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sezione III civile; sentenza 21 aprile 1998, n. 4031; Pres. Grossi, Est. Salluzzo, P.M. Palmieri...

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sezione III civile; sentenza 21 aprile 1998, n. 4031; Pres. Grossi, Est. Salluzzo, P.M. Palmieri (concl. parz. diff.); De Vitis (Avv. Cavasola, Piazza) c. Leoni; Leoni (Avv. Coggiatti, Dalla Volta) c. De Vitis. Cassa Trib. Parma 18 agosto 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 12 (DICEMBRE 1998), pp. 3599/3600-3607/3608 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192750 . Accessed: 25/06/2014 00:01 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 188.72.126.47 on Wed, 25 Jun 2014 00:01:44 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 21 aprile 1998, n. 4031; Pres. Grossi, Est. Salluzzo, P.M. Palmieri(concl. parz. diff.); De Vitis (Avv. Cavasola, Piazza) c. Leoni; Leoni (Avv. Coggiatti, Dalla Volta)c. De Vitis. Cassa Trib. Parma 18 agosto 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 12 (DICEMBRE 1998), pp. 3599/3600-3607/3608Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192750 .

Accessed: 25/06/2014 00:01

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3599 PARTE PRIMA 3600

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 21 apri le 1998, n. 4031; Pres. Grossi, Est. Salluzzo, P.M. Palmie

ri (conci, parz. diff.); De Vitis (Aw. Cavasola, Piazza) c.

Leoni; Leoni (Avv. Coggiatti, Dalla Volta) c. De Vitis.

Cassa Trib. Parma 18 agosto 1995.

Locazione — Legge 392/78 — Morosità del conduttore — Sa

natoria giudiziale — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abi

tazione — Applicabilità (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 55).

Sfratto (procedimento per la convalida) — Sfratto per morosità — Ordinanza di convalida — Rigetto dell'istanza di sanatoria

giudiziale della morosità — Appellabilità (Cod. proc. civ., art. 658, 663; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 55).

La sanatoria giudiziale della morosità, ai sensi dell'art. 55 l.

392/78, è applicabile anche con riferimento alle locazioni di

immobili per uso diverso dall'abitazione stipulate dopo l'en

trata in vigore della predetta legge. (1) È impugnabile con l'appello l'ordinanza di convalida di sfratto

per morosità emessa dal pretore rigettando l'istanza di sana

toria della morosità proposta dal conduttore intimato ai sensi

dell'art. 55 I. 392/78, sul presupposto dell'inapplicabilità di

tale norma con riferimento alle locazioni non abitative stipu late dopo l'entrata in vigore della stessa legge. (2)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 9 feb

braio 1998, n. 1316; Pres. Meriggiola, Est. Perconte Lica

(1) In attesa dell'intervento delle sezioni unite sulla dibattuta questio ne dell'utilizzabilità dell'art. 55 1. 392/78 anche a favore del conduttore di immobile ad uso diverso dall'abitazione (in caso di locazione sogget ta al regime ordinario di cui al titolo I della legge), la terza sezione civile della Corte di cassazione conferma l'orientamento seguito (in dif formità rispetto alla sentenza 28 febbraio 1992, n. 2496, Foro it., 1992, I, 3015, riportata anche in Giusi, civ., 1994, I, 596, con nota di N.

Izzo) nella maggior parte delle pronunzie più recenti, prendendo aper tamente posizione per la soluzione affermativa: per riferimenti al ri

guardo, cfr., da ultimo, Cass. 29 novembre 1994, n. 10202, Foro it., 1995, I, 2188, con nota di richiami di D. Piombo, e Pret. Bologna, ord. 18 ottobre 1996, id., 1997, I, 1569, con nota redazionale di aggior namento; nonché Cass. 10 aprile 1997, n. 3114, id., Rep. 1997, voce

Locazione, n. 308 (e Ross, locazioni, 1997, 321), che si esprime in senso difforme dalla sentenza qui riprodotta, al pari di Pret. Verona 16 mag gio 1997, Foro it., Rep. 1997, voce cit., n. 415, e Pret. Chieti 22 marzo

1996, ibid., n. 416. Per ciò che riguarda la giurisprudenza di merito, nel senso dell'ammissibilità della sanatoria in giudizio della morosità anche in caso di locazione non abitativa, v., invece, da ultimo, Pret. Chieti 10 luglio 1996, ibid., n. 417, e Pret. Piacenza, ord. 26 aprile 1996, ibid., n. 418 (e Arch, locazioni, 1996, 964, con nota di G. Par

MEGGIANI). Sul tema, cfr., anche, in dottrina: G. Sassu, Morosità nelle locazioni

ad uso diverso: non è applicabile l'art. 55 l. 392/78, in Arch, locazioni, 1995, 783, e M. Carretta, Ancora sull'inapplicabilità dell'art. 55 l. 392/78 agli immobili ad uso non abitativo, in regime ordinario, id., 1996, 645.

(2) Non risultano precedenti in termini. Con riferimento all'ipotesi in cui il pretore, ritenendo inapplicabile

l'art. 55 1. 392/78 alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, abbia emesso l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., v., nel senso della non

impugnabilità di tale provvedimento (segnatamente con ricorso per cas sazione ex art. Ili, 2° comma, Cost.), Cass. 19 luglio 1997, n. 6664, Foro it., 1998, I, 161, con nota di richiami, ed ivi riferimenti anche sul principio (cui accenna in motivazione la pronunzia in epigrafe) se condo cui la concessione del termine c.d. di grazia, ai sensi dell'art. 55 cit., costituisce per il giudice non un obbligo, ma una facoltà discre zionale, di cui egli può avvalersi quando ricorrano comprovate condi zioni di difficoltà del conduttore.

Sulla base di quest'ultimo principio, e negando che la richiesta di termine ex art. 55 1. 392/78 da parte dell'intimato integri opposizione alla convalida dello sfratto, Cass. 25 novembre 1989, n. 5113, id., Rep. 1989, voce Locazione, n. 668, ha ritenuto che il giudice, ove non riten ga di concedere il termine c.d. di grazia, ben possa emettere l'ordinanza di convalida a norma dell'art. 663 c.p.c. e che tale provvedimento, se adottato in presenza di attestazione della persistenza della morosità da parte del locatore o del suo procuratore, non sia suscettibile di impu

Ii Foro Italiano — 1998.

tese, P.M. Palmieri (conci, conf.); Betti (Avv. E. Russo) c. Soc. Sodimac Roma (Avv. Porcacchia). Conferma App. Roma 4 maggio 1995.

Locazione — Legge 392/78 — Morosità del conduttore — Ri

soluzione del contratto — Clausola risolutiva espressa — Nul

lità — Esclusione — Operatività — Condizioni (Cod. civ., art. 1453, 1456; cod. proc. civ., art. 658; 1. 27 luglio 1978

n. 392, art. 55, 79). Contratto in genere, atto e negozio giuridico — Risoluzione per

inadempimento — Clausola risolutiva espressa — Tolleranza

del creditore — Inefficacia — Reviviscenza — Condizioni —

Fattispecie (Cod. civ., art. 1456; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art.

5).

Nel regime delle locazioni soggette alla l. 392/78, la clausola

risolutiva espressa per il caso di mancato pagamento del ca

none alla scadenza stabilita non incorre nella nullità di cui

all'art. 79 I. cit., ma è destinata semplicemente a rimanere

quiescente in relazione alla possibilità del conduttore di sana

re in giudizio la morosità ai sensi dell'art. 55 stessa legge; con la conseguenza che, ove quest'ultima disposizione non

possa trovare applicazione (come nel caso in cui il locatore

proponga un giudizio ordinario di risoluzione del contratto, di per sé incompatibile con la speciale sanatoria della morosi

tà disciplinata dalla suddetta norma), la clausola risolutiva

espressa può esplicare pienamente, fin dall'inizio, la sua effi cacia (principio affermato ai sensi dell'art. 384, cpv.,

c.p.c.). (3) La tolleranza del creditore all'inesatto adempimento della pre

stazione, per togliere vigore alla clausola risolutiva espressa e renderla inoperante, non deve essere sporadica, ma radicata

attraverso una condotta abituale, salva la reviviscenza della

gnazione (salvo l'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., ricorrendone i presupposti).

La sentenza in rassegna, fondando il proprio decisum sul rilievo che nella fattispecie «il pretore, . . . aderendo alla tesi dell'intimante e quindi rigettando implicitamente quella contrapposta del conduttore circa l'e sclusa possibilità di concessione del termine di grazia ex art. 55 1. 392/78 alle locazioni non abitative, ha implicitamente risolto una questione che andava invece decisa con sentenza», sembra voler dire che nel caso in

esame, invece, la non accolta istanza di concessione del termine per sanare la morosità avrebbe dovuto essere considerata al pari di un'op posizione alla convalida dello sfratto; con conseguente insussistenza dei

presupposti per l'emissione dell'ordinanza ex art. 663 c.p.c. Sul principio (consolidato) secondo cui l'ordinanza di convalida di

sfratto, qualora sia stata emessa in assenza delle condizioni previste dalla legge, assume natura sostanziale di sentenza ed è, come tale, im

pugnabile mediante appello, v., tra le ultime, Cass. 25 marzo 1997, n. 2614, id., Rep. 1997, voce Sfratto, n. 12; 15 gennaio 1996, n. 270, id., Rep. 1996, voce cit., n. 23; 27 aprile 1994, n. 3977, id., 1995, I, 230, con nota di richiami; Trib. Milano 27 febbraio 1995, id., 1996, I, 1713, e Trib. Verona 4 dicembre 1995, id., Rep. 1996, voce cit., n. 25 (per esteso, Rass. locazioni, 1996, 206), dove si precisa che l'ap pellabilità dell'ordinanza ex art. 663 c.p.c. deve intendersi limitata alle sole ipotesi di vizi in procedendo, e cioè per difetto di uno dei presup posti generali (giurisdizione, capacità processuale, principio del contrad

dittorio), dei presupposti di ammissibilità del procedimento speciale ex art. 657 ss. c.p.c. (tipicità del rapporto deducibile) o dei presupposti formali per l'adozione del procedimento per convalida.

In dottrina, sul problema dei rimedi esperibili avverso l'ordinanza in questione, v., da ultimo (entrambi in nota a Corte cost. 51/95), M. Monnini, Brevi note in tema di revocazione e di altre impugnazioni esperibili contro le ordinanze di convalida ex art. 663 c.p.c., tra Corte costituzionale e Corte di cassazione, in Foro it., 1995, I, 2414, e M.C. Chiarini, La revocazione e le altre impugnazioni esperibili avverso l'or dinanza di sfratto di cui all'art. 663 c.p.c., in Riv. dir. proc., 1997, 594.

(3) Nel senso che non v'è incompatibilità tra la clausola risolutiva espressa e l'istituto della sanatoria della morosità in giudizio, in quanto la prima non può precludere al conduttore la possibilità di avvalersi dell'art. 55 1. 392/78 (che contiene disposizioni di ordine pubblico), rimanendo la sua operatività sospesa fino alla prima udienza del giudi zio di risoluzione contrattuale — o fino alla scadenza del termine c.d. di grazia eventualmente concesso dal giudice — per venire definitiva mente meno una volta che la morosità sia stata sanata a norma di leg ge, v. (tutte richiamate in motivazione dalla pronunzia in rassegna) Cass. 16 novembre 1993, n. 11284, Foro it., Rep. 1994, voce Locazione, n. 295; 7 maggio 1991, n. 5031, id., 1992, I, 1500, con nota di richiami, e 27 novembre 1986, n. 6995, id., 1987, I, 2831. Per la nullità ai sensi dell'art. 79 1. 392/78 della clausola risolutiva espressa prevista per il

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

clausola stessa qualora il creditore successivamente provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il de

bitore all'esatto adempimento delle sue obbligazioni (nella spe cie, la Suprema corte ha ritenuto corretta la decisione del giu dice del merito secondo cui la clausola risolutiva espressa era

divenuta inoperante per l'abituale tolleranza del locatore di

ricevere il canone oltre il termine di adempimento, in ragione dei rapporti di amicizia con il titolare della società conduttri

ce, rilevando altresì essere pacifico che, nel dichiarare di vo

lersi avvalere della clausola risolutiva espressa con l'atto di

citazione introduttivo del giudizio di risoluzione, il locatore

non aveva fatto precedere tale atto da una esortazione del

conduttore alla scrupolosa osservanza del termine di adem

pimento). (4)

III

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 26 set

tembre 1997, n. 9465; Pres. Sommella, Est. Limongelli, P.M.

V. Nardi (conci, conf.); Padula (Aw. F. Russo) c. Biscaglia.

Conferma Trib. Potenza 25 ottobre 1994.

Sfratto (procedimento per la convalida) — Sfratto per morosità — Opposizione del conduttore — Sanatoria giudiziale con ri

serva di ripetizione — Conseguenze — Fattispecie (Cod. proc.

civ., art. 36, 658, 665, 667; 1. 27 luglio 1978 n. 392, art. 55).

Qualora, convenuto in giudizio per la convalida dello sfratto

per morosità, il conduttore contesti il fondamento dell'inti

mazione (nella specie, eccependo l'estinzione per compensa zione del credito dedotto dal locatore), l'opposizione così pro

posta determina la conclusione del procedimento sommario

e l'instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordi

naria, anche se l'opponente, avvalendosi della facoltà attri

buitagli dall'art. 55 l. 392/78 e al fine di evitare l'emissione

del provvedimento di rilascio, paghi con riserva i canoni pre tesi dal locatore; sicché non è viziata da ultrapetizione, né

caso di mancato pagamento del canone o degli oneri accessori, trascorsi venti giorni dalla pattuita scadenza, v., invece, Pret. Milano 9 ottobre

1997, Arch, locazioni, 1998, 108. Nell'escludere l'utilizzabilità della sanatoria ex art. 55 1. 392/78 nel

l'ordinario giudizio di risoluzione contrattuale, la pronunzia che si ri

porta si uniforma all'orientamento tralatizio della Suprema corte: v., da ultimo, Cass. 7 agosto 1996, n. 7253, Foro it., 1997, I, 1569, con nota di richiami (riportata anche in Giust. civ., 1997, I, 735, con nota di N. Izzo). La limitazione dell'ambito processuale di applicazione del la norma anzidetta al procedimento per convalida di sfratto ex art. 658

c.p.c., peraltro, non trova concorde la giurisprudenza di merito, la quale, mentre per un verso ritiene non corretta una siffatta interpretazione restrittiva (v. Pret. Bologna, ord. 18 ottobre 1996, Foro it., 1997, I, 1569), dubita, per altro verso, della sua legittimità, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., tanto più dopo la riforma del codice di rito (v. Pret.

Napoli, ord. 29 ottobre 1997, Arch, locazioni, 1998, 33). (4) Sul principio di diritto, v., in senso conforme, Cass. 8 gennaio

1991, n. 90, Foro it., Rep. 1992, voce Locazione, n. 348, e 6 dicembre

1980, n. 6344, id., Rep. 1980, voce Contratto in genere, n. 318, en trambe richiamate in motivazione.

Circa gli effetti della tolleranza del locatore all'inesatto adempimento della prestazione di pagamento della pigione da parte del conduttore, v. anche Cass. 28 dicembre 1990, n. 12210, id., 1992, I, 201, con nota di richiami (la quale puntualizza che la tolleranza a ricevere la corre

sponsione del canone con modalità diverse da quelle convenute — e cioè a mezzo bonifico o accredito bancario, anziché in moneta contante al proprio domicilio — non implica di per sé anche la tolleranza ad ottenere la disponibilità della somma dovuta oltre il termine stabilito

per il pagamento). (5) Il principio riassunto in massima (sul quale non constano prece

denti esattamente in termini) postula la possibilità per il conduttore di sanare la morosità ai sensi dell'art. 55 1. 392/78 «con riserva», e cioè al fine precipuo di cautelarsi di fronte al rischio di una risoluzione del

contratto, pur contestando (in principalità) la sussistenza della morosità dedotta in causa dal locatore: sul punto, v., da ultimo, Cass. 8 agosto 1996, n. 7289, Foro it., 1997, I, 1568, con nota di richiami, che si

riferisce, tuttavia, al caso (inverso a quello ricorrente nella fattispecie esaminata dalla sentenza qui riprodotta) in cui, ottenuto dal pretore il termine c.d. di grazia, il conduttore intimato non abbia poi provve duto (nel termine assegnatogli) al pagamento delle somme dovute (in questo caso, ad avviso della corte, deve ritenersi correttamente emessa dal pretore l'ordinanza di convalida dello sfratto).

Il Foro Italiano — 1998.

da incompetenza, la sentenza del pretore che, sanata la mo

rosità, anziché dichiarare estinto il giudizio, abbia pronunzia to sulla domanda di risoluzione contrattuale proposta con l'in

timazione di sfratto nonché sulla domanda riconvenzionale di ripetizione delle somme pagate, non eccedente la compe tenza per valore del giudice adito, proposta dall'intimato op

ponente. (5)

I

Motivi della decisione. — Deve preliminarmente disporsi, a

norma dell'art. 335 c.p.c., la riunione dei due ricorsi.

Occupandoci di quello principale deve rilevarsi che, con l'u

nico motivo, il De Vitis denuncia «violazione e falsa applicazio ne di norme di diritto per avere la sentenza impugnata ritenuto

non applicabile alle locazioni ad uso commerciale l'art. 55 1.

392/78 ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo del

la controversia prospettato dalla parte ricorrente (art. 360, nn.

3 e 5, c.p.c.)» deducendo che il tribunale per sostenere la non

applicabilità della sanatoria dei canoni alle locazioni non abita

tive, si era richiamato a sentenza della Suprema corte (Cass. 28 febbraio 1992, n. 2496, Foro it., 1992, I, 3015) ormai supe rata e ad ordinanza della Corte costituzionale (la n. 461 del

23 dicembre 1993, id., 1994, I, 330, che aveva dichiarato mani

festamente infondata la questione di legittimità costituzionale

di detto art. 55 1. 392/78) che non sarebbe stata correttamente

interpretata.

L'esposto motivo è fondato e meritevole di accoglimento. Que sta Suprema corte, dopo la sentenza 28 febbraio 1992, n. 2496,

cit., che ha ritenuto inapplicabile l'art. 55 1. 392/78 alle locazio

ni non abitative in regime ordinario, è ritornata sull'orienta

mento di segno contrario (rappresentato da un'ampia giurispru denza: Cass. 4799/86, id., 1987, I, 504; 13575/91, id., Rep.

1991, voce Locazione, n. 399; 12210/90, id., 1992, I, 201) af

fermando il principio — francamente più convincente — secon

do cui «in tema di concessione di un termine per il pagamento

La dottrina è pressoché concorde nel ritenere che, sanata la morosità a norma dell'art. 55 1. 392/78, non necessariamente il procedimento debba concludersi con una pronunzia di cessazione della materia del

contendere, potendo ben accadere che vi siano contestazioni compor tanti la prosecuzione del giudizio ai sensi dell'art. 667 c.p.c.: cfr., tra

gli altri, L. Pignatelli (E. Fiore-P. Lo Cascio-D. Piombo), La morosi tà del conduttore - Aspetti sostanziali e processuali, Milano, 1990, 144

ss., 173 ss. e 181 ss.; R. Preden, Sfratto (procedimento di convalida

di), voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, XLII, 429 ss. (spec, par. 16), e D. Piombo, Procedimento di sfratto per morosità e l. 392/78, in Foro it., 1989, I, 1826.

Secondo Pret. Lucca-Viareggio 27 febbraio 1997, Giur. it., 1998, 273, con nota di E. D'Alessandro, d'altra parte, l'aver sanato la morosità in giudizio ai sensi dell'art. 55 1. 392/78, al fine di impedire la convali da dello sfratto, non preclude al soggetto intimato la possibilità di agire in un succesivo autonomo giudizio per la restituzione di quanto pagato, sostenendo che non era moroso, pur essendo in tal caso a suo carico l'onere di dimostrare che il credito vantato dall'intimante in realtà non esisteva. Concordano sulla possibilità per il conduttore di agire, anche in separato giudizio, per la restituzione di quanto indebitamente versato in sede di sanatoria giudiziale, A. Bucci-M. Crescenzi, Il procedimen to per convalida di sfratto, Padova, 1990, 211, e L. Pignatelli (E. Fiore-P. Lo Cascio-D. Piombo), op. cit., 145.

Sull'ammissibilità della proposizione di domande riconvenzionali da

parte dell'intimato oppostosi alla convalida dello sfratto, oltre ai prece denti richiamati in motivazione da Cass. 9465/97, v., tra le altre, Cass. 18 giugno 1993, n. 6806, Foro it., Rep. 1994, voce Sfratto, n. 16, e 29 giugno 1981, n. 4241, id., Rep. 1981, voce cit., n. 23 (isolata, peral tro, nell'affermare che l'intimato sarebbe tenuto a spiegare la domanda riconvenzionale nell'atto di opposizione alla convalida, costituente il

suo primo atto difensivo). Con riferimento alla disciplina attuale del

procedimento per convalida di sfratto (dopo la riforma del codice di rito e la novella del d.l. 432/95, convertito, con modificazioni, nella 1. 534/95), la dottrina è concorde nel ritenere che l'intimato che si sia

opposto alla convalida possa svolgere le proprie domande riconvenzio nali entro il termine assegnatogli dal pretore con l'ordinanza di muta mento del rito ex art. 667 e 426 c.p.c.: v. R. Frasca, Procedimento

per convalida di sfratto: le novità introdotte (. . . con al seguito qual che problema) dalla I. 534/95, id., 1996, I, 2575; A. Magaraggia, Il

procedimento di convalida dopo la riforma del processo civile, in Ross,

locazioni, 1996, 118, e Gius, 1996, 3119.

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3603 PARTE PRIMA 3604

dei canoni scaduti, previsto dall'art. 55 1. 392/78, la mancanza

di espresse limitazioni all'applicabilità di tale norma nonché di

qualsivoglia incompatibilità di ordine logico-concettuale tra la

sanatoria come da essa regolata e le locazioni non abitative,

escludono un'interpretazione riduttiva dell'istituto e comporta no la sua applicabilità anche con riferimento alla locazione di

un immobile adibito ad uso diverso da quello ad abitazione sti

pulata successivamente all'entrata in vigore della richiamata leg

ge» (cfr. Cass. 6023/95, id., Rep. 1995, voce cit., n. 336;

2232/95, id., Rep. 1996, voce cit., n. 282, e 659/93, id., Rep. 1993, voce cit., n. 280).

Né a diversa conclusione può indurre l'ordinanza della Corte

costituzionale richiamata nell'impugnata sentenza. L'interpreta

zione data a tale ordinanza dai giudici del merito è infatti sicu ramente erronea in quanto con la stessa, contrariamente a quanto

sostenuto, la Corte costituzionale non ha preso posizione sulle

diverse interpretazioni dell'art. 55 1. 392/78 ma si è limitata

ad affermare, avendo riguardo agli opposti orientamenti della

giurisprudenza, che entrambe le linee interpretative, relativamente

alla disciplina transitoria, sono costituzionalmente legittime.

Destituito di fondamento è invece il ricorso incidentale con

il quale si denuncia «violazione e falsa applicazione dell'art.

663 c.p.c. e delle norme e principi che disciplinano il procedi mento di convalida» sostenendosi che l'appello avverso l'ordi

nanza di convalida di sfratto (che secondo la prevalente dottri

na e la giurisprudenza di questa Suprema corte non sarebbe

equiparabile, ai fini dell'impugnabilità, ad una sentenza) non

era ammissibile in quanto tale impugnativa poteva effettuarsi

solo in presenza di provvedimento emesso (diversamente dal ca

so in oggetto) in mancanza dei presupposti di legge e quindi al di fuori dello schema procedimentale ad essa relativo.

Come esattamente rilevato dal tribunale, infatti, il pretore,

pur in presenza di una richiesta (il termine di grazia) a fronte

della quale esisteva non un obbligo ma una facoltà discreziona

le, aderendo alla tesi dell'intimante e quindi rigettando implici tamente quella contrapposta del conduttore circa l'esclusa pos sibilità di concessione del termine di grazia ex art. 55 1. 392/78

alle locazioni non abitative, ha implicitamente risolto una que stione che andava invece decisa con sentenza — il suo provvedi mento era pertanto senza alcun dubbio impugnabile con l'ap

pello e tanto proprio in applicazione di quei principi, richiamati

dalla stessa ricorrente incidentale, affermati da questa Corte di

legittimità (cfr. Cass. 27 aprile 1994, n. 3977, id., 1995, I, 230, e 23 novembre 1993, n. 11565, id., Rep. 1994, voce Sfratto, n. 12).

Le altre due censure espresse nello stesso motivo, a tenore

delle quali il tribunale avrebbe omesso di motivare sulla richie

sta di concessione del termine di grazia e non avrebbe tenuto

conto del fatto che il De Vitis non aveva nemmeno indicato

in cosa consistessero le condizioni di difficoltà nelle quali si

sarebbe venuto a trovare (e che gli avrebbero appunto impedito di pagare il canone locativo) rimangono per l'effetto assorbite.

Il ricorso principale va pertanto accolto mentre quello inci

dentale condizionato va rigettato. Il processo va conseguente mente rinviato, anche per le spese del giudizio di cassazione, dinanzi ad altra sezione del Tribunale di Parma.

II

Svolgimento del processo. — Betti Giuseppe conveniva in

nanzi al Tribunale di Roma la s.r.l. Sodimac Roma, succeduta

per acquisto di azienda alla Sodimac s.r.l. nella locazione del

l'immobile di sua proprietà, sito in Roma, via del Tritone n.

51, per sentir dichiarare risolto il contratto per una morosità

relativa ai canoni dei mesi di maggio e giugno 1989, ciascuno

di lire 1.675.000, giusta clausola risolutiva espressa di cui al

l'art. 5 del contratto (prevista per il mancato pagamento anche

parziale della pigione entro i primi venti giorni del mese). La convenuta eccepiva di aver pagato le due mensilità il 15

e il 20 giugno 1989, per cui la morosità riguardava il solo mese

di maggio e la clausola risolutiva espressa (comunque illegittima ai sensi dell'art. 79 1. n. 392 del 1978) doveva considerarsi supe rata dal comportamento acquiescente tenuto dal locatore in pre cedenti analoghi ritardi. Chiedeva pertanto il rigetto della do

manda e, in via riconvenzionale, la condanna dell'attore al ver

samento degli interessi legali dovuti sul deposito cauzionale.

L'adito tribunale accoglieva la domanda.

Il Foro Italiano — 1998.

La Corte d'appello di Roma, in accoglimento del gravame

interposto dalla s.r.l. Sodimac Roma, l'ha invece respinta. Ricorre il Betti con tre motivi, cui risponde con controricorso

l'intimata.

Motivi della decisione. — Col primo motivo, denunciando

la violazione e falsa applicazione dell'art. 79 1. 27 luglio 1978

n. 392 nonché omessa e insufficiente motivazione, il Betti affer

ma che la nullità della clausola risolutiva espressa non sussiste

nelle locazioni di immobili ad uso diverso da quello abitativo,

nelle quali le parti, contrariamente a quanto deciso dalla corte

d'appello, sono libere di determinarsi in ordine ai procedimenti risolutivi del contratto.

Col secondo mezzo, denunciando la violazione e falsa appli

cazione dell'art. 1456 c.c. e il vizio di omessa motivazione sul

punto, il Betti assume che la rinuncia alla clausola risolutiva

espressa necessita di una serie di comportamenti non equivoci e obiettivamente contrastanti con la volontà di avvalersene, non

essendo sufficiente la sola tolleranza del creditore. Le risultanze

istruttorie depongono al contrario, nella fattispecie, per una sem

plice tolleranza del locatore, giustificata dai rapporti di cordia

lità e amicizia col gestore del negozio, ragion per cui la clausola

doveva ritenersi ancora operativa. Non è poi vero, continua il

ricorrente, che la morosità sia cessata il giorno stesso della noti

fica della citazione, perché, a tacere di altre ragioni ostative,

l'adempimento del 15 giugno 1989 non è avvenuto, come pre

scrive l'art. 1 del contratto, al domicilio del creditore, ma me

diante un accredito bancario; e altresì perché, dato il mezzo

unilaterale usato dal debitore e non portato a conoscenza del

creditore, non si configura una rinuncia di quest'ultimo alla

risoluzione di diritto, già avvenuta con la notifica della citazione.

Tutte queste censure, per la loro stretta interrelazione logica e giuridica, vanno trattate in un unico contesto.

La corte d'appello dichiara sic et simpliciter la nullità della

clausola risolutiva espressa contenuta, ai sensi dell'art. 1456 c.c.,

nel contratto di locazione de quo, perché stipulata in violazione

degli art. 79, 5 e 55 1. 27 luglio 1978 n. 392, in quanto contra

stante, in senso sfavorevole al conduttore, con le disposizioni

imperative della stessa normativa.

Una tale conclusione, in quanto evoca un'assoluta incapacità della clausola di produrre effetti, sempre e in ogni caso, non

può essere condivisa.

Dalla clausola risolutiva espressa apposta a un contratto lo

cativo nel sistema instaurato dalla 1. 27 luglio 1978 n. 392 la

giurisprudenza di legittimità ha in un primo tempo solo affer

mato, senza alcun accenno esplicito di nullità, l'inidoneità ad

impedire la sanatoria della morosità prevista nell'art. 55, «per ché tale articolo contiene disposizioni di ordine pubblico che

non possono essere derogate dalle private pattuizioni» (Cass. 27 novembre 1986, n. 6995, Foro it., 1987, I, 2831). In seguito

questa corte ha meglio chiarito il suo pensiero, affermando che

una clausola del genere è affetta da una semplice inefficacia

temporanea, nel senso che resta sospesa, sebbene il locatore ab

bia dichiarato di volersene avvalere, fino alla prima udienza

del giudizio instaurato dallo stesso locatore per la risoluzione

della locazione (o alla scadenza del termine di grazia eventual

mente concesso dal giudice), con la conseguenza della sua defi

nitiva inefficacia ove il convenuto sani la morosità (Cass. 16

novembre 1993, n. 11284, id., Rep. 1994, voce Locazione, n.

295, e 7 maggio 1991, n. 5031, id., 1992, I, 1500); ovvero, biso

gna dedurne, della sua definitiva efficacia nell'ipotesi contraria

di mancata sanatoria della morosità.

La ragione dell'inefficacia temporanea o meglio condizionata

riposa dunque sull'esigenza, di ordine pubblico, di non preclu dere al conduttore moroso, con un effetto risolutivo automati

co collegato al mancato pagamento del canone (o degli oneri

accessori) alla scadenza, la possibilità di fruire della sanatoria, e quindi di impedire proprio la risoluzione, nei tempi e con

le modalità dell'art. 55 succitato.

Orbene, questa Corte suprema ha ormai da gran tempo sta

tuito (cfr., da ultimo, Cass. 7 agosto 1996, n. 7253, id., 1997,

I, 1569) che la speciale sanatoria della morosità del conduttore

disciplinata dall'art. 55 (si applichi o no anche alle locazioni

non abitative) può aver luogo soltanto nel procedimento di con

valida di sfratto per morosità di cui all'art. 658 c.p.c. ed è inve

ce esclusa in radice quando sia introdotto dal locatore un ordi

nario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, nel qual caso, ai sensi del 3° comma dell'art. 1453 c.c., non

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Page 5: sezione III civile; sentenza 21 aprile 1998, n. 4031; Pres. Grossi, Est. Salluzzo, P.M. Palmieri (concl. parz. diff.); De Vitis (Avv. Cavasola, Piazza) c. Leoni; Leoni (Avv. Coggiatti,

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

è consentito al conduttore di adempiere la propria obbligazione

dopo la proposizione della domanda. Esula pertanto ogni ipote si di inefficacia definitiva della clausola ogni qual volta il loca

tore, operando nell'ambito di una legittima facoltà di scelta (che non crea alcuna disparità di trattamento, attesa la diversità strut

turale dei due strumenti processuali: Corte cost., sent. n. 2 del 22 gennaio 1992, id., 1992, I, 1363) del procedimento più ido

neo alla tutela dei propri interessi, invece di adire il pretore con le forme sommarie dell'art. 658 c.p.c. (intimazione di sfrat

to per morosità), preferisca intraprendere un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il conduttore moroso non ha il potere di bloccare l'azione risolutoria tramite il pagamento dei canoni

nella prima udienza o nell'eventuale termine di grazia. Ne consegue che la possibilità di apporre la clausola risoluti

va espressa per il caso di mancato pagamento del canone alla

scadenza a un contratto locativo, qualunque esso sia, non è

vietata, a pena di nullità, dall'art. 79 1. n. 392 del 1978, ma

al contrario è ammessa nel regime delle locazioni instaurato da

quest'ultima normativa; con la sola peculiarità che essa versa in una fase di quiescenza, destinata com'è ad acquisire definiti

va efficacia, per limitare il discorso all'ipotesi che più da vicino

interessa, qualora il locatore convenga il conduttore moroso,

per ottenere la risoluzione, in un ordinario giudizio cognitivo,

organicamente incompatibile, di per sé, con ogni sanatoria. In

quest'ultima ipotesi la clausola è messa dall'iniziativa del loca

tore nella condizione di esplicare, in tutto e per tutto, fin dall'i

nizio, la sua piena efficacia e di consolidarsi, producendo ex

post tutti i suoi naturali effetti, in primis quello risolutivo di

diritto, dal momento della notifica della citazione.

Tuttavia, sebbene, nel caso presente, il Betti abbia convenuto

la Sodimac in sede ordinaria innanzi al Tribunale di Roma, que sto consolidamento della clausola, in astratto possibile, non si

è verificato, per la ragione di cui, venendo all'esame del secon

do mezzo, subito si dirà.

Invero il giudice di merito, con una motivazione logicamente

congrua e giuridicamente corretta, ha ritenuto, sulla base di una

libera valutazione e interpretazione delle prove raccolte, vana

mente contrastata dal ricorrente, che la clausola risolutiva espres sa (nella sottintesa ipotesi che sia valida e capace di produrre

effetti, come in realtà è) sia stata superata dal comportamento abitualmente tollerante del locatore, aduso a riceversi il canone

«qualche volta, senza problemi, oltre il ventesimo giorno del

mese», «talora», cumulativamente, per due mesi insieme; «altre

volte (. . .) dopo quindici, venti o venticinque giorni». Questo

comportamento benevolo del Betti, in virtù del quale «anche

gli ultimi canoni versati prima della citazione erano stati pagati nei limiti del ritardo tollerato in precedenza», e questa «elastici

tà dei pagamenti» avevano la loro ragion d'essere nell'amicizia

tra il rag. Sensi, «titolare della società conduttrice», e lo stesso

locatore, il quale «di frequente andava nel negozio proprio per riscuotere la pigione, anche alla fine del mese».

Così argomentando la corte del merito si è uniformata alla

giurisprudenza di legittimità, secondo cui è necessario che la

tolleranza del creditore, per togliere vigore alla clausola risoluti

va espressa e renderla inoperante, non sia sporadica ma si sia

radicata attraverso una condotta abituale; salva la reviviscenza

della clausola se il creditore, che non intenda rinunciare ad av

valersene, provveda, dopo il suo comportamento tollerante, con

una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore

all'esatto adempimento delle sue obbligazioni (Cass. 8 gennaio

1991, n. 90, id., Rep. 1992, voce cit., n. 348, e 6 dicembre

1980, n. 6344, id., Rep. 1980, voce Contratto in genere, n. 318). Ed è il caso di aggiungere che, come è pacifico, una simile esor

tazione all'osservanza scrupolosa del termine di scadenza (entro il ventesimo giorno del mese) non ha preceduto la presente cita

zione con cui il Betti dichiarò di volersi avvalere della clausola.

In conclusione, nella fattispecie, la clausola risolutiva espres

sa, pur idonea in astratto ad acquisire definitiva efficacia in

seguito al giudizio cognitivo ordinario prescelto dal locatore, era stata resa, già al momento della citazione, in concreto ino

perante per un diverso ordine di ragioni. L'errore giuridico in cui è incorsa, nella sua premessa, la cor

te d'appello, giustamente criticato dal ricorrente col primo mez

zo, non ha avuto quindi alcuna influenza sulla decisione, il cui

dispositivo è conforme al diritto, salvo l'intervento correttivo

di questa Corte suprema ai sensi dell'art. 384, cpv., c.p.c.

Il Foro Italiano — 1998.

Quanto alle ulteriori censure esposte nel secondo mezzo, è

sufficiente replicare che quello della morosità asseritamente ces

sata il giorno stesso della citazione (15 giugno 1989) mercé l'ac

credito in banca del canone scaduto (maggio 1989) è un argo mento puramente aggiuntivo, sussidiario e non essenziale, giac ché al rigetto della domanda di risoluzione fondata sulla clausola risolutiva espressa era ed è sufficiente l'affermata inoperatività della clausola medesima conseguita alla tolleranza abituale del

locatore nel riceversi i canoni anche oltre la data di scadenza

contrattuale.

Col terzo motivo infine, denunciando omessa e illogica moti

vazione sul punto, il Betti lamenta che la domanda riconvenzio nale di pagamento degli interessi sul deposito cauzionale sia sta ta accolta dalla corte d'appello pur non essendo stati provati i fatti posti a fondamento della medesima.

Anche questa doglianza è infondata.

Essendo incontroverso che è stato prestato il deposito cauzio

nale, l'obbligo degli interessi legali, da corrispondere alla fine di ogni anno al conduttore, discende direttamente ex lege (art. 11 e 41 1. n. 392 del 1978), per cui non si comprende quali altri fatti costitutivi del suo diritto avrebbe dovuto provare la Sodimac ai sensi dell'art. 2697, 1° comma, c.c., se non la sem

plice esistenza del titolo giuridico, ossia l'avvenuto deposito, che l'abilitava alla domanda, correttamente pertanto accolta dal

giudice di merito.

Ili

Svolgimento del processo. — Con atto del 12 giugno 1986

Padula Giuseppe, proprietario di un appartamento in Campo

maggiore, condotto in locazione da Biscaglia Giovanni, intimò

al conduttore sfratto per morosità nel pagamento di sei canoni di importo complessivo pari a lire 360.000 e contestualmente

lo convenne dinanzi al Pretore di Potenza per la convalida. Pur

opponendosi, l'intimato offrì in udienza il pagamento dei cano

ni, che fu accettato dal locatore. Sostenne, peraltro, di avere

speso la somma di lire 631.667 per porre rimedio ad infiltrazio

ni d'acqua nell'immobile e riconvenne, quindi, il locatore per esserne rimborsato. Con sentenza del 18 dicembre 1990 il preto re dichiarò cessata la materia del contendere quanto alla do

manda di risoluzione contrattuale ed accolse la domanda ricon

venzionale. Su appello del Padula il Tribunale di Potenza, con

sentenza del 25 ottobre 1994, ha confermato la sentenza del

pretore, osservando: 1) che il pretore aveva correttamente pro nunziato sulla domanda riconvenzionale del conduttore, giac ché questa era dipendente da titolo connesso a quello dedotto

in giudizio dal locatore e non eccedeva la competenza pretorile;

2) che, inoltre, la domanda riconvenzionale era fondata, giac ché al conduttore competeva il rimborso di quanto egli aveva

speso nell'esercizio del diritto attribuitogli dall'art. 1577, 2° com

ma, c.c. Ricorre il Padula con tre motivi. L'intimato Biscaglia non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione. — Con i primi due motivi dell'impu

gnazione, che in quanto connessi vanno congiuntamente esami

nati, il ricorrente, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., ripropone le eccezioni di incompetenza e di extrapetizione, già esaminate

e respinte dal tribunale, lamentando che il pretore, in luogo di «dichiarare estinto» il giudizio in esito al pagamento dei ca

noni da parte del conduttore, abbia, in violazione degli art. 658, 667 e 112 c.p.c., pronunziato su una domanda di risoluzione

del contratto che, con l'intimazione di sfratto per morosità, il

locatore non aveva proposto ed abbia, inoltre, in violazione del

l'art. 36 c.p.c., pronunziato sulla domanda riconvenzionale del

conduttore, quantunque essa non fosse connessa alla domanda

principale ed appartenesse alla competenza per valore del conci

liatore. Le doglianze non hanno fondamento, giacché da un

canto la citazione per convalida di sfratto per morosità corri

sponde in ogni caso ad una domanda di risoluzione contrattua

le per inadempimento del conduttore e, d'altro canto, l'opposi zione dell'intimato, che, ai sensi degli art. 665 e 667 c.p.c., de

termina la conclusione del procedimento sommario e la

instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordinaria, deve ritenersi proposta tutte le volte che il conduttore, costi

tuendosi, contesti il fondamento dell'intimazione di sfratto, né

può considerarsi priva di effetti solo perché l'opponente, anche

al fine di evitare la pronunzia del provvedimento di rilascio ed

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3607 PARTE PRIMA 3608

avvalendosi della facoltà attribuitagli dall'art. 55 1. 27 luglio 1978 n. 392, paghi con riserva, i canoni pretesi dal locatore.

Nella specie il conduttore, avendo eccepito, con l'atto di costi

tuzione, l'estinzione per compensazione del credito dedotto dal

locatore, ha contestato il fondamento dell'intimazione di sfrat

to (e della corrispondente domanda di risoluzione) ed ha, per

tanto, proposto, un'opposizione all'intimazione, che ha dato luo

go ad un ordinario giudizio di cognizione, in cui l'opponente ha legittimamente proposto nei confronti del locatore una do

manda riconvenzionale (Cass. 30 luglio 1988, n. 4795, Foro it.,

Rep. 1988, voce Ingiunzione (procedimento), n. 37; 11 giugno

1983, n. 4023, id., Rep. 1983, voce Sfratto, n. 36; 23 ottobre

1979, n. 5541, id., Rep. 1979, voce cit., n. 18) di ripetizione delle somme come sopra pagate, la quale, essendo fondata sul

credito del conduttore per spese di riparazione dell'immobile

locato, traeva ragione da un titolo connesso a quello dedotto

con la domanda principale e, non eccedendo la competenza per valore del giudice adito, è stata da quest'ultimo correttamente

assunta in esame, ai termini dell'art. 36 c.p.c. Col terzo motivo il ricorrente, ai sensi dell'art. 360, n. 3,

c.p.c., lamenta che il tribunale, in violazione dell'art. 1577 c.p.c., abbia riconosciuto al conduttore la facoltà di eseguire opere nel sovrastante appartamento di proprietà del locatore, che tut

tavia non costituiva oggetto del rapporto locativo. La doglianza è priva di fondamento, perché, senza incorrere nella denunziata

violazione, il tribunale ha ritenuto che il conduttore, al fine

di provvedere all'urgente eliminazione delle infiltrazioni di ac

qua verificatesi nell'appartamento locatogli, si sia legittimamente avvalso dei poteri sostitutivi e di gestione attribuitigli dagli art.

1527 e 2028 c.c., ed abbia, quindi, acquisito titolo per pretende re dal locatore il rimborso delle spese a tal fine erogate.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 17 marzo

1998, n. 2854; Pres. Baldassarre, Est. Verucci, P.M. Fraz

zini (conci, conf.); Brizzi (Avv. Menghini, Di Chio) c. Fall,

soc. R.F. Sfer. Val (Avv. Manzi, Concina). Conferma App. Torino 22 settembre 1995.

Società — Società in accomandita semplice — Accomandante — Procura ad operare su conto corrente bancario — Caratte

re generale della procura — Immistione nella gestione socie

taria — Conseguenze (Cod. civ., art. 2313, 2318, 2249, 2320; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 147).

La procura dell'accomandante per operare sul conto corrente

bancario della società, se pur formalmente definita come spe

ciale, riveste carattere generale, e quindi concreta un'ingeren za dell'accomandante nella gestione della società quando, dalla

sua genericità e indeterminatezza, è possibile valutare che it

complesso dell'attività delegata implichi autonome scelte di

indirizzo economico o finanziario, comportando quindi, in

caso di fallimento della società, l'estensione del fallimento al

l'accomandante. (1)

(1-2) I. - Le sentenze qui riportate cercano di dare un contributo

agli sforzi di dottrina e giurisprudenza tesi ad individuare in maniera

più compiuta possibile l'ambito del divieto di immistione nella gestione societaria da parte del socio accomandante e, più in particolare — spe cificamente la sentenza 9659/97 — gli effettivi limiti della previsione ex art. 2320, 2° comma, c.c. La formulazione letterale della norma non chiarisce esaustivamente se ci si trovi di fronte ad una deroga, o meglio ad un temperamento, al generale principio della non ingerenza del socio accomandante nella gestione societaria di cui al 1° comma

Il Foro Italiano — 1998.

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 3 ottobre

1997, n. 9659; Pres. Rocchi, Est. De Musis, P.M. Morozzo

Della Rocca (conci, conf.); Fall. Mamone (Avv. Vaccarel

la, Silvetti) c. L. Mamone (Aw. Tamponi, Finzi). Cassa

App. Brescia 29 dicembre 1994.

Società — Società in accomandita semplice — Atto costitutivo — Clausola di autorizzazione all'accomandante per determi

nate operazioni — Limiti — Operazioni gestite dall'accoman

dante — Conseguenze — Fattispecie (Cod. civ., art. 2313,

2318, 2320; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 147).

Le determinate operazioni societarie consentite all'accomandan

te con apposita clausola dell'atto costitutivo possono essere

singole operazioni o categorie della medesima operazione e

devono essere individuate con precisione nella loro effettiva

portata per poter valutare se si concreti una violazione del

divieto di immistione nella gestione della società con le relati

ve conseguenze in termini di responsabilità illimitata e solida

le (nella specie, la Cassazione ha ritenuto legittima la previ sione statutaria di previa autorizzazione dell'accomandante a

contrarre mutui eccedenti una somma determinata e non in

vece la previsione contemplante genericamente gli atti ecce

denti l'ordinaria amministrazione o le obbligazioni eccedenti

una determinata somma). (2)

del medesimo articolo, oppure se, fermo restando il principio di non

immistione, sottoponga comunque alcuni atti dell'accomandante a spe cifiche previsioni contrattuali proprio per evitare la loro confusione con atti gestori (v. App. Firenze 14 luglio 1978, Foro it., Rep. 1979, voce

Società, n. 149, secondo cui gli atti ex art. 2320, 2° comma, c.c. non sarebbero atti di amministrazione ma solo atti con valenza interna, con esclusione delle facoltà di decisione e di contrattazione, che resterebbe ro prerogativa dei soci accomandatari). La ratio del divieto di ingerenza nella gestione e amministrazione della società è di volta in volta indivi

duata, da dottrina e giurisprudenza, nella necessità di tutela della posi zione dell'accomandatario nell'ambito della gerarchia societaria e nella

garanzia, nell'interesse generale, dell'effettiva rispondenza dell'organiz zazione sociale al tipo prescelto, sul quale i terzi fanno affidamento, e al principio di tipicità ex art. 2249 c.c. (come affermato in motivazio ne dalla sentenza 2854/98 qui riportata, ma v., anche, Trib. Torino 14 marzo 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n. 546), oppure nell'interesse

generale ad un responsabile esercizio del potere economico (cfr. Trib. Milano 3 ottobre 1991, id., 1992, I, 3412, con nota di richiami; Trib. Como 11 febbraio 1987, id., Rep. 1989, voce cit., n. 369, e, soprattut to, Cass. 19 dicembre 1978, n. 6085, id., 1979, I, 2092).

Ove la clausola contrattuale di autorizzazione sia considerata illegitti ma è discusso se la conseguenza sia la sua decadenza e la relativa esten sione della responsabilità da limitata ad illimitata dell'accomandante che ha agito sulla base della clausola, oppure se la clausola debba con siderarsi valida ma con la modifica della società da accomandita a so cietà in nome collettivo (in dottrina, v. Ferrara-Corsi, Gli imprendito ri e le società, Milano, 1994, 372 ss.).

Il tentativo di delimitazione più tradizionale dell'art. 2320, 2° com

ma, c.c. è quello secondo cui solo atti di straordinaria amministrazione

possono essere svolti dagli accomandanti mentre l'ordinaria ammini

strazione, concretandosi nell'esercizio normale della gestione societaria, può essere svolta solo ed esclusivamente dagli accomandatari. Ma an che il concetto di «straordinaria amministrazione» è di difficile defini zione: un orientamento giurisprudenziale più risalente (cfr. Cass. 23 aprile 1969, n. 1300, Foro it., Rep. 1969, voce cit., n. 338; 11 maggio 1955, n. 1351, in motivazione, id., Rep. 1955, voce cit., n. 227, e Dir. fallirti., 1955, II, 416) considerava ordinaria amministrazione gli atti conservati vi del patrimonio amministrativo o destinati ad accrescerlo senza ri

schio, mentre la straordinaria amministrazione si concreterebbe in atti di disposizione suscettibili di diminuire l'entità economica del patrimo nio. Successivamente, è prevalsa una posizione giurisprudenziale tesa a restringere la categoria degli atti di straordinaria amministrazione, che ricomprenderebbe solo quegli atti incidenti «sugli elementi costituti vi dell'impresa»: v. Cass. 4 maggio 1995, n. 4856, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 679; 9 novembre 1994, n. 9296, ibid., n. 542; 12 marzo

1994, n. 2430, id., 1995, I, 1305. Le sentenze in epigrafe sembrano invece cercare una soluzione al pro

blema richiamandosi il più possibile all'interpretazione anche letterale della norma, rinvenendo nelle locuzioni «singoli affari» di cui al 1° comma e «determinate operazioni» del 2° comma, indicazioni che fa voriscono una delimitazione ex ante dei poteri dell'accomandante impe dendone un'attività gestoria indiscriminata.

In realtà, la casistica in materia di clausole ex art. 2320 c.c. e le relative pronunce giurisprudenziali forniscono sostanzialmente un elen

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