sezione III civile; sentenza 21 maggio 1997, n. 4518; Pres. Sciolla Lagrange Pusterla, Est.Lucentini, P.M. Carnevali (concl. conf.); Brunazzo (Avv. Placidi, Giudiceandrea) c. Mayr (Avv.Benedetti, Brandstatter). Conferma Trib. Bolzano 7 agosto 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 3 (MARZO 1998), pp. 907/908-911/912Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192334 .
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PARTE PRIMA
mente invalido. E tale impugnazione stragiudiziale ha il giuridi co effetto di impedire, una volta per tutte, la decadenza del
lavoratore dall'azione di annullamento.
Sennonché, una volta che sia stato tempestivamente impu
gnato dal lavoratore in via stragiudiziale l'accordo transattivo, la persistenza degli effetti di tale accordo permane ovviamente
dubbia, quanto meno fino all'effettivo esercizio dell'azione di
annullamento o fino alla scadenza del termine di prescrizione di quell'azione. Né la legge prevede una qualche forma di inter
pello, che valga a sollecitare l'iniziativa del lavoratore.
In tali condizioni, il datore di lavoro può venire a trovarsi
in una situazione oggettivamente nociva di assoluta incertezza
circa l'idoneità dell'accordo transattivo (la cui validità è stata
contestata stragiudizialmente) a conseguire la piena e duratura
definizione dell'assetto di interessi fra le parti. L'assunto del Tribunale di Milano, sez. lavoro, per cui l'eser
cizio di un'azione dichiarativa, in ordine alla validità dell'accor
do già stipulato ed impugnato stragiudizialmente dalla contro
parte, sarebbe precluso al datore di lavoro, essendo egli carente
di legittimazione a chiedere l'annullamento della transazione,
implica una lettura non corretta dell'art. 1441 c.c. e una ecces
siva dilatazione della sua portata normativa, e viene a privare il datore di lavoro di ogni adeguato strumento difensivo miran
te a eliminare il danno cagionato dalla situazione di incertezza.
Nulla osta, per converso, a che, rebus sic stantibus, il datore
di lavoro, quantunque non legittimato a chiedere l'annullamen
to della transazione, agisca in mero accertamento al fine di ot
tenere la giudiziale declaratoria della validità dell'accordo im
pugnato ex adverso: e ciò, in ipotesi, sia propugnando che l'ac
cordo fosse privo in radice di carattere transattivo, sia adducendo
che la transazione non fosse lesiva di alcun diritto del lavorato
re derivante da disposizioni inderogabili della legge o dei con
tratti ed accordi collettivi (o, in alternativa, che la transazione
fosse stata stipulata conciliativamente ai sensi degli art. 185, 410 e 411 c.p.c.).
L'esercizio di siffatta azione di mero accertamento da parte del datore di lavoro ben può, di fatto, nei singoli casi, indurre
il lavoratore ad agire in via riconvenzionale per ottenere l'an
nullamento della transazione già stragiudizialmente impugnata.
Ma, anche laddove ciò non avvenga, si dà àdito al datore di
lavoro di attingere, in caso di accoglimento della domanda, un
giudicato, opponibile al lavoratore, sulla validità dell'accordo
transattivo, e quindi sulla sussistenza del diritto del datore di
lavoro di considerare definitivamente acquisito al suo patrimo nio Yaliquid datum dalla controparte in sede di transazione.
L'ambito di esperibilità delle azioni dichiarative o di mero accertamento è stato peraltro opportunamente ampliato dalla
più recente giurisprudenza, la quale ha osservato che «l'interes
se ad agire in mero accertamento non implica necessariamente
l'attuale verificarsi della lesione di un diritto, essendo sufficien
te uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico e sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso
scaturenti, e costituendo la rimozione della suddetta incertezza un risultato utile e giuridicamente rilevante non conseguibile senza l'intervento del giudice» (così, testualmente, Cass. 29 novembre
1991, n. 12818, id., Rep. 1991, voce Procedimento civile, n.
104; cfr., altresì, ex pluribus, Cass. 30 ottobre 1984, n. 5551, id., Rep. 1984, voce cit., n. 59; 13 febbraio 1989, n. 885, id.,
Rep. 1989, voce cit., n. 86; 26 aprile 2990, n. 3461, id., 1990, I, 1893; 24 giugno 1991, n. 7081, id., Rep. 1991, voce Lavoro
(rapporto), n. 793; 23 dicembre 1991, n. 13895, ibid., voce Pro cedimento civile, n. 103; 7 marzo 1995, n. 2622, id., Rep. 1995, voce cit., n. 101; 20 aprile 1995, n. 4444, ibid., n. 160; 28 aprile 1995, n. 4740, ibid., voce Lavoro (rapporto), n. 1070; 24 giu gno 1995, n. 7196, ibid., voce Procedimento civile, n. 157; 15 gennaio 1996, n. 264, id., Rep. 1996, voce cit., n. 132).
Può allora conclusivamente essere enunciato il principio se
guente:
«Nell'ipotesi di transazione intervenuta fra datore e prestato re di lavoro, e tempestivamente impugnata dal lavoratore con atto stragiudiziale ai sensi dell'art. 2113 c.c., l'impugnazione stessa, volta a impedire la decadenza del lavoratore dall'azione di annullamento, consente allo stesso lavoratore l'esercizio suc cessivo di tale azione entro il termine di prescrizione. Tuttavia, atteso che a seguito dell'impugnazione stragiudiziale del lavora tore viene a determinarsi una situazione di oggettiva incertezza circa l'idoneità dell'accordo transattivo (la cui validità è stata
Il Foro Italiano — 1998.
contestata) a conseguire la piena e duratura definizione dell'as
setto di interessi fra le parti, situazione la cui persistenza fino
al compimento del termine di prescrizione dell'azione di annul
lamento può risultare pregiudizievole per il datore di lavoro, non è precluso a quest'ultimo di agire in mero accertamento
dinanzi al competente pretore giudice del lavoro, per chiedere, nei confronti del lavoratore, una pronuncia dichiarativa da cui
risulti la validità dell'accordo perché non avente natura transat
tiva, o per non avere a oggetto diritti del prestatore di lavoro
derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti
e accordi collettivi, o, in alternativa, per essere stato l'accordo
transattivo stipulato in sede conciliativa ai sensi degli art. 185, 410 e 411 c.p.c.».
Respinto il primo motivo, e in accoglimento del secondo mo
tivo di ricorso per cassazione, la sentenza impugnata dev'essere
cassata. Giudice di rinvio si designa il Tribunale di Pavia in
funzione di giudice del lavoro.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 21 mag
gio 1997, n. 4518; Pres. Sciolla Lagrange Pusterla, Est.
Lucentini, P.M. Carnevali (conci, conf.); Brunazzo (Avv.
Placidi, Giudiceandrea) c. Mayr (Avv. Benedetti, Brand
statter). Conferma Trib. Bolzano 7 agosto 1993.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso non abi
tativo — Diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza — Destinazione all'esercizio di attività in proprio — Necessità di opere edilizie — Mancanza della prescritta concessione — Irrilevanza — Fattispecie (L. 27 luglio 1978
n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 29).
Nell'ipotesi di recesso del locatore di cui all'art. 29, lett. b), /. 392/78, non assume rilievo, ai fini della legittimità del re
cesso e dell'esercizio della relativa azione di rilascio, la man
canza della concessione edilizia necessaria onde eseguire le ope re che rendano l'immobile idoneo alla destinazione impressa,
sempreché tale mancanza non derivi dal divieto assoluto ed
inderogabile di eseguire quelle opere, posto che la realizzabi lità delle stesse incide sul requisito della serietà dell'intento
del locatore. (1)
(1) La decisione, ritenuta in fatto l'applicabilità al caso concreto del
disposto di cui alla lett. b) dell'art. 29 1. 392/78, si uniforma al consoli dato orientamento giurisprudenziale sul tema di cui alla massima. Nello stesso senso, v. Cass. 24 marzo 1995, n. 3421, Foro it., Rep. 1995, voce Locazione, n. 255, e Arch, locazioni, 1995, 584; 5 aprile 1995, n. 4003, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 254; 9 maggio 1992, n. 5521, id., Rep. 1993, voce cit., n. 208. Da segnalare, poi, Cass. 8 agosto 1995, n. 8686, id., Rep. 1995, voce cit., n. 261, e 14 gennaio 1988, n. 204, id., Rep. 1988, voce cit., n. 434 (e Riv. giur. edilizia, 1988, I, 293), richiamate come conformi nella motivazione della pronunzia odierna sebbene abbiano riguardato entrambe ipotesi di recesso ex art. 29, lett. a), 1. 392/78.
Giova notare, peraltro, come le previsioni di cui alle lett. a) e b) dell'art. 29 siano sovente accomunate, nel senso che, mentre nel caso di cui alle successive lett. e) e d) la ristrutturazione e il completo restau ro costituiscono lo scopo unico e immediato dell'azione del locatore, in tali casi (particolarmente, per quanto ci occupa, in quello di cui alla lett. b), le opere edilizie da eseguirsi hanno carattere accessorio e stru mentale rispetto allo scopo principale dell'azione, che è quello di desti nare l'immobile al soddisfacimento di esigenze concernenti la persona del locatore; v., in tal senso, Cass. 24 marzo 1995, n. 3421, cit., nella parte motiva; 9 maggio 1992, n. 5521, cit.; 14 giugno 1988, n. 4033, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 518 (e Rass. equo canone, 1988, 240); 17 gennaio 1984, n. 403, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 708.
La decisione puntualizza poi che l'intento del locatore di destinare l'immobile ad una delle attività di cui all'art. 27 1. 392/78 non concreta una cessazione del rapporto ad libitum, ma deve esprimere un'intenzio ne seria, cioè realizzabile tecnicamente e giuridicamente; v. al riguardo, per tutte, Cass. 2 dicembre 1996, n. 10709, id., 1997, I, 2160, con am
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto notificato in data 1°
febbraio 1992 Mayr Hermann — premesso che Brunazzo Ma riantonio era locatario dell'unità immobiliare sita in Bressano
ne, via Ponte Aquila 9, adibita a negozio e magazzino — espo neva che con raccomandate 4 ottobre 1989 e 18 maggio 1990, nella sua qualità di nuovo proprietario dell'edificio in cui era
ricompreso il bene locato, gli aveva comunicato disdetta ex art.
29, 1° comma, lett. b), 1. 27 luglio 1978 n. 392 per la scadenza
del 31 dicembre 1991, senza che però il Brunazzo avesse inteso
rilasciare l'immobile. Pertanto, gli intimava sfratto per finita
locazione, citandolo per la convalida davanti al Pretore di Bres
sanone.
Radicatosi il contraddittorio, con sentenza 19 gennaio 1993
il pretore dichiarava legittimo il diniego di rinnovazione del con
tratto alla prima scadenza, e conseguentemente condannava il
convenuto al rilascio del bene in locazione, fissando il termine
per l'esecuzione.
Su appello del soccombente, con sentenza 7 agosto 1993 il
Tribunale di Bolzano confermava la sentenza gravata. Motiva
va all'uopo che, contrariamente all'assunto del Brunazzo, era
applicabile alla fattispecie la disposizione di cui all'art. 29, lett.
b), 1. 392/78, e non quella di cui alla successiva lett. c), dal
momento che l'arch. Dejaco Ralf, incaricato dal Mayr di pro
gettare l'utilizzo del bene locato come (nuovo) ingresso dell'al
bergo Aquila d'Oro da lui gestito nella restante parte dell'im
mobile, aveva riferito che lo stesso bene era originariamente
collegato ai piani superiori con una scala, poi abbattuta, sicché
le opere da farsi, consistenti nel ripristino dell'anteriore situa
zione, e come tali di limitata portata, non apparivano impedite dai vincoli di tutela storico-artistica, cui l'intero stabile era as
soggettato. Su questi presupposti, riteneva la serietà dell'inten
zione del Mayr di destinare i locali in questione ad esercizio
di attività alberghiera, onde, appunto, la conferma della sentenza.
Per la cassazione della sentenza il Brunazzo ha proposto ri
corso sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il
Brunazzo.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo, denunziando
falsa applicazione dell'art. 29, lett. b), 1. 392/78, il ricorrente
censura la sentenza nella parte in cui, nonostante la ritenuta
necessità, alla stregua della deposizione Dejaco, di porre in es
sere opere di rilevante consistenza ai fini dedotti, tanto da ri
chiedere la concessione edilizia, aveva ritenuto di applicare al
rapporto la previsione di cui all'art. 29, lett. b), I. 392/78.
Con il secondo motivo, denunziando motivazione carente e
contraddittoria su punto decisivo della controversia prospettato
pia nota di richiami, che precisa che, onde consentire al conduttore
e, successivamente, in sede giudiziaria al giudice, di verificare la serietà e la realizzabilità dell'intento manifestato, non è sufficiente un'indica zione generica da parte del locatore dell'attività che egli o un suo fami liare intende esercitare nell'immobile, ma ne è necessaria un'indicazione
specifica (v. anche, a quest'ultimo proposito, Cass. 7 febbraio 1997, n. 1191, e 6 novembre 1996, n. 9646, ibid., 2159 e 2161). Sulla conse
guente necessità che l'autorizzazione o la concessione non siano vietate in modo assoluto dalla legge o dagli strumenti urbanistici, v. Cass. 5
aprile 1995, n. 4003, cit.; 24 marzo 1995, n. 3421, cit.; 1° agosto 1986, n. 4920, id., Rep. 1987, voce cit., n. 556.
La corte regolatrice precisa altresì, che mentre la mancanza dei prov vedimenti autorizzatoli o concessori non incide sull'esercizio del diritto di recesso, essa può rilevare invece ai diversi fini del successivo ripristi no del rapporto e del risarcimento del danno, a norma dell'art. 31 1. 392/78 (evidentemente, qualora ne sia derivata la sopravvenuta impos
sibilità di destinare l'immobile all'uso per il quale il diritto di recesso era stato esercitato); a tal riguardo, v. Cass. 8 agosto 1995, n. 8686, cit.; 24 marzo 1995, n. 3421, cit.; 14 aprile 1993, n. 4414, id., 1993,
I, 1069.
Sull'incidenza, ai fini del diniego di rinnovazione, della mancanza
dell'autorizzazione amministrativa all'esercizio di una delle attività di cui all'art. 27 1. 392/78, o di altri provvedimenti amministrativi di con
cessione o autorizzazione, v., sui vari punti toccati dalla sentenza in
epigrafe in relazione all'ipotesi de qua, Cass. 22 maggio 1997, n. 4568,
id., Mass., 429; 25 marzo 1995, n. 3421, cit.; 29 maggio 1993, n. 5997,
id., Rep. 1994, voce cit., n. 218; 24 maggio 1991, n. 5866, id., Rep. 1992, voce cit., n. 384, che precisa che la richiesta dell'autorizzazione
amministrativa non è sufficiente, da sola, a provare la serietà dell'in
tenzione del locatore; 23 maggio 1990, n. 4642, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 428; 22 gennaio 1990, n. 335, ibid., n. 229; 23 novembre 1987, n. 8608, id., Rep. 1987, voce cit., n. 546; 29 novembre 1985, n. 5925, e 2 marzo 1985, n. 1788, id., 1986, I, 1609, con nota di Piombo.
Il Foro Italiano — 1998.
dalle parti e comunque rilevabile d'ufficio, il Brunazzo si duole
che il tribunale abbia ritenuto «semplici» ed «assai limitati» i
lavori, laddove dalla testimonianza Dejaco appariva l'esatto con
trario, senza dire, poi, che nessun progetto dettagliato era stato
ancora redatto.
Con il terzo motivo, denunziando violazione dell'art. 29, lett.
c), 1. 392/78, il ricorrente censura la sentenza nella parte in
cui aveva omesso di applicare tale disposizione in presenza della
necessità di una totale trasformazione dei locali, concretante l'i
potesi di un «completo restauro», dal che sarebbe conseguito 11 rigetto della domanda per mancanza della prescritta conces sione oltreché per erroneità od incompletezza della disdetta.
Osserva il collegio che il primo ed il terzo motivo, attenendo a questioni connesse sotto il profilo logico, debbono essere esa
minati congiuntamente. Per vero, nell'ottica strettamente formale della titolazione della
censura, il terzo motivo parrebbe inammissibile, deducendo il
ricorrente che il tribunale avrebbe violato una disposizione —
la lett. c) dell'art. 29 — che è in realtà estranea alla concreta
fattispecie, la cui disciplina fu individuata nella lett. b) del me
desimo articolo.
Il contenuto effettivo del mezzo, però, è nell'identico senso
della prima censura, con questa essendo volto a contestare l'o
pinata sussunzione della fattispecie nell'ipotesi normativa di cui
alla citata lett. b); ed il mezzo, in questa prospettiva ammissibi
le, può allora essere senz'altro esaminato.
Ciò detto, entrambe le doglianze sono infondate.
Occorre premettere, in linea generale, che nel caso previsto dalla lett. c) dell'art. 29, l'esecuzione di opere edilizie (ristruttu razione o completo restauro) sull'immobile locato costituisce lo
scopo unico e immediato dell'azione del locatore volta a conse
guire la declaratoria della legittimità del recesso e il rilascio del
l'immobile, mentre, nell'ipotesi riconducibile alla previsione della
lett. b), scopo primario e diretto dell'azione è il soddisfacimen
to dell'interesse del locatore di destinare l'immobile all'esercizio
di una delle attività indicate nell'art. 27, oppure, allorché si
tratti di enti pubblici, di attività tendenti al conseguimento delle
loro finalità istituzionali, avendo carattere accessorio e strumen
tale, rispetto allo scopo ora indicato, l'eventuale esecuzione di
opere edilizie che possa rendersi necessaria per assicurare la de
stinazione stessa (Cass. 14 giugno 1988, n. 4033, Foro it., Rep.
1989, voce Locazione, n. 518). In quest'ultimo caso, secondo quanto si desume inequivoca
mente dal silenzio della legge, non costituisce condizione neces
saria dell'azione di rilascio il possesso della prescritta licenza
o concessione edilizia (Cass. 8 agosto 1995, n. 8686, id., Rep.
1995, voce cit., n. 261; 14 gennaio 1988, n. 204, id., Rep. 1988, voce cit., n. 434).
L'intento di destinare l'immobile ad una delle attività indica
te dall'art. 27 deve esprimere, d'altro canto, un'intenzione se
ria, che sia, cioè realizzabile tecnicamente e giuridicamente (Cass. 3 dicembre 1994, n. 10423, id., Rep. 1995, voce cit., n. 253; 12 novembre 1994, n. 9550, id., Rep. 1994, voce cit., n. 217; 16 novembre 1989, n. 4873, id., Rep. 1990, voce cit., n. 427; 9 luglio 1983, n. 4646, id., Rep. 1983, voce cit., n. 773; 7 giu gno 1982, n. 3449, id., 1982, I, 2534).
Realizzabilità giuridica vuol dire, con particolare riguardo al
le opere edilizie, che l'autorizzazione o la concessione non deb
bono essere in modo assoluto vietate dalla legge o dagli stru
menti urbanistici in relazione alla natura delle opere stesse, al
l'ubicazione dell'immobile e ai vincoli di destinazione su di esso
impressi: occorre, cioè, che, sia pure in via di eccezione o in
deroga alle previsioni urbanistiche generali, quei provvedimenti
possano essere emessi per le opere eventualmente da realizzare
(Cass. 5 aprile 1995, n. 4003, id., Rep. 1995, voce cit., n. 254; 24 marzo 1995, n. 3421, ibid., n. 255; 1° agosto 1986, n. 4920,
id., Rep. 1987, voce cit., n. 556). Conseguentemente, mentre la mancanza dell'autorizzazione o
della concessione, in quanto non ancora richiesta o in corso
di rilascio, non incide sull'esercizio del diritto potestativo di re cesso attribuito al locatore ex art. 29, lett. b), essendo tali prov vedimenti necessari solo per la concreta attuazione della desti
nazione impressa all'immobile locato — onde la loro insussi
stenza di per sé rileva solo ai fini degli specifici rimedi del ripristino del rapporto e del risarcimento dei danni (art. 31 del
la legge) — il divieto assoluto e inderogabile di realizzare le
opere o il mutamento della destinazione impressa all'immobile,
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PARTE PRIMA
non rimuovibile in presenza di particolari condizioni o situazio
ni di fatto, viene a qualificare l'inidoneità del bene al soddisfa
cimento dell'interesse dedotto a giustificazione del recesso, esclu
dendo in tale modo la serietà stessa dell'intenzione.
Ebbene, fu in perfetta conformità di tali principi che il giudi ce del merito inquadrò la fattispecie nell'ipotesi normativa di
cui all'art. 29, lett. b), 1. 392/78, avendo ritenuto che il Mayr intendeva (non già ristrutturare ovvero restaurare l'immobile lo
cato al Brunazzo, quale scopo primario della condotta, ma) adi
bire l'immobile medesimo ad attività alberghiera, in ampliamento dell'attività già esercitata nella restante parte della costruzione
di sua proprietà: ne discende l'irrilevanza del mancato rilascio
della concessione edilizia ovvero di altro atto autorizzatorio, men
tre la doglianza relativa all'errata comunicazione della disdetta, in quanto effettuata in riferimento alla lett. b), è per ciò stesso
assorbita, ed è invece inammissibile quella relativa alla sua asse
rita incompletezza, in quanto generica (non specificandosene la
ragione).
Egualmente infondata è la seconda doglianza. In effetti, avuto riguardo alla detta qualificazione del rappor
to, è del tutto indifferente la maggiore o minore entità dei lavo
ri che dovranno essere effettuati per la concreta realizzazione
dello scopo perseguito, oltreché la mancanza di progetto detta
gliato, essendo stata ritenuta dal Tribunale di Bolzano, con ac
certamento di fatto incensurabile in questa sede di legittimità, la serietà dell'intento del locatore, in riferimento alla realizzabi
lità tecnica e giuridica degli (strumenti) interventi edilizi pro
gettati. In altri termini, le circostanze indicate nel motivo, che il giu
dice del merito avrebbe valutato in maniera illogica e contrad
dittoria, non costituiscono un punto decisivo ai sensi dell'art.
360, n. 5, c.p.c., giacché, comunque si fossero considerate, non
avrebbero mai potuto condurre, nell'accertata presenza degli ele
menti di fatto integrativi del diritto azionato, ad una decisione
diversa.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 15 gen naio 1997, n. 378; Pres. Iannotta, Est. Borrè, P.M. Mo
rozzo Della Rocca (conci, conf.); Soc. Zeta General Servi
ces Group (Avv. C.M. Barone) c. Gerard (Avv. Spadafo
ra). Regolamento di giurisdizione.
Assicurazione (imprese di) — Amministrazione straordinaria —
Bilancio finale — Approvazione dell'Isvap — Impugnazione
— Giurisdizione ordinaria (Cod. civ., art. 2377, 2378, 2427; 1. 12 agosto 1982 n. 576, riforma della vigilanza sulle assicu
razioni, art. 7; d.leg. 17 marzo 1995 n. 175, attuazione della
direttiva 92/49 Cee in materia di assicurazione diretta diversa
dall'assicurazione sulla vita, art. 73).
Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della domanda con la quale il socio di compagnia di assicura
zioni impugna il bilancio redatto, al termine della gestione
straordinaria, dal commissario ed approvato dall'Isvap. (1)
(1) Nei precisi termini della massima non si rinvengono precedenti. Con riferimento alla impugnazione di bilancio redatto da commissa
rio straordinario di impresa bancaria (sul cui modello, secondo Ferro
Luzzi, Figura e attribuzioni del commissario di impresa di assicurazio ne «in crisi», in Giur. comm., 1985, I, 587, spec. 589, è stata «palese mente ritagliata» l'analoga disciplina in materia assicurativa), Trib. Lecce 31 luglio 1979 (riportata in extenso da Capolino, L'amministrazione straordinaria delle banche nella giurisprudenza, in Quaderni ricerca giur. Banca d'Italia, 1993, 108, al cui studio, arricchito da ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, si rinvia per una disamina dell'istituto in
Il Foro Italiano — 1998.
Svolgimento del processo. — Con decreto del ministro del
l'industria del 9 luglio 1993, preso ai sensi dell'art. 7 1. 12 ago sto 1982 n. 576, come modificata dalla 1. 9 gennaio 1991 n.
20, furono disciolti gli organi amministrativi e sindacali ordina
ri della s.p.a. L'Edera con contestuale nomina, da parte dell'I
stituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse
collettivo (Isvap), del commissario straordinario nella persona del dott. Roberto Gerard. Avendo questi provveduto, dopo il
ripristino della gestione ordinaria, a depositare il bilancio della
gestione commissariale per il periodo 1° gennaio 1993 - 30 set
tutte le sue implicazioni), ha, invece, affermato la giurisdizione del giu dice amministrativo, sul rilievo che la redazione del bilancio da parte del commissario rappresenterebbe (un atto amministrativo costituente) una tappa dell'iter formativo di un provedimento amministrativo com
plesso destinato a perfezionarsi soltanto con l'approvazione della Banca d'Italia.
Con la riportata sentenza, le sezioni unite giungono alla conclusione riassunta in massima attraverso la formulazione delle seguenti enun ciazioni:
a) la nomina del commissario straordinario di impresa assicurativa incide sostanzialmente sull'organizzazione interna della società, ma non muta il regime giuridico degli atti dallo stesso compiuti che sono e re stano atti societari, come tali assoggettati alla disciplina privatistica. Il bilancio, in particolare, non può non conservare la struttura e la funzione che gli sono proprie «identicamente assolvendo, anche se fatto dal commissario, alle finalità di trasparenza e di leale informazione dei soci e dei terzi, in cui si sostanzia la ragion d'essere di tale strumento»;
b) il bilancio redatto dal commissario è invero un bilancio perfetto, rispetto al quale l'approvazione dell'Isvap (prevista dall'art. 7 I. 576/82) costituisce solo una condizione di efficacia, come dimostrato dal fatto che l'istituto di vigilanza può soltanto approvare, o non, l'elaborato
commissariale, ma non introdurvi modificazioni o correzioni. Ciò che sarebbe naturale se l'intervento di tale istituto appartenesse all'iter co stitutivo del provvedimento finale;
c) va, quindi, drasticamente respinta la tesi che invoca, con riferi mento al bilancio commissariale, lo schema dell'atto complesso. Una tale impostazione, infatti, da un lato, si rivela estranea alla logica —
propria dell'istituto del commissariamento — della sostituzione di un
soggetto di nomina pubblica all'amministratore inaffidabile, ferma re stando la oggettività degli atti, risolvendosi in una vera e propria so
vrapposizione del pubblico al privato; dall'altro lato appare, oltreché scarsamente plausibile e non suffragata dalla lettera e dallo spirito della
legge, «di non sicura costituzionalità sotto il profilo della ragionevolez za e proporzionalità del sacrificio dei diritti soggettivi tutelati dalla di
sciplina privatistica»; d) dalle superiori premesse discende che all'atto-bilancio, pur se re
datto dal commissario (e soggetto alla condizione di efficacia dell'ap provazione dell'Isvap), deve applicarsi la disciplina dettata per tale atto dal codice civile, anche per la parte concernente la impugnazione delle relative deliberazioni, senza che a tale conclusione sia di ostacolo il silenzio serbato al riguardo dalla 1. 576/82, (silenzio) che non può inter
pretarsi altrimenti che nel senso dell'automatica operatività delle norme generali;
e) poiché l'Isvap è un possibile legittimato attivo all'impugnazione del bilancio innanzi al giudice ordinario, in posizione «paritaria» rispet to agli altri legittimati e nella cornice della disciplina privatistica (ex art. 73 d.leg. 17 marzo 1995 n. 175), non è sostenibile che, in caso di regime commissariale, a tal punto muti il senso della presenza istitu zionale dello stesso Isvap da modificare la disciplina del bilancio in base ad un preteso potere di supremazia dell'istituto con tutte le conse
guenze da ciò derivanti in punto di giurisdizione. Le proposizioni testé riassunte ai punti da a) a d), trovano puntuale
riscontro nelle argomentazioni svolte in dottrina (soprattutto da Lon
gobardi, Commissario straordinario di società bancaria e bilancio di
fine gestione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1981, 500, le cui articolate con siderazioni sono state riprese, più di recente, da Boccuzzi, in Commen tario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a cura di Capriglione, Padova, 1994, 389 ss., spec. 391) con riferimento al
l'impugnazione del bilancio di commissario straordinario di impresa bancaria.
La conclusione sub d) si colloca, poi, nella tendenza espressa da Cass. 28 giugno 1980, n. 4089, Foro it.. Rep. 1980, voce Banca, n. 60 (per la quale «la disciplina dettata dalla legge bancaria, pur avendo natura
speciale, deroga soltanto alle norme comuni che sono con essa incom
patibili e nella misura in cui lo sono») ed anticipata, in qualche misura, da talune pronunzie di merito (in particolare, Trib. Milano 17 giugno 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 255, e Banca, borsa, ecc., 1972, II, 140) secondo cui i poteri attribuiti all'autorità amministrativa non assorbono né sostituiscono quelli spettanti alla autorità giudiziaria ordi naria in base alle norme del codice civile in materia societaria, dettate a tutela della società, dei soci e dei creditori sociali.
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