Sezione III civile; sentenza 25 giugno 1983 n. 4371; Pres. Pedace, Est. Taddeucci, P. M. Zama(concl. conf.); Soc. Pironti (Avv. Stassano) c. Astronomo (Avv. Tafuri). Cassa App. Napoli 22aprile 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 2 (FEBBRAIO 1984), pp. 507/508-511/512Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175600 .
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PARTE PRIMA
del suddetto t.u. n. 1058 del 1924 relative alla composizione della
giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale, di quelle sulla competenza nonché di quelle sulla procedura, talché —
venute meno tali norme — la stessa giunta rimase in vita
esclusivamente quale organo amministrativo. In ordine alla situa
zione cosi creatasi queste sezioni unite ebbero ad affermare, da ultimo nella sentenza 18 settembre 1970, n. 1576 (id., Rep. 1971, voce Impiegato degli enti locali, n. 19), ohe le questioni relative a
diritti nelle materie già devolute alla giurisdizione esclusiva delle
giunte provinciali amministrative non potevano ritenersi per ciò
solo devolute alla generale giurisdizione civile del giudice ordina rio. Si argomentò in proposito, tra l'altro, che, essendo la
giurisdizione esclusiva degli organi di giustizia amministrativa
prevista dalla stessa Costituzione (art. 103), essa non poteva considerarsi di carattere eccezionale, evidenziandosi quindi — sia
pur con riferimento alla materia delle controversie di impiego dei
dipendenti degli enti locali — l'esistenza, sulla base di norme intrinsecamente connesse, di un'unitaria giurisdizione esclusiva articolata in due istanze, rispettivamente avanti alla giunta pro vinciale amministrativa e al Consiglio di Stato, da ciò traendo la
logica conseguenza secondo cui, venuta meno l'istanza subordina ta della giunta provinciale amministrativa, doveva ritenersi rima
sta operante nella sua pienezza la giurisdizione del Consiglio di
Stato, posto invero che la detta istanza subordinata non poteva aver limitato l'unica giurisdizione esclusiva, ma l'aveva piuttosto suddivisa in due gradi, sicché, non essendo ipiù esperibile il grado subordinato, risultava reintegrato rispetto alla giurisdizione del
Consiglio di Stato il carattere di unica istanza (cfr., in preceden za, altresì' le sentenze 29 settembre 1968, n. 2992, id., 1968, I, 2413; 7 gennaio 1969, n. 24, id., 1969, I, 21; 10 marzo 1969, n.
Ibi, ibid., 577; 21 luglio 1969, n. 2713, ibid., 2018, e 23 luglio 1969, n. 2783, id., Rep. 1969, voce cit., n. 117).
Orbene, siffatto ragionamento appare esattamente riferibile an che alla materia delle controversie per spese manicomiali, dato
invero che l'art. 7 1. n. 36 del 1904, prevedendo al 3° comma il
ricorso, contro le decisioni della giunta provinciale amministrati
va, alla IV sezione del Consiglio di Stato (l'unica allora esistente in sede giurisdizionale) a termini dell'art. 24, n. 4, 1. 2 giugno 1889 n. 6166 (poi sostituito dall'art. 29, 1° comma, n. 9, t.u. n. 1054 del 1924, cit.), aveva con ciò chiaramente inserito la cogni zione delle controversie minori in materia di apese manicomiali nell'ambito di quell'unitaria giurisdizione esclusiva delineata in termini generali dalla ricordata giurisprudenza di questa corte.
Ili) Problema ulteriore è però sorto a seguito dell'istituzione, in attuazione dell'art. 125, 2° comma, Cost., dei tribunali ammi nistrativi regionali di primo grado avvenuta con la 1. 6 dicembre 1971 n. 1034. L'art. 7, 2° comma, di essa, nel precisare l'ambito della giurisdizione esclusiva di tali organi, ha invero richiamato
(oltreché le materie di cui all'art. 5 della stessa legge) soltanto l'art. 29 t.u. 26 giugno 1924 n. 1054 e l'art. 4 t.u. 26 giugno 1924 n. 1058. L'esame strettamente letterale della disposizione potrebbe peraltro di per sé effettivamente portare a ritenere che alla
giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi apparterebbero solo le controversie in materia di spese manicomiali già attribuite al Consiglio di Stato in unica istanza e cioè quelle di cui al 1° comma dell'art. 7 1. 14 febbraio 1904 n. 36 poiché — come detto — esso è stato richiamato dall'art. 29 t.u. n. 1054 a sua volta
espressamente menzionato dall'art. 7 1. n. 1034 del 1971, mentre rimarrebbero fuori di tale giurisdizione le controversie minori
previste dal 2° comma dello stesso art. 7 1. n. 36 del 1904 sulle attribuzioni giurisdizionali della giunta provinciale amministrativa e non direttamente richiamate dalla ricordata 1. del 1971.
Di fronte a tale lacuna del dato normativo testuale la Corte
d'appello di Bologna ha perciò tratto la conclusione che le controversie in materia di spese manicomiali diverse da quelle di cui al 1° comma del più volte menzionato art. 7 1. n. 36 del 1904 dovrebbero rientrare nella generale giurisdizione del giudice or dinario. Tale assunto non può tuttavia essere condiviso.
Premesso che siffatte controversie — cosi come quelle di cui al 1° comma del suddetto articolo — concernono diritti soggettivi perfetti di natura patrimoniale insorti a favore dell'istituto ospeda liero a seguito del ricovero effettuato (talché non pertinenti appaiono alcune contrarie osservazioni svolte nel ricorso), deve considerarsi come — quale che possa essere stata la causa della lacuna esistente nella fonte legislativa — dai principi affermati dalla giurisprudenza di questa corte in relazione agli effetti derivanti dall'eliminazione dall'ordinamento giuridico delle giunte provinciali amministrative consegua ohe tali controversie non
possono per ciò solo ritenersi sottratte alla giurisdizione ammi nistrativa esclusiva nella quale invece — per quanto detto —
sono sicuramente rimaste quelle previste dal 1° comma del suddetto art. 7. In base peraltro ai risultati interpretativi resi
possibili dalla sopra richiamata giurisprudenza deve considerarsi
(e di ciò si è già fatto cenno) che, dopo il venir meno delle
giunte provinciali amministrative e prima dell'istituzione dei tri
bunali amministrativi regionali, tali controversie erano certamente
rientrate nella cognizione del Consiglio di Stato, allora organo unico di quella giurisdizione esclusiva la quale, per le materie
determinate dalla legge, è dall'art. 103, 1° comma, 2* ipotesi, Cost, espressamente prevista. Del resto la 1. 6 dicembre 1971 n.
1034, se ha reso in via normale il Consiglio di Stato organo di
giustizia amministrativa di secondo grado, non ha in alcun modo
limitato le materie già rientranti nella sua attribuzione, per cui in
tema di spese manicomiali mancherebbe in ogni caso l'elemento
normativo idoneo a far rifluire le controversie minori (quelle cioè
di cui al 2° comma dell'art. 7 1. n. 36 del 1904) nella generale
giurisdizione civile del giudice ordinario.
Ma iper ragioni di ordine logico-sistematico neppure può dirsi
che delle suddette controversie debba ancora conoscere in unico
grado il Consiglio di Stato per & rilievo che le stesse non sono
direttamente richiamate dalla 1. n. 1034 del 1971 la quale, attraverso l'art. 29 r.d. n. 1054 del 1924, fa riferimento soltanto a
quelle del 1° comma del detto articolo. A parte invero l'evidente
incongruità che deriverebbe da un siffatto diverso regime proces suale in relazione a controversie di eguale natura e la non
giustificazione inoltre della privazione del doppio grado di giuris dizione per una parte di esse, va osservato — tenendo ancora
direttamente presenti le considerazioni svolte nella ricordata sen
tenza n. 1576 del 1970 di queste sezioni unite e nelle altre
precedenti — che, da un lato, la "giurisdizione esclusiva degli
organi di giustizia amministrativa è riguardata dall'art. 103 Cost,
quale dato di carattere normale in relazione a quelle particolari materie che siano indicate dalla legge e, dall'altro, che la giuris dizione dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di
Stato è, nell'ordinamento vigente, strutturata in un sistema rigi damente unitario e, appunto con l'entrata in vigore della 1. n.
-1034 del 1971, è stata articolata in una duplice istanza, rispetti
vamente, di primo e di secondo grado (art. 28, 2° comma, ss., e
29 della detta legge). , Considerato peraltro che per de controversie di cui al 2° comma
dell'art. 7 1. n. 36 del 1904 il 'Consiglio di Stato è riguardato
quale giudice d'appello e inoltre che — per quanto richiamato —
quest'ultimo era divenuto giudice di unico grado solo in conse
guenza del venir meno di quello di prima istanza, la successiva
istituzione del giudice amministrativo investito di una generale
competenza funzionale di primo grado — ben più estesa che non
quella della giunta provinciale amministrativa — porta a ritenere,
per le controversie suddette, l'avvenuto ripristino nello stesso
Consiglio di Stato di quella funzione di giudice di secondo grado che la 1. n. 36 del 1904 gli aveva igià assegnato. Da tutto ciò
deriva pertanto che tali controversie debbono essere conosciute in
primo grado dal tribunale amministrativo regionale. In base alle -suesposte ragioni e rimanendo assorbito ogni altro
rilievo svolto nel ricorso, questo dev'essere accolto, con dichiara
zione della giurisdizione del tribunale amministrativo regionale (territorialmente) competente e conseguente cassazione senza
rinvio della sentenza impugnata nonché — esulando la giurisdi zione del giudice ordinario — anche di quella di primo grado. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 25 giu gno 1983 n. 4371; Pres. Pedace, Est. Taddeucci, P.M. Zama
(conci, conf.); Soc. Pironti (Avv. Stassano) c. Astronomo
<Avv. Tafuri). Cassa App. Napoli 22 aprile 1980.
Locazione — Legge 392/78 — Morosità del conduttore — Auto riduzione — Domande di risoluzione e di determinazione del canone legalmente dovuto — Rapporto di pregiudizialità —
Condizioni (Cod. civ., art. 1453, 1455, 1587; cod. proc. civ., art. 295).
Quando il conduttore omette di corrispondere il canone locati zio anche per la parte che egli stesso non contesta esser dovuta, il suo inadempimento rispetto a detta parte è ingiu stificabile e ben può essere valutato dal giudice adito per la risoluzione del contratto, anche senza attendere l'esito del
separato giudizio relativo alla determinazione del canone e alla
ripetizione delle somme che il conduttore assume di avere in
passato corrisposto in eccedenza rispetto alla misura dovuta. (1)
<1) Non si rinvengono precedenti in termini. La massima costituisce il riflesso processuale del principio di
natura sostanziale, largamente predominante in giurisprudenza, se
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Motivi della decisione. — (Omissis). Le censure della ricorrente
non meritano, invece, accoglimento, nelle parti in cui investono la
pronunciata risoluzione del contratto per inadempimento e l'o
messo rinvio di tale pronuncia sino all'esito della controversia
rimessa, per competenza funzionale, all'esame del pretore. L'esame delle domande relative alla determinazione del canone
nella sua misura legale (a fronte di asseriti indebiti aumenti
pretesi dal locatore) ed alla ripetizione delle somme assertivamen te corrisposti dal locatore in eccedenza rispetto alla misura da lui ritenuta dovuta, non costituisce, infatti, un momento sempre ed in ogni caso pregiudiziale, in senso logico e giuridico, per la
decisione della domanda volta alla risoluzione del contratto locatizio in ragione della morosità del conduttore stesso.
Mentre sembra superfluo rilevare la gravità anche pratica delle
conseguenze che deriverebbero dall'affermazione di una indicri minata necessità, ex art. 295 c.p.e., della sospensione del giudizio sulla risoluzione contrattuale in attesa della definizione del giudi zio sulla determinazione del canone e sulla ripetizione dell'indebi
to, a prescindere dalla comparazione dei contenuti che sostanzia
no le contrapposte pretese, giova succintamente ricordare i non
sempre uniformi orientamente espressi da questa corte regolatrice in tema di autotutela del conduttore.
Secondo l'indirizzo predominante, il conduttore non può so
spendere unilateralmente, in tutto od in parte, il pagamento del
canone della locazione in base all'assunto della indebita mag
giorazione di esso, se questa non sia stata previamente e giudizial mente accertata (ofr. Cass. 3141/76, Foro it., Rep. 1976, voce
Locazione, n. 173; 4199/79, id., Rep. 1979, voce cit., n. 134;
6050/79, id., Rep. 1980, voce cit., n. 433; 3592 e 1078 del
1981, id., Rep. 1981, voce cit., nn. 734, 754) con la conseguenza che la pendenza del giudizio per l'adeguamento del canone non è
idoneo a giustificare il mancato pagamento dello stesso (cfr. Cass.
n. 1420 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 505), non discrimi
nando l'inadempimento come incolpevole il convincimento del
idonea a giustificare il mancato pagamento dello stesso (cfr. Cass.
n. 4776 del 1982, ibid., n. 591); né è idonea ad impedire la
risoluzione del contratto, giacohé non esime il debitore dall'esatto
e puntuale adempimento dell'obbligazione (cfr. Cass. 1206 del
1969, id., Rep. 1969, voce Obbligazioni e contratti, n. 393;
2265 del 1972, id., Rep. 1972, voce Contratti agrari, n. 84).
Secondo altro, minoritario, indirizzo, non è vietato al condutto
re di versare — a suo rischio — il canone in misura inferiore a
condo cui la sospensione da parte del conduttore del pagamento del
canone di locazione allo scopo di realizzare la compensazione con
un proprio credito per somme corrisposte oltre la misura dovuta
non elimina la mora, poiché, essendo il credito opposto in compen sazione privo dei caratteri della certezza e della liquidità, la compen
sazione, in quanto meramente giudiziale, non potrebbe operare, in
base ai principi generali, che determinando l'estinzione del debito
del conduttore dal momento della pronunzia. Secondo la decisione
riportata, dopo l'entrata in vigore della 1. 392/78, la validità del
principio risulta ulteriormente confortata dalla previsione dell'art. 79, 2° comma, e dell'art. 45, 6° comma, della nuova legge.
Nel senso che non sussiste morosità nel caso in cui il conduttore
che abbia sospeso il pagamento del canone a scomputo di somme
corrisposte in misura superiore a quella legale risulti effettivamente
creditore nel giudizio di risoluzione promosso dal locatore, v., invece, Cass. 21 novembre 1981, n. 6216, Foro it., 1982, I, 1097, con nota di
richiami. Adde: Cass. 7 marzo 1983, n. 1777, Arch, locazioni, 1983, 256; 1° settembre 1982, n. 4776, Foro it., Rep. 1982, voce Locazione, n. 591; 6 marzo 1982, n. 1420, ibid., n. 590 e Pret. Penne 29 giugno 1982, ibid., n. 592, tutte conformi alla sentenza in epigrafe. V.
anche Trib. Potenza 3 aprile 1982, Rass. equo canone, 1983, 46, secondo cui il conduttore che si sia « autoridotto » il canone di locazione ha l'onere di domandarne la determinazione giudiziale, rimanendo altrimenti inadempiente.
In dottrina, in senso opposto alla massima, v. A. Iacono, Sulla
liceità dell'autoriduzione del canone di locazione e della sospensione dei pagamenti in pretesa compensazione, in Arch, locazioni, 1982, 369. Sull'autorizzazione, v. pure: S. Guarino, in AA.W., Le locazio
ni di fronte al giudice, 1981, 197, e M. Cappelli, Equo canone:
risoluzione del rapporto, morosità del conduttore e autoriduzione, in
Giur. merito, 1980, IV, 1254. Per l'impossibilità di un simultaneus processus nell'ipotesi che
l'accertamento della misura legale del canone, richiesto con efficacia
di giudicato, presenti natura pregiudiziale rispetto alla domanda di
risoluzione del contratto esorbitante, ratione valoris, la competenza del pretore, v. Cass., sez. un., 11 febbraio 1982, n. 839, Foro it.,
1982, I, 1955, con osservazioni di G. Costantino. In obiter, la decisione, riportandosi alle argomentazioni contenute
in Cass. 24 aprile 1981, n. 2469, id., Rep. 1981, voce cit., n. 413, afferma che la sanatoria prevista dall'art. 55 1. 392/78 è applicabile anche alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo.
La questione resta ampiamente dibattuta. Sul punto, per un
orientamento opposto a quello della Cass., v. Pret. Legnano 16 marzo
1979, id., 1980, I, 579, con nota di richiami.
quella corrisposta in precedenza se ritiene ohe questo sia superio re a quello dovuto per legge: e, poiché non vi è inadempimento senza che vi sia un debito che si possa lamentare inadempiuto, non è la circostanza di avere operato stragiudizialmente la
riduzione della pigione ohe può determinare la risoluzione del
contratto per morosità del conduttore, ma soltanto l'accertato
torto di costui, che egli cosi facendo è venuto a pagare un
canone inferiore a quello ohe per legge era da lui dovuto (cfr. Cass. 2496 del 1966, id., Rep. 1966, voce Locazione, n. 157) con la conseguenza che il giudice non può pronunziare la risoluzione del contratto se non previo accertamento della misura del canone
legale (cfr. Cass. n. 6216 del 1981, id., 1982, I, 1098), ed a
maggior ragione quando la morosità risulti già esclusa da una
sentenza passata in giudicato (ofr. Cass. n. 2931 del 1975, id.,
1976, I, 897). E non si è mancato di precisare che, senza detto previo
accertamento, il giudice adito per la risoluzione del contratto per morosità del conduttore non può ritenere moroso quest'ultimo per la sola ragione che egli abbia pagato il canone nella misura che riconosceva dovuta, astenendosi dal versare, perché ritenuti inde
biti, aumenti in precedenza corrisposti, anche se in ordine ad essi non sia stata previamente richiesta una determinazione giudiziale (cfr. Cass. n. 2506 del 1969, id., Rep. 1969, voce cit., n. 103; 3465 del 1971, id., 1972, I, 626).
Sul piano normativo occorre ancora ricordare che, in materia
di aumenti del canone, l'art. 16 1. 23 maggio 1950 n. 253
prevedeva che, sino a quando non fosse intervenuta la decisione sulla controversia sul diritto alla maggiorazione, « il conduttore è
tenuto a pagare al locatore l'aumento nella misura che egli riconosca dovuta, salvo eventuali conguagli »; l'art. 8 1. 26
novembre 1969 n. 833 e l'art. 2 sexies 1. 12 agosto 1974 n. 351
disponevano che le somme corrisposte dal conduttore in violazio ne dei divieti e dei limiti di aumento « possono essere computate in conto pigione o ripetute con azione proponibile sino a sei mesi
dopo la riconsegna dell'immobile locato »; l'art. 45 1. 27 luglio 1978 n. 392 ha ripetuto infine, quasi alla lettera, la citata
disposizione della 1. del 1950, dettando che « fino al termine del
giudizio (sulla determinazione del canone) il conduttore è obbli
gato a corrispondere, salvo conguaglio, l'importo non contestato ».
Orbene, se, anteriormente alla legge sull'equo canone, il rilievo che il conduttore non potesse spingere la propria autotutela sino al punto di computare in detrazione dell'ammontare dei canoni futuri quanto ritenesse di avere indebitamente corrisposto in
eccedenza su canoni passati prima ancora che la maggiorazione
illegale fosse stata giudizialmente accertata, corrispondeva ad una
interpretazione giurisprudenziale, come si è detto, largamente predominante ed avallata da autorevole dottrina (secondo cui la
compensazione legale, con il conseguente diritto di ritenzione
sorge solo con la determinazione giudiziale del credito, posto che in precedenza non vi è un credito del conduttore liquido ed
esigibile), con la 1. n. 392 del 1978 quel rilievo ha acquisito altresì' il conforto di una previsione testuale ohe non consente più interpretazione diversa da quella già affermatasi.
Infatti, se da un lato l'art. 79 di questa legge prevede quale unica consentita reazione alla indebita maggiorazione del canone
l'esperimento dell'azione di ripetizione (presupponendo che in
assenza di un accertamento giudiziale sul punto non vi sia un credito liquido ed esigibile opponibile dal conduttore in compen sazione) dall'altro lato l'art. 45, con il ribadire l'obbligo per lo stesso conduttore di corrispondere pure in pendenza di controver sia l'importo non contestato del canone, esclude nuovamente che il debitore possa unilateralmente esonerarsi dal puntuale paga mento sinanche di quell'importo, eccependo di avere versato in
precedenza somme non dovute.
Ne deriva una scomposizione della rilevanza e valutabilità della tnora debendi, che non può non riflettersi sulla soluzione del pro blema del rapporto di ipregiudizialità tra il giudizio per la determi nazione del canone dovuto ed il giudizio per la risoluzione del contratto per inadempimento.
Sin quando i! conduttore si astenga dal corrispondere quella quota parte del canone che ritenga essere espressione di una indebita maggiorazione, è evidente infatti ohe la questione se egli sia incorso o meno in inadempienza con l'autoriduzione diviene strettamente dipendente dalla questione relativa all'accertamento del quantum del suo debito, donde la necessità ex art. 295
c.p.c. della sospensione del giudizio per la risoluzione del con tratto sino alla definizione del giudizio sulla determinazione del canone dovuto; ma, allorquando il conduttore ometta total mente di corrispondere il canone, anche quindi per la parte ohe
egli stesso non contesta essere dovuta, il suo inadempimento rispetto a detta parte è giustificabile e ben può essere valutato dal giudice adito per la risoluzione del contratto, anche senza
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PARTE PRIMA
attendere l'esito del separato giudizio relativo all'accertamento
della debenza o meno dell'altra parte del canone, contestata quale indebita maggiorazione, perché, quale che sia per essere l'esito di
quest'ultimo giudizio, esso non potrà dissolvere il mancato adem
pimento di cui si fa questione nel primo. E la inesistenza di una situazione di necessaria pregiudizialità
del giudizio di determinazione del canone e di ripetizione di
indebito rispetto a quello di risoluzione del contratto per morosi
tà può tanto più ragionevolmente essere evinta dalla stessa
manifesta sproporzione tra l'entità delle quote parti dei canoni,
non contestate e non di meno non corrisposte (nella specie: lire
170.000 mensili) e l'entità delle quote parti denunziate quali indebite maggiorazioni (nella specie lire 40.000 mensili); spropor zione che renda indubitabile l'esistenza di un saldo finale a
credito del locatore anche in ipotesi di vittorioso esito della
domanda di ripetizione di indebito da parte del conduttore.
Alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, non può
quindi farsi addebito ai giudici del merito di non avere ritenuto
necessaria la sospensione della decisione sulla risoluzione del
contratto per inadempimento sino all'esito del giudizio rimesso
alla competenza funzionale del pretore. A parte la ineccepibile, ma non in quella sede pertinente,
delibazione circa la infondatezza della contestazione della misu
ra del canone, perché nella specie liberamente determinabile (ofr. Cass. n. 945, n. 4031, n. 4158 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., ■nn. 275, 736, 721), la ratio decidendi ha trovato congrua e
corretta espressione nel rilievo che la società locataria nel giro di
circa due anni (dal giugno 1976 all'ottobre 1978) si era resa
totalmente morosa nel pagamento di sedici mensilità, corrispon dendone quindi dieci, ma dopo le domande di risoluzione (art.
1453, ult. comma, c.c.) ed astenendosi dal versamento delle restan
ti sei, così cumulando un'inadempienza di non scarsa importanza nell'economia generale del contratto (art. 1455 c.c.) e non passi bile di attenuazione mercé il computo, in detrazione del suo
incontestabile debito, di somme assertivamente pagate oltre la
misura dovuta, nel passato. Detto apprezzamento circa l'importanza dell'inadempimento in
relazione all'interesse dell'altro contraente risulta pertanto corret
tamente motivato e poiché esso si risolve in una valutazione in
fatto, riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di
legittimità (cfr. Cass. 4 maggio 1982, n. 2764, ibid., voce Contrat
to in genere, n. 260), anche il quarto motivo del ricorso deve
essere respinto.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 4 maggio
1983, n. 3049; Pres. Mazzacane, Est. Lipari, P.M. Catelani
(conci, conf.); Ente autonomo acquedotto pugliese (Avv. Di
staso) c. Marasciulo e Russo (Avv. Donzelli), Comune di
Monopoli; Comune di Monopoli (Avv. Giannuli) c. Ente au
tonomo acquedotto pugliese, Marasciulo e Russo. Conferma A pp. Bari 8 ottobre 1980.
Acque pubbliche e private — Esecuzione e manutenzione di
opere idrauliche — Domanda di risarcimento del danno —
Mancata deduzione del coinvolgimento di interessi pubblici —
Competenza del tribunale regionale delle acque — Esclusione
(Cod. civ., art. 2043; r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, t.u. sulle
acque e sugli impianti elettrici, art. 140).
Spetta al giudice ordinariamente costituito, e non al tribunale
regionale delle acque, la cognizione circa la domanda risarcito
ria per i danni derivanti dalla difettosa esecuzione o manuten
zione di opere idrauliche (nella specie, si trattava della rottura
di una condotta idrica sistemata nel terreno senza « banchinag
gio »), ove manchi la deduzione puntuale e specifica del
coinvolgimento in causa degli interessi attinenti al buon gover no delle acque. (1)
(1) I. - La sentenza — di cui si riproducono i paragrafi 4 e 5
della motivazione, non riportati in Foro it., 1983, I, 2818 —
riesamina il problema della delimitazione della competenza dei
tribunali delle acque nei casi indicati dalle lett. d) ed e) dell'art. 140
t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, ed offre lo spunto ad alcune
osservazioni. li. - Raffrontando le disposizioni delle citate lettere dell'art. 140, la
Cassazione afferma: 1) che dalla competenza assegnata ai tribunali
regionali delle acque dalla lett. d) esulano le controversie relative alla determinazione dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità, la quale «resta devoluta al giudice ordinario»; 2) che nella lett. d) rientrano le cause concernenti danni, la cui produzione « è necessaria » per la realizzazione di un'opera idraulica, ma che non sono coperti dall'indennità espropriativa, nonché quelli caratterizzati
Motivi della decisione. — (Omissis). 4. - Il ricorrente, dedu
cendo, genericamente, la violazione dell'art. 140 della legge acque
senza specificazione di alcuna delle « lettera » (da a ad /) in cui
si articolano i titoli attributivi della competenza del trib. acque,
sostiene ohe afferiscono alla sfera di competenza del giudice
specializzato tutte le controversie che incidono sugli interessi
pubblici connessi al regime delle acque, il che « si verifica » non
solo nei casi in cui la controversia involge questioni sulla
dalla connessione con l'ineludibile finalità di attendere alla manuten
zione dell'opera idraulica; 3) che nella previsione della lett. e) dell'art. 140 rientra sicuramente l'ipotesi di responsabilità per danni derivanti da un'opera idraulica costruita a regola d'arte e mantenuta in efficienza con i migliori accorgimenti della tecnica (ipotesi di
responsabilità oggettiva, ovvero per attività legittima); 4) che nel l'ambito della lett. e) rientra anche l'ipotesi di responsabilità per fatto illecito, a condizione: che venga in discussione, come causa del
danno, un'opera idraulica costruita dalla p.a. ovvero un provvedi mento della medesima; che il danno sia dipendente dall'opera e non ad essa connesso per mera occasione; che il danno presenti i connotati soggettivi della colpa attribuibile all'autorità amministrativa cui è affidata la gestione dell'opera; che l'accertamento del danno e la sua liquidazione implichino in relazione al petitum e alla causa petendi dedotta l'interferenza con il regime giuridico delle acque, « richiedendosi che ad iniziativa delle parti siano messe in discussio ne concretamente gli interessi pubblici coinvolti con riferimento alla esecuzione o manutenzione dell'opera».
'III. - Quanto riportato sub 1) contrasta con la precedente giuris prudenza della Cassazione, la quale finora è stata ferma nel ritenere attribuita ai tribunali delle acque, ai sensi della lett. d) dell'art. 140, la competenza a conoscere delle indennità di espropriazione e d'occupazione di fondi necessari per l'esecuzione di opere idrauliche (v. Cass. 7 maggio 1975, n. 1764, Foro it., 1976, I, 149, nonché le sentenze ivi richiamate in nota). Invero, l'affermazione (la quale esula dal tema specifico sottoposto all'attenzione della Suprema corte) non è sorretta, nella sentenza riportata da motivazione alcuna, il che induce a ritenere che si tratti non tanto di un repentino mutamento di opinione, quanto di un obiter dictum. Data l'impor tanza della questione, è augurabile che la corte ritorni presto sul punto, chiarendo il proprio orientamento.
IV. - Non appare facile distinguere, al cospetto delle affermazioni riassunte sub 2) e sub 3), come venga suddivisa tra le previsioni delle lett. d) ed e) dell'art. 140 la competenza a conoscere delle controversie relative a danni derivanti oggettivamente da un'opera idraulica, la cui costruzione e manutenzione non integrino alcun fatto illecito. La sentenza in epigrafe ritiene di distinguere at tribuendo alla lett. d) i casi in cui i danni scaturiscano « ne cessariamente » dalla realizzazione dell'opera idraulica, ed alla lett. e) quelli in cui essi derivino da un'opera costruita a regola d'arte e mantenuta in efficienza con i migliori accorgimenti della
tecnica; ma è evidente che le due locuzioni esprimono il medesimo concetto: quello del danno come conseguenza di un'attività legittima. Non risulta che in precedenza la Suprema corte si sia soffermata su tale problema, più teorico che pratico, ma per risolverlo appare decisivo il richiamo all'art. 46 della legge fondamentale sulle espro priazioni, contenuto nella lett. d) dell'art. 140. In base a ta le norma è dovuta un'indennità ai privati che, in conseguenza dell'esecuzione di un'opera pubblica, soffrano un danno permanente, consistente nella perdita di un diritto: il carattere permanente del danno e la possibilità di configurarlo come perdita di un diritto (su beni immobili) sembrano quindi essere gli elementi, la cui presenza fa rientrare la fattispecie nell'ambito della lett. d), e la cui mancanza invece l'attribuisce alla sfera di applicazione della lett. e) dell'art. 140. (Sul punto che l'art. 46 1. 25 giugno 1865 n. 2359 si applica soltanto in caso di danno permanente, v., da ultimo, Cass. 8 giugno 1981, n. 3677, Foro it., Rep. 1981, voce Opere pubbliche, n. 38; 30 marzo 1979, n. 1833, id., Rep. 1979, voce cit., n. 22).
V. - Nel passo sopra riassunto sub 4), che rappresenta l'oggetto specifico della sentenza in epigrafe, la corte assume una decisa
posizione nel conflitto giurisprudenziale concernente la competenza a conoscere delle controversie in cui vengano lamentati danni derivanti da un'opera idraulica malamente eseguita o mantenuta, e quindi si verifichi un'ipotesi di responsabilità per fatto illecito. In relazione a tale fattispecie le precedenti pronunzie della Cassazione erano preva lentemente orientate a favore della competenza del giudice ordina riamente costituito (Cass. 10 dicembre 1981, n. 6523, id., Rep. 1981, voce Acque, n. 92; 16 luglio 1976, n. 2818, id., Rep. 1976, voce cit., n. 95; 6 dicembre 1974, n. 4040, id., 1975, I, 583; 9 marzo 1973, n.
659, id., Rep. 1973, voce cit., n. 117; 11 ottobre 1972, n. 2999, id., 1973, I, 398; 12 ottobre 1971, n. 2864, id., 1972, I, 1309), ma non mancavano quelle di segno opposto (Cass. 29 giugno 1981, n. 4201, id., Rep. 1981, voce cit., n. 100; 20 maggio 1980, n. 3290, id., Rep. 1980, voce cit., n. 65; 10 ottobre 1975, n. 3250, id., Rep. 1975, voce cit., n. 100).
Ora la Cassazione afferma che la presenza del fatto illecito nell'esecuzione o nella manutenzione dell'opera idraulica non vale ad escludere la competenza dei tribunali delle acque, sempreché sussi stano le altre condizioni sopra riportate, tra cui nell'economia della sentenza riportata assume rilievo decisivo la circostanza che ad iniziativa delle parti siano messi in discussione gli interessi pubblici attinenti al regime idraulico. Quest'ultima affermazione merita di essere approfondita.
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