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sezione III civile; sentenza 23 giugno 1999, n. 6406; Pres. Fiduccia, Est. Preden, P.M. Russo...

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sezione III civile; sentenza 23 giugno 1999, n. 6406; Pres. Fiduccia, Est. Preden, P.M. Russo (concl. diff.); Soc. Edilizia commerciale (Avv. Gullotta) c. Comune di Roma (Avv. Matarazzi). Cassa Trib. Roma 26 maggio 1995 Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 12 (DICEMBRE 1999), pp. 3545/3546-3555/3556 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23195238 . Accessed: 28/06/2014 18:56 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.97 on Sat, 28 Jun 2014 18:56:13 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III civile; sentenza 23 giugno 1999, n. 6406; Pres. Fiduccia, Est. Preden, P.M. Russo(concl. diff.); Soc. Edilizia commerciale (Avv. Gullotta) c. Comune di Roma (Avv. Matarazzi).Cassa Trib. Roma 26 maggio 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 12 (DICEMBRE 1999), pp. 3545/3546-3555/3556Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23195238 .

Accessed: 28/06/2014 18:56

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Orbene, mentre, in caso di propaganda diretta, tale effetto

deve ritenersi in ogni caso ricorrente — talché a configurare

l'illecito, sul piano oggettivo, è di per sé sufficiente tale condot

ta —, nel diverso caso della propaganda indiretta è altresì ne

cessario che da essa sia derivato il suindicato effetto, inteso co

me evento quanto meno di pericolo: la probabilità, cioè, non

meramente astratta ma concreta, che la pubblicità indiretta sti

moli al consumo di prodotti da fumo, probabilità nella specie esclusa dal pretore con giudizio di fatto insindacabile.

Erratamente la ricorrente afferma che la decisione impugnata si è discostata dalla menzionata sentenza 10508/95: questa in

fatti, richiamando adesivamente la precedente sentenza in data

11 luglio 1990, n. 7209 di questa Corte suprema (id., Rep. 1991, voce Sanità pubblica, n. 351), ha osservato che l'effetto propa

gandistico del prodotto da fumo, connesso all'utilizzazione di

un marchio, deve essere «valutato in concreto — come nella

specie ha fatto il pretore —, e non come semplice idoneità

astratta».

Argomenti interpretativi nello stesso senso si desumono altre

sì dalla giurisprudenza costituzionale e rendono parimenti erro

neo il richiamo agli art. 3 e 41 Cost.: con sentenza 20 dicembre

1996, n. 399 (id., 1997, I, 3124) la Corte costituzionale, nel sottoporre a scrutinio disposizioni di legge che non prevedono il divieto di fumare nei luoghi di lavoro chiusi, ha infatti affer

mato che — essendo la salute un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esau

stiva tutela in ambito sia pubblicistico che privatistico, e com

portando tale tutela l'adozione anche di misure di prevenzione

—, ove si profili una incompatibilità tra il diritto alla tutela

della salute, costituzionalmente protetto, ed i liberi comporta

menti, che non hanno invece una diretta copertura costituziona

le, deve darsi prevalenza al primo: come esposto, nella specie è stato però escluso che la pubblicità in questione incidesse sulla

tutela della salute.

Il ricorso principale è pertanto infondato, e resta conseguen temente assorbito quello incidentale condizionato.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 23 giu

gno 1999, n. 6406; Pres. Fiduccia, Est. Preden, P.M. Rus

so (conci, diff.); Soc. Edilizia commerciale (Avv. Gullotta) c. Comune di Roma (Avv. Mat arazzi). Cassa Trib. Roma

26 maggio 1995.

Sfratto (procedimento per la convalida) — Sfratto per finita

locazione — Ordinanza di convalida — Efficacia di cosa giu dicata — Estensione — Contrasto con precedente giudicato — Prevalenza (Cod. civ., art. 2909; cod. proc. civ., art. 668).

Locazione — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione — Canone — Aumenti — Locazioni abitative — Inapplicabi lità (D.l. 23 gennaio 1982 n. 9, norme per l'edilizia residen

ziale e provvidenze in materia di sfratti, art. 15 bis; 1. 25

marzo 1982 n. 94, conversione in legge, con modificazioni,

del d.l. 23 gennaio 1982 n. 9; d.l. 9 dicembre 1986 n. 832,

misure urgenti in materia di contratti di locazione di immobi

li adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, art. 2; 1.

6 febbraio 1987 n. 15, conversione in legge, con modificazio

ni, del d.l. 9 dicembre 1986 n. 832). Locazione — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione

— Canone — Aumento a richiesta del locatore — Decorren

za (D.l. 9 dicembre 1986 n. 832, art. 2; 1. 6 febbraio 1987

n. 15). Locazione — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione

— Sfratto per finita locazione — Sospensione dell'esecuzione — Maggiorazione del canone — Ambito di applicazione (Cod.

Il Foro Italiano — 1999.

civ., art. 1591; d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, misure urgenti

per fronteggiare l'eccezionale carenza di disponibilità abitati

ve, art. 7; 1. 21 febbraio 1989 n. 61, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 dicembre 1988 n. 551).

Locazione — Immobili adibiti ad abitazione — Comuni ad alta

tensione abitativa — Sfratto per finita locazione — Sospen sione dell'esecuzione — Maggiorazione del canone — Ambito

temporale di applicazione (Cod. civ., art. 1591; d.l. 30 di

cembre 1988 n. 551, art. 1 bis; 1. 21 febbràio 1989 n. 61).

Qualora sussista stretta correlazione fra la tipologia del contrat

to di locazione e la data di scadenza del rapporto dedotta

con l'intimazione e sancita dal giudice con l'ordinanza di con

valida di licenza o di sfratto, quest'ultima, una volta preclusa

l'opposizione ex art. 668 c.p.c., acquista efficacia di cosa giu dicata sostanziale non solo sulla pregressa esistenza della lo

cazione, sulla qualità di locatore dell'intimante e di condutto

re dell'intimato, nonché sull'intervento di una causa di cessa

zione (o di risoluzionej del rapporto, ma anche in ordine alla

qualificazione del rapporto di locazione; né rileva l'esistenza

di una precedente sentenza sul punto, giacché, in presenza dì più giudicati, l'unica fonte regolatrice del rapporto è costi

tuita dall'ultimo di essi. (1)

(1) In senso sostanzialmente conforme, Cass. 28 settembre 1991, n.

10172, Foro it., Rep. 1991, voce Sfratto, n. 17, secondo cui l'accerta mento della appartenenza della locazione ad uno dei tipi fondamentali

(abitativo o non abitativo) previsti dalla 1. 392/78 non è funzionale alla convalida della licenza per finita locazione, sicché questa non ha efficacia di giudicato sulla predetta circostanza, a meno che, nel caso

concreto, la data di scadenza del contratto indicata nel provvedimento sia compatibile solo con le norme sulla durata di uno dei due modelli locativi e la convalida implichi, quindi, anche l'accertamento della de stinazione dell'immobile.

Circa l'efficacia sostanziale di giudicato dell'ordinanza di convalida di licenza per finita locazione con riferimento all'assoggettabilità (o me

no) del contratto al regime di proroga legale in vigore al momento della

pronunzia del provvedimento, Cass. 10 maggio 1985, n. 2919, id., Rep. 1986, voce Locazione, n. 692 (diversamente, quando si tratti di proroga sopravvenuta, essa può essere invocata dal conduttore: cfr. Cass. 3 no vembre 1982, n. 5775, id., 1983, I, 1004, con nota di richiami). Pret. Taranto 23 ottobre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 729, evidenzia come gli effetti preclusivi del giudicato possano prodursi anche a svan

taggio del locatore (il quale, quindi, ottenuta la convalida per finita locazione in relazione a una determinata scadenza contrattuale, non può poi chiedere un nuovo provvedimento di sfratto in relazione ad una

scadenza anteriore, deducendo l'erroneità di quella precedentemente in

dicata). Nel senso che gli effetti di giudicato dell'ordinanza ex art. 663 c.p.c.

non si estendono, di regola, alle caratteristiche del cessato rapporto di locazione, v. anche la risalente Cass. 19 ottobre 1961, n. 2237, id.,

Rep. 1961, voce Sfratto, n. 22, nonché Trib. Milano 21 maggio 1992, id., Rep. 1993, voce cit., n. 9, per la quale l'emissione dell'ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione non preclude il successivo accertamento del regime giuridico applicabile alla locazione riguardo alla misura del canone, almeno quando tale aspetto sia rimasto estra

neo alla cognizione del giudice e, per di più, l'intimazione del locatore non contenga alcuna allegazione al riguardo (nella specie, si discuteva se la emissione di due separate ordinanze di convalida con riferimento a un appartamento ad uso abitativo e a un'autorimessa precludesse l'ac certamento dell'assoggettabilità di quest'ultima al regime dell'equo ca

none, in forza del suo carattere pertinenziale rispetto all'appartamento, ai sensi dell'art. 13 1. 392/78).

Per il resto, costituisce principio consolidato in giurisprudenza che l'ordinanza di convalida ex art. 663 c.p.c. è idonea ad acquisire effica

cia di giudicato sostanziale, al pari di una sentenza di condanna al rila scio emessa in un giudizio ordinario, riguardo alla pregressa esistenza del contratto di locazione, alla qualità di locatore dell'intimante e al

l'intervento di una causa di cessazione o di risoluzione del rapporto

(v. Cass. 1° dicembre 1994, n. 10270, id., Rep. 1995, voce cit., n. 24); nonché riguardo alla qualità di conduttore dell'intimato (v. Cass. 24

gennaio 1977, n. 352, id., Rep. 1977, voce cit., n. 7; 26 giugno 1972, n. 2169, id., Rep. 1972, voce cit., n. 3; e, tra le pronunzie di merito, Pret. Udine 4 aprile 1990, id., Rep. 1991, voce cit., n. 18, annotata

da P. Scalettaris, in Giusi, civ., 1991, I, 2213). Contra, su quest'ulti mo punto, v., tuttavia, Pret. Monza 20 aprile 1988, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 23 (ad avviso della quale, poiché l'ordinanza di convalida

di sfratto non produce effetto di giudicato sulla qualità di locatario

dell'intimato, questi non ha interesse a proporre opposizione ai sensi

dell'art. 668 c.p.c. per contestare tale qualità). Circa la natura decisoria del provvedimento ex art. 663 c.p.c. e la

sua attitudine al giudicato sostanziale (la cui considerazione è risultata

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3547 PARTE PRIMA 3548

Gli aumenti del canone previsti dall'art. 15 bis d.l. 9/82 (come convertito nella I. 94/82) e dall'art. 2 d.l. 832/86 (convertito in I. 15/87) non trovano applicazione con riferimento alle lo

cazioni di immobili adibiti ad uso abitativo. (2) L'aumento del canone in misura non superiore al venticinque

per cento, previsto dall'art. 2 d.l. 832/86 (convertito in I.

15/87) in correlazione con la sospensione dell'esecuzione dei

provvedimenti di rilascio degli immobili adibiti ad uso diver so dall'abitazione, decorre dal momento della richiesta del

locatore, senza diritto di questi agli arretrati. (3) La maggiorazione del cento per cento del canone, dovuta dal

conduttore ai sensi dell'art. 7 d.l. 551/88 (convertito in l.

61/89), non trova applicazione né con riferimento alle loca

zioni abitative, né con riferimento alle locazioni contemplate dall'art. 42 I. 392/78, presupponendo la specifica destinazio

ne dell'immobile locato ad una delle attività protette (indu

determinante ai fini della estensione ad esso — ad opera del giudice delle leggi — dei mezzi di impugnazione di cui agli art. 395 e 404 c.p.c.: v. Corte cost. 167/84, id., 1984, I, 1441; 558/89, id., 1990, I, 372; 51/95, id., 1995, I, 2414, con nota di M. Monnini; 192/95, ibid., 2383), la dottrina, pur in larga prevalenza favorevole all'orientamento della Corte di legittimità (cfr., tra gli altri, E. Fazzalari, Cosa giudicata e convalida di sfratto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1956, 1304; M.

Duni, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1957, 64; C.

Mandrioli, Sull'impugnazione dell'ordinanza di convalida di licenza o sfratto, in Riv. dir. proc., 1968, 34; F. Lazzaro-R. Preden-M. Var

rone, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1978, 3, 154

ss.; E. Garbagnati, I procedimenti d'ingiunzione e per convalida di

sfratto, Milano, 1979 (5a ed.), 23 ss., 321 ss.; R. Preden, Sfratto (pro cedimento per convalida di), voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, XLII, 429 ss., spec. 447; A. Bucci-M. Crescenzi, Il procedimen to per convalida di sfratto, Padova, 1990, 132 ss.), ha espresso tuttavia anche posizioni minoritarie difformi (come V. Anselmi Blaas, Il proce dimento per convalida di licenza o di sfratto, Milano, 1966, 138 ss., secondo il quale il procedimento ex art. 657 ss. c.p.c. non sarebbe un

processo di cognizione, ma dovrebbe piuttosto inquadrarsi tra i proce dimenti di volontaria giurisdizione): per un quadro delle varie opinioni, cfr., da ultimo, G. Trisorio Liuzzi, Procedimenti in materia di loca

zione, voce del Digesto civ., Torino, 1996, XIV, 459 ss., spec. § 30, e M. Di Marzio, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Milano, 1998, 11 ss.

V., inoltre, A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile,

Napoli, 1999 (3a ed.), 602, 84 ss., il quale, argomentando sia dall'art. 2909 c.c. (che fa riferimento alla sentenza), sia dall'art. 669 c.p.c., ri

prende la tesi (in precedenza proposta, tra gli altri, da E. Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1967, III, 46, il quale parlava di una

«preclusione pro iudicato») che gli effetti di giudicato sostanziale del l'ordinanza di convalida di licenza o di sfratto (così come, del resto, degli altri provvedimenti sommari non cautelari, tra i quali in primo luogo il decreto ingiuntivo non opposto) non siano equiparabili in toto a quelli di una sentenza, ma debbano intendersi quantitativamente più limitati, e cioè come «immutabilità degli effetti» del provvedimento.

Per riferimenti sulla estensione ad altri giudizi, pendenti tra le stesse

parti in relazione allo stesso rapporto di locazione, degli effetti del giu dicato formatosi in ordine alla qualificazione giuridica del contratto, cfr. anche, da ultimo, Cass. 29 settembre 1997, n. 9548, Foro it., Rep. 1998, voce Cosa giudicata civile, n. 24; 16 aprile 1999, n. 3795, id., Mass., 453.

Con riferimento all'ipotesi del contrasto tra più giudicati, costituisce

principio consolidato che deve darsi la prevalenza a quello formatosi

per ultimo (ove non impugnato per revocazione, ex art. 395 c.p.c.): v. Cass. 26 febbraio 1998, n. 2082, id., Rep. 1998, voce cit., n. 7; 25 gennaio 1993, n. 833, id., Rep. 1993, voce cit., n. 1; 27 gennaio 1993, n. 997, ibid., n. 2; 2 giugno 1990, n. 5166, id., Rep. 1990, voce

cit., n. 4; 29 agosto 1986, n. 5311, id., Rep. 1987, voce Sentenza civile, n. 71; 21 dicembre 1983, n. 7530, id., 1985, I, 2384, con nota di A. Proto Pisani.

(2-3) Il riferimento delle disposizioni dell'art. 15 te d.l. 9/82 (1. 94/82) e dell'art. 2 d.l. 832/86 (1. 15/87) alle sole locazioni ad uso diverso

dall'abitazione, è testuale. Sulla estensione del campo di applicazione del citato art. 15 bis anche

ai rapporti considerati dall'art. 42 1. 392/78, v. Cass. 2 maggio 1990, n. 3620, Foro it., 1991, I, 2165.

Consolidato, d'altra parte, è il principio secondo cui, quando la legge ricolleghi alla richiesta del locatore l'aggiornamento o l'aumento del

canone, la maggiorazione non è dovuta dal conduttore automaticamen

te, ma presuppone appunto la richiesta del locatore e decorre dal mese successivo a questa, cui non può riconoscersi efficacia retroattiva: v., da ultimo, con riferimento agli aumenti e/o aggiornamenti del canone di locazione previsti, in tema di locazioni non abitative, dal citato art. 15 bis d.l. 9/82 e dall'art. 68 1. 392/78, Cass. 12 dicembre 1997, n.

12603, id., 1998, I, 747, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1999.

striali, commerciali, artigianali, professionali o di lavoro au

tonomo) elencate dall'art. 27 di quest'ultima legge. (4) La maggiorazione de! venti per cento del canone aggiornato in

base ai dati Istat, prevista per gli immobili locati ad uso abi

tativo dall'art. 1 bis d.l. 551/88 (come convertito nella l.

61/89), è dovuta dal conduttore non soltanto per il periodo di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio

indicato dall'art. 1 dello stesso decreto-legge, ma anche per il successivo periodo di detenzione, fino alla riconsegna effet tiva dell'immobile. (5)

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 26 mag

gio 1999, n. 5098; Pres. Preden, Est. Limongelli, P.M. Uc

cella (conci, conf.); Bevilacqua (Aw. Battiante, Formiglia) c. Lepore (Aw. Di Stefano, Varanelli). Cassa Trib. Foggia 30 dicembre 1995.

Locazione — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione — Mancata riconsegna dopo la cessazione del contratto —

Indennità di occupazione — Obbligo del conduttore in attesa

della corresponsione dell'indennità di avviamento — Manca

ta utilizzazione dell'immobile — Irrilevanza (Cod. civ., art.

1216, 1591; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni

di immobili urbani, art. 34). Locazione — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione

— Provvedimento di rilascio per finita locazione — Esecuzio

ne — Sospensione «ope legis» — Maggiorazione del canone — Omessa corresponsione dell'indennità per la perdita del

l'avviamento — Conseguenze (Cod. civ., art. 1591; 1. 27 lu

glio 1978 n. 392, art. 34; d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, art.

7; 1. 21 febbraio 1989 n. 61).

Il conduttore di immobile non abitativo rimasto nella detenzio

ne del bene in attesa della corresponsione dell'indennità di

avviamento, ex art. 34 l. 392/78, è tenuto al pagamento del

canone, nella misura convenuta, anche qualora si astenga, per sua unilaterale determinazione, dall'utilizzare l'immobile, po tendo peraltro liberarsi da tale obbligo riconsegnando il bene

al locatore o facendogliene offerta ai sensi dell'art. 1216 c.c. (6)

L'obbligo del conduttore di immobile non abitativo di corri

spondere ai sensi dell'art. 1591 c.c. il doppio del canone di

locazione, previsto dall'art. 7, 2° comma, d.l. 551/88 (con

vertito, con modificazioni, nella l. 61/89), trova applicazione solo quando l'esecuzione del rilascio abbia trovato ostacolo

esclusivamente nella sospensione ex lege, di carattere generale e temporaneo, dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio

per finita locazione, e non anche nel caso in cui essa non

abbia potuto avere luogo a causa del mancato pagamento del

l'indennità per la perdita dell'avviamento spettante al condut

tore ai sensi dell'art. 34 I. 392/78. (7)

(4, 7) Circa la limitazione dell'ambito di applicazione dell'art. 7 d.l. 551/88 (1. 61/89), per quanto concerne la sospensione ope legis dell'ese cuzione degli sfratti, ai soli immobili adibiti ad una delle attività

economico-produttive contemplate dall'art. 27 1. 392/78, cfr. Corte cost. 20 dicembre 1989, n. 562, Foro it., 1990, I, 768.

Riguardo alle condizioni per l'operatività del raddoppio del canone

previsto dalla norma, la sentenza 5098/99 conferma l'orientamento se

guito da Cass. 22 gennaio 1999, n. 587, id., 1999, I, 1209, con nota di richiami di D. Piombo, apertamente disattendendo l'opposto indiriz zo (seguito, da ultimo, da Cass. 10 dicembre 1998, n. 12419, ibid.) secondo il quale durante il periodo di sospensione delle esecuzioni sta bilito dalla legge graverebbe comunque sul conduttore l'obbligo di cor

rispondere il canone maggiorato del cento per cento, indipendentemen te dalle vicende concernenti il suo diritto all'indennità di avviamento ex art. 34 e 69 1. 392/78.

(5) In ordine al termine finale di operatività della maggiorazione del venti per cento del canone, prevista dall'art. 1 bis d.l. 551/88 (1. 61/89) a carico del conduttore di immobile ad uso abitativo in concomitanza con la sospensione ope legis dell'esecuzione dei provvedimenti di rila scio per finita locazione disposta dall'art. 1 stesso d.l., la sentenza in

rassegna si uniforma a Cass. 3 aprile 1995, n. 3913, Foro it., 1995, I, 3191, con nota di richiami di D. Piombo. Difformemente v., invece, Cass. 27 maggio 1995, n. 5927, ibid., 3190 (annotata — unitamente alla citata Cass. 3913/95 — da N. Izzo, in Giust. civ., 1996, I, 1624), secondo la quale dopo il (breve) periodo di sospensione vera e propria

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

I

Svolgimento del processo. — Con ricorso al Pretore di Roma

in data 20 aprile 1990, la s.r.l. Edilizia commerciale esponeva di aver concesso in locazione al comune di Roma nell'anno 1973, un complesso immobiliare, costituito da sessantacinque appar

tamenti, adibiti dal conduttore ad uso di abitazione per soggetti che ne erano privi, e da vari locali ad uso non abitativo, con

distinta previsione del canone per gli alloggi e per i locali; dedu

ceva che il Pretore di Roma, con ordinanza del 25 maggio 1984, aveva convalidato lo sfratto per finita locazione alla data del

31 dicembre 1983, fissando per l'esecuzione la data del 21 mag

gio 1985; chiedeva la determinazione del canone, comprensivo

degli aggiornamenti Istat e degli aumenti disposti dai vari prov vedimenti legislativi succedutisi nel tempo, dal 1° gennaio 1984

sino al 24 marzo 1990, data in cui era cessato l'obbligo del

comune di pagare il corrispettivo a seguito dell'effettuato ac

quisto degli immobili. Il pretore, con sentenza del 5 marzo 1992, riteneva l'intero

rapporto soggetto al regime delle locazioni ad uso diverso dal

l'abitazione di cui all'art. 42 1. n. 392 del 1978; determinava il canone dovuto per l'anno 1984 in lire 107.143.134 per i ses

santacinque appartamenti, ed in lire 13.116.304 per gli altri lo

cali; dichiarava altresì dovute per il successivo periodo le som

me richieste dalla locatrice.

Avverso la sentenza proponeva appello la s.r.l. Edilizia com

merciale, deducendo che erroneamente il pretore si era limitato a pronunciare sentenza dichiarativa a fronte di una richiesta

espressa di condanna al pagamento delle somme dovute a titolo di aggiornamento Istat e di aumenti previsti dai provvedimenti

legislativi successivi alla 1. n. 392 del 1978, e reiterando la ri

chiesta di condanna in forza dei suddetti titoli per complessive lire 603.454.520 fino al 24 marzo 1990.

Resisteva il comune di Roma, che proponeva appello inciden

tale, contestando la qualificazione del contratto come locazione ad uso diverso dall'abitazione, sul rilievo che l'ordinanza di con

stabilito dall'art. 1 d.l. 551/88 avrebbero dovuto nuovamente applicarsi le regole ordinarie dell'art. 1591 c.c.

L'orientamento confermato dalla pronunzia in epigrafe, cui la giuris prudenza di merito ha in prevalenza aderito, ricollegando alla perdu rante applicazione della maggiorazione del venti per cento del canone l'effetto preclusivo della risarcibilità dell'ulteriore «maggior danno» even tualmente subito dal locatore, in deroga alla disciplina ordinaria del l'art. 1591 c.c. (v., da ultimo: Pret. Roma 4 aprile 1997, Foro it., Rep. 1997, voce Locazione, n. 435; Pret. Pescara 26 novembre 1996, ibid., n. 436; Pret. Milano 14 maggio 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 374, e Giust. civ., 1998, I, 2321, con nota di N. Izzo. Contra, invece, Trib. Milano 26 giugno 1997, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 373, e 30 ottobre 1997, Arch, locazioni, 1998, 885), ha trovato ora un preciso aggancio normativo nel 6° comma dell'art. 6 1. 431/98, che ha modifi cato la disciplina in materia di locazioni abitative. Sulla portata e l'am bito di applicazione di quest'ultima disposizione con riferimento ai giu dizi già in corso all'entrata in vigore della 1. 431/98, nonché su taluni dubbi di costituzionalità da essa suscitati, v. Trib. Milano, ord. 2 luglio 1999, Pret. Napoli, ord. 3 maggio 1999, e Pret. Firenze, ord. 17 marzo 1999, Foro it., 1999, I, 2363, con nota di richiami; nonché Trib. Mila no 29 aprile 1999, e Pret. Bologna, ord. 4 maggio 1999, Giust. civ., 1999, I, 1835, con nota di N. Izzo (dove sono riportate anche le testé citate ordinanze dei Pretori di Napoli e Firenze); Trib. Firenze 16 giu gno 1999, Arch, locazioni, 1999, 634.

(6) Nello stesso senso, Cass. 17 ottobre 1995, n. 10820, Foro it., 1995, I, 3123, con nota di D. Piombo; nonché Cass. 8 agosto 1996, n. 7288, id., Rep. 1997, voce Locazione, n. 442.

Circa la posizione del conduttore rimasto nella detenzione dell'immo

bile, una volta cessato il rapporto di locazione, in attesa della corre

sponsione dell'indennità di avviamento spettantegli ai sensi dell'art. 34

(o 69) 1. 392/78, si rammenta tuttavia che, dopo la citata sentenza 10820/95 (cui si rifà, da ultimo, oltre alla pronunzia in epigrafe, anche Cass. 10 maggio 1999, n. 4611, non massimata), la corte di legittimità si è talvolta espressa difformemente, e cioè nel senso che, subordinando l'efficacia esecutiva del provvedimento di rilascio al pagamento dell'in dennità di avviamento, l'art. 34 1. 392/78 legittimi il mantenimento del la «mera detenzione» dell'immobile da parte del conduttore, senza at

tribuirgli alcun diritto di farne uso dopo la cessazione del rapporto lo catizio (v. Cass. 10 luglio 1997, n. 6270, id., 1998, I, 150, con nota di richiami di D. Piombo; e, nello stesso senso, tra le pronunzie di

merito, App. Roma 4 luglio 1996, id., Rep. 1997, voce cit., n. 444, e Pret. Pordenone 7 marzo 1998, id., Rep. 1998, voce cit., n. 340, e Arch, locazioni, 1998, 427).

Il Foro Italiano — 1999.

valida del 25 maggio 1984, in quanto emessa con riferimento

alla scadenza prevista dall'art. 58 1. n. 392 del 1978 per le loca

zioni ad uso di abitazione, espressamente invocata nell'intima

zione, costituiva giudicato sulla qualificazione dell'intero rap

porto come locazione ad uso di abitazione, e deducendo di non dovere le somme pretese dalla locatrice ma soltanto la minore somma risultante da apposito prospetto.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 26 maggio 1995, ac

coglieva l'appello incidentale; dichiarava assorbito quello prin

cipale; dichiarava non dovuti gli aumenti richiesti del canone di locazione ad eccezione di quanto riconosciuto dal comune di Roma; compensava le spese dei due gradi.

Avverso la sentenza la s.r.l. Edilizia commerciale ha propo sto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati

con memoria.

Ha resistito con controricorso il comune di Roma.

Motivi della decisione. — 1. - In ordine logico è prioritario l'esame del secondo motivo, nella parte in cui, denunciando difetto di motivazione e violazione di norme di diritto (art. 15

bis 1. n. 94 del 1982; art. 7 d.l. n. 551 del 1988; art. 27 e 42

1. n. 392 del 1978), la ricorrente censura la qualificazione del

contratto di locazione, per cui è causa, accolta dal tribunale, aderendo alla tesi difensiva del comune di Roma, secondo la

quale sussisteva giudicato, costituito dall'ordinanza di convali da del 25 maggio 1984, sulla natura abitativa della locazione.

Sostiene la ricorrente che l'unica pronuncia che ha formato

giudicato sulla natura del rapporto è la sentenza del Pretore di Roma 5746/77, che ha escluso la soggezione della locazione al regime di proroga delle locazioni ad uso di abitazione.

Deduce inoltre che, in conformità a quanto statuito dalla Su

prema corte con la sentenza 2274/88 (Foro it., 1989, I, 3179), la locazione, in quanto stipulata da un ente territoriale in quali tà di conduttore, è assoggettata, ai sensi dell'art. 42 1. n. 392 del 1978, indipendentemente dall'uso al quale l'immobile è de

stinato, alla disciplina delle locazioni ad uso non abitativo, con la conseguente applicabilità di tutti gli aumenti previsti per tali locazioni dalla 1. n. 94 del 1982 e dai successivi provvedimenti

legislativi. 1.1. - Il motivo non è fondato.

Per costante giurisprudenza di questa Suprema corte, l'ordi nanza di convalida di licenza o sfratto, una volta preclusa l'op posizione ex art. 668 c.p.c., acquista efficacia di cosa giudicata sostanziale sulla pregressa esistenza della locazione, sulla quali tà di locatore dell'intimante e di conduttore dell'intimato, sul l'intervento di una causa di cessazione (o di risoluzione, nel caso dello sfratto per morosità) del rapporto (sent. 220/78, id.,

Rep. 1978, voce Sfratto, n. 15; 3138/82, id., 1983, I, 1005; 5775/82, ibid., 1004; 2919/85, id., Rep. 1986, voce Locazione, n. 692).

Ad avviso del collegio, il giudicato si forma altresì sulla qua lificazione del rapporto di locazione, qualora sussista stretta cor relazione tra la tipologia del contratto e la data di scadenza del rapporto dedotta con l'intimazione e sancita dal giudice con l'ordinanza di convalida.

E siffatta ipotesi ricorre nel caso in cui l'intimazione sia stata effettuata per la data di cessazione della locazione ai sensi del

regime transitorio della 1. n. 392 del 1978, diversamente regola ta, per le locazioni ad uso di abitazione, dall'art. 58, e per le locazioni ad uso diverso dall'abitazione dagli art. 67 (integrato dall'art. 15 bis 1. n. 92 del 1984) e 71.

La dichiarazione di cessazione del rapporto alla data prevista dall'art. 58 o dagli art. 67 e 71 implica infatti, come anteceden te logico necessario della pronuncia, la qualificazione della lo cazione come locazione abitativa, nel primo caso, ovvero come

locazione ad uso diverso nel secondo caso.

Ora, l'ordinanza di convalida del 25 maggio 1984 ha appunto accertato, con efficacia di cosa giudicata sostanziale, la qualifi cazione del rapporto di cui si discute come locazione ad uso

di abitazione: l'intimazione era stata infatti formulata sulla ba

se di tale qualificazione e con riferimento alla data di scadenza

del regime transitorio ex art. 58 1. n. 392 del 1978, e su tali

presupposti di fatto e di diritto il giudice ha emesso la convalida.

Non vale opporre la precedente sentenza del Pretore di Roma

5746/77, che, in riferimento alla previgente legislazione vincoli

stica, ha negato al rapporto in esame l'applicazione del regime di proroga previsto per le locazioni abitative sul rilievo che il

conduttore era un ente pubblico territoriale, laddove la proroga

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3551 PARTE PRIMA 3552

postula che il conduttore sia persona fisica con determinati re

quisiti di reddito. Ed infatti, per costante giurisprudenza di questa

Suprema corte, in presenza di più giudicati, la sola fonte rego latrice del rapporto è costituita dal secondo (sent. 2864/69, id.,

Rep. 1969, voce Cosa giudicata civile, n. 4; 5311/86, id., Rep. 1987, voce Sentenza civile, n. 71; 833/93, id., Rep. 1993, voce

Cosa giudicata civile, n. 1), e quindi, nel caso di specie, dall'or

dinanza di convalida del 25 maggio 1984.

Né giova invocare la sentenza di questa Suprema corte 2274/88,

cit., secondo la quale la locazione stipulata dallo Stato o da

un ente pubblico territoriale, indipendentemente dall'uso con

creto al quale l'immobile è destinato, va ricondotta sotto la di

sciplina prevista dall'art. 42 1. n. 392 del 1978, poiché, nel pre sente giudizio, la questione, come sopra rilevato, è coperta dal

giudicato costituito dall'ordinanza di convalida del 25 maggio 1984.

Correttamente quindi il tribunale, accogliendo la tesi del co

mune, appellante incidentale, ha riconosciuto l'esistenza del giu dicato.

E non rileva che, in parziale contraddizione con tale afferma

zione, il tribunale abbia poi tenuto conto del regime delle loca

zioni ad uso di abitazione soltanto per la parte del rapporto concernente i sessantacinque appartamenti, ed applicato invece

alla parte di rapporto concernente locali non adibiti ad abita

zione il regime delle locazioni ad uso diverso, poiché sul punto il comune (che aveva invocato l'applicazione all'intero rapporto della disciplina prevista per le locazioni ad uso di abitazione) non ha proposto ricorso incidentale, sicché il riesame della que stione è precluso.

Occorre quindi considerare distintamente, come già ha fatto

il tribunale, la dinamica del canone in relazione ai sessantacin

que appartamenti, soggetti al regime delle locazioni ad uso di

abitazione, ed ai restanti locali, soggetti al regime delle locazio

ni ad uso diverso.

2. - Con il primo e secondo motivo, la ricorrente, denuncian

do violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 15

bis 1. n. 94 del 1982; art. 2 d.l. n. 832 del 1986; art. 7 d.l.

n. 551 del 1988 e art. 1 bis legge di conversione n. 61 del 1989; art. 24 1. n. 392 del 1978) nonché omessa, insufficiente e con

traddittoria motivazione, lamenta la mancata o ridotta applica zione degli incrementi di canone dovuti ai sensi delle menziona te disposizioni.

Le doglianze sono fondate nei limiti di seguito precisati. 3. - L'art. 15 bis 1. n. 94 del 1982 ha previsto per le locazioni

ad uso diverso dall'abitazione (ivi comprese quelle di cui all'art. 42 1. n. 392 del 1978) aumenti di varia consistenza, in relazione alla data di stipulazione del contratto, a fronte di una proroga biennale delle scadenze fissate nel regime transitorio della 1. n. 392 del 1978 dall'art. 67.

È incontroverso che tale aumento è stato applicato nel corso del rapporto alla quota di canone relativa ai locali non destinati ad uso abitativo.

Quanto al canone relativo ai sessantacinque appartamenti, la decisione negativa del tribunale, censurata dalla ricorrente, è

corretta, in quanto conseguenziale alla riconosciuta sussistenza del giudicato sulla qualificazione del rapporto come locazione ad uso di abitazione, estranea all'ambito di applicazione della

disposizione in esame.

4. - L'art. 2 d.l. n. 832 del 1986, nel sospendere l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili adibiti ad uso di verso dall'abitazione (1° comma), ha previsto che per il periodo di sospensione il canone è aumentato, a richiesta del locatore, in misura non superiore al venticinque per cento (4° comma).

Risulta quindi corretta, per l'assorbente rilievo che assume 10 specifico ambito oggettivo di applicazione della norma, la decisione negativa del tribunale in relazione al canone dei ses

santacinque appartamenti, intendendosi emendata nel senso suin dicato la motivazione (incentrata sulla carenza di richiesta).

Per quanto concerne gli altri locali, il tribunale ha esattamen te negato efficacia retroattiva alla richiesta di aumento formu lata dalla locatrice con raccomandata del 16 giugno 1989. Ed

infatti, secondo il prevalente orientamento di questa Suprema corte, la richiesta degli aumenti o aggiornamenti del canone pre visti nel regime transitorio della 1. n. 392 del 1978 dagli art. 68 e 71, se effettuata in epoca successiva alla data considerata dalla legge, non ha efficacia retroattiva, con conseguente diritto

agli arretrati, ma produce effetto soltanto dal momento in cui

11 Foro Italiano — 1999.

la richiesta è effettuata (sent. 11955/90, id., Rep. 1990, voce

Locazione, n. 351; 6731/91, id., 1992, I, 108; 11/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 336; 8159/91, ibid., n. 318; 2490/92, ibid., n. 317; 1442/95, id., 1995, I, 1162). Ed il principio, in conside razione della ratio che lo giustifica, individuata nell'esigenza di

evitare il formarsi di situazioni debitorie e la conseguente liti

giosità, può essere senz'altro esteso anche agli aumenti subordi

nati alla richiesta del locatore previsti da provvedimenti legisla tivi successivi alla 1. n. 392 del 1978, in relazione ai quali è

ravvisabile eguale esigenza. Deduce tuttavia la ricorrente che il tribunale ha omesso di

prendere in esame la domanda subordinata di riconoscimento

dell'efficacia della suindicata raccomandata a decorrere dal me

se successivo. Ed in effetti il tribunale è incorso nella denuncia

ta omissione, sicché il motivo va per tale parte accolto.

5. - L'art. 7 d.l. n. 551 del 1988, nel disporre la sospensione dei provvedimenti di rilascio degli immobili adibiti ad una delle attività di cui all'art. 27 1. n. 392 del 1978, ha previsto che

per il periodo di sospensione la somma dovuta ai sensi dell'art. 1591 c.c. è pari all'ultimo canone corrisposto aumentato del

cento per cento.

Risulta quindi corretta, per l'assorbente rilievo che assume

10 specifico ambito oggettivo di applicazione della norma, la

decisione negativa del tribunale in relazione al canone dei ses

santacinque appartamenti, intendendosi emendata nel senso suin

dicato la motivazione (incentrata sulla carenza di richiesta). Per quanto concerne gli altri locali, esattamente il tribunale

ha adottato una decisione negativa, atteso che non risultava de

dotta né dimostrata la specifica destinazione delle unità immo

biliari ad una delle attività protette di cui all'art. 27 1. n. 392

del 1978 (e cioè attività industriali, commerciali, artigianali, pro fessionali o di lavoro autonomo).

D'altra parte, la stessa ricorrente sostiene che il regime appli cabile alla locazione in oggetto sarebbe quello di cui all'art.

42 della citata legge, in tal modo riconoscendone l'estraneità

rispetto alla norma in esame.

6. - L'art. 1 1. n. 61 del 1989, di conversione del d.l. n. 551

del 1988, ha disposto la sospensione dell'esecuzione dei provve dimenti di rilascio degli immobili locati ad uso di abitazione

sino al 30 aprile 1989, ed il successivo art. 1 bis ha previsto che durante il periodo di sospensione il conduttore è tenuto a

corrispondere, ai sensi dell'art. 1591 c.c., una somma mensile

pari al canone, aggiornato in base ai dati Istat, maggiorato del

venti per cento.

Il tribunale ha ritenuto applicabile tale maggiorazione, per 11 canone relativo ai sessantacinque appartamenti, solo per il

periodo di quattro mesi compreso tra gennaio ed aprile 1989. E di ciò si duole la ricorrente, sostenendo che l'aumento deve

permanere per tutto il periodo di sospensione, sino all'effettivo rilascio.

La doglianza è fondata.

Il collegio ritiene infatti di aderire all'orientamento, presente nella giurisprudenza di questa Suprema corte, secondo il quale la maggiorazione del canone di cui all'art. 1 bis 1. n. 61 del 1989 è dovuta per tutta la durata della detenzione fino alla ri

consegna effettiva dell'immobile, e quindi anche dopo la cessa zione della sospensione indicata all'art. 1 della stessa legge, in

quanto, con l'espresso riferimento all'art. 1591 c.c. il legislatore ha inteso disciplinare l'identica fattispecie astratta della norma

codicistica, che riguarda l'intera durata della mora del condut tore fino all'effettiva riconsegna (sent. 3913/95, id., 1995, I, 3191).

7. - Per quanto concerne l'aggiornamento Istat, il tribunale ha negato l'applicazione dell'incremento del 6,45 per cento de corrente dal 1° gennaio 1985, sia per il canone relativo agli ap partamenti che per quello degli altri locali, sul rilievo che la raccomandata 12 giugno 1989 non poteva spiegare efficacia re troattiva.

La decisione, censurata dalla ricorrente, è corretta in ragione del già richiamato orientamento di questa Suprema corte (sent. 11955/90, 6731/91, 11/92, 8159/91, 2490/92, 1442/95, citate).

Deduce tuttavia la ricorrente che il tribunale ha omesso di

prendere in esame la domanda subordinata di riconoscimento dell'efficacia della raccomandata del 12 giugno 1989 a decorre re dal mese successivo. Ed in effetti il tribunale è incorso nella denunciata omissione, sicché il motivo va per tale parte accolto.

8. - In conclusione, il ricorso va accolto nei limiti indicati

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

nei paragrafi 4, 6 e 7. La sentenza va cassata in relazione alle

censure accolte e la causa rinviata per nuovo esame ad altra

sezione del Tribunale di Roma.

II

Svolgimento del processo. — Con ricorso del 15 novembre

1993 Lepore Fiore, proprietario di un locale già condotto in

locazione da Bevilacqua Domenico ad uso commerciale, pre messo che, nonostante la cessazione del rapporto (in esito a

intimazione di licenza convalidata il 7 febbraio 1987) il condut

tore aveva continuato a detenere l'immobile, convenne dinanzi

al Pretore di Foggia il Bevilacqua per sentirlo condannare al

pagamento della indennità di legge, da determinarsi, quanto al

periodo di sospensione delle esecuzioni disposta con d.l. 30 di

cembre 1988 n. 551 (convertito in 1. 21 febbraio 1989 n. 61), in misura pari al doppio del canone. Il convenuto oppose di

avere, formalmente e senza esito, offerto al locatore la riconse

gna dell'immobile e di non aver percepito l'indennità per la per dita dell'avviamento commerciale. Chiese, quindi, il rigetto del

la domanda, che fu, invece, accolta dal pretore con sentenza

del 20 gennaio 1995. Su appello del Bevilacqua Tribunale di

Foggia, con sentenza del 30 dicembre 1995, ha confermato la

decisione del pretore, osservando: 1) che il conduttore era tenu

to al pagamento della indennità reclamata dal locatore, perché aveva continuato a far uso dell'immobile anche dopo la cessa

zione del rapporto locativo; 2) che per il periodo di vigenza del d.l. n. 551 del 1988 l'indennità era dovuta nella misura del

doppio del canone, perché la detenzione dell'immobile da parte del conduttore si era protratta anche dopo che il conduttore

aveva conseguito il titolo esecutivo per il rilascio. Ricorre il Be

vilacqua con due motivi. Resiste il Lepore con controricorso.

Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente insi

ste nel sostenere di avere, dopo la cessazione del rapporto loca

tivo, offerto senza esito al locatore la riconsegna del bene loca

to e di avere sin da quel momento cessato di utilizzare l'immo

bile, quantunque il locatore non gli avesse ancora corrisposto la indennità di avviamento. Lamenta, quindi, che, in violazione

degli art. 1591 c.c., 115 e 116 c.p.c., la corte di merito, sul

presupposto erroneo che il conduttore avesse continuato ad uti

lizzare il bene anche dopo la cessazione del rapporto, abbia ri

tenuto che egli fosse, per questa sola ragione, obbligato al pa

gamento del canone per tutto il periodo durante il quale l'utiliz

zazione del bene si era protratta. La doglianza è fondata nei

limiti di cui appresso. Secondo l'ormai prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass.

1° giugno 1995, n. 6132, Foro it., Rep. 1996, voce Locazione, n. 362; 17 ottobre 1995, n. 10820, id., 1995, I, 3123) la disposi zione dettata (con riferimento alle locazioni di immobili urbani

adibiti ad uso diverso da quello di abitazione per cui sia dovuta

alla cessazione del rapporto l'indennità per la perdita dell'av

viamento commerciale) dall'art. 34 1. 27 luglio 1978 n. 392, se

condo cui «l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'im

mobile è condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'inden

nità», inserendosi nel quadro normativo di protezione delle

attività imprenditoriali svolte in immobili locati, costituisce ul

teriore espressione della tutela dell'avviamento e non attribuisce

un mero diritto di ritenzione, ma consente la protrazione dell'e

sercizio dell'attività economica sull'immobile (sulla base di un

rapporto instaurato in forza di legge, geneticamente collegato al precedente rapporto contrattuale, di cui ripete l'essenza mini

male delineata dall'art. 1571 c.c. ed avente per finalità proprio la protrazione dell'uso dell'immobile verso pagamento di un cor

rispettivo coincidente con quello del precedente rapporto con

trattuale) fino al momento in cui il conduttore possa utilizzare

la prevista monetizzazione del valore di avviamento per assicu

rare un'altra adeguata collocazione all'impresa. Si è, inoltre,

osservato (Cass. 10820/95, cit.) che nell'ambito del rapporto

legale derivato il pagamento del corrispettivo è dovuto anche

nell'ipotesi in cui il conduttore, per sua scelta, non utilizzi l'im

mobile, giacché tale condotta confligge con le finalità proprie

del rapporto stesso, come innanzi delineate, e con i principi

generali della correttezza (art. 1175 e 1375 c.c.), che costituisco

no fonte integrativa non solo del contratto, ma anche, ed a

maggior ragione in difetto di una specifica regolamentazione,

dei «rapporti non contrattuali», onde deve escludersi che il con

II Foro Italiano — 1999.

duttore possa, per sua unilaterale determinazione, rendere gra

tuita la detenzione, astenendosi dall'utilizzare l'immobile. Non

può, quindi, condividersi l'implicito assunto del ricorrente, se

condo cui nella specie il conduttore non avrebbe potuto consi

derarsi obbligato a pagare il canone dopo la cessazione del rap

porto contrattuale soltanto perché da quel momento non avreb

be più utilizzato l'immobile locatogli.

Deve, peraltro, aggiungersi che (come è stato, del resto, pun tualizzato dalla giurisprudenza innanzi citata) l'obbligo di paga mento del canone anche dopo la cessazione del rapporto con

trattuale, ponendosi in relazione di corrispettività rispetto al di

ritto del conduttore di continuare a detenere e ad utilizzare

l'immobile per lo scopo predetto, viene meno nel caso in cui

il conduttore abbia rinunziato anche alla mera detenzione del

l'immobile, effettuando la riconsegna del bene al locatore o fa

cendogliene offerta ai sensi dell'art. 1216 c.c. Sotto questo più limitato profilo la censura in esame è fondata, giacché il tribu

nale ha del tutto trascurato di indagare in ordine all'offerta

di riconsegna dell'immobile (che col gravame di merito il Bevi

lacqua aveva espressamente dedotto di aver rivolto al Lepore mediante intimazione a mezzo di ufficiale giudiziario) e, affer

mando che il Bevilacqua era comunque obbligato al pagamento del corrispettivo, è effettivamente incorso nella denunziata vio

lazione di legge. Col secondo motivo il ricorrente lamenta in subordine che,

in violazione del d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, convertito in

1. 21 febbraio 1989 n. 61, il tribunale abbia ritenuto che, per il periodo durante il quale l'art. 7, 1° comma, d.l. n. 551 aveva

sospeso l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobi

li locati, il conduttore fosse obbligato al pagamento del doppio del canone, ai sensi dell'art. 7, 2° comma, senza considerare

che nel caso sottoposto al suo esame l'esecuzione del rilascio

era preclusa non già dalla disposizione dell'art. 7, 1° comma

del decreto, bensì da quella dell'art. 34, 3° comma, 1. n. 392, che subordina l'esecuzione del provvedimento di rilascio al pre vio pagamento della indennità di avviamento e che avrebbe do

vuto ritenersi operante nella specie, giacché — secondo l'assun

to del ricorrente — tale pagamento non era stato effettuato né

offerto dal locatore. La doglianza è fondata. L'art. 7, 2° com

ma, d.l. n. 551, che ha tutelato l'interesse del locatore al solleci

to recupero della disponibilità materiale del bene locato, com

pensandolo per la ritardata eseguibilità del provvedimento di

rilascio col pagamento del doppio del canone, non ha certo in

teso sopprimere la tutela assicurata al conduttore dal condizio

namento, introdotto dall'art. 34 1. n. 392, del rilascio dell'im

mobile locato al pagamento della indennità di avviamento e,

pertanto, deve ritenersi applicabile nel solo caso in cui l'esecu

zione del provvedimento di rilascio abbia trovato ostacolo esclu

sivo nella sospensione, di carattere generale e temporaneo, di

tutti i provvedimenti di rilascio degli immobili locati disposta dall'art. 7, 1° comma, e non anche nel caso in cui l'esecuzione

del rilascio non abbia potuto comunque aver luogo a causa del

mancato pagamento della indennità di avviamento. Sul punto non può, quindi, condividersi la giurisprudenza (Cass. 30 mar

zo 1995, n. 3813, ibid., 3124; 10 dicembre 1998, n. 12419, id., 1999, I, 1210), secondo cui nel detto periodo di sospensione

legale delle esecuzioni il conduttore sarebbe stato in ogni caso

obbligato al pagamento del doppio del canone, mentre il loca

tore non sarebbe stato tenuto al pagamento della indennità di

avviamento perché non avrebbe potuto contare sulla immediata

riconsegna dell'immobile locato. Vero è, invece, che nel perio do di sospensione il conduttore che non avesse percepito la in

dennità non avrebbe potuto considerarsi in mora nella riconse

gna dell'immobile e, non potendo, per questa prevalente ragio

ne, essere assoggettato ad esecuzione per il rilascio, non avrebbe

neppure potuto ritenersi obbligato al pagamento del doppio del

canone (in tal senso, Cass. 22 gennaio 1999, n. 587, ibid., 1209).

Nella specie il locatore, obbligato al pagamento della indennità,

avrebbe potuto pretendere dal conduttore il pagamento del dop

pio del canone se gli avesse corrisposto l'indennità o se gliene avesse fatto offerta nelle forme di cui agli art. 1208 ss. c.c.,

giacché solo in tal caso sarebbe venuto meno — per quanto

si è detto — il diritto del conduttore di continuare ad utilizzare

l'immobile locato e null'altro si sarebbe opposto al diritto del

locatore di porre in esecuzione il provvedimento di rilascio, al

l'infuori della sospensione ex lege della esecuzione disposta dal

l'art. 7, 1° comma, cit. Avendo trascurato di indagare in ordine

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3555 PARTE PRIMA 3556

all'avvenuto pagamento o, quanto meno, all'offerta formale della

indennità di avviamento ed avendo affermato che al conduttore

Bevilacqua incombeva in ogni caso l'obbligo di pagamento del

doppio del canone, il tribunale è, quindi, effettivamente incorso

nella denunziata violazione di legge. La impugnata sentenza va,

pertanto, cassata limitatamente ai punti investiti dalle censure

come sopra accolte, con rinvio, per nuovo esame, ad altra se

zione del Tribunale di Foggia, che si uniformerà ai principi di diritto innanzi enunciati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 29 mag

gio 1999, n. 5290; Pres. Pontrandoi.fi, Est. Miani Caneva

ri, P.M. Nardi (conci, diff.); Soc. Fiat Om carrelli elevatori

(Avv. Mancuso, Andreotti) c. Crispino (Avv. Fiore, Ette

ri). Cassa Trib. Milano 16 novembre 1996.

Lavoro (rapporto di) — Invalido assunto d'obbligo — Patto

di prova — Recesso — Obbligo di contestualità dei motivi — Esclusione (Cod. civ., art. 2096; 1. 2 aprile 1968 n. 482,

disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pub bliche amministrazioni e le aziende private, art. 10).

In caso di recesso del datore di lavoro da rapporto di lavoro

in prova con invalido assunto d'obbligo non è necessaria la

comunicazione dei motivi, né contestuale, né successiva su

richiesta del dipendente, avendo invece il giudice il potere dovere di accertare, anche d'ufficio, sulla base della mera al

legazione della parte, la nullità del recesso in esito alla prova che risulti determinata o comunque influenzata dalle condi

zioni d'invalidità cui la l. 2 aprile 1968 n. 482 ricollega l'ob

bligo d'assunzione. (1)

Motivi della decisione. — Con l'unico motivo di ricorso si

denunciano i vizi «di errata applicazione dell'art. 2096 c.c. e

dell'art. 10 1. 2 aprile 1968 n. 482. Errore di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c.). Insufficiente motivazione su un punto decisivo della

controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.)». Si osserva che nessuna norma di legge e di contratto dispone

che il recesso dal rapporto di lavoro con un invalido avviato

ai sensi della 1. n. 482 del 1968, durante il periodo di prova,

per il mancato superamento di questa, debba essere motivato; né tantomeno dispone che la motivazione deve essere comunica

ta per iscritto, contestualmente al recesso. Il lavoratore invalido

licenziato durante il periodo di prova può dedurre in giudizio

l'assegnazione a mansioni non compatibili con la sua menoma

zione e l'illegittimità del recesso intimato per motivi discrimina

tori, mentre il datore di lavoro convenuto in tale giudizio può

(1) Con la sentenza sopra riportata il giudice di legittimità si discosta

(ovvero, come è detto in sentenza, ne precisa la portata alla stregua delle fattispecie concrete portate all'esame della corte) dal proprio indi rizzo circa l'esistenza dell'obbligo di motivazione del recesso per esito

negativo della prova di invalido assunto ex lege 2 aprile 1968 n. 482, negando non solo la necessità della contestualità della comunicazione dei motivi, ma anche la necessità della comunicazione stessa ove richie sta dal lavoratore, in applicazione analogica dell'art. 2 1. 15 luglio 1966 n. 604, invece affermata da Cass. 9 aprile 1998, n. 3689, Foro it., 1998, I, 2454, con nota di richiami, cui adde, nel senso della necessità della

motivazione, Cass. 8 giugno 1998, n. 5639, id., Rep. 1998, voce Lavoro

(collocamento), n. 55. Per un recente quadro riepilogativo sul tema, cfr., altresì, E. Pasqualetto, Il collocamento obbligatorio, in AA.VV., Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carinci, II. Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento a cura di C. Cester, Torino, 1998, 333 ss.

Va sottolineato come la 1. 12 marzo 1999 n. 68 (Le leggi, 1999, I, 1060), contenente norme per il diritto al lavoro dei disabili, nulla dica in punto.

Il Foro Italiano — 1999.

d'altro canto dedurre e provare sia la compatibilità delle man

sioni con lo stato di invalidità, sia i fatti che hanno determinato

il recesso ed escludono ogni intento discriminatorio.

Il motivo è fondato. Il Tribunale di Milano ha ritenuto suffi

ciente, ai fini della statuizione d'illegittimità del recesso della

società datrice di lavoro, il rilievo della «omessa contestuale

motivazione» dell'atto; a tale soluzione la sentenza impugnata è pervenuta richiamando l'orientamento giurisprudenziale secon

do cui il recesso dal rapporto di lavoro in prova con dipendente assunto ai sensi della 1. n. 482 del 1968 è soggetto all'obbligo di motivazione, al fine di consentire al giudice di sindacare i

reali motivi del recesso stesso e di evitare discriminazioni a dan

no di soggetti particolarmente deboli.

L'impostazione seguita nella sentenza impugnata, che prospetta l'indicazione dei motivi del provvedimento adottato come re

quisito formale necessario dell'atto di recesso, non può essere

condivisa.

Questa corte, a partire dalle decisioni delle sezioni unite con

cui nel 1979 fu risolto il contrasto in ordine all'ammissibilità

del patto di prova nel rapporto di lavoro con soggetti assunti

obbligatoriamente [sentenze 27 marzo 1979, n. 1763 (Foro it.,

Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 1138); n. 1764 (id., 1979,

I, 918); n. 1765 (id., Rep. 1979, voce cit., n. 1139); n. 1766

(ibid., n. 1140)] ha più volte affermato che l'oggetto di tale

patto è limitato per legge alla residua capacità lavorativa del

l'invalido, senza potersi estendere ad una valutazione del suo

rendimento rapportato a quello medio del lavoratore valido. In

ogni caso l'esperimento non può in alcun modo riguardare l'in

validità che è presupposto dell'assunzione obbligatoria; inoltre

la prova stessa (da riferire a mansioni determinate) deve essere

condotta in relazione a compiti compatibili con lo stato fisico

dell'invalido. Su tale premessa, è stato affermato il sindacato

sul recesso del datore di lavoro da parte del giudice, al fine

di controllare se la condizione di invalidità abbia in qualche modo influito su di essi, accertando anche d'ufficio la nullità

dell'atto per violazione della norma imperativa che vieta ogni discriminazione a danno dell'invalido, ed arrestandosi solo di

fronte all'apprezzamento che il datore di lavoro abbia fatto del

l'attitudine e della diligenza dell'invalido nell'ambito della sua

effettiva capacità lavorativa. Si tratta pertanto di un riscontro

non di carattere soggettivo (come quello sull'illiceità del motivo

del recesso) ma sulle obiettive circostanze attinenti all'inserimento

del lavoratore in un determinato posto di lavoro, e sull'estra

neità della valutazione della sua capacità tecnica di qualsiasi elemento che attenga alla menomazione.

Nell'ulteriore elaborazione giurisprudenziale sul tema altre de

cisioni della Suprema corte hanno enunciato il principio secon

do cui l'esperimento negativo della prova «deve essere dal dato

re di lavoro motivato, così che il giudice possa verificare la cor

rettezza, o non, dell'esercizio del potere da parte del datore di

lavoro ed accertare in particolare se il patto di prova non venga usato invece in senso elusivo della legge» (Cass. 27 novembre

1982, n. 6437, id., Rep. 1982, voce cit., n. 717; 16 gennaio

1984, n. 362, id., 1985, I, 1319; 4 giugno 1992, n. 6810, id.,

Rep. 1993, voce cit., n. 963; 18 febbraio 1994, n. 1560, id.,

Rep. 1994, voce cit., n. 1531; v. anche Cass. 1° aprile 1994, n. 3177, ibid., n. 1530).

La portata di questo principio deve essere tuttavia precisata, nell'ambito di una ricostruzione che ha ricevuto anche l'avallo

della Corte costituzionale (sentenza n. 255 del 18 maggio 1989,

id., Rep. 1989, voce Lavoro (collocamento), n. 106, con la qua le sono stati ritenuti infondati i dubbi di costituzionalità delle

norme della 1. 482/68, nella parte in cui consentono l'assunzio

ne con patto di prova dei soggetti protetti). Dalle decisioni da

ultimo richiamate non si desume infatti che il sistema di tutela

delineato postuli l'esistenza di una norma diretta a stabilire un

requisito formale della manifestazione di volontà di recesso dal

rapporto di prova, attinente all'indicazione dei motivi del reces

so stesso; ed infatti, come risulta dalla motivazione dei citati

precedenti, le fattispecie esaminate in quei casi non ponevano una questione di vizio formale dell'atto connesso alla mancata

indicazione dei motivi nella comunicazione del recesso, rilevan

do invece la valutazione delle ragioni che di fatto risultavano

addotte per giustificare il provvedimento. Più recentemente, Cass. 9 aprile 1998, n. 3689 (id., 1998,

I, 2454) ha espresso il principio secondo cui l'obbligo del datore

di lavoro di motivare il licenziamento per esito negativo della

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