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sezione III civile; sentenza 21 ottobre 1998, n. 10431; Pres. Iannotta, Est. Sabatini, P.M. Iannelli...

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sezione III civile; sentenza 21 ottobre 1998, n. 10431; Pres. Iannotta, Est. Sabatini, P.M. Iannelli (concl. conf.); R. Solito (Avv. Spigarolo, Ambrosini, Piovesan) c. Rama e altro (Avv. Liuzzi, Castelletti), N. Solito (Avv. Fabri, Boggio). Conferma App. Venezia 27 maggio 1996 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 12 (DICEMBRE 1999), pp. 3597/3598-3601/3602 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195248 . Accessed: 25/06/2014 03:26 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.51 on Wed, 25 Jun 2014 03:26:39 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 21 ottobre 1998, n. 10431; Pres. Iannotta, Est. Sabatini, P.M. Iannelli(concl. conf.); R. Solito (Avv. Spigarolo, Ambrosini, Piovesan) c. Rama e altro (Avv. Liuzzi,Castelletti), N. Solito (Avv. Fabri, Boggio). Conferma App. Venezia 27 maggio 1996Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 12 (DICEMBRE 1999), pp. 3597/3598-3601/3602Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195248 .

Accessed: 25/06/2014 03:26

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

provvedimenti medesimi dovrebbero essere ritenuti espressione di un potere in virtù del quale la pubblica amministrazione com

petente ad emetterli aveva la potestà di «incidere sulle posizioni

soggettive dei (relativi) destinatari», e che da ciò dovrebbe farsi

conseguire «il difetto di giurisdizione dell'a.g.o. a conoscere delle

doglianze relative alle due note della capitaneria, eventuali do

glianze al riguardo dovendo proporsi davanti agli organi di giu stizia amministrativa».

La Tarros terminal s.p.a., con censure queste pure enuclea

gli dal complesso dei surricordati primi cinque mezzi di ricor

so, prospetta che, nella da lei accampata, e come sub 2)

acclarata, caducazione della normativa statuale in base alla

quale i discussi provvedimenti amministrativi risultano essere

stati adottati, tali provvedimenti avrebbero dovuto, e dovreb

bero, essere ritenuti emanati in una situazione di totale caren

za di potere e, perciò, lesivi di un suo diritto subiettivo perfet

to, tutelabile dinanzi al giudice, non già amministrativo ma, ordinario.

Anche le censure in discorso sono fondate.

Nella (come nel paragrafo precedente) accertata caducazione

delle norme statuali in base alle quali i provvedimenti della ca

pitaneria di porto di La Spezia in argomento sono stati emana

ti, e, quindi, nella riscontrata inesistenza del potere della pub blica amministrazione anzidetta di adottare i provvedimenti me

desimi, nonché nella rilevata concreta attitudine di questi ad

incidere, pregiudicandole, su posizione soggettiva dell'odierna

ricorrente, per quanto detto sub 2), configurantisi come diritto

soggettivo, deve ritenersi la giurisdizione del giudice ordinario

a conoscere della domanda in discorso in base al principio, pa

cifico, per cui devono, di massima, considerarsi esperibili da

vanti al tale giudice tutte quelle azioni proposte nei confronti

della pubblica amministrazione che si ricolleghino ad atti e prov vedimenti dalla stessa emessi nella carenza di un potere discre

zionale, e che, perciò, finiscono per risolversi in pregiudizio per

posizioni subiettive integranti diritti, e non interessi solo indi

rettamente protetti. In accoglimento delle qui esaminate censure, pertanto, la sen

tenza impugnata va cassata anche nella statuizione recante la

considerata declinatoria di giurisdizione. 4. - La cassazione delle statuizioni della sentenza della corte

distrettuale di cui sub 2) e sub 3), a mente dell'art. 336 c.p.c.,

comporta la cassazione anche del capo della sentenza medesi

ma, da esse manifestamente dipendente, recante il regolamento delle spese processuali, e, quindi, l'assorbimento dell'esame del

sesto mezzo di ricorso, con il quale la Tarros terminal s.p.a. denuncia essere inficiato tale capo di pronuncia da «violazione

dell'art. 360, n. 3, in relazione all'art. 91 c.p.c.», per aver po sto a suo totale carico l'onere delle spese predette.

5. - Conclusivamente, il ricorso va accolto, la sentenza impu

gnata deve essere correlativamente cassata, e, previa dichiara

zione della giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della

domanda di cui al par. 3, la causa, per un rinnovato esame, va rinviata dianzi ad una sezione della Corte d'appello di Geno

va diversa da quella che ha reso la decisione annullata.

Il Foro Italiano — 1999.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 21 otto

bre 1998, n. 10431; Pres. Iannotta, Est. Sabatini, P.M. Ian

nelli (conci, conf.); R. Solito (Aw. Spigarolo, Ambrosini,

Piovesan) c. Rama e altro (Avv. Liuzzi, Castelletti), N.

Solito (Aw. Fabri, Boggio). Conferma App. Venezia 27 mag

gio 1996.

Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso

dall'abitazione — Vendita di quota di proprietà dell'edificio

comprendente l'immobile locato — Prelazione del conduttore — Esclusione (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle loca zioni di immobili urbani, art. 38).

Nel caso di vendita di una quota ideale di proprietà del fabbri cato comprendente anche una porzione oggetto di locazione ad uso commerciale, al conduttore di quest'ultima non spetta il diritto di prelazione previsto dall'art. 38 I. 392/78. (1)

Svolgimento del processo. — Con scrittura privata autentica

ta del 21 gennaio 1983 Nicoletta Solito alienò a Giovanni e Clau

dio Rama la quota di proprietà, pari alla metà, di un complesso immobiliare sito in Pastrengo.

Con atto di citazione, notificato il 10 marzo successivo, Ro berto Solito, fratello della venditrice e titolare dell'altra metà

indivisa dell'immobile — tanto premesso e premesso, altresì, che la sorella gli aveva concesso in locazione la sua quota del

locale, compreso nel menzionato complesso ed adibito da esso

esponente allo svolgimento di attività commerciale, e che la ven

dita, in difetto della prescritta comunicazione, era avvenuta in

violazione dell'art. 38 1. 392/78 —, convenne dinanzi al Tribu

nale di Verona i citati acquirenti e chiese che venisse accertato

il suo diritto di riscatto sull'intero edificio o, in subordine, sulla

porzione di esso oggetto di locazione.

Resistendo sia i convenuti che Nicoletta Solito, intervenuta

volontariamente in giudizio, con sentenza del 16 ottobre 1991

l'adito Tribunale respinse la domanda, rilevando inoltre la tar

dività di quella proposta, solo in comparsa conclusionale, ai

sensi dell'art. 732 c.c.: norma che ritenne comunque inapplica bile alla comunione volontaria.

Tale decisione, impugnata in via principale dall'attore ed in

via incidentale dai convenuti, è stata confermata dalla corte di

appello con la sentenza ora gravata. La corte ha ritenuto, come già il tribunale, che, trattandosi

di vendita in blocco, in mancanza di corrispondenza tra l'ogget to di essa ed il bene locato, non spettava all'attore il diritto

di prelazione, di cui all'art. 38 1. 392/78 né, pertanto, quello succedaneo di riscatto, e ciò con riferimento sia all'intero im

mobile che alla porzione di esso, oggetto di locazione.

(1) La decisione, fondata sul rilievo che nell'ipotesi considerata, non essendovi identità tra il bene la cui quota ideale di proprietà forma

oggetto di trasferimento e l'immobile concesso in locazione, manca uno dei presupposti per la configurabilità a favore del conduttore di que st'ultimo del diritto di prelazione ài sensi dell'art. 38 1. 392/78, trova come precedente conforme Cass. 20 dicembre 1990, n. 12088, Foro it., Rep. 1991, voce Locazione, n. 287 (riportata per esteso, tra l'altro, in Giur. it., 1991, I, 1, 1062, con nota di S. Giove, e Giust. civ., 1991, I, 2743, con nota di P. Petrone).

Sulla base dello stesso assunto, si esclude l'operatività dell'art. 38 1. 392/78 nel caso di vendita in blocco dell'intero edificio comprendente l'unità immobiliare utilizzata dal conduttore per una delle attività tute late dalla norma in questione (ex comb. disp. art. 41, 2° comma, e 35 1. cit.), ovvero di una parte dell'edificio stesso costituente un com

plesso unitario distinto e diverso dalle singole unità immobiliari che lo compongono (v., per tutte, Cass. 22 aprile 1997, n. 3467, Foro it., 1997, I, 3269, con nota di richiami; e, da ultimo, Cass. 2 ottobre 1998, n. 9788, id., Rep. 1998, voce cit., n. 188; 12 ottobre 1998, n. 10087, ibid., n. 187; 21 ottobre 1998, n. 10427, ibid., n. 185; 19 maggio 1999, n. 4853, id., Mass., 581, e 21 maggio 1999, n. 4956, ibid., 591); così come nell'ipotesi in cui, appartenendo l'immobile locato ad una società

per azioni, il pacchetto azionario di questa venga ceduto (v., da ultimo, Cass. 23 luglio 1998, n. 7209, id., 1999, I, 3017, con nota di G. La

Rocca). Per la configurabilità, invece, del diritto di prelazione ex art. 38 cit.

nella differente ipotesi in cui oggetto di cessione sia una quota soltanto della proprietà dell'unità immobiliare locata, appartenente pro indiviso a più soggetti, v. Cass. 11 settembre 1990, n. 9354, id., Rep. 1991, voce

cit., n. 288 (che può leggersi in Giur. it., 1991, I, 1, 1062, con nota di S. Giove, e Riv. giur. edilizia, 1991, I, 49, con nota di M. De Tula).

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3599 PARTE PRIMA 3600

Ha poi rilevato che l'attività esercitata dallo stesso attore in

tale porzione non comportava contatti diretti con il pubblico

degli utenti e dei consumatori, sicché anche sotto tale profilo la domanda era infondata.

Ha ritenuto tale anche la prospettata tesi della casa-bottega, osservando che a tali fini il contratto avrebbe dovuto avere ad

oggetto non solo, come nella specie, un locale adibito ad uso

commerciale, ma anche l'annessa abitazione, il che non ricorreva.

Infine, ha considerato che rettamente il tribunale aveva rite

nuto inammissibile la domanda proposta ai sensi dell'art. 732

c.c.: norma, peraltro, inapplicabile alla comunione ordinaria, come lo stesso tribunale aveva già affermato.

Per la cassazione di tale decisione l'attore ha proposto ricor

so, affidato a tre motivi, cui gli intimati resistono con distinti

controricorsi. Entrambe le parti resistenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione. — 1. - Con il primo motivo del ricor

so il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle nor

me processuali, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., per omes

sa o insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dall'appellante Roberto

Solito — il quale, con il secondo motivo di appello, aveva chie

sto di subentrare nell'intera quota, pari al cinquanta per cento, della sorella —, e lamenta che la corte territoriale, nel rigettare

(o dichiarare assorbito) tale motivo, sia incorsa negli indicati

vizi motivazionali.

Con il terzo motivo, il medesimo denuncia la violazione e

falsa applicazione degli art. 38 e 39 1. 392/78 in relazione al

l'art. 360, n. 3, c.p.c., avendo (la corte territoriale) ritenuto

erroneamente applicabile alla fattispecie la giurisprudenza rela

tiva alla vendita in blocco di edificio e non invece quella relati

va alla fattispecie locativa c.d. casa e bottega, evocata dall'ap

pellante. A sostegno del motivo afferma che la giurisprudenza forma

tasi in tema di vendita in blocco di edificio, per quanto condivi

sibile, non si attaglia però alla concreta fattispecie, che riguarda — precisa — «l'alienazione di una quota, cioè di una frazione

di 1/2 non identificata e non identificabile fisicamente, di un

fabbricato nel suo complesso», e da ciò trae che ad esso ricor

rente, anche perché titolare della residua quota del cinquanta

per cento, competeva e compete il diritto di riscatto. Aggiunge che a ragione egli aveva anche richiamato la fattispecie locativa

della casa-bottega, e lamenta che la corte territoriale «non ha

tenuto in alcun conto che la parte di immobile locata è un tut

t'uno indiviso con i restanti locali ad uso abitativo in parte dei

quali ha l'abitazione il geom. Solito». Erratamente, infine —

conclude — la stessa corte ha affermato che egli svolge nel lo

cale in questione un'attività di vendita all'ingrosso, non a con

tatto con il pubblico. I due motivi, strettamente connessi perché concernenti la pre

tesa spettanza al conduttore — in caso di trasferimento a terzi, a titolo oneroso, dell'immobile locato ad uso non abitativo —

del diritto di prelazione e di quello succedaneo di riscatto ai sensi degli art. 38 e 39 1. 392/78, possono essere esaminati con

giuntamente. Deve premettersi che non a ragione il ricorrente adduce altre

sì, a sostegno dei motivi, la sua qualità di titolare della residua

quota di proprietà del cinquanta per cento dell'immobile in que stione: agli effetti, invero, della spettanza dei diritti in questio ne, la circostanza è giuridicamente irrilevante, dal momento che le richiamate disposizioni di legge mirano non già ad agevolare la concentrazione nella stessa persona di quote immobiliari del le quali siano titolari più soggetti, sibbene a tutelare il condut

tore come tale, per la «conservazione, anche nel pubblico inte

resse, delle imprese considerate» (Corte cost. 5 maggio 1983, n. 128, Foro it., 1983, I, 1497).

Tanto precisato, deve rilevarsi che la sentenza impugnata ha

ritenuto che — in caso, come nella specie, di vendita a terzi

di quota di un immobile, porzione del quale sia oggetto di loca

zione commerciale — non spetta al conduttore il diritto di pre lazione, e pertanto neppure quello di riscatto, in difetto dell'im

prescindibile presupposto dell'identità dell'immobile locato con

quello venduto.

Siffatta ratio decidendi non forma specifico oggetto dei moti vi di ricorso in esame — i quali investono piuttosto la diversa

questione dell'applicabilità o meno alla fattispecie dedotta in

giudizio degli indirizzi interpretativi al riguardo affermatisi —

Il Foro Italiano — 1999.

ed è, del resto, del tutto rispondente al dettato dell'art. 38, 1°

comma, cit., il quale limita il diritto di prelazione del condutto

re al caso del trasferimento a titolo oneroso dell'immobile loca

to: presupposto, questo, che non ricorre (né la norma è suscet

tibile di interpretazione analogica, vietata dall'art. 14 delle di

sposizioni preliminari al codice civile, avendo essa carattere

eccezionale) nel caso, come nella specie, di vendita di quota di fabbricato comprendente anche la porzione, oggetto di loca

zione commerciale.

Univoca è, in tal senso, la giurisprudenza di questa Corte

suprema, e ciò in riferimento sia all'ipotesi — anche alla quale i giudici del merito hanno fatto cenno — della vendita in blocco

di intero edificio o di parte di esso che costituisca un complesso unitario (sent. 24 ottobre 1983, n. 6256, ibid., 3004; 23 feb

braio 1991, n. 1956, id., Rep. 1991, voce Locazione, n. 299; 1° agosto 1991, n. 8469, id., Rep. 1992, voce cit., n. 246; 17

febbraio 1994, n. 1519, id., 1994, I, 2774; 20 marzo 1997, n.

2486, id., Rep. 1997, voce cit., n. 248), sia a quella, ricorrente

nella specie, della vendita di quota di edificio (sent. 20 dicem

bre 1990, n. 12088, id., Rep. 1991, voce cit., n. 287), edificio

comprendente, nell'uno come nell'altro caso, altresì il bene lo

cato: nell'uno e nell'altro è stato infatti negato al conduttore

il diritto di prelazione e riscatto proprio sulla premessa comune

della insussistenza del presupposto anzidetto.

La mancanza di tale presupposto è stata ravvisata dai giudici del merito con riguardo al riscatto sia della quota afferente il

solo bene locato (punto della decisione, questo, non investito

dal ricorso), sia — ed a maggior ragione — della quota relativa

all'intero edificio, talché infondato è il primo motivo del ricorso.

Il terzo motivo, nella parte relativa alla c.d. casa-bottega, è parimenti infondato.

Al riguardo l'attuale ricorrente, nell'atto di appello, aveva

richiamato la sentenza 18 dicembre 1990, n. 11973 di questa Corte suprema (ibid., n. 301), la quale ebbe ad affermare che — qualora il contratto di locazione abbia ad oggetto un locale

ad uso commerciale con annessa abitazione, entrambi inclusi

in un fabbricato di maggiore consistenza — il diritto di prela zione del conduttore rispetto a detto locale, secondo le previsio ni dell'art. 38 cit., deve essere riconosciuto anche quando il lo

catore estenda la vendita a quell'abitazione, trattandosi di ipo tesi non equiparabile alla alienazione in blocco di intero stabile, che invece si sottrae alla prelazione del conduttore della singola

porzione.

Rettamente, sul punto, la corte territoriale ha osservato che

tale ipotesi non ricorre nella specie, dal momento che lo stesso

ricorrente adduce che la locazione e l'abitazione annessa sono

limitati ad una porzione del fabbricato compravenduto: vendita

per la quale valgono, conseguentemente, i diversi principi, già

sopra richiamati.

L'inesistenza del diritto di riscatto in difetto di identità del

l'immobile locato con quello venduto importa l'assorbimento

della censura relativa al tipo di attività commerciale svolta e, in particolare, alla circostanza se essa richieda o meno contatti

diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori: anche,

infatti, nell'ipotesi più favorevole al ricorrente, il diritto di ri

scatto non gli competerebbe in difetto della rilevata identità. Non a ragione il ricorrente richiama incontroversi principi in

tema di quota immobiliare: nella specie, infatti, viene in consi

derazione, quale oggetto della richiesta tutela giurisdizionale, il singolo vano del complesso immobiliare, oggetto della loca zione commerciale e così indicato già nell'atto introduttivo, men tre la vendita ha avuto ad oggetto la quota relativa all'intero

edificio, comprendente anche il vano predetto: donde l'affer

mata non identità tra oggetto della vendita e bene locato. 2. -1 giudici del merito hanno ritenuto inammissibile (perché

proposta solo in comparsa conclusionale di primo grado) e co

munque infondata la diversa domanda proposta ai sensi del

l'art. 732 c.c. (prelazione del coerede) dall'attuale ricorrente, il quale censura tali affermazioni con il secondo motivo del ri

corso, con il quale addebita alla sentenza impugnata vizio di

motivazione e violazione di legge. Tali censure, nella parte in cui adducono un error in proce

dendo (l'avere, cioè, i giudici del merito ritenuto tardiva una

domanda, che invece si afferma essere stata proposta già nel l'atto introduttivo o, comunque, nelle conclusioni di primo gra do), sono infondate.

Premesso che, per costante giurisprudenza (da ultimo, Cass.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

25 settembre 1996, n. 8468, id., Rep. 1996, voce Cassazione

civile, n. 85) in relazione a tale preteso errore la Cassazione

è giudice anche del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare

direttamente gli atti di causa, deve escludersi che la domanda

in questione fosse stata proposta nell'atto introduttivo, dal mo

mento che in esso l'attore, pur richiamando la propria qualità di comproprietario, fece espresso e specifico riferimento alla so

la asserita violazione dell'art. 38 cit.: causa petendi, questa, che

venne riproposta, senza significative modificazioni, nelle con

clusioni definitive di primo grado. La tardività e conseguente inammissibilità di tale domanda

integra una delle due rationes decidendi, poste a base della sen

tenza impugnata. Essendo legittima la dichiarata inammissibilità ed essendo ta

le ratio di per sé idonea a sorreggere la decisione, resta assorbi

ta la censura che investe la fondatezza della domanda: peraltro, anch'essa infondata stante la pacifica applicabilità dell'art. 732

c.c. alla sola comunione ereditaria e, dunque, non anche alla

comunione volontaria, quale nella specie ricorrente.

3. - Il ricorso deve pertanto essere respinto.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 26 giugno

1998, n. 6311; Pres. Corda, Est. Fioretti, P.M. Gambar

della (conci, diff.); Min. finanze c. Soc. Carimonte banca

(Avv. Berliri, Berti Arnoaldi Veli, Bosello). Cassa App.

Bologna 16 marzo 1995.

Riscossione delle imposte e delle entrate patrimoniali ed esatto

re — Banca delegata — Versamento in tesoreria di somma

eccedente il dovuto — Compensazione con successivo versa

mento — Illegittimità — Penale (Cod. civ., art. 1246, 2033; d.l. 4 marzo 1976 n. 30, norme in materia di riscossione delle

imposte sul reddito, art. 4; 1. 2 maggio 1976 n. 160, conver

sione in legge, con modificazioni, del d.l. 4 marzo 1976 n.

30, art. 1). Tributi in genere — Sanzioni amministrative — Successione di

norme (D.l. 4 marzo 1976 n. 30, art. 4; 1. 2 maggio 1976

n. 160, art. 1; 1. 4 ottobre 1986 n. 657, delega al governo

per la istituzione e la disciplina del servizio di riscossione dei

tributi, art. 5; d.p.r. 28 gennaio 1988 n. 43, istituzione del

servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato

e di altri enti pubblici, ai sensi dell'art. 1, 1° comma, 1. 4

ottobre 1986 n. 657, art. 104; d.leg. 18 dicembre 1997 n. 472,

disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'art. 3, comma

133, 1. 23 dicembre 1996 n. 662, art. 3). Tributi in genere — Sanzioni amministrative — Disciplina tran

sitoria — Definizione dei procedimenti pendenti — Versamento

del quarto dell'irrogato (D.leg. 18 dicembre 1997 n. 472, art.

25).

Il versamento alla tesoreria provinciale dello Stato delle somme

incassate dai contribuenti (nella specie, acconto Irpef e Ilor)

per importi superiori al dovuto dà diritto alla banca delegata che lo ha eseguito ad ottenere la restituzione dell'eccedenza, ai sensi dell'art. 2033 c.c., ma ove, in occasione di un succes

sivo versamento, operi la compensazione fra il credito alla

restituzione dell'eccedenza e quello dell'amministrazione fi

nanziaria ai versamenti delle imposte successivamente riscos

se, è assoggettata al pagamento della penale prevista per il

ritardato versamento di dette somme pari al due per cento

per ogni giorno di ritardo. (1)

(1) Conforme alla sentenza in rassegna, Cass. 6 agosto 1998, n. 7702, Foro it., Rep. 1998, voce Riscossione delle imposte, n. 297. La Corte

conferma i principi espressi nella sua più recente giurisprudenza in ma

li Foro Italiano — 1999.

Non può trovare applicazione lo ius superveniens costituito dal

l'art. 3, 3° comma, d.leg. 18 dicembre 1997 n. 472, che ha

introdotto il principio di legalità in materia di sanzioni ammi

nistrative per violazioni di norme tributarie, quando le leggi che si succedono e che stabiliscono sanzioni di entità diversa

riguardano fattispecie diverse fra loro. (2) Ai sensi dell'art. 25, 3° comma, d.leg. 18 dicembre 1997 n.

472, per definire i procedimenti pendenti alla data di entrata

in vigore della nuova disciplina sulle sanzioni amministrative

per la violazione di norme tributarie (1 °

aprile 1998) è neces

sario in ogni caso il pagamento di una somma di denaro;

nell'ipotesi di sentenze non definitive che escludono la deben

za della sanzione, la somma da versare è pari ad un quarto della sanzione irrogata. (3)

teria: in termini, cfr. Cass. 12 agosto 1996, n. 7443, id., Rep. 1996, voce cit., n. 253; sez. un. 15 maggio 1995, n. 5303, id., 1995, I, 1797, citata in motivazione, con nota di richiami e indicazioni delle parzial mente diverse motivazioni seguite dalla precedente giurisprudenza di le

gittimità. Nella sentenza in rassegna, la corte regolatrice pone le seguenti pre

messe: a) l'obbligazione a carico della banca delegata alla riscossione, prevista dall'art. 17, 2° comma, 1. 2 dicembre 1975 n. 576, di riversare alla tesoreria provinciale dello Stato le somme incassate dai contribuen ti entro il quinto giorno successivo a quello del ricevimento dell'ordine di pagamento e del relativo importo, pur non avendo natura tributaria, è comunque un'obbligazione pubblica, disciplinata in modo parzialmente differente dalle obbligazioni di diritto civile, in ragione del prevalente interesse pubblico alla pronta e sicura esazione delle entrate; b) ha inve ce natura privatistica il rapporto fra la banca delegata e l'amministra zione finanziaria afferente la restituzione delle somme riversate in ecce denza rispetto al dovuto. Da ciò deriva una duplice conseguenza. Da un lato, il riversamento in eccedenza dà luogo ad un indebito oggettivo, per effetto del quale la banca ha diritto alla ripetizione secondo la nor mativa civilistica prevista nell'art. 2033 c.c.; dall'altro, la compensazio ne fra l'importo riversato in eccesso e le somme spettanti all'ammini strazione finanziaria per effetto della riscossione di imposte successiva al riversamento in eccesso è interdetta dalla disposizione dell'art. 1246, n. 3, c.c., essendo queste ultime impignorabili, siccome provenienti da un rapporto di diritto pubblico.

Corollario di questa impostazione è l'assoggettamento della banca, che effettua la compensazione, alla penale, pari al due per cento delle somme non versate (cioè l'importo compensato), prevista dall'art. 17, ultimo comma, 1. 576/75 in caso di omesso versamento, nel termine

stabilito, delle imposte al cui pagamento è stata delegata. In dottrina, sullo specifico argomento, v. F. De Piaggi, Esclusione

delta compensazione nella riscossione di imposte da parte degli istituti di credito, in Dir. e pratica trib., 1999, II, 772; E. Ceriana, Problema tiche inerenti alle deleghe agli istituti di credito per il pagamento delle

imposte, id., 1997, II, 58; A. Viotto, Sulla natura del rapporto inter corrente fra le banche e l'erario per il versamento delle imposte pagate dai contribuenti, in Riv. dir. trib., 1996, II, 1058, con riferimenti anche alla diversa qualificazione giuridica (privatistica) del rapporto fra am ministrazione finanziaria e banca delegata, seguita dalla giurisprudenza anteriore a Cass. 15 maggio 1995, n. 5303, cit.

(2-3) I. - Il principio di diritto enunciato sub 2 è perfettamente in linea con gli insegnamenti della giurisprudenza penale, che, in caso di successione temporale di norme incriminatrici, afferma la necessità di valutare il nesso di continuità ed omogeneità tra le fattispecie, così che troverà applicazione la norma più favorevole se tale nesso sussiste, an che soltanto parzialmente (cfr., in proposito, Cass. 3 dicembre 1996, Pennese, Foro it., 1997, II, 692, con nota di G. Giammona, riguardo il reato di violenza sessuale in danno di soggetti psichicamente inferiori, previsto dall'art. 609 bis, 2° comma, n. 1, c.p., introdotto dall'art. 3 1. 15 febbraio 1996 n. 66, che coincide solo in parte con la disposizione di cui al previgente art. 519, 2° comma, n. 3, c.p.), mentre la mancanza di detto rapporto fra le previsioni legislative succedutesi comporterà l'irrilevanza penale della condotta contestata (v., in tema di abuso d'uf

ficio, secondo la nuova formulazione dell'art. 323 c.p., introdotta con l'art. 1 1. 16 luglio 1997 n. 234, Cass. 2 ottobre 1998, Tilesi e altri, id., 1999, II, 309). Del resto, stante la chiara matrice penalistica della nuova disciplina delle sanzioni amministrative per violazioni di norme

tributarie, non sembrava ipotizzabile un diverso orientamento. Mette conto soltanto di rimarcare, in considerazione della medesima

natura amministrativa delle sanzioni, la differenza di disciplina in tema di successione di leggi nel tempo fra la previsione dell'art. 3 d.leg. 472/97, che ha introdotto il c.d. principio del favor rei in materia tributaria, e l'art. 1 1. 689/81, che invece stabilisce il principio dell'applicazione della legge in vigore al momento della consumazione dell'illecito.

II. - Sulla questione di cui alla terza massima, relativa alla disposizio ne transitoria dettata dall'art. 25 d.leg. 472/97, che permette la defini zione in via breve dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigo

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