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sezione III civile; sentenza 20 marzo 1997, n. 2484; Pres. Duva, Est. Marletta, P.M. Lo Cascio(concl. conf.); Daffara (Avv. Solerio) c. Soc. Akzo Coatings e Credito italiano. Conferma App.Milano 10 marzo 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 6 (GIUGNO 1997), pp. 1827/1828-1831/1832Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192020 .
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1827 PARTE PRIMA 1828
e non già dalla comunicazione dell'avvenuto deposito fatta dal
cancelliere alla parte costituita (v., fra le tante sentenze, Cass.
20 dicembre 1994, n. 10963, e 18 gennaio 1994, n. 415, Foro
it., Rep. 1994, voce Impugnazioni civili, nn. 46, 45) secondo cui, avendo la comunicazione del cancelliere un valore pura mente informativo, il termine decorre anche se la comunicazio
ne non sia stata fatta «per una qualsiasi ragione»). A questi principi deve essere data completa adesione, essendo
gli stessi conseguenza diretta dell'interpretazione letterale della
disposizione contenuta nel 1° comma del suddetto art. 327 c.p.c.,
corrispondente alla sua ratio. Ed invero, anche a prescindere da quanto è stato rilevato in dottrina — vale a dire che la pub blicazione della sentenza, oltre a rendere il provvedimento giu ridicamente esistente, ha anche una funzione di conoscenza —
va richiamato quanto è stato asserito nella sentenza n. 584 del
28 dicembre 1990 della Corte costituzionale (id., 1991, I, 2665), secondo cui la previsione dell'art. 327, 1° comma, c.p.c. è un
corollario della regola che prevede che «dopo un certo lasso
di tempo la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla
notificazione della sentenza ad istanza di parte»; sicché, tenuto
conto soprattutto del fatto che la regola in questione risponde ad un'esigenza di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici
(v. in tal senso l'ordinanza 8 novembre 1985, n. 613, id., Rep.
1985, voce Corte dei conti, n. 8, emessa dalle sezioni unite di
questa corte), dalla regola stessa deriva, come logica conseguen
za, che il decorso del termine annuale, che ha inizio dal giorno della pubblicazione della sentenza, impedisce la proposizione dei
c.d. mezzi ordinari di impugnazione. D'altra parte, al contrario di quanto sostiene la ricorrente,
la suddetta disposizione contenuta nel 1° comma dell'art. 327
c.p.c., interpretata nel senso sopra indicato, palesemente non
contrasta con i principi dettati dagli art. 3, 24, 97, 111 e 113 Cost.
In proposito, va innanzi tutto affermata l'inutilità del riferi
mento fatto nel ricorso per cassazione agli art. 97, 111 e 113
Cost.: quanto al primo di tali articoli, perché, una volta che
si esclude che la comunicazione prevista dall'art. 133 c.p.c. pos sa incidere sulla decorrenza del termine lungo per impugnare la sentenza, del tutto prive di rilevanza sono le considerazioni
esposte nel ricorso per denunciare, allo scopo di invocare il prin
cipio di organizzazione della pubblica amministrazione, le di
sfunzioni che intralcerebbero l'attività delle cancellerie dei gran di uffici giudiziari, come quello di Roma; quanto al secondo,
perché l'art. 327 non stabilisce che la sentenza non possa essere
impugnata, ma fissa un termine, oltre tutto di un anno (e quin di lungo), per la relativa impugnazione; quanto al terzo, perché
qui è in discussione l'impugnazione non già di un atto ammini
strativo, ma di un provvedimento giurisdizionale, del quale vie
ne regolato il procedimento in relazione al termine.
Per quanto concerne, poi, l'asserito contrasto dell'art. 327
c.p.c. con gli art. 3 e 24 Cost., basta riportare le argomentazio ni svolte in precedenti pronunce emesse dalla giurisprudenza di
legittimità nonché nella sentenza della Corte costituzionale so
pra indicata. Da parte di questa corte, allo scopo della dichiara
zione di manifesta infondatezza della questione di costituziona
lità, è stato asserito che il diritto alla difesa e alla parità di
trattamento potrebbe ritenersi inciso soltanto se, a causa della
brevità del termine previsto dalla legge per la proposizione del
l'impugnazione, si richiedesse alla parte e ai suoi difensori l'uso
di una diligenza eccezionale e superiore a quella, normale, soli
tamente esplicata per il controllo dell'avvenuto deposito in can
celleria degli atti processuali (Cass., sez. un., 22 giugno 1979, n. 3501, id., Rep. 1979, voce Impugnazioni civili, nn. 49, 50. alla quale hanno poi fatto riferimento Cass. 9 settembre 1989, n. 3906, id., Rep. 1989, voce cit., n. 20; 20 aprile 1990, n.
3299, id., Rep. 1990, voce cit., n. 38; e 20 dicembre 1994, n.
10963, cit.; v. anche l'ordinanza delle sezioni unite n. 613 dell'8
novembre 1985, sopra indicata). Nella sentenza della Corte co
stituzionale, al fine della dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, è stato affermato che lo
spostamento del termine iniziale dalla data della pubblicazione della sentenza a quella della comunicazione confliggerebbe, ol
tre che con il principio sopra enunciato — secondo cui la cosa
giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della
sentenza — anche con la regola che prevede che il cancelliere
deve dare la comunicazione solamente alle parti costituite, atte
so che, se si ritenesse che il termine debba decorrere dalla co
municazione, sorgerebbe la necessità di modificare sia la norma
Il Foro Italiano — 1997.
contenuta del 2° comma del medesimo art. 327 c.p.c., sia la
disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 292 stesso codice.
Ma siffatte modificazioni, come viene precisato nella medesima
sentenza, potrebbero essere effettuate soltanto dal legislatore al
quale dalla Costituzione è riservato il potere di emanare le leggi. Alla stregua di questi ultimi rilievi deve essere dichiarata la
manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzio
nale dedotta dalla ricorrente, la cui impugnazione, tenuto anche
conto di tutte le altre argomentazioni che precedono, deve esse
re quindi dichiarata inammissibile.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 20 mar
zo 1997, n. 2484; Pres, Duva, Est. Marletta, P.M. Lo Ca
scio (conci, conf.); Daffara (Aw. Solerio) c. Soc. Akzo Coa
tings e Credito italiano. Conferma App. Milano 10 marzo
1995.
Arricchimento senza causa — Giusta causa — Inerzia dell ìm
poverito — Fattispecie (Cod. civ., art. 2041, 2042).
Non costituisce giusta causa di arricchimento l'inerzia dell'im
poverito (nella specie, un istituto di credito, avendo tardato
nell'esperimento della procedura di ammortamento di un as
segno smarrito, aveva omesso, per il corrispondente periodo, di richiedere l'addebito al traente della relativa valuta). (1)
(1) Occorre risalire a Cass. 21 agosto 1985, n. 4473, Foro it., Rep. 1986, voce Arricchimento senza causa, n. 14, per un precedente di ana
logo tenore. In quel frangente, la Cassazione escluse che la semplice omissione dell'attività difensiva da parte dell'impoverito costituisse giu sta causa di arricchimento. Per un precedente in materia di titoli di
credito, si veda Cass. 23 luglio 1984, n. 4307 (id., Rep. 1984, voce
cit., n. 8), dove il prenditore di un assegno si era visto accreditare l'im
porto, benché l'assegno stesso fosse stato smarrito dalla banca trattaria
successivamente al versamento. La sentenza in epigrafe non smentisce l'assunto della dottrina dominante circa l'unicità del fatto che produce l'ingiusta locupletazione (su cui cfr. P. Gallo, Arricchimento senza causa e quasi-contratti (i rimedi restitutori), in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 1996, 35), configurando, nel caso concreto, il
ritardo soltanto come circostanza aggravante nella fattispecie causale
dell'impoverimento. Resta, quindi, pacifico che la giusta causa del tra sferimento e mantenimento della ricchezza sia costituita da un titolo
legale o negoziale. In questi termini, Cass., sez. un., 9 novembre 1992, n. 12076, id., Rep. 1992, voce cit., n. 4, dove si afferma che la giusta causa presuppone un corrispettivo o una intenzione liberale e, ancor
prima, Cass. 8 ottobre 1990, n. 9859, id., Rep. 1990, voce cit., n. 4,
per l'assimilazione della giusta causa ad un contratto o ad altro rapporto. In dottrina, ci si è domandati se si possa esperire Vactio de in rem
verso in un'ipotesi particolare di inerzia dell'impoverito, vale a dire in caso di usucapione (l'interrogativo risale a R. Sacco, L'arricchimen to ottenuto mediante fatto ingiusto. Contributo alla teoria della respon sabilità estracontrattuale, Torino, 1959, 87). La risposta, negativa, si fonda sulla impossibilità di eludere la disciplina dell'usucapione e sulla volontà del legislatore di punire l'inerzia o la negligenza di una parte (Gallo, cit., 41).
Con la decisione in epigrafe la Suprema corte arricchisce il contenuto della giusta causa di locupletazione, colmando difficoltà già denunciate in materia. Mettono in luce la (generalmente) scarsa considerazione del la dottrina italiana per i rimedi restitutori, Gallo, op. cit., 5, e A.
Trabucchi, Arricchimento (azione di), voce dell' Enciclopedia del dirit
to, Milano, 1958, III, 66, mentre E. Moscati, Arricchimento (azione di), voce del Digesto civ., Torino, 1987, I, 454, indica nell'elaborazione
degli interpreti il modo migliore per colmare la clausola generale del l'art. 2041 c.c. Il caveat della dottrina sulla centralità della giusta causa nell'azione generale di arricchimento (v. S. Di Paola-R. Pardolesi, Azione di arricchimento-diritto civile, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, II, 3, ove richiami di diritto comparato) vale a corroborare una (altrimenti) non troppo convincente decisione della corte di legittimità. È lecito chiedersi se il mancato addebito della cifra
portata dall'assegno sia il vero fatto che determina l'impoverimento o
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con citazione del 5 aprile 1986
la Italenka s.p.a. e il Credito italiano filiale di Vercelli conveni vano in giudizio davanti al Tribunale di Vigevano Daffara Pri
mo, esponendo: che il 23 febbraio 1984 il Daffara aveva tratto
sul proprio conto corrente presso la Banca provinciale lombar
da, succursale di Robbio, un assegno di lire 40.000.000 in favo
re della Italenka, che nello stesso giorno l'aveva girato per l'in
casso alla predetta filiale del Credito italiano la quale, sempre lo stesso giorno, l'aveva trasmesso per la negoziazione alla ban
ca trattaria; che la raccomandata contenente l'assegno non era
mai giunta a destinazione e doveva considerarsi smarrita, come
da allegata dichiarazione delle PP.TT. di Vercelli; che in esito alla procedura di ammortamento promossa dal Credito italia
no, il Daffara aveva trasmesso un assegno circolare di lire
40.000.000, rifiutandosi però, nonostante apposito sollecito, di corrispondere un indennizzo per l'indebito arricchimento che
gli era derivato dal fatto di aver conservato la disponibilità del
la somma dovuta durante il periodo febbraio '84/maggio '85, con corrispondente danno per gli istanti. Ciò premesso, chiede
vano che il convenuto fosse condannato a pagare, a norma del
l'art. 2041 c.c., la somma di lire 5.800.000, pari all'interesse
dell'uno per cento al mese sul citato importo di lire 40.000.000, oltre rivalutazione e interessi.
Il convenuto, costituendosi, eccepiva il difetto di legittima zione attiva del Credito italiano per mancanza di un pregiudizio in proprio e, comunque, la improponibilità dell'azione esperita, atteso il suo carattere sussidiario. In subordine, contestava l'en
tità dell'indennizzo richiesto.
L'adito tribunale, con sentenza del 15 aprile 1991, rigettava la domanda del Credito italiano e, parzialmente accogliendo quel la della Italenka, condannava il convenuto a pagarle la somma
di lire 2.426.484 — pari agli interessi al tasso legale su lire
40.000.000 per il periodo anzidetto —, da maggiorare della ri
valutazione Istat e degli interessi dalle singole scadenze annuali
e fino al saldo.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale il Daf
fara e incidentale la Italenka. Entrambe le impugnazioni veni
vano rigettate dalla Corte d'appello di Milano con sentenza del
10 marzo 1995.
In ordine all'appello principale, rilevava la corte di merito
che la parziale compensazione delle spese disposta dai primi giu dici era frutto di una unitaria valutazione della posizione delle
due società attrici, rappresentate e assistite dallo stesso difenso
re, e della parziale reciproca soccombenza delle parti. In ordine alle censure attinenti al merito, rilevava che, se era
stata erroneamente ritenuta inammissibile l'eccezione proposta dal Daffara con la comparsa conclusionale con la quale si attri
buiva il danno lamentato dalla Italenka al ritardo col quale era
stata avviata la procedura di ammortamento, trattandosi non
di eccezione in senso tecnico, ma di semplice difesa, l'assunto
era tuttavia privo di fondamento, non essendo stato indicato
in quali specifici passaggi della procedura — di per sé richie
dente un certo tempo per il suo espletamento — si annidasse
l'inammissibile ritardo; in ogni caso, nella presunta inerzia delle
attrici non poteva ravvisarsi una «giusta causa» perché il Daf
fara si arricchisse a danno della controparte, risultato derivante
dal fatto del mancato addebito dell'assegno, tenuto anche con
to della possibilità per il Daffara, consapevole del mancato ad
debito, di sollecitare la creditrice ad esperire la procedura di
ammortamento anziché continuare a trar profitto dal ritardo.
Né era rilevante lo stato di buona fede del Daffara il quale,
dopo aver già eseguito un pagamento, non poteva rischiare di
effettuarne un altro finché la procedura di ammortamento del
primo assegno non fosse stata perfezionata: la circostanza non
valeva ad escludere a fondatezza dell'azione di arricchimento, che si basa sul fatto obiettivo che una parte si sia arricchita
se, piuttosto, data l'impossibilità di chiedere la somma all'arricchito
prima dell'ammortamento, non sia proprio la scarsa diligenza degli im
poveriti (ed in particolare della banca girataria all'incasso) a causare
l'arricchimento. Se così fosse, il ragionamento della corte nascondereb
be un insidioso paralogismo, comunque inidoneo a risolversi in un fat
to costitutivo unico. E, del resto, «(...) il fondamento dell'indennizzo
vien meno qualora lo spostamento patrimoniale, pure ingiustificato, fra due soggetti sia determinato da una successione di fatti che hanno inci
so su due diverse situazioni soggettive, in modo del tutto indipendente l'uno dall'altro» (...)» (Di Paola-Pardolesi, cit., 6).
Il Foro Italiano — 1997.
a danno dell'altra e che ciò non trovi nell'ordinamento giuridi co un motivo che possa giustificarlo.
Quanto all'appello incidentale, rilevava non essere pertinente la prova che la Italenka nel periodo in questione corrispondesse al Credito italiano interessi passivi superiori al dodici per cento al quale aveva ragguagliato l'indennizzo richiesto, fermo restando
in ogni caso che, a norma dell'art. 2041 c.c., l'indennizzo è
dovuto «nei limiti dell'arricchimento» che non risultava essere
stato, per il Daffara, superiore a quello corrispondente agli in
teressi nella misura legale. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Daf
fara sulla base di un motivo nei confronti del Credito italiano
e di altro motivo nei confronti della Akzo Coatings s.p.a., già Italenka s.p.a. Gli intimati non hanno svolto in questa sede
attività difensiva. Motivi della decisione. — (Omissis). Con il secondo motivo,
che si rivolge al capo di pronuncia concernente la Akzo Coa
tings già Italenka s.p.a., il ricorrente, denunciando violazione
degli art. 2041 e 2042 c.c., censura la sentenza impugnata:
1) Per avere omesso di considerare gli effetti del ritardo nel
l'ammortamento dell'assegno e di collegare a tale ritardo l'im
poverimento della Italenka; onde, l'insegnamento del fatto del
terzo nella serie causale che aveva determinato l'arricchimento
di esso deducente, avrebbe reso questo meramente indiretto e
riflesso e quindi non tutelabile con l'azione di cui all'art. 2041
c.c., facendo venir meno l'unicità del fatto costitutivo dell'ar
ricchimento e della correlativa diminuzione patrimoniale.
2) Per avere rilevato che esso Daffara aveva omesso di «spie
gare in quali specifici passaggi della procedura si annidi il ritar do inammissibile» della procedura di ammortamento, trascu
rando di rilevare come sin dalla citazione introduttiva del giudi zio risultasse, per dichiarazione della stessa Italenka, che l'assegno era stato emesso il 23 febbraio 1984 mentre il ricorso per am
mortamento — prodotto in giudizio — era stato inoltrato solo
il 3 marzo 1985, e quindi omettendo una corretta valutazione
della «successione dei fatti».
3) Per non avere rilevato che, stante la natura sussidiaria del
l'azione di arricchimento, questa è esperibile solo ove la situa
zione «anormale possa essere evitata facendo ricorso ad altro
specifico rimedio e, in paricolare, mediante l'esperimento di al
tra azione nei confronti del terzo che abbia provocato lo «spo stamento di ricchezza».
4) Per non avere comunque considerato che, quando il de
pauperamento sia provocato dal comportamento di chi lo ha
subito, tale comportamento, specie se colposo, «costituisce giu sta causa del beneficio conseguito dall'altro soggetto ed esclude
la illegittimità della locupletazione». Il motivo non è fondato. Le censure sopra enunciate poggia
no, per ciò che riguarda la fattispecie in esame, sul medesimo
presupposto. Il ricorrente ritiene, invero, che il depauperamento della so
cietà Italenka sia dipeso, più che dallo smarrimento dell'asse
gno, dal notevole ritardo col quale è stata proposta la richiesta
di ammortamento; che, essendo tale ritardo imputabile al Cre
dito italiano e comunque alla stessa Italenka, che avrebbe omesso di vigilare al riguardo, l'arricchimento che ne era conseguito per il Daffara non sia indennizzabile; che in ogni caso l'esperi bilità, da parte della Italenka, di un'azione di risarcimento del
danno, per responsabilità contrattuale, nei confronti del Credi
to italiano precludeva la tutela residuale apprestata dall'art. 2041
c.c.
La sentenza impugnata è certamente da censurare sul piano della motivazione allorché, nel rilevare che il Daffara non si
sarebbe dato cura di «spiegare in quali specifici passaggi della
procedura» di ammortamento si annidasse l'inammissibile ritar
do, omette del tutto di considerare che era provato e comunque
pacifico, per ammissione della stessa Italenka sin dall'atto in
troduttivo del giudizio, che il ricorso per ammortamento era
stato inoltrato solo in data 2 marzo 1985, e quindi più di un
anno dopo il rilascio dell'assegno — recante la data di emissio
ne del 23 febbraio 1984 — e la trasmissione di esso da parte del Credito italiano, filiale di Vercelli, giratario per l'incasso, alla banca trattaria; e che, pertanto, tale adempimento costitui
va il «passaggio» invocato dal Daffara nell'addebito dell'ingiu stificato ritardo ritenuto causa della diminuzione patrimoniale della Italenka.
Senonché, la sentenza impugnata ha escluso la rilevanza del
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1831 PARTE PRIMA 1832
ritardo di tale «passaggio», affermando che nella «presunta iner
zia» della Italenka e/o del Credito italiano non poteva ravvisar
si una «giusta causa» per l'arricchimento del Daffara, derivan
do in realtà tale risultato dal fatto che l'assegno non era stato
addebitato, ed ha considerato che lo stesso Daffara, consapevo le del fatto, avrebbe potuto sollecitare la sua creditrice ad espe rire la procedura di ammortamento, anziché continuare ad ap
profittare della favorevole situazione.
Siffatte argomentazioni appaiono giuridicamente corrette, an
che se meritano alcune puntualizzazioni. Circa il nesso di causalità tra arricchimento del Daffara e
impoverimento della Italenka, appare esatto il rilievo per cui
sia l'uno che l'altro trovano fondamento nel mancato addebito
a carico del Daffara, da parte della banca trattaria, dell'impor to dell'assegno, a seguito dello smarrimento di esso. Il tardivo
esperimento della procedura di ammortamento si inserisce nella
serie causale anzidetta nel senso che esso ha contribuito ad ag
gravare l'entità dell'una e dell'altra delle due situazioni, desti
nate ad esaurirsi al momento in cui l'assegno smarrito avesse
perduto qualsiasi efficacia giuridica — cioè al perfezionamento della procedura e all'acquisto di piena efficacia del decreto di
ammortamento.
Resta, però, fermo, che il vantaggio economico acquisito del
Daffara — il poter continuare a godere della somma di lire
40.000.000 portata dall'assegno in questione senza alcuna re
sponsabilità per danni derivanti dal mancato trasferimento di
essa all'avente diritto — e il corrispondente depauperamento subito dalla Italenka — consistente nell'impossibilità di trarre
utilità dal denaro portato dall'assegno pur ad essa rilasciato,
senza peraltro poter invocare la responsabilità del solvens —
si ricollegano entrambi alla circostanza che l'assegno, dopo la
consegna alla Italenka, è stato smarrito senza che fosse possibi le l'addebito del relativo importo al traente: laddove il sollecito
esperimento della procedura di ammortamento si pone come
un fattore che avrebbe potuto ridurre l'incidenza sia dell'arric
chimento sia del corrispondente depauperamento, senza poter escludere la comune derivazione di entrambe le situazioni dalla
circostanza sopra enunciata.
Peraltro, il fenomeno dell'arricchimento senza causa è valu
tato dall'ordinamento sul piano squisitamente oggettivo, senza
tener conto cioè dell'atteggiamento psicologico dell'arricchito
o dell'impoverito. Ciò non toglie che in determinate fattispecie tale atteggia
mento possa aver rilievo, sia in relazione al generale dovere di
correttezza, sia in considerazione della possibile rilevanza del
consenso dell'impoverito al fine dei giustificare sulla base di
esso lo spostamento patrimoniale, pur non riconducibile ad uno
specifico titolo (sul punto, cfr. Cass. 11 febbraio 1989, n. 862, Foro it., Rep. 1989, voce Arricchimento senza causa, n. 1).
È indiscutibile, invero, che la «giusta causa» che legittima l'arricchimento e il correlativo impoverimento, generalmente in
tesa come l'esistenza di un titolo, legale o negoziale, non al
semplice spostamento di ricchezza, ma al mantenimento di es
so, può essere incompatibile con il connotato della volontarietà
dell'impoverimento, così come in taluni casi dell'arricchimento, inteso non necessariamente come volontà diretta alla realizza
zione dell'uno o dell'altro risultato avente un preciso connotato
negoziale, bensì come generico intendimento il quale, pur non
trasfuso in una specifica determinazione negoziale, venga ad in
cidere sulla «causa» dello spostamento di ricchezza, dando di
questo una precisa giustificazione. Il che va esaminato in rela
zione alla diversa tipologia di situazioni ed in connessione con
la disciplina legislativa di specifiche ipotesi di arricchimento giu stificato o ingiustificato che con quella in esame presentino ca
ratteri di spiccata affinità.
È comunque evidente che la semplice inerzia dell'impoverito, ancorché riconducibile a difetto di diligenza, non può escludere
la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 2041 c.c. in quan to come tale non riveli alcuna implicita manifestazione di vo
lontà, non essendo applicabile in tal caso la norma dell'art. 1227
c.c., la quale presuppone un danno che il soggetto subisca per effetto del fatto ingiusto altrui, e quindi un'ipotesi di impoveri mento — correlata o meno che sia ad un arricchimento altrui — riconducibile all'altrui fatto illecito e alla conseguente re
sponsabilità, contrattuale o extracontrattuale.
Peraltro, la corte di merito, nel?escludere la rilevanza del com
portamento inerte della Italenka, definito sul piano della sem
II Foro Italiano — 1997.
plice colpa, ha valorizzato al contempo il corrispondente com
portamento inerte dell'arricchito — il Daffara — il quale a sua
volta, consapevole del ritardo nell'instaurazione della procedu ra di ammortamento, si era limitato a trarne profitto anziché
attivarsi col sollecitare la propria creditrice.
La sentenza impugnata ha, quindi, ritenuto la irrilevanza del
cennato comportamento inerte della Italenka quale soggetto «im
poverito» sia sul piano generale dei requisiti richiesti ai fini del l'acro de in rem verso, sia contrapponendovi il comportamento inerte e non diligente, se non deliberato, dello stesso «arricchito».
Quanto alla questione della sussidiarietà dell'azione (art. 2042
c.c.) si rileva che essa non è stata prospettata dal Daffara con
l'atto di appello, pur avendo la pronuncia del tribunale ricono
sciuto che la Italenka, essendosi preclusa la «rivalsa» nei con
fronti del Credito italiano, aveva una sola azione da esperire,
quella nei confronti del Daffara. La questione è, quindi, inam
missibile per la preclusione derivante dal giudicato implicito for
matosi riguardo ad essa a seguito della mancata formulazione
di apposita censura davanti al giudice di appello. Il ricorso del Daffara va, in definitiva, interamente rigettato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 12 marzo
1997, n. 2215; Pres. Vessia, Est. Felicetti, P.M. Leo (conci,
conf.); Soc. Radio Studio 105 (Avv. Petronio, Bagalà) c.
Direttore provinciale poste e telecomunicazioni di Ferrara. Cas
sa Pret. Ferrara 16 settembre 1992.
Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Frequenze riservate
a servizi pubblici essenziali — Interferenze — Sanzioni ammi
nistrative — Soggetti autorizzati in via provvisoria — Appli cabilità (L. 8 aprile 1983 n. 110, protezione delle comunica
zioni relative all'assistenza ed alla sicurezza del volo, art. 1,
3; 1. 6 agosto 1990 n. 223, disciplina del sistema radiotelevisi
vo pubblico e privato, art. 18, 32, 33). Radiotelevisione e servizi radioelettrici — Frequenze utilizzate
dal ministero delle poste — Interferenze — Illecito ammini
strativo — Limiti (L. 6 agosto 1990 n. 223, art. 18).
Le sanzioni amministrative previste in caso di interferenze con
le bande di frequenza riservate ai servizi di polizia si applica no anche ai soggetti autorizzati ex lege in via provvisoria al
l'esercizio di impianti per la radiodiffusione. (1)
Qualora sia stato contestato ad un 'emittente radiofonica di in
terferire con una banda assegnata ai servizi di polizia, non
è sufficiente, ai fini della configurabilità dell'illecito ammini strativo, limitarsi ad accertare che la banda di frequenza in
terferita fosse tra quelle utilizzate dal ministero delle poste
per ponti radiotelevisivi. (2)
(1-4) Con tre pronunce in rapida successione (depositate, peraltro, in ordine cronologico inverso rispetto alla data dell'udienza di discus
sione, dal momento che la sent. 2215/97 risulta essere stata decisa il 21 giugno 1996, mentre le altre risalgono entrambe al 7 novembre 1996) la prima sezione civile della Suprema corte si occupa di taluni aspetti problematici riguardanti la protezione delle frequenze riservate ai servi zi pubblici essenziali ed i connessi profili sanzionatori.
Per un approfondimento sulla natura giuridica delle radiofrequenze, v. R. Esposito, Il governo tecnico dell'etere, in Radiotelevisione a cura di R. Zaccaria, Padova, 1996, 237 ss.
La pronuncia sub I e quella sub III, pur seguendo percorsi argomen tativi differenti (ben più articolata è la motivazione di Cass. 913/97), pervengono all'identico risultato di includere i soggetti autorizzati ex art. 32 1. 223/90 nell'ambito dei destinatari dell'obbligo di non cagiona re interferenze e, in caso di violazione, delle relative sanzioni ammini
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