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Sezione III civile; sentenza 27 gennaio 1960, n. 89; Pres. Sagna P., Est. Prestamburgo, P. M. Toro...

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Sezione III civile; sentenza 27 gennaio 1960, n. 89; Pres. Sagna P., Est. Prestamburgo, P. M. Toro (concl. conf.); Sommonte (Avv. Dente) c. Crespi (Avv. Becca, Rizzi) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 3 (1960), pp. 377/378-379/380 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151234 . Accessed: 25/06/2014 04:44 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.228 on Wed, 25 Jun 2014 04:44:19 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione III civile; sentenza 27 gennaio 1960, n. 89; Pres. Sagna P., Est. Prestamburgo, P. M. Toro(concl. conf.); Sommonte (Avv. Dente) c. Crespi (Avv. Becca, Rizzi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 3 (1960), pp. 377/378-379/380Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151234 .

Accessed: 25/06/2014 04:44

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377 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 378

La Corte, ecc. — Nei suoi quattro motivi di ricorso, che sono intimamente connessi, il ricorrente denuncia

l'impugnata decisione del Consiglio nazionale forense, dedu

cendo l'errore in cui sarebbe incorso detto Consiglio nel non

aver rilevato la nullità della decisione di primo grado per violazione delle norme in 'procedendo, di cui agli art. 47 e

segg. r. decreto 22 gennaio 1934 n. 37.

Le doglianze non hanno consistenza.

Occorre sostanzialmente considerare che nel caso non

trattasi della sospensione dall'esercizio della professione

quale pena disciplinare prevista dall'art. 40, n. 3, legge forense

27- novembre 1933 n. 1578, sibbene della sospensione cau

telare prevista dall'art. 43, 3° comma, detta legge. In effetti, come si dice in narrativa, il Consiglio dell'or

dine degli avvocati e procuratori di Monza con la sua deli

berazione del 31 ottobre 1957, nel far luogo all'istruttoria

del procedimento disciplinare contro il Lissoni, ritenne di

adottare contestualmente il provvedimento della sospen sione cautelare, stante che a carico del Lissoni medesimo

era stato emesso, tra l'altro, dall'autorità giudiziaria man

dato di comparizione per il delitto previsto dall'art. 373

cod. penale (falsa perizia). Orbene, in tale situazione, è ben manifesto che non

avendo la sospensione ex art. 43, 3° comma, legge forense

carattere punitivo, ma puramente cautelare, sono ad essa

sospensione inapplicabili le disposizioni di procedura pre scritte per il giudizio disciplinare dagli art. 47 e segg. delle

norme integrative e di attuazione (r. decreto 22 gennaio 1934 n. 37) della legge forense.

La natura stessa del provvedimento, quale mero mezzo

cautelativo affidato alla discrezionalità del Consiglio del

l'ordine, richiede soltanto, nella previsione di legge, per la

legittimità del provvedimento medesimo, che sussista un

ordine o mandato di comparizione a carico del professio

nista, e che questi sia sentito (cfr. sent. n. 961 del 1955, Foro it., Rep. 1955, voce Avvocato e procuratore, n. 10). Con

dizioni queste che ricorrono sicuramente nel caso concreto, risultando che agli atti del fascicolo di primo grado furono

ritualmente acquisite copia autentica del mandato di com

parizione per il delitto previsto dall'art. 373 cod. pen.

(che è tra quei delitti per i quali la relativa condanna im

plica la radiazione dall'albo : art. 42 legge forense), nonché

altra copia autentica di ordine di comparizione per il delitto

previsto dall'art. 371 cod. pen. (falso giuramento). E che

il professionista sia stato sentito dal Consiglio dell'ordine

di Monza in ordine alla sussistenza di tale procedimento

penale ed alla emissione dei relativi mandati, non è poi menomamente da dubitare, essendo egli comparso, come

risulta dagli atti, innanzi a detto Consiglio, a cui ebbe modo

di presentare le proprie difese.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

Su casi e limiti d'applicabilità della sospensione cautelare,

si vedano ancora : Cons. naz. for. 12 maggio 1958, ibid., 58 ; 6 febbraio 1957, Foro it., Rep. 1957, voce cit., n. 25 ; 2 maggio 1957, ibid., n. 26 ; 23 gennaio 1956, id., Rep. 1956, voce cit..

n. 50 ; 2 luglio 1956, ibid., n. 51 ; Cass. 12 luglio 1951, n. 1916,

id., Rep. 1951, voce cit., n. 8.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 8 febbraio 1960, n. 176 ; Pres.

Lobizio P., Est. Areas, P. M. Pedice (conci, conf.) ; I. (Avv. Congedo, Bonini) c. M. (Avv. Bottazzi) e

Proc. gen. Corte d'appello di Bologna.

(Conferma App. Bologna 10 settembre 1957)

Filiazione — Dichiarazione giudiziale di paternità —

Autorizzazione del minore che ha compiuto i

sedici anni — Diietto — Eccepibilità ad opera della controparte —• Esclusione —• Compimento dei sedici anni pendente il giudizio — Necessità

dell'autorizzazione — Esclusione (Cocl. civ., art. 273).

Il difetto di autorizzazione da parte del minore che abbia

compiuto i sedici anni a chi promuove nel suo interesse

l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità non può essere eccepito dalla controparte ; comunque tale autorizzazione non è necessaria ove il minore compia i sedici anni durante il corso del procedimento d'appello. (1)

La Corte, ecc. — Col primo mezzo si denunzia la viola zione dell'art. 273 cod. civ. e si deduce che, avendo la minore raggiunto l'età di sedici anni mentre l'azione era in corso, il giudizio non avrebbe dovuto essere proseguito e concluso senza il di lei consenso.

Il motivo non è fondato. Giova precisare in punto di fatto che quando il 10 luglio 1953 è stata promossa l'azione di dichiarazione giudiziale di paternità, M. E.

nata il 31 ottobre 1940, non aveva tredici anni e non aveva

ancora raggiunto l'età di sedici anni quando il dott. I. con atto 22 febbraio 1956, ha impugnato la sentenza del Tribunale di Modena che lo aveva dichiarato padre naturale

della M. L'età di sedici anni è stata raggiunta da questa ultima mentre era in corso il giudizio di appello conclusosi

con la sentenza 23 maggio-10 settembre 1957, ora impu

gnata. Troncando le dispute sorte nell'interpretazione del

vecchio codice sulla legittimazione attiva nel giudizio di

dichiarazione della paternità e della maternità naturale, il codice vigente ha riconosciuto all'azione carattere per sonalissimo, ed ha attribuito la legittimazione ad agire al

solo figlio e, dopo la sua morte, ai soli discendenti legittimi, ha però ammesso che, durante la minore età del figlio, l'azione possa essere esercitata, nell'interesse del medesimo, dall'altro genitore che eserciti la patria potestà o dal tutore

(autorizzato questi dal giudice tutelare) e, sempre in con

siderazione del carattere dell'azione, ha disposto che, se il minore ha raggiunto l'età di sedici anni, l'azione non

possa essere promossa e proseguita senza il suo consenso.

Prevista la necessità del consenso nell'esclusivo interesse

del minore, è evidente che è solo questi interessato a far

valere il difetto di consenso, e quindi tale difetto non può

rappresentare un motivo di eccezione per la controparte al fine di ottenere l'invalidazione del giudizio, ma, a parte

ciò, merita nella specie di essere anche osservato che, risol

vendosi il consenso in una autorizzazione, cioè in un unico

consenso che si dà una volta tanto, l'esigenza del medesimo

sorge e si manifesta nel momento in cui il rapporto proces suale viene a costituirsi, inizialmente quando si promuove

l'azione, nei successivi gradi, attraverso i quali si svolge il

giudizio, quando l'azione viene proseguita. Ne consegue

che, se al momento della sua costituzione, il consenso

non è ancora necessario, il rapporto processuale, vali

damente formatosi senza il consenso, resta Valido, ove il

minore, raggiunti i sedici anni, non faccia valere il suo

dissenso.

Onde nella specie il solo fatto che la M. E. aveva raggiunto l'età di sedici anni nel corso del processo di appello non

poteva invalidare il rapporto processuale validamente

costituitosi anche in grado d'appello in epoca in cui non

era ancora sorta la necessità del suo consenso. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.

(1) Non constano precedenti in termini. Per riferimenti, consulta : Andrioli, Commentos, II, 71,

sub art. 182 ; Redenti, Diritto processuale civile", Milano, 1957,

I, pag. 163 e segg. e II, pag. 18 e segg.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione III civile ; sentenza 27 gennaio 1960, n. 89 ; Pres.

Sagna P., Est. Prestambukgo, P. M. Toro (conci,

conf.) ; Sommonte (Aw. Dente) c. Crespi (Avv.

Becca, Rizzi).

(Gassa App. Milano 1 agosto 1958)

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379 PARTE PRIMA 380

Locazione — Scadenza — Mancata riconsegna del

l'immobile locato — Responsabilità contrattuale

del conduttore (Cod. civ., art. 1218, 1591, 2043).

La responsabilità del conduttore, che alla scadenza del con

tratto non restituisce l'immobile locato, ha natura con

trattuale. (1)

La Corte, ecc. — (Omissis). Il secondo motivo lamenta

la violazione e falsa applicazione degli art. 1591, 2043, 1218 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civile.

Si duole il Sommonte clie la Corte abbia ritenuto e deciso

cbe la responsabilità del conduttore per maggior danno, da

ritardata; restituzione della cosa locata, ai sensi dell'art.

1591, sorge come conseguenza diretta di un inadempimento anche non colpevole. Oppone che la responsabilità stessa

presuppone invece che il ritardo sia dipeso da dolo o colpa e che ipotesi di colpevolezza non è prospettabile, secondo

l'insegnamento consolidato di questa Corte di cassazione, nel solo fatto che il conduttore abbia resistito in giudizio alla pretesa del locatore.

Questa doglianza è fondata.

Responsabilità per danno non può nascere (salvo casi, tutto affatto eccezionali, di responsabilità obiettiva) dal

solo inadempimento materiale di un obbligo, sia esso quello

specifico derivante da un contratto, sia quello che origina dal precetto generico del neminem laedere. L'evento dan

noso deve avere la sua causa in un comportamento impu tabile all'agente, o a titolo di attività sciente e volontaria

(dolo), o a titolo di omissione della dovuta diligenza (colpa). Da codesto criterio generale non decampa, in tema di

locazione, l'art. 1591, che ne contiene anzi un'applicazione

specifica. Invero la norma di legge in esame, allorquando sancisce l'obbligo di continuare a corrispondere la pigione nella misura pattuita e il ristoro dell'eventuale maggior danno a carico del «conduttore in mora a restituire la cosa»,

postula l'esigenza che'csista e si accerti quell'atteggiamento psicologico di dolo o colpa che inerisce al concetto tecnico

giuridico di mora e che è la causa genetica del diritto a ri

sarcimento ; l'elemento soggettivo essenziale in funzione del

quale deve essere valutato ogni atto dell'uomo perchè possa divenire fonte di responsabilità giuridica.

Il diverso criterio enunciato e adottato dalla Corte di

Milano l'ha indotta ad esimersi da un'indagine siffatta e, così operando, essa non ha fatto buon governo della legge.

Il ricorrente deduce, fra l'altro, che l'obbligo del condut

tore di risarcire il maggior danno, derivante dal ritardo

nella riconosegna della cosa locatagli, ha natura extracon

trattuale, con la conseguenza che incombe al locatore l'onere

di provare, oltreché l'asserito maggior pregiudizio, la colpa del conduttore.

La Crespi qualifica, invece, contrattuale l'obbligazione risarcitoria de qua.

È noto, in proposito, l'indirizzo segnato da questa Corte regolatrice con la sentenza n. 564 del 1952 (Foro it., 1953, I, 153) e seguito, più recentemente, dalle sentenze n. 3954 del 1956 (id., Rep. 1956, voce Locazione, n. 174) ; n. 1051 del 1958 (id., 1959. I, 114) e 169 del 1959 (id., Mass.,

34). Esso è nel senso che si verta in ipotesi di responsabilità extracontrattuale.

Riesaminata la questione, il^"Collegio ritiene di non

poter mantenere l'indirizzo precedente. È principio generale che ogni qualvolta preesista un

vincolo negoziale, dal quale nasce per i contraenti il dovere di attenersi ed assolvere alle obbligazioni assunte, impe gnandoli ad un determinato modo di condotta, l'inadempi mento o il non esatto adempimento determina una respon bilità ex contractu.

La violazione, commissiva od omissiva, di una norma cui astringeva il rapporto obbligatorio, da questo attinge e riceve la sua funzione giuridica.

(1) La stessa terza Sezione dichiara di immutare il prece dente orientamento giurisprudenziale anche con sent. 25 gennaio 1960, n. 61, infra, 383, con nota adesiva di A. Tabet : ivi i pre cedenti dottrinali e giurisprudenziali.

La responsabilità extracontrattuale presuppone l'ine

sistenza di uno speciale vincolo giuridico e trova il suo fon

damento nella violazione del principio tradizionale che ob

bliga ciascuno a conformare la propria condotta di vita

al rispetto dei diritti altrui, qui l'illecito, doloso o colposo, è la fonte prima e diretta del risarcimento del danno e dà

vita ad un obbligo tra persone clic erano completamente estranee tra loro ; nelle obbligazioni contrattuali il debito

risarcitorjo si pone come una prestazione accessoria, suc

cedanea di quella che già era dovuta.

Orbene, è certo che la locazione attribuisce, con altri, al locatore il diritto di riavere, e, correlativamente, al con

duttore l'obbligo di riconsegnare alla scadenza la res lo

cata. Olarum est quod si tempus sit praefinitwm in contractu, hoc elapso, expirat locatio, et conductor tenetur rem dimittere

locatori.

È questa, adunque, una prestazione derivante dal con

tratto, una prestazione essenziale alla sua struttura giu ridica. Se ad essa il conduttore si sottrae, egli viola la legge contrattuale nel patto che fissava il termine di scadenza.

Contrattuale l'obbligo del locatore di trasferire all'inizio

la cosa in uso e godimento al conduttore e di mantenervela, natura diversa non può non riconoscersi all'obbligazione inversa del conduttore di restituire la cosa stessa al locatore

allo spirare del termine prefisso, e all'obbligazione, altresì, alla prima intrinsecamente connessa e conseguenziale al

l'adempimento, di tenerlo indenne, in difetto, del pregiudizio sofferto.

È stato osservato in contrario che dal momento in cui

il conduttore entra in mora nell'obbligo di riconsegna egli diviene occupante abusivo : il vincolo contrattuale è ces

sato e la responsabilità da inadempimento assume natura

extracontrattuale.

Si è anche fatta distinzione a seconda che si tratti del

l'obbligo del conduttore di continuare a corrispondere la

pigione nella misura pattuita, che conserverebbe carattere

contrattuale, o di quello di risarcire il maggior danno, che

acquisterebbe natura aquiliana. Una costruzione siffatta non sembra resistere a critica.

Non è, per vero, agevole intendere come l'obbligo del mag

gior danno possa scindersi dal vincolo contrattuale nel quale ha il suo presupposto, la sua fonte e la sua causa. Nel mo

mento stesso della scadenza sorge l'obbligo del conduttore

di reintegrare il locatore nella piena disponibilità della sua

res, e non può consentirsi nel criterio che il protrarsi della

violazione di tale obbligo sia idoneo a tramutare il titolo

di responsabilità. Permanendo sempre nel conduttore la medesima deter

minazione Volitiva, quella di sottrarsi all'adempimento di

una prestazione contrattuale, invariata resta la natura

della responsabilità che ne consegue. Nè può configurarsi nella fattispecie un'ipotesi di concorso di colpa contrat

tuale ed aquiliana, in quanto non è prospettabile lesione di

un diritto generico, oltre quello specifico che origina dal

contratto.

Al lume delle considerazioni su esposte, la responsa bilità ex art. 1591 cod. civ. trova la sua disciplina nell'art.

1218 e seg. stesso codice. (Omissis) Per questi motvi, cassa, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezioni unite civili ; sentenza 26 gennaio 1960, n. 75 ; Pres.

Cataldi, P., Est. Danzi, P. M. Pomodoro (conci, conf.) ; Société d'exploitation et recherches de minerals algeriens

(E.r.m.a.) (Avv. Vitali, Bagnoli) c. Soc. Bario e deri

vati (S.a.b.e.d.) (Avv. Battistini, Landolfi).

(Regolamento di giurisdizione)

Competenza e ((iurisdizione in materia civile —■ Giu

risdizione del tjiudicc italiano — Straniero con

venuto in giudizio — « Forum executionis » — No

zione (Cod. proc. civ., art. 4, n. 2).

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