppone quindi un accordo univoco delle parti non ravvisabile nella mera dazione della cosa, non qualificata da una espressa dichiarazione di volontà ».

Fuorviato da codesta « massima » che peraltro non costituiva un principio di diritto e che del resto non si attagliava alla

fattispecie per la portata della sentenza alla quale si riferiva, il

collegio della corte di Brescia ha erroneamente ipotizzato un tipo di consegna accompagnato da modalità formali da parte dei

contraenti che non sono richieste dalla legge. All'uopo occorrendo

che la consegna della cosa all'albergatore avvenga in un contesto che ne dimostri chiaramente la finalità della custodia. Il che nel

caso in esame non pare possa negarsi sia avvenuto dacché

l'affidamento della pelliccia al cameriere da parte della Marzi si è

svolto con modalità che valgono ad escludere che la consegna sia

avvenuta a fini diversi dalla custodia. Anzi, a ben guardare, essa

consegna rappresenta un momento ulteriore della consegna dei

soprabiti fatta all'ingresso dagli uomini nelle mani del titolare

dell'esercizio per essere custoditi nel guardaroba: infatti, entrata

in sala e non potendo sopportare il caldo ivi esistente, la Marzi

non ebbe difficoltà ad aderire all'invito del cameriere (dipendente del titolare responsabile per lui, art. 1228 e 2049 c.c.) consegnan do allo stesso la pelliccia, ovviamente perché fosse custodita alla

pari dei soprabiti maschili. In tale ovvietà vi è l'assoluta univoci

tà del comportamento della Marzi alla quale giustamente dovette

ro sembrare superflue raccomandazioni e specificazioni di sorta.

E tali dovettero sembrare anche al cameriere, che nel riceversi

la pelliccia, del resto da lui medesimo richiesta nella qualità di

dipendente del titolare dell'esercizio, non fece altro che portarla fuori dalla sala per custodirla.

Che poi nell'uscire dal ristorante la Marzi abbia dimostrato di

conoscere il posto ove la pelliccia era stata messa è circostanza

del tutto irrilevante ai fini per i quali è stata valorizzata, non

potendosi da essa dedurre alcun elemento di ambiguità in ordine

all'intento delle parti di ritenere l'affidamento in custodia.

Sicché ha effettivamente errato la corte di Brescia nel pretende re dalla Marzi un comportamento al quale la stessa non era

tenuta (informarsi, cioè, del luogo ove la pelliccia sarebbe stata

custodita, fare raccomandazioni al cameriere segnalandogli il

valore dell'indumento, ecc.) all'uopo bastando la consegna ad una

persona — il cameriere — che per la sua qualificazione non

poteva non dare affidamento di accortezza e di prudenza nel

custodire la pelliccia. Non si giustifica, pertanto, il convincimento della corte del merito che ha ritenuto di escludere « la sussistenza

nel caso di specie di un accordo univoco delle parti in relazione

alla consegna in custodia della pelliccia de qua ».

Quanto al terzo motivo esso è chiaramente subordinato al

mancato accoglimento dei primi due, riguardando la rivalutazione e gli interessi relativamente alla somma accreditata di lire

200.000; epperò esso deve dichiararsi assorbito una volta accolti i

primi due motivi. Pertanto la sentenza va cassata con rinvio della causa per

nuovo esame ad altro giudice che si uniformerà ai principi giuridici innanzi enunciati. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 9 agosto 1985, n. 4413; Pres. Zappulli, Est. Tilocca, P. M. Paolucci

(conci, parz. diff.); Soc. Unica assicurazioni {Avv. Gentile,

Operamolla) c. Tumminia. Conferma App. Palermo 14 giugno 1982.

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione obbligatoria —

Condanna dell'assicuratore a sanzione amministrativa in favore del fondo di garanzia per le vittime della strada — Ricorso

per cassazione — Legittimazione passiva (Cod. proc. civ., art.

360; d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivan te dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, art. 3; 1. 26 febbraio 1977 n. 39, conversione in legge, con modifica

zioni, del d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, art. unico).

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