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sezione III civile; sentenza 20 dicembre 1985, n. 6549; Pres. Scribano, Est. Schermi, P. M.Benanti (concl. conf.); La Lomia (Avv. Iannotta) c. Banca popolare di Palermo (Avv. Mereu,Maisano). Conferma Trib. Agrigento 23 luglio 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2225/2226-2231/2232Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180653 .
Accessed: 28/06/2014 08:17
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
risolutivo in deroga alla normativa generale dell'affitto a non
coltivatore diretto.
Né, d'altro canto, il giudice del merito può trovare sostegno al suo contrario assunto in una pretesa non spiegabile disparità di
trattamento del rapporto del conduttore non coltivatore diretto,
imprenditore agricolo a titolo principale, a seconda della vendita o meno del fondo ad un coltivatore diretto, derivandone — a suo
dire — che nel caso di vendita di detto affittuario avrebbe diritto
in pregiudizio dell'acquirente coltivatore diretto ad un ulteriore
quindicennio di vigenza del rapporto a differenza del caso ordi
nario in cui tale vendita non avvenga, atteso che è proprio in
relazione alla decorrenza della durata del rapporto in corso per il
detto caso di vendita del fondo che da parte di quel giudice non
si è saputo individuare la esatta volontà espressa dal legislatore nella norma in esame.
Infatti, mentre va ancora ricordato che al di fuori dell'evenien za della vendita del fondo a norma del 4° comma dell'art. 1 1.
del 1966 il rapporto di affitto del conduttore non coltivatore
diretto, che sia imprenditore agricolo a titolo principale, rientra
quanto alla disciplina sia della durata che del relativo computo nella regola generale dettata dal riferito 1° comma dell'art. 22, deve prendersi atto che per la detta evenienza, cioè nel caso
della specifica vendita del fondo, il legislatore nella seconda
proposizione del 2° comma dell'art. 2 detta una precisa regola mentazione soltanto della durata del contratto in corso relativo al
fondo alienato, ancorandola espressamente alla durata minima dei
rapporti di affitto a coltivatore diretto, ma non indica in alcun
modo il criterio di computo di tale durata sicché in mancanza di
una diversa specifica disciplina il detto criterio non può non
rinvenirsi in quello generale approntato dal 1° comma dell'art. 22
(dalla data dell'ultima convenzione scritta ovvero dell'ultima rin
novazione o proroga).
Invero, va ritenuto che al riguardo non può trovare applicazio ne — come apoditticamente ha ritenuto il giudice d'appello —
la decorrenza dall'entrata in vigore della 1. n. 203 del 1982, atteso
che questa non trova sostegno nella disciplina espressa dal
legislatore dovendosi rilevare che non si è adottata per la
fattispecie normativa del 2° comma dell'art. 22 l'intera disciplina dell'art. 2 della stessa legge per la durata dei contratti dei
coltivatori diretti con il mero rinvio al detto art. 2, sussumendone
cosi con l'intero contenuto anche quella decorrenza dei rapporti dall'entrata in vigore della relativa legge, bensì si è espressamente limitata l'operatività di quella normativa dell'art. 2 con la lettera
le enunciazione della durata minima dei contratti da quella norma disciplinati e cosi della sola incidenza di tale durata nel
rapporto in corso del conduttore non coltivatore diretto, impren ditore agricolo a titolo principale, per la specificata ipotesi di vendita del fondo da lui condotto, con l'insuperabile conseguenza che tale durata del rapporto, non diversamente regolata in modo
specifico quanto al suo computo, non poteva non trovare il suo
parametro al riguardo che nella riferita regola generale che il 1° comma dell'art. 22 detta per l'affitto a conduttore non coltivatore diretto.
Quindi tale delineata interpretazione del 2° comma dell'art. 22 1. n. 203 del 1982 — che va conclusivamente ribadita — nel senso che il contratto di affitto a conduttore non coltivatore diretto che sia imprenditore agricolo a titolo principale, mentre
trova la sua disciplina generale nel 1" comma dell'art. 22, soltanto nell'ipotesi di vendita del fondo, nei casi indicati al 4°
comma dell'art. 1 1. n. 606 del 1966, non è soggetto alla risoluzione anticipata prevista da detta legge del 1966, ed ha durata — quanto al contratto in corso — non inferiore a quella prevista per l'affitto a coltivatore diretto ma con decorrenza dall'ultima convenzione scritta ovvero dall'ultima rinnovazione o
proroga di essa; tale interpretazione — si diceva — nel battere in
breccia quell'argomento, che ha sostenuto la diversa interpreta zione del guidice del merito, rivela un armonico disegno del
legislatore nella disciplina del rapporto di affitto a conduttore non
coltivatore diretto coerente con il favore riservato alle posizioni
giuridiche fondate sul lavoro anche in relazione a quella figura di
imprenditore agricolo a titolo principale (art. 12 1. 9 maggio 1975
n. 153) che il detto conduttore può assumere accentuando la
preponderante attività di lavoro personale nel fondo e di conse
guente suo reddito.
Orbene, a tale interpretazione del 2° comma dell'art. 22 1. n.
203 del 1982 non si è conformato il giudice del merito nella
decisione della controversia relativa alla cessazione per scadenza
del termine legale del contratto di affitto dei terreni dei ricorrenti
condotti dal Casadio quale non coltivatore diretto, imprenditore
agricolo a titolo principale, e per i quali non si era verificata
l'ipotesi di vendita di cui al 4° comma dell'art. 1 1. n. 606 del
1966, sicché ne consegue, con l'accoglimento per quanto di
ragione del ricorso proposto dai Carra e Bigiarini, la Cassazione
della detta decisione ed il rinvio della causa alla stessa sezione
specializzata agraria della Corte d'appello di Firenze perché proceda ad un nuovo giudizio attenendosi ai principi di diritto
enunciati. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 20 dicembre 1985, n. 6549; Pres. Scribano, Est. Schermi, P.M. Benanti (conci, conf.); La Lomia (Avv. Iannotta) c. Banca
popolare di Palermo (Avv. Mereu, Maisano). Conferma Trib.
Agrigento 23 luglio 1981.
Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Esecuzione immobiliare — Pignoramento successivo — Riunione dei pro cedimenti — Competenza (Cod. proc. civ., art. 561, 617).
Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie — Espropriazione di beni indivisi — Possibilità di separazione delle quote in
natura — Divisione — Inammissibilità (Cod. proc. civ., art.
599, 600).
Il provvedimento che dispone la riunione dei procedimenti esecu
tivi promossi da diversi creditori sullo stesso bene ha natura
ordinatoria e non di atto esecutivo (o di atto a questo
preliminare) il cui compimento sia attribuito dalla legge esclu
sivamente al giudice dell'esecuzione; la riunione pertanto può essere disposta anche dal tribunale, adito con opposizione ex
art. 617 c.p.c., preliminarmente alla decisione sulla questione della quale è stato investito; e a ciò non osta l'omessa menzione del primo pignoramento nella nota di trascrizione del pignora mento successivo. (1)
Nell'espropriazione di beni indivisi, prima di disporre la divisione
a norma del codice civile, occorre accertare se è possibile
separare la quota in natura spettante al debitore esecutato. (2)
Svolgimento del processo. — Con atto in data 13 marzo 1978
la Banca popolare di Palermo pignorava i seguenti beni in danno
del suo debitore Ferdinando La Lomia nei limiti della quota a
questi spettante: a) un terreno di ha. 36.49.10, sito nel territorio
del comune di Canicatti, riportato in catasto alla partita 11936, fo
glio 28, appartenente per la metà indivisa al debitore esecutato e per l'altra metà al suo germano Gioacchino La Lomia; b) un terreno
di ha. 44.28.40, sito nel territorio del comune di Canicatti,
riportato in catasto alla partita 7548, fogli 24 e 12, appartenente
(1) Il problema affrontato con la sentenza in epigrafe consiste nello stabilire se soltanto il giudice dell'esecuzione possa disporre la riunione dei procedimenti esecutivi originati da distinti pignoramenti sullo stesso bene oppure se in tal senso possa provvedere, d'ufficio, anche il tribunale investito di una opposizione agli atti. La questione presuppo ne naturalmente il mancato funzionamento del meccanismo previsto dall'art. 561 c.p.c. per rendere possibile l'immediata riunione dei
pignoramenti. Non si riscontrano precedenti specifici. Sull'obbligo del giudice dell'esecuzione, in ipotesi di due procedi
menti esecutivi originati da due distinti pignoramenti sullo stesso bene, di provvedere, su iniziativa di parte o anche d'ufficio, alla loro riunione, v. Cass. 12 giugno 1973, n. 1703, Foro it., 1973, I, 3380
(dove il giudice dell'esecuzione era venuto a conoscenza dei pignora menti successivi in sede di opposizione agli atti esecutivi) e Cass. 28 marzo 1965, n. 751, id., 1965, I, 2081.
In dottrina Tarzia, L'oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961, 538 ss., sostiene che, quando non opera il meccanismo previsto dall'art. 561 c.p.c. per ottenere la riunione dei pignoramenti successivi sullo stesso bene, occorre distinguere: a) se i processi esecutivi pendono davanti allo stesso ufficio giudiziario il giudice, anche d'ufficio, ne dispone la riunione (ex art. 273 c.p.c.); b) se i processi pendono davanti a uffici giudiziari diversi, si applica l'art. 39 c.p.c. Conforme
Verde, Pignoramento in generale, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1983, XXXIII, 792.
(2) In senso conforme v. Cass. 8 gennaio 1968, n. 44, Foro it., 1968, I, 1597.
In dottrina è pacifico che il giudice debba disporre, se possibile, la separazione in natura; più problematica è invece la questione (risolta dalla dottrina prevalente in senso negativo) se la separazione possa essere ordinata anche senza l'accordo di tutti i contitolari. Sul tema v. Tarzia, Espropriazione di beni indivisi, voce del Novissimo digesto, Torino, 1960, 890 ss.; Grasso, Espropriazione di beni indivisi, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1966, XV, 798; Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1957, III, 283.
Il Foro Italiano — 1986.
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2227 PARTE PRIMA 2228
per la metà indivisa al debitore, esecutato e per l'altra metà al suo
germano Gioacchino La Lomia; c) un terreno di ha. 70.57.42, sito nel territorio del comune di Canicatti, riportato in catasto alla
partita 12822, foglio 29, appartenente per un quinto al debitore esecutato e per il resto ai suoi germani Gioacchino, Maria
Addolorata, Gabriella e Rosanna La Lomia. Nel processo esecutivo, pendente davanti al Tribunale di Agri
gento con il numero di ruolo 23/78, intervenivano Maria An tonietta Battaglia, Maria Marsala, la s.p.a. Banca Sicula ed Armando Feo. Partecipavano al processo i comproprietari Gioac
chino, Maria Addolorata, Gabriella e Rosanna La Lomia.
Le creditrici intervenute Maria Antonietta Battaglia e Maria Marsala dichiaravano che avevano pignorato, in danno dei loro debitori solidali Ferdinando e Gioacchino La Lomia, gli stessi terreni indicati alle lett. a) e b), iniziandosi davanti allo stesso tribunale il processo esecutivo iscritto al ruolo con il numero
32/78, e chiedevano la riunione dei due pignoramenti. Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza 5 dicembre 1980,
disponeva che si procedesse a divisione, secondo le norme del codice civile, della quota dei beni indivisi spettante al debitore
esecutato Ferdinando La Lomia, ordinava sospendersi il processo esecutivo ed assegnava alle parti il termine di tre mesi per la
proposizione del relativo giudizio.
Con ricorso al giudice dell'esecuzione in data 16 dicembre 1980
la Banca popolare di Palermo proponeva opposizione agli atti
esecutivi avverso la detta ordinanza deducendo, tra l'altro, che il
giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto disporre la separazione delle quote in natura o quanto meno la divisione, ai sensi
dell'art. 181 disp. att. c.p.c., provvedendo alla immediata istruzio
ne della causa davanti a sé essendo presenti tutti gli interessati.
Convocate le parti, si costituivano le creditrici intervenute Maria Antonietta Battaglia e Maria Marsala, le quali si associava no alla proposta opposizione e chiedevano dichiararsi che, previa riunione dei due procedimenti esecutivi come per legge, doveva essere ordinata la vendita degli immobili in proprietà indivisa dei
debitori esecutati Ferdinando e Gioacchino La Lomia, nonché
costoro e gli altri comproprietari, i quali chiedevano il rigetto
dell'opposizione.
Il Tribunale di Agrigento cosi decideva, tra l'altro per quanto
qui interessa, con sentenza 27 luglio 1981: 1) ordinava, ai sensi
dell'art. 561 c.p.c., la riunione del procedimento esecutivo recante
il numero di ruolo 32/78 a quello recante il numero di ruolo
23/78; 2) disponeva che il giudice dell'esecuzione: a) procedesse alla vendita con incanto, fissandone le modalità, delle porzioni di
terreno riportate in catasto alle partite 11936 foglio 28 e 7548 fogli 16 e 24, in proprietà indivisa di Ferdinando e Gioacchino La Lo
mia; b) ordinasse la sospensione della rimanente parte dell'esecu
zione provvedendo, ove possibile, alla separazione della quota in
natura spettante a Ferdinando La Lomia, debitore esecutato, sul
terreno riportato in catasto alla partita n. 12822 foglio 29 di com
proprietà dei germani La Lomia; 3) dichiarava interamente com
pensate fra le parti le spese del giudizio.
Il Tribunale di Agrigento, rilevato che il pignoramento, in cui
si era convertito il sequestro conservativo, in danno di Ferdinan
do e Gioacchino La Lomia, debitori solidali, aveva per oggetto i
medesimi terreni indicati ai n. 1 e 2 del pignoramento eseguito in
danno di Ferdinando La Lomia in ragione della metà indivisa, considerava che, ad integrazione della omissione da parte del
giudice dell'esecuzione, doveva essere ordinata la riunione del
procedimento esecutivo n. 32/78 al procedimento esecutivo n.
23/78, senza alcun pregiudizio per la successiva fase di distribu
zione, osservando che, al fine della riunione, era ininfluente
l'omessa menzione del pignoramento successivo nella nota di
trascrizione da parte del conservatore dei registri immobiliari.
In conseguenza della disposta riunione, il tribunale osservava
che l'opportunità della divisione, correttamente prospettata nel
l'ordinanza del giudice dell'esecuzione come utilità oggettiva per l'intrinseca maggiore appetibilità commerciale di quote separate a
quelle indivise, poteva essere condivisa limitatamente al terreno
(esteso ha. 70.57.42, partita 12822, foglio 29) di cui erano
comproprietari tutti i germani La Lomia, con l'usufrutto del
genitore Nicolò. Quanto agli altri due terreni, di cui erano
comproprietari i germani Ferdinando e Gioacchino La Lomia, debitori solidali nei confronti di Maria Antonietta Battaglia in
Madia, osservava che, essendo inutile ed inammissibile procedere alla divisione, dovevano essere posti immediatamente in vendita
ai pubblici incanti. Osservava, poi, che il giudice dell'esecuzione,
proprio per le ragioni prospettate nell'ordinanza impugnata, a
vrebbe dovuto provvedere alla separazione di un quinto della
nuda proprietà del terreno di cui erano comproprietari tutti i
germani La Lomia con l'usufrutto del padre o in subordine, in caso di obiettiva e documentata impossibilità di separazione in
natura, avrebbe dovuto provvedere egli stesso alla divisione, a
norma dell'art. 181 disp. att. c.p.c., sussistendo la competenza dell'ufficio e la presenza di tutti gli interessati.
Avverso questa sentenza Gioacchino e Ferdinando La Lomia hanno proposto ricorso per cassazione deducendo due motivi. La Banca popolare di Palermo resiste con controricorso. Gli altri intimati non si sono costituiti.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 484, 617, 618 e 112 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motiva zione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., lamentano che il Tribunale di
Agrigento abbia disposto la riunione dei due procedimenti esecu tivi sostituendosi illegittimamente al giudice dell'esecuzione: sa
rebbe spettato a tale giudice monocratico, che ha la direzione
dell'esecuzione, provvedere sull'istanza di riunione; e soltanto a
seguito di eventuale opposizione agli atti esecutivi promossa dagli interessati il Tribunale di Agrigento avrebbe potuto esaminare la
questione. Il motivo è infondato. Nell'espropriazione forzata immobiliare,
per la norma di cui all'art. 561 c.p.c., dopo l'esecuzione di un
pignoramento su di un immobile, mediante notificazione del
relativo atto seguita dalla trascrizione, se viene eseguito un altro
successivo pignoramento sullo stesso immobile, il conservatore dei
registri immobiliari, effettuata la trascrizione del secondo pigno ramento, deve fare menzione, nella relativa nota, del precedente pignoramento, e l'atto di pignoramento, depositato in cancelleria, deve essere inserito nel fascicolo formato in base al primo pignoramento; conseguendone che si svolge una unitaria esecu zione per espropriazione forzata in relazione all'unico immobile, nella quale il creditore pignorante successivo ha la qualità di
interventore, tempestivo o tardivo a seconda che il suo pignora mento sia stato eseguito prima o dopo l'udienza fissata, in
relazione al primo pignoramento, per la determinazione del tempo e della modalità della vendita.
La riunione dei due pignoramenti in una unica esecuzione per
espropriazione forzata è, dunque, un effetto automatico diretta
mente, disposto dalla legge, una realtà giuridico-processuale che
deve essere, per la cui attuazione in concreto sono strumento
principale l'annotazione, da parte del conservatore dei registri immobiliari, del primo pignoramento nella nota di trascrizione
relativa al pignoramento successivo e strumento conseguenziale l'inserimento, ad opera del cancelliere, dell'atto di pignoramento successivo nel fascicolo formato in base al primo pignoramento.
Qualora sia mancata, per qualsiasi ragione, l'attuazione in
concreto, a mezzo dei detti strumenti, della realtà giuridico-pro cessuale che deve essere quale effetto automatico direttamente
disposto dalla legge, consistente nella riunione dei due pignora menti in un'unica esecuzione per espropriazioni forzate, il giudice dell'esecuzione, rilevata l'esistenza di più pignoramenti l'uno al
l'altro successivi eseguiti da creditori diversi sullo stesso immobi
le, e perciò rilevata la realtà giuridico-processuale che deve essere
e che non ha avuto attuazione concreta per difetto di uno degli strumenti prestabiliti, deve dar corso all'attuazione concreta della
rilevata realtà giuridico-processuale impartendo le disposizioni necessarie.
Si tratta di attività ordinatoria che rientra nel generale potere dovere di direzione del processo esecutivo per espropriazione forza ta attribuito al giudice dell'esecuzione dalla norma di cui all'art.
484 c.p.c. Ma è un'attività ordinatoria che non consiste nel compi mento, da parte del giudice dell'esecuzione, di un atto esecutivo o di un atto a questo preliminare in quanto strutturante, necessa riamente o facoltivamente, una fase dell'espropriazione che si
chiude con un atto esecutivo: atto esecutivo, od atto a questo preliminare, il cui compimento è attribuito dalla legge esclusiva mente al giudice dell'esecuzione, salvo il controllo del tribunale, sotto il profilo della legittimità ed anche dell'opportunità, a
seguito di opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta da un interessa to. Non è un atto che incide (o preparatorio di un atto che
incida) sulla situazione soggettiva del debitore esecutato in ordine
all'immobile pignorato nella progressione espropriativa finalizzata al trasferimento coattivo ad altri del diritto reale su tale bene; essendo infatti atti esecutivi (e preliminari quelli rispetto ad essi
preparatori) compiuti dal giudice dell'esecuzione con quell'inci denza soggettiva l'ordinanza che dispone la vendita forzata (o
l'assegnazione forzata), l'aggiudicazione provvisoria, l'aggiudica zione definitiva, il decreto di trasferimento dell'immobile espro priato (atti esecutivi compiuti dal giudice della esecuzione, inci
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
denti sulla situazione soggettiva di altri partecipanti all'esecuzione
per espropriazione forzata, sono anche, fra gli altri, l'ordinanza
che dichiara l'inammissibilità dell'intervento di un creditore e
l'ordinanza che dichiara la decadenza dell'aggiudicatario per man cato versamento del prezzo nel termine fissato nell'ordinanza che ha disposto la vendita).
Escluso che si tratti di un atto esecutivo ed esclusa, in
conseguenza, l'attribuzione del potere-dovere di compierlo al solo
giudice dell'esecuzione, ne deriva che il tribunale, adito con
l'opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta da un soggetto (legittima to) del processo esecutivo avverso un atto esecutivo deducendone
la legittimità (o la inopportunità), può rilevare, preliminarmente ed ai fini della decisione sulla questione sollevata, la realtà
giuridico-processuale che deve essere quale effetto automatico
direttamente disposto dalla legge, cioè la riunione dei due pigno ramenti in un'unica espropriazione forzata, e, conseguentemente,
impartire le disposizioni necessarie per l'attuazione concreta della
realtà giuridico-processuale.
Nella specie, erano stati pignorati separatamente da creditori
diversi prima, in danno di Ferdinando La Lomia, i terreni
riportati in catasto alla partita 11936 foglio 28 ed alla partita 7548 fogli 24 e 12, di cui erano comproprietari per quote indivise
uguali i germani Ferdinando e Gioacchino La Lomia, limitata
mente alla quota spettante al primo, e poi, in danno di entrambi
i detti germani, i medesimi terreni (come si è visto nella
precedente narrativa, il primo pignoramento era stato eseguito anche sulla quota indivisa di un quinto spettante a Ferdinando
La Lomia sul terreno riportato in catasto alla partita 12822 foglio
29, le cui altre quote indivise spettavano ai germani Gioacchino, Maria Addolorata, Gabriella e Rosanna La Lomia). Ma i due
pignoramenti, aventi per oggetto gli stessi immobili, non erano
stati riuniti in concreto in un unico processo esecutivo, perché, come risulta dalla sentenza impugnata, il conservatore dei registri immobiliari, eseguita la trascrizione del secondo pignoramento, aveva omesso di menzionare nella relativa nota il primo pigno ramento.
Ed allora, per le ragioni esposte sopra, il Tribunale di Agrigen to, adito dalla prima creditrice pignorante con l'opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza con la quale il giudice dell'ese cuzione aveva disposto la divisione anche dei terreni riportati in catasto alla partita 11936 foglio 28 ed alla partita 7548 fogli 24 e 12 (oltre che del terreno riportato in catasto alla partita 12822
foglio 29), preliminarmente doveva rilevare, ed ha rilevato, la realtà giuridico-processuale che doveva essere quale effetto auto matico direttamente disposto dalla legge e, conseguentemente, doveva impartire, ed ha impartito, le disposizioni necessarie per l'attuazione concreta della realtà giuridico-processuale, ordinando la riunione del procedimento esecutivo recante il numero di ruolo
32/78, relativo al secondo pignoramento, a quello recante il numero di ruolo 23/78, relativo al primo pignoramento.
Rilevata, disponendone l'attuazione in concreto, la realtà giuri dico-processuale di riunione dei due pignoramenti, aventi per oggetto i due terreni di cui erano comproprietari i germani Ferdinando e Gioacchino La Lomia, in un'unica espropriazione forzata, ne deriva che questa aveva luogo nei confronti di entrambi i comproprietari; per cui, non ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 599 c.p.c., non era da disporre la divisione dei terreni, dei
quali doveva essere ordinata la vendita, come, infatti, ha disposto il Tribunale di Agrigento.
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 600, 484, 617 e 618 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., lamentano che il Tribunale di Agrigento: a) abbia illegittimamen te esercitato il potere discrezionale attribuito dal 2° comma dell'art. 600 c.p.c. al giudice dell'esecuzione, mentre, adito con
l'opposizione agli atti esecutivi — vertente esclusivamente sulla
regolarità formale dei singoli atti dell'esecuzione e comportante un giudizio di mera legittimità circoscritta alla contestazione o meno della regolarità formale degli atti esecutivi —, avrebbe
dovuto circoscrivere il suo esame alla sola questione se il giudice dell'esecuzione fosse titolare della facoltà di cui alla citata norma
e quindi se nella specie tale norma fosse stata bene applicata; b) sia incorso nel vizio di contraddittorietà di motivazione per avere, da un lato, ritenuto che il giudice dell'esecuzione avesse
operato la scelta di cui all'art. 600 c.p.c. « con adeguata motiva
zione » e, dall'altro, accolto l'opposizione agli atti esecutivi dispo nendo la vendita e revocando l'ordinanza impugnata.
Il motivo è infondato. Per la norma di cui all'art. 600 c.p.c., « il giudice dell'esecuzione, su istanza del creditore pignorante o
dei comproprietari e sentiti gli interessati, provvede, quando è
possibile, alla separazione della quota in natura spettante al
debitore » (1° comma) e, « se la separazione non è possibile, può ordinare la vendita della quota indivisa o dispone che si proceda alla divisione a norma del codice civile » (2° comma). Per la
norma dell'art. 181 disp. att. c.p.c., « il giudice dell'esecuzione,
quando dispone che si proceda a divisione del bene indiviso,
provvede all'istruzione della causa a norma degli art. 175 ss. del
codice, se gli interessati sono tutti presenti e se l'ufficio al quale
egli appartiene è competente per la divisione » (1° comma),
mentre, « se tutti gli interessati non sono presenti o per la
divisione è competente altro giudice, il giudice dell'esecuzione
fissa il termine perentorio entro il quale, a cura della parte più
diligente, deve essere proposta domanda di divisione nelle forme
ordinarie » (2° comma).
Sono, questi, poteri che la legge attribuisce al giudice dell'ese
cuzione, in tale qualità, nell'ambito del potere generale di dire
zione dell'esecuzione per espropriazione forzata. Poteri che si
esercitano con l'emanazione, da parte del giudice dell'esecuzione, di un provvedimento nel processo esecutivo: provvedimento che
è atto esecutivo, perché incidente, nella progressione espropriati va, sulla situazione soggettiva del debitore esecutato in ordine al
bene pignorato, in quanto costitutivo, o preparatorio della costi
tuzione, di una situazione giuridica sostanziale, relativa al bene,
preliminare in funzione della prosecuzione dell'espropriazione. Le citate disposizioni di legge stabiliscono, anzitutto, che il
giudice dell'esecuzione deve accertare se, rispetto ai beni indivisi
sui quali è stato eseguito il pignoramento limitatamente alla
quota astratta spettante al debitore, sia possibile o no la separa zione della quota in natura. Nel caso di accertamento positivo, è
attribuito al giudice dell'esecuzione il potere di operare in concre
to la separazione della quota in natura, cosi incidendo nella
realtà giuridica sostanziale, con la concretizzazione della quota astratta in quel modo operata, quale preliminare in funzione della
prosecuzione dell'espropriazione. Nel caso, invece, di accertamen
to dell'impossibilità (o difficoltà) di operare la separazione in
natura della quota spettante al debitore, il potere è attribuito
dalla legge al giudice dell'esecuzione nel senso di scelta fra i due
provvedimenti alternativi; può ordinare la vendita della quota indivisa, così mantenendo lo stato di comunione, nel quale, a
seguito della espropriazione, al debitore esecutato sarà sostituito un terzo nella titolarità del diritto reale di comproprietà limitato alla quota astratta; e può disporre che si proceda alla divisione fra i comproprietari, emanando, quale giudice dell'esecuzione e
perciò nell'ambito del processo esecutivo, il provvedimento neces sario per l'inizio del processo di divisione. E tale provvedimento necessario è specificato dalla legge: se l'ufficio al quale appartie ne il giudice dell'esecuzione è competente per la divisione e se
nel processo esecutivo sono presenti tutti gli interessati, il giudice dell'esecuzione deve disporre l'inizio davanti a sé della trattazione
ed istruzione della causa di divisione, acquisendo la veste di
giudice istruttore; se manca la competenza di detto ufficio o se, sussistendo la competenza, non sono presenti, nel processo ese
cutivo, tutti gli interessati, il giudice dell'esecuzione deve di
sporre l'inizio del processo di divisione con il compimen to, ad opera della parte più diligente, dell'atto introduttivo di esso davanti al giudice competente ovvero davanti all'ufficio al
quale egli appartiene, se competente, fissando il termine perento rio per il compimento dell'atto.
Sono cosi determinati dalla legge i modi ed i limiti entro i
quali il giudice dell'esecuzione può esercitare il potere attribui
togli con l'emanazione del provvedimento, che è atto esecutivo. Modi e limiti che il giudice dell'esecuzione è tenuto ad osservare e che si traducono, perciò, in condizioni di legittimità del
provvedimento atto esecutivo. Ed in caso di inosservanza di quei modi e limiti, l'atto esecutivo illegittimo può essere impugnato
dagli interessati con l'opposizione di cui all'art. 617 (nell'espro priazione immobiliare) davanti al tribunale, il quale ha il potere di sindacarlo sotto il profilo della legittimità.
Nella specie, come si è visto nella precedente narrativa, il
Tribunale di Agrigento ha emesso, con la sentenza impugnata, due provvedimenti: a) ordinata la riunione dei due procedimenti esecutivi recanti i numeri di ruolo 23/78 e 32/78, relativi a
pignoramenti eseguiti sugli stessi terreni appartenenti per quo te indivise uguali ai germani Ferdinando e Gioacchino La
Lomia, il primo debitore esecutato nel procedimento n.
23/78 ed entrambi debitori esecutati nel procedimento n.
32/78, ha disposto che il giudice dell'esecuzione procedesse alla vendita con incanto di quei terreni; b) quanto al terzo terreno, di cui sono comproprietari per quote indivise uguali tutti i germani
Il Foro Italiano — 1986 — Parte 1-145.
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2231 PARTE PRIMA 2232
La Lomia e rispetto al quale era stata pignorata la quota astratta di un quinto spettante al debitore esecutato Ferdinando La
Lomia, ha disposto che il giudice dell'esecuzione ordinasse la
sospensione dell'esecuzione e provvedesse, ove possibile, alla
separazione della quota in natura spettante a Ferdinando La Lomia.
In realtà, ciò che il Tribunale di Agrigento ha rilevato è la
nullità dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione — con la quale era stato disposto che si procedesse a divisione, secondo le norme del codice civile, della quota dei beni indivisi spettante al debitore esecutato Ferdinando La Lomia, era stata ordinata la
sospensione del processo esecutivo (quello recante il numero di
ruolo 23/78) ed era stato fissato il termine (perentorio) per l'inizio (con la notificazione della citazione introduttiva) del
processo di divisione — perché illegittima essendo stata emanata,
per il suo contenuto, in violazione degli art. 599 e 600 c.p.c. e dell'art. 181 disp. att. c.p.c. E tale nullità è stata implicitamente dichiarata, quale presupposto necessario dei due suddetti capi in
cui, in definitiva, si articola il dispositivo della sentenza impugnata.
Riguardo ai due terreni riportati in catasto rispettivamente alla
partita 11936 foglio 28 ed alla partita 7548 fogli 24 e 12, dei
quali sono comproprietari per quote uguali indivise i germani Ferdinando e Gioacchino La Lomia, poiché i due pignoramenti eseguiti da creditori diversi, il primo in danno di Ferdinando La Lomia ed il secondo in danno dei due germani quali debitori
solidali, avevano entrambi per oggetto quei terreni, il Tribunale di Agrigento, rilevava la realtà giuridico-processuale che ne deri vava e disposta la necessaria riunione dei due procedimenti esecutivi, esattamente, non ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 599
c.p.c., ne ha tratto la conseguenza che il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto, e doveva nel prosieguo dell'espropriazione, di
sporre la vendita di quei due terreni.
Riguardo al terreno riportato in catasto alla partita 12822
foglio 29, del quale sono comproprietari per quote indivise i
germani Ferdinando, Gioacchino, Maria Addolorata, Gabriella e
Rosanna La Lomia, pignorato in danno di Ferdinando La Lomia nei limiti della sua quota di un quinto, ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 600 c.p.c., il Tribunale di Agrigento ha esattamente
rilevato che, in applicazione della citata norma e di quella di cui all'art. 181 disp. att. c.p.c., il giudice dell'esecuzione, anziché
disporre la divisione secondo le norme del codice civile as
segnando il termine per la proposizione del relativo giudizio, avrebbe dovuto, e doveva, accertare anzitutto se era possibile la
separazione della quota in natura spettante al debitore esecutato
Ferdinando La Lomia e soltanto in caso di accertata impossibilità di tale separazione avrebbe potuto, e poteva, esclusa la vendita
della quota indivisa, disporre la divisione di quel terreno secondo
le norme del codice civile, ma, sussistendo la competenza del
Tribunale di Agrigento ed essendo presenti tutti gli interessati, avrebbe dovuto, e doveva, nella veste di giudice istruttore, iniziare la trattazione ed istruzione della causa di divisione.
Pertanto, è destituita di fondamento la censura sub a) del
motivo in esame.
Non sussiste, poi, il vizio di contraddittorietà di motivazione
denunciato dai ricorrenti con la censura sub b).
La « adeguata motivazione », rilevata dal Tribunale di Agrigen to nell'ordinanza 5 dicembre 1980 del giudice dell'esecuzione,
riguardava la scelta di cui all'art. 600 c.p.c. operata da tale
giudice disponendo la divisione del terreno riportato in catasto
alla partita 12822 foglio 29 (quanto agli altri due terreni, non
ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 599 c.p.c., nella sentenza impu
gnata si è rilevato che il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto
disporre la vendita) ed escludendo la vendita della quota indivisa.
Ma esattamente quel tribunale ha rilevato — come si è visto —
che, prima di disporre la divisione secondo le norme del codice
civile, il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto accertare la
possibilità o meno della separazione della quota in natura spet tante al debitore esecutato Ferdinando La Lomia e, nel caso di
accertata impossibilità, avrebbe dovuto, nella veste di giudice
istruttore, iniziare la trattazione ed istruzione della causa di
divisione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. {Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 30 novem
bre 1985, n. 5993; Pres. Antoci, Est. Rapone, P. M. Martinel
li (conci, conf.); Banco di Napoli {Avv. Scognamiglio) c.
Gisolfì (Avv. Ventura). Conferma Trib. Venezia 5 maggio 1983.
Elezioni — Componenti i seggi elettorali — Diritto a tre giorni di ferie retribuite — Festività e giorni non lavorativi —
Computabilità — Esclusione (Cost., art. 3, 36; d.p.r. 30 marzo
1957 n. 361, t.u. delle leggi per l'elezione della camera dei
deputati, art. 119).
Ai lavoratori componenti i seggi elettorali spettano tre giorni di
ferie retribuite, tra i quali non sono computabili le festività e i
giorni non lavorativi eventualmente cadenti nel periodo delle
operazioni elettorali, senza che ciò possa far dubitare della
costituzionalità della norma in riferimento agli art. 3 e 36
Cost. (1)
(1) La sentenza riportata costituisce espressione di un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, secondo il
quale le domeniche, le festività infrasettimanali e le giornate comunque non lavorative in connessione di particolare distribuzione dell'orario di lavoro settimanale sono escluse dal computo dei tre giorni di « ferie elettorali », dando luogo ad un corrispondente prolungamento del
periodo feriale, peraltro sostituibile dall'indennità per ferie non godute. Secondo la corte la chiara formulazione dell'art. 119 t.u. delle leggi elettorali non consente, alla stregua dell'art. 12 disp. prel., un'interpre tazione diversa da quella corrispondente al significato letterale della norma: arbitraria, quindi, la ricerca di elementi interpretativi ex adverso desumibili dalla contrattazione collettiva; arbitrario, in partico lar modo, il frequente tentativo di leggere il termine « ferie » come « permesso retribuito » per far consistere il diritto del lavoratore, anziché in tre giorni di ferie, nella dispensa dal lavoro con retribuzio
ne; inconferente, infine, ed estranea a lettera e spirito della norma, ogni concreta valutazione del giudice di merito circa la sufficienza del
riposo goduto dal lavoratore in relazione all'effettiva durata delle
operazioni eletorali cui ha partecipato. Come accennato, trattasi di orientamento pressoché pacifico ed
ormai largamente accettato, salvo sporadiche resistenze, anche d?
giudici di merito: v., da ultimo, Cass. 16 ottobre 1985, n. 5104, Foro
it., Mass., 943; 30 maggio 1985, n. 3280, ibid., 610; 6 febbraio 1985, n. 890, ibid., 191; 29 gennaio 1985, n. 515, ibid., 114; 9 novembre 1984, n. 5679, id., Rep. 1984, voce Elezioni, n. 71; 28 marzo 1984, n.
2060, ibid., n. 72; 20 gennaio 1984, n. 521, ibid., n. 73; 20 gennaio 1984, o. 520, id., 1984, I, 714; Pret. Torino 3 maggio 1984, id., Rep. 1084, voce cit., n. 74; lPret. Milano 30 marzo 1984, ibid., n. 75; Pret. Verona 25 ottobre 1983, ibid., n. 76; Trib. Pisa 24 maggio 1983, /
'
1984, I, 715; in senso contrario v. comunque Pret. Pisa 27 aprile 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 77; Pret. Pontedera 28 ottobre 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 46 (la massima in realtà appare oscura, ma la motivazione è nel senso accennato: vedila in Orient, giur. lav., 1983, 232).
Numerose le questioni di costituzionalità della norma sotto vario profilo sollevate: quelle affrontate dalla riportata sentenza sono sempli cemente « classiche ». Per completezza si può ricordare, sempre in relazione ai medesimi art. 3 e 36 Cost., quella che fa riferimento all'art. 36, 3° comma, per la mancata previsione, in caso di coinciden za delle operazioni con i giorni di riposo settimanale, del diritto al recupero del riposo non goduto o ad un quid pluris economico in funzione compensativa; e quella, più volte proposta, in relazione agli art. 3, 1° comma, e 53, 1° comma, per l'aver posto a carico dei soli datori di lavoro, e non dell'intera collettività, l'onere economico derivante dalla partecipazione dei lavoratori a funzioni pubbliche in occasione delle consultazioni elettorali. Rispettivamente dichiarate non fondate con le sentenze 10 marzo 1981, n. 40, Foro it., 1981, I, 1231 e 8 luglio 1982, n. 124, id., 1983, I, 869, entrambe le questioni sono state di chiarate manifestamente infondate da ultimo con ord. 22 febbraio 1984, n. 47, id., Rep. 1984, voce cit., n. 61.
Nuova e particolarmente interessante, invece, appare la questione sollevata da Pret. Torino, ord. 28 aprile 1982, id., 1983, I, 1193, circa il regime fiscale delineato dall'art. 2 1. 30 aprile 1981 n. 178 in riferimento agli art. 3, 51 e 53 Cost.: la norma impone al datore di lavoro di detrarre dall'imponibile, anziché dalle imposte dovute, le somme corrisposte nei giorni di assenza per lo svolgimento di funzioni elettorali, facendo cosi gravare sul datore medesimo un onere ulteriore rispetto a quello ex art. 51 Cost. Respinta per carenza di motivazione sulla rilevanza dall'ord. 7 febbraio 1984, n. 22, id., Rep. 1984, voce cit., n. 63, la questione sembra meritare qualche riflessione: v. sul punto Arcadio, Sul diritto a tre giorni di ferie retribuite per i dipendenti laboratori pubblici e privati, chiamati a svolgere funzioni elettorali, in Nuova rass., 1984, 223.
Circa il problema della spettanza del beneficio di cui all'art. 119 t.u. cit. ai rappresentanti di lista, la relativa questione di costituzionalità (sollevata da Pret. Pontedera, ord. 16 novembre 1981, ovviamente sul presupposto di una ritenuta inestensibilità per via interpretativa) è stata giudicata infondata da Corte cost. 8 luglio 1982, n. 124, cit., in considerazione della facoltatività dell'ufficio e della qualità di parte ad
Il Foro Italiano — 1986.
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