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Sezione III civile; sentenza 27 giugno 1981, n. 4196; Pres. Speziale, Est. Meo, P. M. Dettori...

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Page 1: Sezione III civile; sentenza 27 giugno 1981, n. 4196; Pres. Speziale, Est. Meo, P. M. Dettori (concl. conf.); Bresovez e altri (Avv. Muscolo) c. Soc. Winterthur (Avv. Sartorio). Conferma

Sezione III civile; sentenza 27 giugno 1981, n. 4196; Pres. Speziale, Est. Meo, P. M. Dettori(concl. conf.); Bresovez e altri (Avv. Muscolo) c. Soc. Winterthur (Avv. Sartorio). ConfermaApp. Trieste 23 novembre 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 10 (OTTOBRE 1981), pp. 2421/2422-2423/2424Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23172926 .

Accessed: 28/06/2014 10:36

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

due pretese che, essendo « intimamente connesse », dovevano

« essere necessariamente decise nello stesso processo » (Sez. un,

28 maggio 1975, n. 2162, id., Rep. 1975, voce Giurisdizione civi

le, n. 180). Ma proprio dall'argomento addotto per la dimostrazione di tale

ammissibilità, incentrato sull'unitarietà del rapporto processuale

(e, quindi, della sostanziale unitarietà dell'impugnazione), può sicuramente trarsi spunto per ritenere che, quando manchi quel carattere unitario, venga meno anche il carattere unitario dell'im

pugnazione, la cui inammissibilità, quindi, già poteva, pur nel

vigore dell'art. 364 cod. proc. civ., essere dichiarata anche pre scindendo dal rilievo dell'insufficienza del deposito per soccom

benza. E ciò che vale per l'impugnazione (rectius: per il ricorso

« ordinario ») vale ovviamente (in base a quanto si è detto)

anche in relazione al ricorso per regolamento preventivo di giu risdizione.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

(Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 27 giu

gno 1981, n. 4196; Pres. Speziale, Est. Meo, P. M. Dettori

(conci, conf.); Bresovez e altri (Avv. Muscolo) c. Soc. Win

terthur (Avv. Sartorio). Conferma App. Trieste 23 novembre

1978.

Appello civile — Motivi — Specificità — Fattispecie (Cod. proc.

civ., art. 342).

L'art. 342 cod. proc. civ., concernente la specificità dei motivi in

appello, impone, anche nel caso venga impugnata in toto la

sentenza, che siano specificate, seppur succintamente, le do

glianze a quella relative; non è pertanto idoneo a concretare

il gravame, e risulta perciò inammissibile, l'atto di appello col

quale si afferma genericamente che la pronuncia di primo gra do è errata in fatto e in diritto, e col quale si chiede il riesame

di tutto il processo, « niente escluso e senza preclusione al

cuna ». (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto di ci

tazione notificato il 24 luglio 1975 Aurora Bresovez ved. Ven

turini, nonché Edda, Giorgio e Aurora Venturini convennero

in giudizio davanti al Tribunale di Trieste Giuseppe D'Alberto

(1) La sentenza si allinea con la tendenza più rigorosa della giu risprudenza della Cassazione in materia di specificità dei motivi di

appello, secondo la quale, anche nel caso che la sentenza venga impugnata nella sua globalità e si miri quindi ad un riesame com

pleto della materia del contendere, è necessario, perché si abbia osservanza dell'art. 342 cod. proc. civ., che siano specificate, seppur non necessariamente in modo dettagliato e puntuale, le ragioni di fatto e di diritto per le quali viene richiesta la revisio prioris instan tiae. In tal senso v., tra le ultime, Cass. 25 ottobre 1980, n. 5740, Foro it., Rep. 1980, voce Appello civile, n. 141 (relativa ad una controversia soggetta al rito speciale del lavoro, al quale si ritiene

applicabile il principio ora esposto) la quale ritiene insufficiente il richiamo per relationem di tutte le istanze non accolte nel primo giudizio; Cass. 30 luglio 1979, n. 4499, id., Rep. 1979, voce cit., n. 152; 31 gennaio 1979, n. 703, ibid., n. 170; 15 maggio 1978, n.

2371, id., 1979, I, 763, con nota di richiami.

L'applicazione del principio ora esposto è indiscussa ove non si faccia questione della impugnazione in toto della sentenza, v., tra le ultime, Cass. 24 novembre 1980, n. 6230, id., Rep. 1980, voce

cit., n. 139; 18 luglio 1980, n. 4700, ibid., n. 142; 17 luglio 1980, n. 4678, ibid., n. 134; 22 aprile 1980, n. 2629, ibid., n. 137; 23

aprile 1979, n. 2284, id., Rep. 1979, voce cit., n. 165; 5 novembre

1979, n. 5715, ibid., n. 167, la quale, tra l'altro, esclude decisamen te che il difetto di specificità dei motivi nell'atto di appello possa essere sanato da quanto risulti dalla esposizione contenuta nella

comparsa di risposta. D'altra parte invece si ritiene che, proprio nel caso in cui dal

l'atto di appello si possa dedurre che con esso si intende contestare

in toto la sentenza di primo grado, deve necessariamente attenuarsi, o addirittura venir meno l'onere della specificazione dei motivi, do

vendo il giudice necessariamente riesaminare tutte le questioni og

getto della controversia. In tal senso v., da ultimo, Cass. 18 luglio

1980, n. 4696, id., Rep. 1980, voce cit., n. 133; 22 ottobre 1979, n.

5496, id., Rep. 1979, voce cit., n. 162; 10 luglio 1978, n. 3444, id.,

Rep. 1978, voce cit., n. 134; 26 gennaio 1978, n. 383, ibid., n. 132.

Nel senso della ammissibilità dell'appello, ove in questo si ri

scontri unicamente l'insistenza sulle tesi difensive svolte in primo

grado, ma in relazione ad un caso in cui la sentenza impugnata esaminava una sola questione, che risolveva in base ad un'unica ar

gomentazione, v. Cass. 10 aprile 1980, n. 2298, id., Rep. 1980,

voce cit., n. 138.

e la società di assicurazioni Winterthur s.p.a., esponendo quanto

segue. Il 12 aprile 1974 Edoardo Venturini, rispettivo marito e

padre di essi istanti, mentre stava attraversando la via Commer

ciale, era stato investito dalla autovettura Fiat targata TS 140467, il cui conducente, nel tentativo di evitare il pedone, aveva pie

gato a sinistra, mentre a tal fine sarebbe stata molto più produ cente una tempestiva frenata oppure una manovra di accosta

mento a destra, dal momento che il Venturini giungeva da quel lato rispetto alla direzione di marcia del veicolo. Successiva

mente, in seguito alle lesioni riportate, l'investito era deceduto, onde la vedova aveva subito danni per complessive lire 7.966.310, mentre il danno non patrimoniale ammontava, per Giorgio Ven

turini, a lire 2.500.000, e per le altre figlie a lire 2.000.000 cia

scuna. Chiesero, pertanto, la condanna del D'Alberto al risarci

mento dei danni anzidetti, previo accertamento della sua re

sponsabilità, con la rivalutazione e con gli interessi legali dal

giorno dell'incidente.

I convenuti, costituitisi, si opposero all'accoglimento della do

manda, contestando l'esistenza del nesso di casualità fra l'inve

stimento e la morte, e negando comunque che l'evento potesse ascriversi a colpa del conducente, il quale non aveva potuto evitare il pedone, che si era accinto ad attraversare sebbene aves

se dovuto notare l'autovettura, ormai giunta nell'immediatezza

del punto critico.

Dopo assunzione di prova testimoniale, il tribunale, con sen

tenza del 18 febbraio 1978, rigettò le domande attrici, e la Corte

d'appello di Trieste con sentenza del 23 novembre 1978 confer

mò la decisione di primo grado. Ritenne anzitutto la corte che il gravame fosse inammissibile

per mancanza dei motivi specifici di impugnazione, poiché in esso

si affermava semplicemente essere l'appellata sentenza errata « in

fatto e in diritto », ciò che non consentiva l'estrapolazione delle

ragioni per cui la si riteneva tale, onde l'impugnazione era ve

nuta del tutto a mancare, non potendosi immaginare quali fos

sero le opinioni degli appellanti al fine di dare contenuto ad

un appello che non ne aveva alcuno.

Aggiunse, peraltro, la corte che comunque gli appellanti ave

vano del tutto trascurato (come del resto il tribunale) un punto

assolutamente pregiudiziale: quello, cioè, dell'inesistenza di un

nesso di causalità fra gli esiti delle lesioni riportate nel sinistro

(frattura scapolare e costale) e l'evento della morte, cagionato da diabete mellito scompensato. Punto in relazione al quale era

da rilevare non essere nota alla letteratura medico-legale alcuna

ipotesi di scatenamento o di aggravamento del diabete mellito, con

riguardo a fatti traumatici di simile lievissima entità ed in rela

zione al fulmineo decorso della malattia. Ciò specie quando fosse

certo, come nel caso in esame, che il fatale e subitaneo barcollare

dello sventurato pedone, il suo guardare immoto alla vettura

in arrivo non erano affatto riconducibili ad un suo stato di eti

lismo acuto, come si era in un primo tempo pensato, ma al fa

tale evolversi di quello stato di precoma diabetico, immediata

mente accertato dai sanitari subito dopo il suo primo ricovero,

e già tanto sviluppato da recare i segni della chetoacitosi.

Avverso tale sentenza Aurora Bresovez nonché Edda, Gior

gio e Aurora Venturini hanno proposto ricorso per cassazione

sulla base di tre motivi, cui resiste la società Winterthur con

controricorso.

Motivi della decisione. — Con il primo mezzo i ricorrenti, nel

denunciare la violazione dell'art. 342 cod. proc. civ., si dolgono

che la corte di merito abbia dichiarato inammissibile l'appello

da essi proposto, sebbene con questo fosse stato chiesto il riesa

me in toto del processo. Al riguardo deducono che quando l'atto

di appello investe la sentenza impugnata nella sua totalità, non

occorre una specifica formulazione dei motivi sui quali si fonda

il gravame, giacché la dichiarazione di volere impugnare in toto

la sentenza appellata è di per sé sufficiente a rimettere in discus

sione l'intera controversia allorché, per effetto dell'impugnazione

della sentenza in ogni sua parte, tutte le questioni che hanno for

mato oggetto di discussione e di esame in primo grado debbono

necessariamente ritenersi sottoposte al giudice di appello, come

nella specie. II motivo non è fondato. Con l'atto di appello (il cui esame

non è precluso al Supremo collegio, trattandosi di controllare se

sussista o meno il denunciato errore in procedendo) gli appellanti

hanno dedotto testualmente: « Il giudizio del primo giudice è

errato in fatto e in diritto, onde si impugna in toto la sentenza

chiedendo al giudice di appello il riesame di tutto il processo,

niente escluso e senza preclusione alcuna ».

Ora, ciò non può ritenersi sufficiente per considerare adempiu

to il precetto di cui all'art. 342 cod. proc. civ., concernente la

specificità dei motivi di appello. Com'è noto, sulla portata di

tale precetto sono stati seguiti da questa Corte suprema due di

Il Foro Italiano — 1981 — Parte I- 155.

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2423 PARTE PRIMA 2424

versi indirizzi: uno, più rigoroso, secondo cui la norma che im

pone la specificazione degli anzidetti motivi esige non solo l'in

dividuazione dei capi e dei punti della sentenza di cui si vuole

che sia portato il riesame, cioè la delimitazione del campo della

controversia nel giudizio di secondo grado, ma anche l'indica

zione delle ragioni di censura, cioè degli asseriti errori del giu dice di primo grado, in modo che ne risulti definito il contenuto

del chiesto riesame (cfr., fra le sentenze più recenti, quelle n. 5740

del 1980, n. 4678 del 1980, Foro it., Rep. 1980, voce Appello civ., nn. 141, 134; n. 4499 del 1979, n. 703 del 1979, id., Rep. 1979, voce cit., nn. 157, 170; n. 2371 del 1978, id., Rep. 1978, voce

cit., n. 118); l'altro, meno rigoroso, secondo cui, per l'adempi mento dell'anzidetto precetto, è sufficiente che non sussista in

certezza sui limiti e la portata del chiesto riesame, onde non è

necessaria una enunciazione delle singole ragioni dell'impugna zione quando questa investe in toto la sentenza di primo grado (sent. n. 3444 del 1978, n. 383 del 1978, ibid., nn. 134, 132).

Di tali due indirizzi reputa il collegio di dover seguire il primo siccome più aderente alla lettera e allo spirito della citata norma.

Questa infatti, a differenza di quanto previsto dalla corrispon dente norma del vecchio codice (secondo cui, in mancanza di

ogni indicazione circa i capi della sentenza impugnata, l'appello si intendeva proposto contro tutti) dispone che l'atto di appello debba contenere, in aggiunta agli elementi di cui all'art. 163, comuni ad ogni atto di citazione, i motivi specifici dell'impugna zione, attribuendo cosi' all'appello il carattere di una revisio prio ns instantiae, consistente in un riesame da farsi alla stregua delle censure prospettate dalla parte, sulla base del principio tantum devolutum quantum appellatum. L'esigenza che detta norma mi

ra, quindi, a soddisfare è quella di individuare l'ambito e i li miti del riesame nonché di consentire al giudice dell'impugnazio ne un controllo dell'asserita ingiustizia dell'appellata decisione

(cfr. in argomento Cass. 15 maggio 1978, n. 2371, ibid., n. 118).

Ora, avuto riguardo al tenore letterale e alla ratio della norma de qua, non può negarsi che, anche nel caso in cui il gravame investa la sentenza impugnata nella sua totalità, una motiva zione delle relative doglianze sia pur sempre necessaria ai fini della determinazione dell'oggetto dell'impugnazione.

È ben vero che, a differenza del ricorso per cassazione e del l'istanza di revocazione, per l'appello non si richiede una indivi duazione rigorosa dei motivi, essendo idonea allo scopo una in dicazione delle doglianze con la chiara volontà di sottoporle al l'esame del giudice del gravame, si da individuare il campo del riesame senza generare incertezza sul quantum devolutum; tut tavia detta indicazione deve essere effettuata in modo che riman

ga chiaramente precisato il contenuto delle doglianze, perché è in tale contenuto che si concreta l'appello quale rimedio accor dato contro l'ingiustizia della sentenza impugnata. Postulare tale

ingiustizia limitandosi ad affermare che la sentenza è ingiusta e che quindi va totalmente riformata (nel che si sostanzia, appun to, l'affermazione che essa « è errata in fatto e in diritto »), si

gnifica privare l'impugnazione del supporto necessario per conse

guire il fine perseguito dalla norma in esame, poiché la mancata deduzione dei fatti nei quali l'ingiustizia stessa si concreta im

pedisce all'appello di assolvere a quell'esigenza cui prima si è accennato.

Se, dunque, non è necessaria una enunciazione puntuale e ri

gorosa delle singole ragioni dell'impugnazione, specie quando l'atto di appello riveli la volontà dell'appellante di investire ra dicalmente ed integralmente la sentenza di primo grado, non ba sta però a tal fine la mera affermazione che la sentenza è errata, non essendo tale affermazione di per sé idonea a concretare il

gravame, poiché non è concepibile una impugnazione che non

indichi, sia pure succintamente (cioè in modo non puntuale e

rigoroso), in che consiste la ingiustizia dell'impugnata decisione. In tal caso si ha un vizio della citazione di appello per mancata indicazione di quella particolare causa petendi che concerne la domanda di riforma della sentenza impugnata e che si sostanzia

appunto nei «motivi specifici dell'impugnazione», la cui indica zione è richiesta dall'art. 342 cod. proc. civ. come elemento es senziale della citazione in aggiunta a quelli richiesti in via gene rale dall'art. 163 stesso codice.

Rettamente, pertanto, la corte di merito ha ritenuto inammis sibile l'appello proposto dalla Bresovez e dai Venturini, essendosi costoro limitati ad effettuare una generica e del tutto immotivata affermazione di erroneità della sentenza impugnata in fatto e in

diritto, senza alcuna indicazione degli errori in cui, a loro avviso, sarebbe incorso il giudice di primo grado.

Per le suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato senza che si debba procedere alla trattazione degli altri due mo

tivi, il cui esame deve ritenersi superfluo perché, concernendo il

merito della controversia, la loro eventuale fondatezza non po trebbe mai portare alla cassazione della sentenza impugnata, la

quale, se è scesa all'esame del merito, lo ha fatto ad abundantiam, basandosi essa essenzialmente sulla declaratoria di inammissibilità del gravame. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite civili; sentenza 24

giugno 1981, n. 4108; Pres. La Farina, Est. O. Fanelli, P. M.

Saja (conci, conf.); Min. tesoro (Avv. dello Stato Freni) c. La Porta e Rizzo; La Porta e Rizzo (Avv. Tempesta, Rizzo) c. Min. tesoro. Cassa App. Roma 3 novembre 1978.

Impiegato dello Stato e pubblico — Ente zolfi italiani — Na tura di ente pubblico economico — Controversie d'impiego — Giurisdizione ordinaria (Cod. proc. civ., art. 409; legge 2

aprile 1940 n. 287, istituzione dell'Ente zolfi italiani). Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Sentenza

regolatrice della competenza — Atto di riassunzione — For ma del ricorso — Termine — Osservanza con il deposito del l'atto (Cod. proc. civ., art. 50, 428).

Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici — Soppres sione di enti e procedura di liquidazione in via ammini strativa — Preliminarità rispetto alla domanda giudiziale di accertamento di un credito — Insussistenza — Fattispecie (Legge 4 dicembre 1956 n. 1404, soppressione e messa in li quidazione di enti di diritto pubblico).

Prescrizione e decadenza — Interruzione della prescrizione —

Atti idonei — Atto di appello — Limiti (Cod. civ., art. 2943, 2945).

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente il rapporto di impiego tra (il ministero del teso ro, ufficio liquidazioni, quale liquidatore del) l'Ente zolfi ita liani ed un suo dipendente, stante la natura di ente pubblico economico dell'E.z.i. (1)

La riassunzione del processo del lavoro dinanzi al giudice dichia rato territorialmente competente dalla Cassazione in sede di re golamento di competenza va effettuata con ricorso, il cui tem pestivo deposito impedisce la decadenza, anche se il ricorso ed il decreto di fissazione dell'udienza di discussione sono no tificati successivamente alla scadenza del termine per la rias sunzione. (2)

Non è necessaria la richiesta di riconoscimento del credito ai sensi dell'art. 8 legge 4 dicembre 1956 n. 1404 se al momento della pubblicazione del decreto di soppressione e messa in li quidazione dell'ente pubblico pende giudizio di condanna con tro l'ente pubblico, e nonostante la successiva estinzione del

processo. (3)

(1) Già altra volta, ma forse in obiter dictum, è stata dichiarata la natura di ente pubblico economico dell'Ente zolfi italiani: cfr. Cass. 26 marzo 1965, n. 513, Foro it., 1966, I, 366, con osservazioni di A. Lener. In ordine ai criteri distintivi dell'ente pubblico eco nomico, oltre le sentenze citate in motivazione, v. Cass. 5 agosto 1977, n. 3520, id., 1978, I, 694; 24 ottobre 1977, n. 4556, id., 1979, I, 467, con nota di Pizzi, I consorzi industriali del Mezzogiorno co me enti pubblici economici; 14 ottobre 1971, n. 2896, id., 1972, I, 1718, con nota di F. Satta, In tema di enti pubblici economici; cfr., altresì', Cass. 22 ottobre 1976, n. 3737, id., 1977, I, 1267; 15 settembre 1977, n. 3984, id., 1977, I, 2068, commentata da Chiti, Involuzioni giurisprudenziali nell'individuazione degli enti pubblici economici, id., 1977, I, 2675; 14 ottobre 1980, n. 5503, id., 1980, I, 2947, con ulteriori richiami.

(2) La forma del ricorso per la riassunzione del processo del la voro a seguito della dichiarazione di incompetenza per territorio da parte del giudice del lavoro è unanimemente affermata dalla dot trina di fronte al chiaro testo dell'art. 428 cod. proc. civ., che pre vede appunto la riassunzione con il rito speciale: cosi Verde-Vo cino, Appunti sul processo del lavoro', 1979, 41; Montesano-Vac carella, Diritto processuale del lavoro, 1978, 101; Tarzia, Manuale del processo del lavoro2, 1980, 166; da ultimo, Saletti, La riassun zione del processo civile, 1981, 236-237, dove altri riferimenti. Ad evitare la decadenza è sufficiente il deposito in cancelleria del ri corso nel limite di trenta giorni dell'art. 428 cod. proc. civ. o in quelli più generosi dell'art. 50 nel caso di regolamento di compe tenza (cosi Montesano-Vaccarella, op. loc. cit.), a nulla rilevando che la notificazione del ricorso e dei decreto di fissazione dell'udien za di discussione avvenga successivamente alla scadenza del ter-, mine (in questo senso, Montesano-Vaccarella, op. loc. cit.; Tar zia, op. loc. cit.; Saletti, op. cit., 318 ss., dove ampio esame delle ipotesi in cui la riassunzione va effettuata con ricorso).

(3) Nel senso della non necessità dell'istanza di riconoscimento del credito, di cui all'art. 8 legge 4 dicembre 1956 n. 1404, allor

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