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sezione III civile; sentenza 20 marzo 1997, n. 2484; Pres. Duva, Est. Marletta, P.M. Lo Cascio...

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sezione III civile; sentenza 20 marzo 1997, n. 2484; Pres. Duva, Est. Marletta, P.M. Lo Cascio (concl. conf.); Daffara (Avv. Solerio) c. Soc. Akzo Coatings e Credito italiano. Conferma App. Milano 10 marzo 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1827/1828-1831/1832 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192020 . Accessed: 28/06/2014 14:07 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.144 on Sat, 28 Jun 2014 14:07:33 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 20 marzo 1997, n. 2484; Pres. Duva, Est. Marletta, P.M. Lo Cascio(concl. conf.); Daffara (Avv. Solerio) c. Soc. Akzo Coatings e Credito italiano. Conferma App.Milano 10 marzo 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1827/1828-1831/1832Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192020 .

Accessed: 28/06/2014 14:07

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1827 PARTE PRIMA 1828

e non già dalla comunicazione dell'avvenuto deposito fatta dal

cancelliere alla parte costituita (v., fra le tante sentenze, Cass.

20 dicembre 1994, n. 10963, e 18 gennaio 1994, n. 415, Foro

it., Rep. 1994, voce Impugnazioni civili, nn. 46, 45) secondo cui, avendo la comunicazione del cancelliere un valore pura mente informativo, il termine decorre anche se la comunicazio

ne non sia stata fatta «per una qualsiasi ragione»). A questi principi deve essere data completa adesione, essendo

gli stessi conseguenza diretta dell'interpretazione letterale della

disposizione contenuta nel 1° comma del suddetto art. 327 c.p.c.,

corrispondente alla sua ratio. Ed invero, anche a prescindere da quanto è stato rilevato in dottrina — vale a dire che la pub blicazione della sentenza, oltre a rendere il provvedimento giu ridicamente esistente, ha anche una funzione di conoscenza —

va richiamato quanto è stato asserito nella sentenza n. 584 del

28 dicembre 1990 della Corte costituzionale (id., 1991, I, 2665), secondo cui la previsione dell'art. 327, 1° comma, c.p.c. è un

corollario della regola che prevede che «dopo un certo lasso

di tempo la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla

notificazione della sentenza ad istanza di parte»; sicché, tenuto

conto soprattutto del fatto che la regola in questione risponde ad un'esigenza di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici

(v. in tal senso l'ordinanza 8 novembre 1985, n. 613, id., Rep.

1985, voce Corte dei conti, n. 8, emessa dalle sezioni unite di

questa corte), dalla regola stessa deriva, come logica conseguen

za, che il decorso del termine annuale, che ha inizio dal giorno della pubblicazione della sentenza, impedisce la proposizione dei

c.d. mezzi ordinari di impugnazione. D'altra parte, al contrario di quanto sostiene la ricorrente,

la suddetta disposizione contenuta nel 1° comma dell'art. 327

c.p.c., interpretata nel senso sopra indicato, palesemente non

contrasta con i principi dettati dagli art. 3, 24, 97, 111 e 113 Cost.

In proposito, va innanzi tutto affermata l'inutilità del riferi

mento fatto nel ricorso per cassazione agli art. 97, 111 e 113

Cost.: quanto al primo di tali articoli, perché, una volta che

si esclude che la comunicazione prevista dall'art. 133 c.p.c. pos sa incidere sulla decorrenza del termine lungo per impugnare la sentenza, del tutto prive di rilevanza sono le considerazioni

esposte nel ricorso per denunciare, allo scopo di invocare il prin

cipio di organizzazione della pubblica amministrazione, le di

sfunzioni che intralcerebbero l'attività delle cancellerie dei gran di uffici giudiziari, come quello di Roma; quanto al secondo,

perché l'art. 327 non stabilisce che la sentenza non possa essere

impugnata, ma fissa un termine, oltre tutto di un anno (e quin di lungo), per la relativa impugnazione; quanto al terzo, perché

qui è in discussione l'impugnazione non già di un atto ammini

strativo, ma di un provvedimento giurisdizionale, del quale vie

ne regolato il procedimento in relazione al termine.

Per quanto concerne, poi, l'asserito contrasto dell'art. 327

c.p.c. con gli art. 3 e 24 Cost., basta riportare le argomentazio ni svolte in precedenti pronunce emesse dalla giurisprudenza di

legittimità nonché nella sentenza della Corte costituzionale so

pra indicata. Da parte di questa corte, allo scopo della dichiara

zione di manifesta infondatezza della questione di costituziona

lità, è stato asserito che il diritto alla difesa e alla parità di

trattamento potrebbe ritenersi inciso soltanto se, a causa della

brevità del termine previsto dalla legge per la proposizione del

l'impugnazione, si richiedesse alla parte e ai suoi difensori l'uso

di una diligenza eccezionale e superiore a quella, normale, soli

tamente esplicata per il controllo dell'avvenuto deposito in can

celleria degli atti processuali (Cass., sez. un., 22 giugno 1979, n. 3501, id., Rep. 1979, voce Impugnazioni civili, nn. 49, 50. alla quale hanno poi fatto riferimento Cass. 9 settembre 1989, n. 3906, id., Rep. 1989, voce cit., n. 20; 20 aprile 1990, n.

3299, id., Rep. 1990, voce cit., n. 38; e 20 dicembre 1994, n.

10963, cit.; v. anche l'ordinanza delle sezioni unite n. 613 dell'8

novembre 1985, sopra indicata). Nella sentenza della Corte co

stituzionale, al fine della dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, è stato affermato che lo

spostamento del termine iniziale dalla data della pubblicazione della sentenza a quella della comunicazione confliggerebbe, ol

tre che con il principio sopra enunciato — secondo cui la cosa

giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della

sentenza — anche con la regola che prevede che il cancelliere

deve dare la comunicazione solamente alle parti costituite, atte

so che, se si ritenesse che il termine debba decorrere dalla co

municazione, sorgerebbe la necessità di modificare sia la norma

Il Foro Italiano — 1997.

contenuta del 2° comma del medesimo art. 327 c.p.c., sia la

disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 292 stesso codice.

Ma siffatte modificazioni, come viene precisato nella medesima

sentenza, potrebbero essere effettuate soltanto dal legislatore al

quale dalla Costituzione è riservato il potere di emanare le leggi. Alla stregua di questi ultimi rilievi deve essere dichiarata la

manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzio

nale dedotta dalla ricorrente, la cui impugnazione, tenuto anche

conto di tutte le altre argomentazioni che precedono, deve esse

re quindi dichiarata inammissibile.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 20 mar

zo 1997, n. 2484; Pres, Duva, Est. Marletta, P.M. Lo Ca

scio (conci, conf.); Daffara (Aw. Solerio) c. Soc. Akzo Coa

tings e Credito italiano. Conferma App. Milano 10 marzo

1995.

Arricchimento senza causa — Giusta causa — Inerzia dell ìm

poverito — Fattispecie (Cod. civ., art. 2041, 2042).

Non costituisce giusta causa di arricchimento l'inerzia dell'im

poverito (nella specie, un istituto di credito, avendo tardato

nell'esperimento della procedura di ammortamento di un as

segno smarrito, aveva omesso, per il corrispondente periodo, di richiedere l'addebito al traente della relativa valuta). (1)

(1) Occorre risalire a Cass. 21 agosto 1985, n. 4473, Foro it., Rep. 1986, voce Arricchimento senza causa, n. 14, per un precedente di ana

logo tenore. In quel frangente, la Cassazione escluse che la semplice omissione dell'attività difensiva da parte dell'impoverito costituisse giu sta causa di arricchimento. Per un precedente in materia di titoli di

credito, si veda Cass. 23 luglio 1984, n. 4307 (id., Rep. 1984, voce

cit., n. 8), dove il prenditore di un assegno si era visto accreditare l'im

porto, benché l'assegno stesso fosse stato smarrito dalla banca trattaria

successivamente al versamento. La sentenza in epigrafe non smentisce l'assunto della dottrina dominante circa l'unicità del fatto che produce l'ingiusta locupletazione (su cui cfr. P. Gallo, Arricchimento senza causa e quasi-contratti (i rimedi restitutori), in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 1996, 35), configurando, nel caso concreto, il

ritardo soltanto come circostanza aggravante nella fattispecie causale

dell'impoverimento. Resta, quindi, pacifico che la giusta causa del tra sferimento e mantenimento della ricchezza sia costituita da un titolo

legale o negoziale. In questi termini, Cass., sez. un., 9 novembre 1992, n. 12076, id., Rep. 1992, voce cit., n. 4, dove si afferma che la giusta causa presuppone un corrispettivo o una intenzione liberale e, ancor

prima, Cass. 8 ottobre 1990, n. 9859, id., Rep. 1990, voce cit., n. 4,

per l'assimilazione della giusta causa ad un contratto o ad altro rapporto. In dottrina, ci si è domandati se si possa esperire Vactio de in rem

verso in un'ipotesi particolare di inerzia dell'impoverito, vale a dire in caso di usucapione (l'interrogativo risale a R. Sacco, L'arricchimen to ottenuto mediante fatto ingiusto. Contributo alla teoria della respon sabilità estracontrattuale, Torino, 1959, 87). La risposta, negativa, si fonda sulla impossibilità di eludere la disciplina dell'usucapione e sulla volontà del legislatore di punire l'inerzia o la negligenza di una parte (Gallo, cit., 41).

Con la decisione in epigrafe la Suprema corte arricchisce il contenuto della giusta causa di locupletazione, colmando difficoltà già denunciate in materia. Mettono in luce la (generalmente) scarsa considerazione del la dottrina italiana per i rimedi restitutori, Gallo, op. cit., 5, e A.

Trabucchi, Arricchimento (azione di), voce dell' Enciclopedia del dirit

to, Milano, 1958, III, 66, mentre E. Moscati, Arricchimento (azione di), voce del Digesto civ., Torino, 1987, I, 454, indica nell'elaborazione

degli interpreti il modo migliore per colmare la clausola generale del l'art. 2041 c.c. Il caveat della dottrina sulla centralità della giusta causa nell'azione generale di arricchimento (v. S. Di Paola-R. Pardolesi, Azione di arricchimento-diritto civile, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, II, 3, ove richiami di diritto comparato) vale a corroborare una (altrimenti) non troppo convincente decisione della corte di legittimità. È lecito chiedersi se il mancato addebito della cifra

portata dall'assegno sia il vero fatto che determina l'impoverimento o

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con citazione del 5 aprile 1986

la Italenka s.p.a. e il Credito italiano filiale di Vercelli conveni vano in giudizio davanti al Tribunale di Vigevano Daffara Pri

mo, esponendo: che il 23 febbraio 1984 il Daffara aveva tratto

sul proprio conto corrente presso la Banca provinciale lombar

da, succursale di Robbio, un assegno di lire 40.000.000 in favo

re della Italenka, che nello stesso giorno l'aveva girato per l'in

casso alla predetta filiale del Credito italiano la quale, sempre lo stesso giorno, l'aveva trasmesso per la negoziazione alla ban

ca trattaria; che la raccomandata contenente l'assegno non era

mai giunta a destinazione e doveva considerarsi smarrita, come

da allegata dichiarazione delle PP.TT. di Vercelli; che in esito alla procedura di ammortamento promossa dal Credito italia

no, il Daffara aveva trasmesso un assegno circolare di lire

40.000.000, rifiutandosi però, nonostante apposito sollecito, di corrispondere un indennizzo per l'indebito arricchimento che

gli era derivato dal fatto di aver conservato la disponibilità del

la somma dovuta durante il periodo febbraio '84/maggio '85, con corrispondente danno per gli istanti. Ciò premesso, chiede

vano che il convenuto fosse condannato a pagare, a norma del

l'art. 2041 c.c., la somma di lire 5.800.000, pari all'interesse

dell'uno per cento al mese sul citato importo di lire 40.000.000, oltre rivalutazione e interessi.

Il convenuto, costituendosi, eccepiva il difetto di legittima zione attiva del Credito italiano per mancanza di un pregiudizio in proprio e, comunque, la improponibilità dell'azione esperita, atteso il suo carattere sussidiario. In subordine, contestava l'en

tità dell'indennizzo richiesto.

L'adito tribunale, con sentenza del 15 aprile 1991, rigettava la domanda del Credito italiano e, parzialmente accogliendo quel la della Italenka, condannava il convenuto a pagarle la somma

di lire 2.426.484 — pari agli interessi al tasso legale su lire

40.000.000 per il periodo anzidetto —, da maggiorare della ri

valutazione Istat e degli interessi dalle singole scadenze annuali

e fino al saldo.

Avverso tale sentenza proponevano appello principale il Daf

fara e incidentale la Italenka. Entrambe le impugnazioni veni

vano rigettate dalla Corte d'appello di Milano con sentenza del

10 marzo 1995.

In ordine all'appello principale, rilevava la corte di merito

che la parziale compensazione delle spese disposta dai primi giu dici era frutto di una unitaria valutazione della posizione delle

due società attrici, rappresentate e assistite dallo stesso difenso

re, e della parziale reciproca soccombenza delle parti. In ordine alle censure attinenti al merito, rilevava che, se era

stata erroneamente ritenuta inammissibile l'eccezione proposta dal Daffara con la comparsa conclusionale con la quale si attri

buiva il danno lamentato dalla Italenka al ritardo col quale era

stata avviata la procedura di ammortamento, trattandosi non

di eccezione in senso tecnico, ma di semplice difesa, l'assunto

era tuttavia privo di fondamento, non essendo stato indicato

in quali specifici passaggi della procedura — di per sé richie

dente un certo tempo per il suo espletamento — si annidasse

l'inammissibile ritardo; in ogni caso, nella presunta inerzia delle

attrici non poteva ravvisarsi una «giusta causa» perché il Daf

fara si arricchisse a danno della controparte, risultato derivante

dal fatto del mancato addebito dell'assegno, tenuto anche con

to della possibilità per il Daffara, consapevole del mancato ad

debito, di sollecitare la creditrice ad esperire la procedura di

ammortamento anziché continuare a trar profitto dal ritardo.

Né era rilevante lo stato di buona fede del Daffara il quale,

dopo aver già eseguito un pagamento, non poteva rischiare di

effettuarne un altro finché la procedura di ammortamento del

primo assegno non fosse stata perfezionata: la circostanza non

valeva ad escludere a fondatezza dell'azione di arricchimento, che si basa sul fatto obiettivo che una parte si sia arricchita

se, piuttosto, data l'impossibilità di chiedere la somma all'arricchito

prima dell'ammortamento, non sia proprio la scarsa diligenza degli im

poveriti (ed in particolare della banca girataria all'incasso) a causare

l'arricchimento. Se così fosse, il ragionamento della corte nascondereb

be un insidioso paralogismo, comunque inidoneo a risolversi in un fat

to costitutivo unico. E, del resto, «(...) il fondamento dell'indennizzo

vien meno qualora lo spostamento patrimoniale, pure ingiustificato, fra due soggetti sia determinato da una successione di fatti che hanno inci

so su due diverse situazioni soggettive, in modo del tutto indipendente l'uno dall'altro» (...)» (Di Paola-Pardolesi, cit., 6).

Il Foro Italiano — 1997.

a danno dell'altra e che ciò non trovi nell'ordinamento giuridi co un motivo che possa giustificarlo.

Quanto all'appello incidentale, rilevava non essere pertinente la prova che la Italenka nel periodo in questione corrispondesse al Credito italiano interessi passivi superiori al dodici per cento al quale aveva ragguagliato l'indennizzo richiesto, fermo restando

in ogni caso che, a norma dell'art. 2041 c.c., l'indennizzo è

dovuto «nei limiti dell'arricchimento» che non risultava essere

stato, per il Daffara, superiore a quello corrispondente agli in

teressi nella misura legale. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Daf

fara sulla base di un motivo nei confronti del Credito italiano

e di altro motivo nei confronti della Akzo Coatings s.p.a., già Italenka s.p.a. Gli intimati non hanno svolto in questa sede

attività difensiva. Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo,

che si rivolge al capo di pronuncia concernente la Akzo Coa

tings già Italenka s.p.a., il ricorrente, denunciando violazione

degli art. 2041 e 2042 c.c., censura la sentenza impugnata:

1) Per avere omesso di considerare gli effetti del ritardo nel

l'ammortamento dell'assegno e di collegare a tale ritardo l'im

poverimento della Italenka; onde, l'insegnamento del fatto del

terzo nella serie causale che aveva determinato l'arricchimento

di esso deducente, avrebbe reso questo meramente indiretto e

riflesso e quindi non tutelabile con l'azione di cui all'art. 2041

c.c., facendo venir meno l'unicità del fatto costitutivo dell'ar

ricchimento e della correlativa diminuzione patrimoniale.

2) Per avere rilevato che esso Daffara aveva omesso di «spie

gare in quali specifici passaggi della procedura si annidi il ritar do inammissibile» della procedura di ammortamento, trascu

rando di rilevare come sin dalla citazione introduttiva del giudi zio risultasse, per dichiarazione della stessa Italenka, che l'assegno era stato emesso il 23 febbraio 1984 mentre il ricorso per am

mortamento — prodotto in giudizio — era stato inoltrato solo

il 3 marzo 1985, e quindi omettendo una corretta valutazione

della «successione dei fatti».

3) Per non avere rilevato che, stante la natura sussidiaria del

l'azione di arricchimento, questa è esperibile solo ove la situa

zione «anormale possa essere evitata facendo ricorso ad altro

specifico rimedio e, in paricolare, mediante l'esperimento di al

tra azione nei confronti del terzo che abbia provocato lo «spo stamento di ricchezza».

4) Per non avere comunque considerato che, quando il de

pauperamento sia provocato dal comportamento di chi lo ha

subito, tale comportamento, specie se colposo, «costituisce giu sta causa del beneficio conseguito dall'altro soggetto ed esclude

la illegittimità della locupletazione». Il motivo non è fondato. Le censure sopra enunciate poggia

no, per ciò che riguarda la fattispecie in esame, sul medesimo

presupposto. Il ricorrente ritiene, invero, che il depauperamento della so

cietà Italenka sia dipeso, più che dallo smarrimento dell'asse

gno, dal notevole ritardo col quale è stata proposta la richiesta

di ammortamento; che, essendo tale ritardo imputabile al Cre

dito italiano e comunque alla stessa Italenka, che avrebbe omesso di vigilare al riguardo, l'arricchimento che ne era conseguito per il Daffara non sia indennizzabile; che in ogni caso l'esperi bilità, da parte della Italenka, di un'azione di risarcimento del

danno, per responsabilità contrattuale, nei confronti del Credi

to italiano precludeva la tutela residuale apprestata dall'art. 2041

c.c.

La sentenza impugnata è certamente da censurare sul piano della motivazione allorché, nel rilevare che il Daffara non si

sarebbe dato cura di «spiegare in quali specifici passaggi della

procedura» di ammortamento si annidasse l'inammissibile ritar

do, omette del tutto di considerare che era provato e comunque

pacifico, per ammissione della stessa Italenka sin dall'atto in

troduttivo del giudizio, che il ricorso per ammortamento era

stato inoltrato solo in data 2 marzo 1985, e quindi più di un

anno dopo il rilascio dell'assegno — recante la data di emissio

ne del 23 febbraio 1984 — e la trasmissione di esso da parte del Credito italiano, filiale di Vercelli, giratario per l'incasso, alla banca trattaria; e che, pertanto, tale adempimento costitui

va il «passaggio» invocato dal Daffara nell'addebito dell'ingiu stificato ritardo ritenuto causa della diminuzione patrimoniale della Italenka.

Senonché, la sentenza impugnata ha escluso la rilevanza del

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1831 PARTE PRIMA 1832

ritardo di tale «passaggio», affermando che nella «presunta iner

zia» della Italenka e/o del Credito italiano non poteva ravvisar

si una «giusta causa» per l'arricchimento del Daffara, derivan

do in realtà tale risultato dal fatto che l'assegno non era stato

addebitato, ed ha considerato che lo stesso Daffara, consapevo le del fatto, avrebbe potuto sollecitare la sua creditrice ad espe rire la procedura di ammortamento, anziché continuare ad ap

profittare della favorevole situazione.

Siffatte argomentazioni appaiono giuridicamente corrette, an

che se meritano alcune puntualizzazioni. Circa il nesso di causalità tra arricchimento del Daffara e

impoverimento della Italenka, appare esatto il rilievo per cui

sia l'uno che l'altro trovano fondamento nel mancato addebito

a carico del Daffara, da parte della banca trattaria, dell'impor to dell'assegno, a seguito dello smarrimento di esso. Il tardivo

esperimento della procedura di ammortamento si inserisce nella

serie causale anzidetta nel senso che esso ha contribuito ad ag

gravare l'entità dell'una e dell'altra delle due situazioni, desti

nate ad esaurirsi al momento in cui l'assegno smarrito avesse

perduto qualsiasi efficacia giuridica — cioè al perfezionamento della procedura e all'acquisto di piena efficacia del decreto di

ammortamento.

Resta, però, fermo, che il vantaggio economico acquisito del

Daffara — il poter continuare a godere della somma di lire

40.000.000 portata dall'assegno in questione senza alcuna re

sponsabilità per danni derivanti dal mancato trasferimento di

essa all'avente diritto — e il corrispondente depauperamento subito dalla Italenka — consistente nell'impossibilità di trarre

utilità dal denaro portato dall'assegno pur ad essa rilasciato,

senza peraltro poter invocare la responsabilità del solvens —

si ricollegano entrambi alla circostanza che l'assegno, dopo la

consegna alla Italenka, è stato smarrito senza che fosse possibi le l'addebito del relativo importo al traente: laddove il sollecito

esperimento della procedura di ammortamento si pone come

un fattore che avrebbe potuto ridurre l'incidenza sia dell'arric

chimento sia del corrispondente depauperamento, senza poter escludere la comune derivazione di entrambe le situazioni dalla

circostanza sopra enunciata.

Peraltro, il fenomeno dell'arricchimento senza causa è valu

tato dall'ordinamento sul piano squisitamente oggettivo, senza

tener conto cioè dell'atteggiamento psicologico dell'arricchito

o dell'impoverito. Ciò non toglie che in determinate fattispecie tale atteggia

mento possa aver rilievo, sia in relazione al generale dovere di

correttezza, sia in considerazione della possibile rilevanza del

consenso dell'impoverito al fine dei giustificare sulla base di

esso lo spostamento patrimoniale, pur non riconducibile ad uno

specifico titolo (sul punto, cfr. Cass. 11 febbraio 1989, n. 862, Foro it., Rep. 1989, voce Arricchimento senza causa, n. 1).

È indiscutibile, invero, che la «giusta causa» che legittima l'arricchimento e il correlativo impoverimento, generalmente in

tesa come l'esistenza di un titolo, legale o negoziale, non al

semplice spostamento di ricchezza, ma al mantenimento di es

so, può essere incompatibile con il connotato della volontarietà

dell'impoverimento, così come in taluni casi dell'arricchimento, inteso non necessariamente come volontà diretta alla realizza

zione dell'uno o dell'altro risultato avente un preciso connotato

negoziale, bensì come generico intendimento il quale, pur non

trasfuso in una specifica determinazione negoziale, venga ad in

cidere sulla «causa» dello spostamento di ricchezza, dando di

questo una precisa giustificazione. Il che va esaminato in rela

zione alla diversa tipologia di situazioni ed in connessione con

la disciplina legislativa di specifiche ipotesi di arricchimento giu stificato o ingiustificato che con quella in esame presentino ca

ratteri di spiccata affinità.

È comunque evidente che la semplice inerzia dell'impoverito, ancorché riconducibile a difetto di diligenza, non può escludere

la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 2041 c.c. in quan to come tale non riveli alcuna implicita manifestazione di vo

lontà, non essendo applicabile in tal caso la norma dell'art. 1227

c.c., la quale presuppone un danno che il soggetto subisca per effetto del fatto ingiusto altrui, e quindi un'ipotesi di impoveri mento — correlata o meno che sia ad un arricchimento altrui — riconducibile all'altrui fatto illecito e alla conseguente re

sponsabilità, contrattuale o extracontrattuale.

Peraltro, la corte di merito, nel?escludere la rilevanza del com

portamento inerte della Italenka, definito sul piano della sem

II Foro Italiano — 1997.

plice colpa, ha valorizzato al contempo il corrispondente com

portamento inerte dell'arricchito — il Daffara — il quale a sua

volta, consapevole del ritardo nell'instaurazione della procedu ra di ammortamento, si era limitato a trarne profitto anziché

attivarsi col sollecitare la propria creditrice.

La sentenza impugnata ha, quindi, ritenuto la irrilevanza del

cennato comportamento inerte della Italenka quale soggetto «im

poverito» sia sul piano generale dei requisiti richiesti ai fini del l'acro de in rem verso, sia contrapponendovi il comportamento inerte e non diligente, se non deliberato, dello stesso «arricchito».

Quanto alla questione della sussidiarietà dell'azione (art. 2042

c.c.) si rileva che essa non è stata prospettata dal Daffara con

l'atto di appello, pur avendo la pronuncia del tribunale ricono

sciuto che la Italenka, essendosi preclusa la «rivalsa» nei con

fronti del Credito italiano, aveva una sola azione da esperire,

quella nei confronti del Daffara. La questione è, quindi, inam

missibile per la preclusione derivante dal giudicato implicito for

matosi riguardo ad essa a seguito della mancata formulazione

di apposita censura davanti al giudice di appello. Il ricorso del Daffara va, in definitiva, interamente rigettato.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 marzo

1997, n. 2215; Pres. Vessia, Est. Felicetti, P.M. Leo (conci,

conf.); Soc. Radio Studio 105 (Avv. Petronio, Bagalà) c.

Direttore provinciale poste e telecomunicazioni di Ferrara. Cas

sa Pret. Ferrara 16 settembre 1992.

Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Frequenze riservate

a servizi pubblici essenziali — Interferenze — Sanzioni ammi

nistrative — Soggetti autorizzati in via provvisoria — Appli cabilità (L. 8 aprile 1983 n. 110, protezione delle comunica

zioni relative all'assistenza ed alla sicurezza del volo, art. 1,

3; 1. 6 agosto 1990 n. 223, disciplina del sistema radiotelevisi

vo pubblico e privato, art. 18, 32, 33). Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Frequenze utilizzate

dal ministero delle poste — Interferenze — Illecito ammini

strativo — Limiti (L. 6 agosto 1990 n. 223, art. 18).

Le sanzioni amministrative previste in caso di interferenze con

le bande di frequenza riservate ai servizi di polizia si applica no anche ai soggetti autorizzati ex lege in via provvisoria al

l'esercizio di impianti per la radiodiffusione. (1)

Qualora sia stato contestato ad un 'emittente radiofonica di in

terferire con una banda assegnata ai servizi di polizia, non

è sufficiente, ai fini della configurabilità dell'illecito ammini strativo, limitarsi ad accertare che la banda di frequenza in

terferita fosse tra quelle utilizzate dal ministero delle poste

per ponti radiotelevisivi. (2)

(1-4) Con tre pronunce in rapida successione (depositate, peraltro, in ordine cronologico inverso rispetto alla data dell'udienza di discus

sione, dal momento che la sent. 2215/97 risulta essere stata decisa il 21 giugno 1996, mentre le altre risalgono entrambe al 7 novembre 1996) la prima sezione civile della Suprema corte si occupa di taluni aspetti problematici riguardanti la protezione delle frequenze riservate ai servi zi pubblici essenziali ed i connessi profili sanzionatori.

Per un approfondimento sulla natura giuridica delle radiofrequenze, v. R. Esposito, Il governo tecnico dell'etere, in Radiotelevisione a cura di R. Zaccaria, Padova, 1996, 237 ss.

La pronuncia sub I e quella sub III, pur seguendo percorsi argomen tativi differenti (ben più articolata è la motivazione di Cass. 913/97), pervengono all'identico risultato di includere i soggetti autorizzati ex art. 32 1. 223/90 nell'ambito dei destinatari dell'obbligo di non cagiona re interferenze e, in caso di violazione, delle relative sanzioni ammini

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