Sezione III civile; sentenza 25 giugno 1983, n. 4377; Pres. Cusani, Est. G. E. Longo, P. M.Benanti (concl. conf.); Faraci (Avv. Capri) c. I.r.f.i.s.; I.r.f.i.s. (Avv. Gazzara, E. Russo) c. Faraci.Conferma App. Messina 27 febbraio 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 10 (OTTOBRE 1983), pp. 2447/2448-2451/2452Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175222 .
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2447 PARTE PRIMA 2448
1976, in quanto la prima non notificata all'appellato e la seconda
notificata il 27 marzo 1976 presso il procuratore domiciliatario costituito nel giudizio di primo grado successivamente alla no
tificazione della sentenza, avvenuta il 24 marzo 1976 da parte delle stesse con l'indicazione di un nuovo procuratore e della
nuova elezione di domicilio.
Tale inamissibilità non precludeva l'ammissibilità della terza
impugnazione, questa essendo stata proposta, prima che scadessero i termini dell'appello e quando non era intervenuta alcuna declaratoria di inammissibilità o improcedibilità delle precedenti (art: 358 c.p.c.). (Omissis)
Motivi della decisione. — (Omissis). Deve essere, quindi, sem
pre preliminarmente, esaminato il ricorso incidentale del Poli
grafico, con il quale si denuncia la violazione dell'art. 435 c.p.c. (nuovo testo) per avere il tribunale dichiarato le inammissibilità delle impugnazioni non validamente notificate, mentre, in realtà, l'appello doveva ritenersi non proposto, in assenza di una rituale notifica ad almeno una delle parti appellate. (Omissis)
Il ricorso incidentale, nei confronti del solo Blasi Davide, deve essere accolto per quanto di ragione.
Il tribunale, infatti, non doveva ritenere inammissibile l'impu gnazione proposta dal Poligrafico, nei confronti del predetto Blasi, con il ricorso depositato in data 9 gennaio 1976, perché non notificato regolarmente, e considerare ammissibile solo la
impugnazione riproposta con l'atto 23 aprile 1976 e regolarmente notificata.
Come risulta dal combinato disposto degli art. 433 e 434 c.p.c. (nuovo testo), l'appello è proposto con ricorso davanti al tribuna le competente, in funzione di giudice del lavoro, depositato nella cancelleria entro il termine, breve, di cui al 2° comma dell'art. 434 o, lungo, di cui all'art. 327 c.p.c.
Proposta l'impugnazione, come innanzi, ogni decadenza è im
pedita. La nullità della notifica o il mancato rispetto dei termini di cui al 3° comma dell'art. 435 c.p.c. (nuovo testo) non può determinare la inammissibilità dell'impugnazione medesima ma
importa l'applicazione dell'art. 291 c.p.c. (Cass. 20 maggio 1980, n. 3333, Foro it., 1980, I, 1263; 16 febbraio 1977, n. 710, id., 1977, I, 1156; 7 luglio 1978, n. 3399, id., 1978, I, 1888; 11 maggio 1979, n. 2709 e 5 novembre 1979, n. 5720, id., Rep. 1979, con Lavoro e previdenza (controversie), nn. 432, 425).
Vero è che la stessa sezione lavoro di questa corte, con altre sentenze (Cass. 23 novembre 1977, n. 5104, id., 1977, I, 2810; 28
maggio 1979, n. 3112, 3 ottobre 1979, n. 5052 e 3 ottobre 1979, n. 5056, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 435, 434, 433) ha ritenuto che l'inosservanza dei termini minimi a comparire ex art. 435, 3° e 4°
comma, c.p.c. determina un vizio il quale può essere sanato solo con efficacia ex nunc dalla costituzione del convenuto con sal
vezza, perciò, dei diritti dallo stesso anteriormente previsti, tra i
quali il passaggio in giudicato eventuale della sentenza impugnata. Queste sezioni unite ritengono, però, che debba essere confer
mato il primo indirizzo.
Come è stato rilevato, la fattispecie introduttiva del giudizio di secondo grado è costituita nelle cause di lavoro dal ricorso e dal suo deposito nella cancelleria del tribunale territorialmente com
petente e a tale fattispecie è invece estranea (diversamente da
quanto accade per l'ordinario giudizio d'appello, introdotto con
citazione) la fase della notificazione, la quale tende alla produ zione di effetti ulteriori e diversi (instaurazione del contraddittorio, ecc.), effetti che in quella trovano il loro presupposto e la
ragione della loro esistenza (Cass. 8 giugno 1981, n. 3695, id., 1981, I, 1874).
Ciò riconosce anche la sentenza n. 4899 del 1981 (id., Rep 1981, voce cit., n. 451), che ha seguito l'altro indirizzo, la quale ha tuttavia osservato che l'appello, pur validamente proposto con
il deposito del ricorso in cancelleria entro il termine di legge, e
producendo già l'effetto di introdurre il processo davanti al
giudice di secondo grado, è condizionato « nella sua efficacia ed
idoneità a determinare l'ulteriore sviluppo del rapporto processuale, avendo per destinatario non solo il giudice adito ma anche la parte contro cui è rivolto, dal compimento di ulteriori attività dello
stesso giudice e della parte impugnante, consistenti rispettivamete nella pronuncia del decreto di fissazione dell'udienza e nella
notificazione ad iniziativa dello stesso appellante, sia del ricorso, sia del decreto, che ad esso accede, all'appellato.
Con la conseguenza che l'omissione da parte dell'appellante della notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'u
dinza, cui dovrebbe equiparsi l'inesistenza giuridica della notifica
zione, determinerebbe l'inefficacia dell'impugnazione e l'improce dibilità della stessa che « pur non prevista espressamente, è di
tale inefficacia, nel sistema della legge, necessaria conseguenza »
(Cass. 11 agosto 1981, n. 4899, cit.).
In proposito, ritengono, invece, queste sezioni unite che i casi
di inattività delle parti, che non siano di per sé esclusi dalla
normativa speciale del processo del lavoro (ad es., la contumacia
dell'attore, atteso che questi è costituito con la proposizione della
domanda) non possono essere regolati nel silenzio della legge
speciale, col ricorso ad istituti come quelli dell'inammissibilità o
della improcedibilità delle domande che sono, in via di principio tassativi o col ricorso ad istituti processuali anomali quali l'i
nefficacia o l'archiviazione, come pure in dottrina si è ipotizzato,
dovendosi, necessariamente, far ricorso alle norme del processo
ordinario, ove queste non siano assolutamente incompatibili col
rito speciale.
Né tale incompatibilità, de iure condito, può essere desunta
solo da un generico contrasto delle norme ordinarie con il
principio dell'oralità, concentrazione e speditezza cui è certamen
te informato il processo del lavoro, dal momento che tale
contrasto è conseguenza ineluttabile della coesistenza del procasso ordinario e di quello speciale, e del difetto di autosufficienza di
quest'ultimo, con l'ovvia conseguenza che la piena realizzazione
del principio suindicato non può essere anticipata o realizzata
dall'interprete, col ricorso ad istituti processuali non previsti o
ricorrendo ad essi fuori dei casi previsti, alternando delicati
equilibri di interessi, anche di natura sostanziale, sui quali potrà incidere solo il legislatore dell'auspicato nuovo processo orale.
Ciò posto, a parte il caso, ipotizzato anche in dottrina, della
mancata notifica del ricorso e del decreto o della inesistenza
giuridica di essa cui è fatto specifico riferimento dalla sentenza
n. 4899/81, citata (e che non è compito di queste sezioni unite
di esaminare nella presente fattispecie) non v'è dubbio che, nel
caso di nullità della notificazione (160 c.p.c.) per violazione delle
disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la
copia, nulla si oppone all'applicazione della norma di cui all'art.
291 c.p.c. che regola, compiutamente con riguardo a tutti gli interessi in gioco, le conseguenze della nullità in cui la parte sia
incorsa nell'instaurazione del processo e dell'eventuale inattivi là
della stessa.
Di conseguenza, nel caso di specie, e nei confronti del solo
Blasi, cui la notifica del ricorso del decreto era stata effettuata a mani dell'avv. Giulio Donzelli e da questi rifiutata, il tribunale
avrebbe dovuto, non già dichiarare l'inammissibilità del ricorso medesimo ma, bensì, ordinare la rinnovazione della notifica dello stesso. (Omissis)
CORTE COSTITUZIONALE; Sezione III civile; sentenza 25 giu
gno 1983, n. 4377; Pres. Cusani, Est. G. E. Longo, P. M. Be
nanti (conci, conf.); Faraci (Avv. Capri) c. I.r.f.i.s.; I.r.f.i.s.
(Aw. Gazzara, E. Russo) c. Faraci. Conferma App. Messina 27 febbraio 1982.
CORTE COSTITUZIONALE;
Fideiussione e mandato di credito — Decadenza del creditore dai diritti verso il fideiussore — Fallimento del debitore —
Onere di diligenza — Contenuto (Cod. civ., art. 1957).
Nell'ipotesi di fallimento del debitore principale, la decadenza del creditore dal diritto di rivolgersi al fideiussore ex art. 1957 c.c. è esclusa dalla richiesta di ammissione al passivo, a meno che non sia dimostrata la concreta possibilità di esperire ulteriori azioni individuali eccezionalmente ammesse nella procedura concorsuale. (1)
(1) Il fideiussore ricorrente contestava all'istituto creditore di non essersi adoperato secondo la diligenza prevista dall'art. 1957 c.c. che avrebbe richiesto, nel caso di specie, non già la proposizione della sola domanda di ammissione al passivo del fallimento del debitore, ma anche la richiesta al giudice di procedere alla vendita dei beni su cui il creditore aveva privilegio (cosi rifacendosi all'espressione utiliz zata da Cass. 22 luglio 1976, n. 2898, Foro it., Rep. 1976, voce Fideiussione, n. 20, a cui dire nell'ipotesi di fallimento del debitore « il creditore può far valere il proprio credito mediante rituale istanza di ammissione al passivo e può curarne la tutela mediante un'attiva partecipazione alle operazioni concorsuali, secondo le forme e nei modi all'uopo previsti dalla legge »); ma la Cassazione, pur ammetten do in linea di principio la correttezza di una tale interpretazione della nozione di diligenza ex art. 1957, ha escluso che nel caso di specie potesse incombere sul creditore l'obbligo di procedere ex art. 53 1. fall., in forza delle clausole relative all'atto di assunzione della garanzia che consentivano l'integrale pagamento del debito « anche senza la contemporanea escussione dei beni sottoposti a privilegio».
SulFormai consolidato principio secondo cui « nel caso di fallimento del debitore l'unica istanza che il creditore può proporre, ai sensi dell'art. 1957 c.c., per conservare le sue ragioni verso il fideiussore è
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto del 12 febbraio 1977
l'Istituto regionale per il finanziamento alle industrie in Sicilia
(I.r.f.i.s.) intimava all'ing. Ferdinando Faraci precetto per il paga mento della somma di lire 17.436.163, oltre interessi ed accessori, dovute in virtù di atto di assunzione di obblighi del 10 febbraio
1971, per notar Paderni, con prestazione di garanzia ipotecaria del 7 aprile 1973 per notar Monforte.
Con citazione del 10 marzo 1977 il Faraci proponeva opposi
zione, deducendo fra l'altro: che l'atto di assunzione di obblighi costituiva sostanzialmente una fideiussione per le obbligazioni assunte verso l'I.r.f.i.s. dall'ing. Francesco Terranova, dichiarato
poi fallito il 17 aprile 1974; che la fideiussione era venuta meno
in forza dell'art. 1955 c.c. poiché, non avendo l'istituto chiesto al
curatore, di essere autorizzato alla vendita di macchinari del
debitore soggetti a privilegio, per realizzare il credito durante il
fallimento, ai sensi dell'art. 53 1. fall., era rimasta pregiudicata una surrogazione del fideiussore nei diritti del creditore con
riguardo a detti beni; che d'altronde esso Faraci poteva ritenersi
liberato dalla fideiussione anche in virtù dell'art. 1957 c.c. giac ché l'I.r.f.i.s., non chiedendo al curatore l'autorizzazione alla
vendita dei macchinari predetti, aveva fatto sì che essi si rendes
sero inservibili per disuso; che infine il credito verso il Terrano
va poteva ritenersi prescritto. Il Faraci conveniva pertanto l'I.r.f.i.s. innanzi al Tribunale di
Messina per sentir dichiarare la decadenza o la cessazione della
fideiussione da lui prestata, in subordine chiedendo che fosse
dichiarato prescritto il credito vantato dall'istituto, con conse
guente annullamento del precetto opposto. In via ulteriormente
subordinata, chiedeva la condanna dell'istituto al risarcimento dei
danni per la perdita o la diminuzione di valore dei macchinari
sottoposti a privilegio.
L'I.r.f.i.s., costituitosi, contestava il fondamento delle deduzioni
avversarie.
Con sentenza del 20 settembre 1980 l'adito tribunale, disattesa
l'eccezione di prescrizione, rigettava l'opposizione, ritenendo fra
l'altro che il Faraci non si era limitato a prestare fideiussione, ma aveva addirittura assunto in proprio le obbligazioni del
Terranova, diventando obbligato in solido con lui.
Appellava il Faraci. L'I.r.f.i.s. resisteva al gravame, e interpo neva appello incidentale in ordine alle spese giudiziali.
Con la sentenza denunziata la Corte d'appello di Messina
accoglieva il gravame incidentale e rigettava quello principale. Riteneva la corte che si versasse, nella specie, in un caso di
fideiussione solidale, e che non potesse dirsi che il creditore
avesse diligentemente continuato — come prescrive l'art. 1957
c.c. — le sue istanze contro il debitore. La corte osservava
tuttavia che la decadenza dell'obbligo fideiussorio era stata impe dita dal riconoscimento del debito, operato dal Faraci con l'atto
notarile del 1973, con cui egli aveva altresì costituito ipoteca convenzionale su alcuni dei propri immobili, a garanzia del
credito dell'I.r.f.i.s.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
Faraci sulla base di due mezzi di doglianza, illustrati da memo
quella di ammissione al passivo fallimentare», v. Cass. 17 maggio 1979, n. 2825, id., 1979, I, 2032, nella motivazione (col. 2034-35); 22
luglio 1976, n. 2898, cit.; 10 luglio 1968, n. 2393, id., Rep. 1969, voce Fallimento, n. 330; Trib. 'Parma 18 gennaio 1964, id., Rep. 1964, voce Fideiussione, n. 20; Trib. Firenze 11 marzo 1964, ibid., n. 23; Cass.
21 luglio 1960, n. 2053, id., 1961, I, 2058, con nota di richiami. In
precedenza la giurisprudenza — pur senza far esplicito riferimento alla domanda di ammissione al passivo — aveva sottolineato come l'onere imposto al creditore dall'art. 1957 sussistesse anche nel caso in cui il debitore fosse divenuto insolvente (cosi Cass. 28 ottobre 1959, n. 3146, id., 1960, I, 406, nonché, App. Bologna 1° dicembre 1960,
id., Rep. 1961, voce cit., n. 36). In dottrina era prevalsa, in un primo momento, l'opinione secondo
cui il fallimento del debitore avrebbe impedito il verificarsi della decadenza ex art. 1957 (Fragali Fideiussione. Mandato di credito, in
Commentario, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1968, 503, nonché Fideiussione (dir. priv.), voce dell 'Enciclopedia del diritto,
Milano, 1968, XVII, 346, 382, ove, pur ammettendo che « la decadenza
si evita proponendo azione giudiziaria » [ed alla nota 66 vien fatto
l'esempio dell'istanza di ammissione al passivo del fallimento], non si
manca di sottolineare come sia necessario « che il creditore prosegua le azioni promosse al compimento degli atti esecutivi necessari
per la realizzazione dell'obbligazione garantita, salvo il caso di falli
mento del debitore »); ma successivamente si è imposto un orienta
mento analogo a quello dominante in giurisprudenza: cfr. Ravazzoni,
Applicabilità dell'art. 1957 in caso di fallimento del debitore principa
le, in Riv. dir. comm., 1961, II, 112; Ferrara, Il fallimento\ Milano,
1974, 481; Provinciali, Manuale di diritto fallimentare!, 1970, II,
1256, nota 45; Ragusa Maggiore, Passivo (accertamento del), voce
deWEnciclopedia del diritto, Milano, 1982, XXXII, 181, 190, nota 33.
ria. L'I.r.f.i.s. ha resistito con controricorso, ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, sulla base di due mezzi di
doglianza.
Motivi della decisione. — Va preliminarmente disposta la
riunione, sotto il numero più antico di ruolo, dei due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza.
Con il primo mezzo del ricorso principale il Faraci denunzia violazione e falsa applicazione del principio per cui è inesistente o inefficace la rinunzia, tampoco implicita, ad un diritto non ancora sorto; motivazione illogica, contraddittoria e insufficiente
sull'argomento, violazione e falsa applicazione art. 2720 c.c., art.
188, 2° comma, e 168 1. fall, art. 1945 c.c.
Deduce il ricorrente, con il mezzo in esame, che a torto la corte d'appello ha ravvisato nell'atto di concessione di ipoteca un
riconoscimento del debito verso l'I.r.f.i.s. e quindi una rinunzia di esso Faraci a far valere nei confronti dell'istituto la decadenza di cui all'art. 1957 c.c. 1 giudici di merito non avrebbero
considerato, invero, che all'epoca di quell'atto l'impresa Terrano va trovavasi in amministrazione controllata, e che solo successi vamente era stata dichiarata fallita. In forza delle norme citate,
dunque, al momento della concessione dell'ipoteca nessuna azione aU'I.r.f.i.s. era consentito proporre contro il debitore principale né contro il fideiussore, e non poteva dirsi nemmeno iniziato il
termine di sei mesi previsto dall'art. 1957. Né potrebbe configurar si nella specie una ipotesi di rinunzia preventiva giacché, anche a
volerne ammettere la possibilità, riconosciuta in giurisprudenza, non ne ricorrerebbe nel caso in esame l'essenziale requisito del
carattere espresso dalla rinunzia medesima.
Con il secondo mezzo poi — che, per ragioni di evidente
connessione, può essere esaminato unitamente al primo —- il
ricorrente principale, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 53 1. fall., in relazione all'art. 1957 c.c., nonché vizi di
motivazione, deduce in subordine che a torto la corte di Messina
ha negato che fra le attività che l'I.r.f.i.s., avrebbe dovuto
compiere perché si potesse dire (art. 1957 cit.) che esso non solo
aveva svolto le sue istanze contro il debitore, ma le aveva ancne
diligentemente continuate, si da non perdere la garanzia fideius
soria, rientrasse quella prevista dall'art. 53 cit., il quale abilita il
creditore privilegiato (quale era l'istituto) a chiedere la vendita
dei beni sottoposti a privilegio incassandone subito il ricavalo.
Le innanzi riassunte censure non sono suscettibili di essere
condivise.
Quanto alla prima di esse, non ritiene questo Supremo collegio
che essa centri l'essenza del problema in controversia. È ben
vero che la stessa sentenza muove dall'assunto (criticato dal
ricorrente) di un avvenuto riconoscimento implicito del debito da
parte del fideiussore, ma tale assunto essa enunzia rilevando nel
contempo che l'istituto creditore aveva certamente fatto valere le
sue istanze in sede fallimentare, mediante tempestiva domanda di
insinuazione al passivo del debito de quo. Orbene proprio siffatto
rilievo, ad avviso di questa Suprema corte, nella specie può
ritenenersi sufficiente (al contrario di quanto ha ritenuto !a
sentenza, la cui motivazione, sul punto, va corretta nel senso qui
precisato) ad escludere la decadenza comminata al creditore
dall'art. 1957, tenuto anche conto delle considerazioni che saran
no esposte in ordine alle doglianze del secondo mezzo.
In caso di fallimento del debitore, invero, può in principio ritenersi che per evitare la decadenza dai diritti verso il fideius
sore, prevista dall'art. 1957, al creditore sia sufficiente proporre domanda di ammissione al passivo, dal momento che l'impulso ufficioso che domina la procedura concorsuale non solo dispensa, ma impedisce al creditore stesso di seguire alcun altro atto
contro il debitore.
In tal senso questa Suprema corte si è già orientata con le sue
pronunzie n. 2053 del 21 luglio 1960 (Foro it., 1961, I, 2058), e
n. 2393 del 10 luglio 1968 (id., Rep. 1969, voce Fallimento, n. 330).
Né del principio può rinvenirsi specifica contraddizione nella più
recente pronunzia n. 2898 del 22 luglio 1976 (id., Rep. 1976, voce
Fideiussione, n. 20, invocata dal Faraci). Questa infatti, sebbene
abbia menzionato in astratto, con riferimento all'art. 1957 c.c.,
la possibilità che il creditore ha di far valere il proprio credito
non solo instando per l'ammissione del credito al passivo ma
anche continuando a curare la tutela del credito stesso « mediante
un'attività di partecipazione alle operazioni concorsuali, secondo
le forme e nei modi all'uopo previsti dalla legge », non ha preso
in considerazione le precedenti pronunzie sopra indicate; ed ha,
del resto, statuito su una fattispecie concreta in cui il creditore
non aveva, entro il termine dell'art. 1957, nemmeno iniziato ad
attivare le proprie istanze contro la debitrice e contro gli organi ad essa sostituiti dopo la sua dichiarazione d'insolvenza (trattavasi
di impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa), sicché
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2451 PARTE PRIMA 2452
non v'era questione di una mancata « continuazione » delle istanze
stesse.
Con tutto ciò non può negarsi peraltro che, in via di eccezio
ne, siano ammesse anche dopo il fallimento iniziative volte a far
valere con una certa autonomia il diritto dei singoli: cosi, ad
esempio, nel campo delle azioni esecutive, le iniziative consentite
dall'art. 53 1. fall. Ma, come questo Supremo collegio ha già
osservato, trattasi di ipotesi eccezionali (Cass. 14 giugno 1967, n. 1354, id., 1967, I, 1769), e non può quindi ritenersi che esse
vanifichino in principio la regola della concentrazione delle azio
ni nella procedura concorsuale e dell'impulso d'ufficio che la
domina e la disciplina, dovendosi semmai verificare caso per caso
se in concreto il principio ceda all'eccezione.
Nel verificare dunque, in relazione al caso di un debitore
principale fallito, se siansi prodotte le condizioni contemplate dall'art. 1957 c.c. per la decadenza del creditore dal diruto di
rivolgersi al fideiussore, non può prescindersi dalle osservazioni
di cui innanzi; e pertanto una volta che, entro il termine dalla
norma previsto, il creditore abbia chiesto l'ammissione al passivo non dovrà pretendersi che altro egli abbia fatto per « continuare
le sue istanze » contro il debitore, a meno che non venga dedotta
la concreta possibilità di ulteriori, autonome azioni individuali
eccezionalmente ammesse nella procedura concorsuale e delle
quali ricorressero i presupposti nella particolare fattispecie consi
derata. E in effetti la possibilità di eccezionali iniziative del
genere fu concretamente dedotta nella specie dal Faraci (e viene
ancora oggi ribadita nel secondo mezzo del ricorso) con riferi
mento alla non proposta istanza di autorizzazione alla vendita (ai sensi dell'art. 53 1. fall.) di macchinari su cui l'istituto creditore
aveva il privilegio. Ma sul punto in esame la denunziata sentenza ha escluso che la richiesta di vendita dei beni sottoposti a
privilegio rientrasse in concreto nell'onere di « diligenza » impo sto dall'art. 1957 al creditore, a sostegno di tale convincimento
svolgendo più considerazioni. Delle quali ultime vale qui richia mare quella secondo cui l'esclusione in discorso poteva nella
specie desumersi da particolari clausole convenute fra le parti con atto del 10 febbraio 1971, con le quali si era stabilito il
diritto dell'istituto di chiedere l'integrale pagamento del debito « anche in virtù del presente atto ed anche senza la contempora nea escussione dei beni sottoposti a privilegio » Trattasi manife stamente di una interpretazione che costituisce ineccepibile ap prezzamento di merito il quale, non specificamente censurato dal
ricorso, concorre a sottrarre alle censure del ricorrente le conclu sioni cui la corte territoriale è pervenuta.
Il rigetto delle doglianze del ricorso principale esime questo Supremo collegio dal procedere all'esame del ricorso incidentale dell'I, r.f.i.s., espressamente condizionato all'accoglimento delle censure predette. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 13 giu gno 1983, n. 4050; Pres. Brancaccio, Est. Tilocca, P. M. Ni cita (conci, conf.); Soc. Laser Film (Avv. Tonazzi) c. Coprovi e altri (Avv. Angeloni). Regolamento di competenza avverso Pret. Velletri 5 luglio 19S2.
CORTE DI CASSAZIONE;
Provvedimenti di urgenza — Competenza per territorio — Danno da frase pronunciata in un film — Luogo di produzione della
pellicola cinematografica (Cod. proc. civ., art. 700, 701).
È competente ad emettere provvedimento cautelare atipico nell'ipotesi di danno derivante da una frase pronunciata in un
film il pretore del luogo in cui la pellicola viene prodotta e
poi inviata alle società distributrici. (1)
(1) Nuova battuta dell'ormai noto ' dibattito ' tra corte di legittimità e giurisprudenza di merito circa i criteri di determinazione della competenza territoriale in tema di provvedimenti d'urgenza. Sul punto specifico non si rinvengono precedenti (tanto più che la corte, nel risolvere la questione sottopostale, si rifa ai precedenti in tema di pubblicazioni di giornali e riviste che proponevano come criterio di determinazione della competenza il luogo di pubblicazione, quale primo momento di diffusione dell'attività pregiudizievole: cfr. Cass. 9 dicembre 1977, n. 5329, Foro it., 1978, I, 33 e 25 settembre 1972, n. 2787, id., 1973, I, 2088, con note di richiami); v.. comunque, Pret.
Roma, ord. 24 gennaio 1972, id., Rep. 1972, voce Provvedimenti di urgenza, n. 15, che ha ritenuto competente ad emettere i provvedimen ti cautelari atipici richiesti in relazione al pregiudizio derivante dalla messa in circolazione di una pellicola cinematografica (nella specie, si lamentava il possibile danno alla reputazione di un'artista cinemato
grafica) il pretore del luogo in cui si sarebbe verificato il danno, da
Svolgimento del processo. — Con ricorso ex art. 700 c.p.c. in
data 23 gennaio 1982 la Coprovi (Confagricoltori, coltivatori e
associazioni commercianti veliterni) chiedeva al Pretore di Velletri
i provvedimenti idonei ad eliminare le conseguenze lesive per i
propri vini, derivanti da una frase pronunciata dalla protagonista del film « Il tango della gelosia ».
Esponeva che il personaggio interpretato nel film dall'attrice
Monica Vitti aveva apostrofato il vino che le era stato offerto
con un'espressione di disgusto, come vino di « Velletri », il che
ledeva gli interessi dei coltivatori e commercianti del luogo. Si costituiva la Laser Film, produttrice della pellicola in
questione, opponendosi all'accoglimento del ricorso e eccependo successivamente la incompetenza per territorio del foro adito,
per essere competente il Pretore di Roma, quale foro della sede
legale dell'azienda, e per la mancata individuazione in Velletri di
un'attività di essa società su cui avrebbe dovuto o potuto incidere il provvedimento richiesto, nonché per l'inesistenza di
indentificare con la città di Roma dove, « normalmente, le pellicole sono per la prima volta presentate in pubblico »; Pret. Roma, ord. 15
maggio 1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 19, che segue il criterio del
luogo di verificazione del danno nell'ipotesi di tutela in via urgente del « diritto dell'autore di una sceneggiatura cinematografica la cui
paternità erroneamente sia attribuita ad altri ». Anche in quest'occasione la Cassazione conferma il proprio orienta
mento teso a privilegiare il luogo di esercizio dell'attività pregiudizie vole su cui deve incidere il provvedimento: v., da ultimo, sent. 8 febbraio 1983, n. 1037, id., Mass., 207, a cui dire: « qualore il danno
possa essere causato da una trasmissione televisiva occorre avere
riguardo al luogo ove ha sede l'emittente televisiva principale da cui viene irradiata la trasmissione incriminata »; 1° febbraio 1983, n.
860, ibid., 168; 6 aprile 1982, n. 2111 e 18 marzo 1982, n. 1755, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 60, 59, in tema di richiesta di provvedimenti d'urgenza a tutela di trasmissioni televisive disturbate da interferenze
provenienti da ripetitori di altre emittenti (ma, mentre Cass. 2111/82 ha attribuito la relativa competenza al pretore del luogo « in cui il
ripetitore dell'emittente convenuta interferiva, disturbandole, sulle trasmissioni della ricorrente », Cass. 1755/82 ha fatto riferimento al
luogo « in cui ha sede l'emittente televisiva » che disturba le altrui
trasmissioni, cioè il « luogo in cui la stessa ha i propri impianti originari di emissione... mentre non assume alcun rilievo il luogo in cui sono installati i ripetitori necessari per una più ampia diffusione dei programmi »); 25 gennaio 1983, n. 685, id., Mass., 130, in tema di richieste di provvedimenti d'urgenza per la cessazione di atti di concorrenza sleale; 30 maggio 1981, n. 3546, id., Rep. 1982, voce cit., n. 64, con riferimento alla domanda inibitoria « della fabbricazione ed immissione in commercio di un prodotto costituente imitazione servile di un altro prodotto analogo », la cui competenza spetta al pretore del luogo in cui avviene la produzione delle merci; 21 luglio 1981, n. 4687, id., 1982, I, 451, con ampia nota di
richiami, relativa all'esclusione di un'associata da un'associazione na
zionale, che ha stabilito la competenza del pretore del luogo in cui aveva sede la sezione di cui faceva parte l'associazione « come luogo dell'attuazione della deliberazione presa a Roma dalle istanze centrali dell'associazione », e, da ultimo, Cass. 4 luglio 1983, n. 4466, id., 1983, I, 2128, con nota di richiami, secondo cui nel caso di do manda ex art. 701 c.p.c., promossa da una rete televisiva privata nei
confronti di una concorrente, per inibire a quest'ultima l'utilizzazione di un segno distintivo simile a quello adoperato, la competenza ter ritoriale spetta al pretore del luogo dal quale la convenuta effettua le trasmissioni.
Più ' movimentato ' appare, invece, il quadro aperto dalla giurispru
denza di merito: di fronte al più rigido orientamento che afferma la competenza del pretore del luogo ove si verifica -l'evento dannoso (v., da ultimo, Pret. Roma, ord. 4 maggio 1982, ibid., 1727, con nota di richiami di Pardolesi) non mancano espressioni di un atteggiamento più conciliante tra le due opposte tesi: v. Pret. Roma, ord. 6 maggio 1982, ibid., 2663, che, pur allineandosi formalmente all'orientamento tradizionale della giurisprudenza di merito, « si sforza d'introdurre un elemento di mediazione là dove riconosce che il criterio inteso a
privilegiare il luogo in cui stia per verificarsi la condotta pregiudizie 'vole può prevalere ove sia ancora possibile la sua preventiva neutra lizzazione » [l'osservazione è di Pardolesi, in nota a quest'ultimo provvedimento]; nonché — anche se con poca chiarezza — ord. 23 novembre 1981, id., Rep. 1982, voce cit., n. 65, che, in tema di utilizzazione abusiva di marchio, ha individuato il pretore competente in relazione al luogo di manifestazione dell'attività potenzialmente lesiva, che però non è quello « della produzione e commercializzazione del prodotto indicato con il marchio in parola » quanto quello in cui avviene « l'uso [del marchio] da parte del concorrente per indicare prodotti di propria fabbricazione o di altri impresa»; mentre decisa mente conformi all'orientamento della corte di legittimità appaiono Pret. Milano 22 giugno 1981 e 25 giugno 1979, ibid., nn. 66, 67.
Sulla competenza alternativa dei pretori dei due mandamenti su cui insiste lo stabilimento industriale rappresentante il luogo in cui si teme il verificarsi del fatto dannoso, cfr. Pret. Milano, ord. 27 gennaio 1983 e 19 gennaio 1983, id., 1983, I, 1134 e 1135; contra Pret. Milano, ord. 25 gennaio 1983, ibid., 1135, che ritiene necessario aver riguardo, « al fine di individuare l'unico giudice competente, a criteri di prevalenza, analogamente a quanto previsto dall'art. 21 c.p.c.».
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