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Sezione III civile; sentenza 28 aprile 1962, n. 827; Pres. Carta P., Est. Forlenza, P. M. Caldarera...

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Sezione III civile; sentenza 28 aprile 1962, n. 827; Pres. Carta P., Est. Forlenza, P. M. Caldarera (concl. conf.); Vezzulli (Avv. Biamonti, Gentile) c. Schiabolin (Avv. Giorgetti, Scipioni) Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 5 (1962), pp. 913/914-917/918 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23150592 . Accessed: 28/06/2014 19:08 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.112 on Sat, 28 Jun 2014 19:08:44 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione III civile; sentenza 28 aprile 1962, n. 827; Pres. Carta P., Est. Forlenza, P. M. Caldarera(concl. conf.); Vezzulli (Avv. Biamonti, Gentile) c. Schiabolin (Avv. Giorgetti, Scipioni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 5 (1962), pp. 913/914-917/918Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150592 .

Accessed: 28/06/2014 19:08

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913 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 914

fensore per la compilazione dell'atto, provvede a sotto, scriverlo personalmente, una volta ritenuta sufficiente per la validità di esso la sola firma del creditore istante. Ma, se al difensore viene anche domandata la rappresentanza della parte, in tal caso sarà pur sempre necessario o una

procura ad litem o un mindato ad negotia che legittimi

i'opirato dal difensore sul piano dal diritto sostanziale,

prescindendo dalle attribuzioni professionali di costui. Ed è appana il caso di rilevare che il sistema processuale vi

gente si ispira alla distinzione tra rappresentanza negoziale e rappresentanza processuale, nel senso che l'una non com

porta necessariamente l'altra, donde la necessità che l'even tuale conferimento di entrambe, se effettuato contestual

mente, risulti in maniera esplicita e non equivoca. Besta, infine, da accertare quale sia la sanzione che con

segue alla inosservanza dell'art. 125 cod. proc. civ. e, alla

stregua delle considerazioni predette, è agevole concludere

che anche il precetto sottoscritto solo da un procuratore

leg ile, non abilitato all'esercizio professionale nel distretto

in cui esso viene intimato, è affetto da un vizio che incide

non già sulla regolarità formile dall'atto, ma sulla sostanza

di esso. L'atto è pertanto nullo ab initio perchè la mancanza

di una regolare sottoscrizione ne impedisce il perfeziona mento. E ciò rende non solo irrilevante il disposto del 1°

comma dell'art. 156 cod. proc. civ., che esige una espressa comminatoria di legge ai fini della declaratoria di nullità

degli atti processuali per inosservanza di forme, ma altresì

inapplicabile il 3° comma della stessa norma, secondo cui

la nullità di un atto è esclusa allorquando esso abbia rag

giunto lo scopo al quale è destinato, perchè il difetto di un

requisito essenziale rende l'atto tamquam non esset, e quindi

improduttivo di effetti giuridici. Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

I

Sezione iii civile ; sentenza 28 aprile 1962, n. 827 ; Pres.

Carta P., Est. Forlenza, P. M. Caldarera (conci,

conf.) ; Yezzulli (Avv. Biamonti, Gentile) c. Schia bolin (Avv. G-iobgetti, Scipioni).

(Cassa App. Milano 20 maggio 1960)

Responsabilità civile — Concorso del l'atto colposo del minore — Rilevanza (Cod. civ., art. 1227, 2056).

Il concorso del fatto colposo del minore nel cagionare il danno

va valutato ai fini di una proporzionale riduzione del

risarcimento. (1)

II

Sezione III civile ; sentenza 10 febbraio 1961, n. 291 ; Pres. Sagna P., Est. Felicetti, P. M. Toro (conci, conf.) ; Ministero difesa-esercito c. Botti (Avv. Lancellotti).

(Conferma App. Bologna 23 aprile 1959)

III

CORTE D'APPELLO DI MILANO.

Sentenza 24 novembre 1961 ; Pres. Benedicenti P., Est.

Tinebra ; Ohioccliia c. Pietra.

Responsabilità eivile — Concorso del fatto colposo del minore —- Irrilevanza (Cod. civ., art. 1227, 2056).

Il concorso del fatto colposo del minore nella produzione dell'evento dannoso non vale a diminuire la misura del

risarcimento del danneggiaste. (2)

(1-2) Il consapevole mutamento di giurisprudenza operato dalla Corte di cassazione con la sentenza 28 aprile 1962, n. 827,

Il Foeo Italiano — Volume LXXXV — Parte 1-59.

I

La Corte, ecc. — Con l'unico motivo di ricorso si de nunzia la violazione dell'art. 1227 cod. civ. nel punto ove la

sentenza della Corte d'appello di Milano ha ritenuto e deciso

clie la condotta della minore non poteva essere presa in

considerazione ai fini della riduzione del risarcimento, essendo la minore incapace di intendere e di volere.

Viene così riproposta, in linea di puro diritto, la que stione del concorso causale del danneggiato non imputa bile nella produzione del fatto dannoso.

Con ripetuti e uniformi giudicati (sent. 24 marzo 1947, n. 421, Foro it., Rep. 1947, voce Responsabilità civ., n. 42 ; 5 luglio 1950, n. 1749, id., Rep. 1950, voce cit., nn. 43, 47 ; 11 giugno 1953, n. 1697, id., Rep. 1953, voce cit., nn. 306, 307 ; 25 marzo 1957, n. 1016, id., Rep. 1957, voce cit., n. 69) questa Suprema corte aveva assunto e mante

nuto, senza soluzione di continuo, l'indirizzo che, quando al

verificarsi del fatto dannoso abbia contribuito il com

portamento del danneggiato, pur se non imputabile, il

risarcimento del danno debba essere proporzionalmente ridotto in forza della disposizione dell'art. 1227 (applica bile con pari efficacia alla colpa contrattuale e a quella

aquiliana per l'esplicito richiamo recettizio contenuto nel

l'art. 2056), la quale stabilisce che, « se il fatto colposo del

creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento

è diminuito ».

Senonchè, questa Corte con sentenza 3 giugno 1959, n. 1650 (Foro it., 1959, I, 923), si è discostata, in una fatti

specie non identica, ma vicina a quella della presente causa, dall'orientamento precedente ed ha affermato la

pratica ininfluenza della condotta dell'incapace, il quale, anche se ha reso possibile l'evento, ha diritto al risarci mento per intero. E la stessa affermazione ha ripetuto con sentenza 10 febbraio 1961, n. 291.

Trascurando gli argomenti di contorno, il nucleo razio nale di questa opinione si può così accentrare. È principio

generale del nostro diritto positivo che, ai fini dell'obbligo di responsabilità per atto illecito, le concause sono irrile vanti ; unica deviazione è costituita dall'art. 1227, il quale prevede una diminuzione del risarcimento solo nel caso di «fatto colposo » del danneggiato. Nella formale schema

tizzazione tipica di fatto colposo non rientra, però, l'im

prudenza dell'incapace, perchè chi non ha la capacità di intendere e di volere, non essendo imputabile, non versa in colpa.

Le recenti decisioni non hanno, tuttavia, eliminato il

travaglio di critica e il contrasto dottrinale intorno al

problema e si impone una rimeditazione della questione, pur confermandosi, quanto alle premesse, l'impostazione generale d'ordine teorico-sistematico contenuta nelle dette

pronunce. Si deve cominciare con il ribadire che, stando alla

nostra legislazione positiva, l'intervento di concause nella

produzione dell'evento non fa, di massima, venir meno nell'autore del fatto dannoso l'obbligo di rispondere della

totalità del danno.

Nella sfera del diritto civile manca, in verità, una norma relativa alla causalità materiale e quindi al concorso di causa ; ma il problema del nesso eziologico tra l'azione o l'omissione, intesi in senso materiale, e l'evento è comune al diritto civile e al diritto penale, onde legittimo è il rife rimento che dottrina e giurisprudenza fanno agli art. 40 e 41 del cod. penale.

Queste disposizioni accolgono il principio che sotto il

profilo teorico si identifica con il criterio della equivalenza

trova immediati precedenti conformi, in App. Firenze 7 gennaio I960, Foro it., Rep. 1960, voce Responsabilità civ., n. 127 (an notata da Corsi, in Giur. tose., 1960, 217 ; cui adde Nasini, in Resp. civ., 1960, 345 ; Boxasi Benucci, in Circolai, e trasporti, 1959, 512 ; De Cupis, nel Commentario del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G-. Branca, sub art. 2047, pag. 315) e contrari in

App. Milano 13 febbraio 1959, Foro it., Rip. 1960, voce cit., n. 125 e Cass. 3 giugno 1959, n. 1650, id., 1959, I, 923, con nota di richiami.

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PARTE PRIMA

delle cause o della conditio sine qua non, in base al quale, se il fatto è conseguenza, oltre clie dell'azione del colpevole, anche di cause diverse e nessuna di queste è da sola suffi

ciente alla sua determinazione, non è possibile riferire

l'evento all'una piuttosto che all'altra e l'azione del colpe vole mantiene il suo pieno valore causale, con tutte le

conseguenze a carico di lui.

Rispetto a questo concetto generale di diritto, del

quale nel campo della responsabilità extracontrattuale è

coerente corollario la solidarietà passiva prevista dal

l'art. 2055 cod. civ., il legislatore civile ha apportato una

moderazione con la norma speciale dell'art. 1227, che ha

codificato il criterio, mancante nel codice del 1865 ma già

acquisito alla tradizione giuridica, di limitare la misura

dei risarcimento nell'ipotesi di concausa posta in essere dal

danneggiato. Ciò premesso in linea di principio, si tratta di indi

viduare la portata dell'art. 1227 e a tale scopo, anziché

fermarsi alla formula della norma, dettata propriamente

per regolare la materia negoziale (in relazione alla quale nessun problema di adeguatezza sorge), bisogna piuttosto esaminare la disposizione in tutto il suo possibile conte

nuto e nella sua peculiare funzione nell'ambito extra

contrattuale.

La lettera della legge « fatto colposo » non offre mozzo

risolutivo di interpretazione. Il termine, come è stato già rilevato da questa Corte nella sentenza n. 1650 del 1959, non può essere inteso nel preciso senso tecnico giuridico stabilito dalla dottrina o dalla giurisprudenza e va accolto

con ogni riserva ; giacché un fatto acquista la caratte

rizzazione di colposo soltanto quando sia lesivo dell'altrui

sfera giuridica, non profilandosi « colpa » nel suo valore

proprio in chi danneggia se stesso. Nè l'espressione ha

una univoca accezione comune, non potendosi escludere

che venga adoperata nel senso (oggettivo) di omissione di

diligenza, ovvero in relazione (senso soggettivo) all'agente. Un più. valido strumento di esegesi è, invece, la consi

derazione che la norma moderatrice dell'art. 1227 non

solo è espressione di un generale criterio di giustizia distri

butiva, ma più specificamente ed organicamente fa capo al principio di intuitiva evidenza di cui è traccia sin nelle

fonti romane, secondo il quale non è danno giuridico, vale

a dire non è danno indennizzabile, quello risentito da una

persona che vi abbia dato causa. Così come non è colposa strido sensu, secondo quanto si è detto, la sua condotta.

Il danneggiato non può incontrare un obbligo verso

se stesso, essere ad un tempo debitore e creditore e se

l'evento dannoso è derivato dall'azione concorrente propria e dell'agente dovrà tenersi, senza diritto al risarcimento,

la parte di danno dipendente dal fatto proprio.

Posta, come punto di partenza, la irripetibilità del danno

di cui uno sia coautore, è rispondente all'assolutezza del

principio riconoscere all'art. 1227 la più ampia sfera di

efficacia. In modo che venga operata la riduzione della

responsabilità nella generalità dei casi di concorso del fatto

del danneggiato ; estendendo il significato naturale del

l'espressione « fatto colposo » fino a comprendervi anche il

fatto che abbia carattere obiettivamente colposo, ancorché

non sia imputabile per uno status subiettivo del soggetto :

in altri termini, il fatto riguardato nella sua oggettiva essenza e sul solo piano della causalità.

Considerati lo scopo e l'utilità dell'art. 1227, non v'è

ragione per una diversa interpretazione. A ben vedere,

infitti, ai fini dilla graduazione dell'indennizzo in pro

porzione al danno cagionato e con esclusione della quota

cagionata dallo stesso danneggiato, quel che conta è il

comportamento lesivo di quest'ultimo, il risultato, cioè,

esteriore dell'attività che si sia inserita nel rapporto causale ; non è il modo, volontario o involontario, di quel comporta mento (elemento interiore).

In ogni ipotesi, pure in quella di azione involontaria,

l'evento rimane, nell'ordine delle cose, un evento deri

vante dal fatto di due persone (ed è giusto che incida su due

patrimoni) e non diviene, ai fini del risarcimento, di una

sola persona perchè l'altra è lo stesso danneggiato non

imputabile. Se dovesse rispondere unicamente il danneggiato,

si avrebbe una specie di solidarietà passiva senza rivalsa

fra danneggiante e danneggiato : assurdo logico, dacché la

solidarietà passiva presuppone più coobbiigati, implica l'azione di regresso ed è posta a favore dei terzi danneg

giati. Il criterio di larghezza esegetica soddisfa, inoltre,

pienamente quelle esigenze dei rapporti e la necessità di

equilibrio fra i vari interessi avvertite dal legislatore e

rispetta i superiori principi di etica giuridica ; evitando

ia manifesta iniquità di conseguenze pratiche, quale quella di far gravare tutto il danno su chi per avventura si sia

trovato a partecipare ad un incidente in cui sia rimasto

vittima un ragazzo, anche se costui ne sia stato elemento

concorrente e preminente. Una soluzione in tal senso

sanzionerebbe una inamjlissibile posizione di favore del

l'incapace derivante dalla sua stessa incapacità ed una

ingiusta sperequazione di trattamento tra l'autore di un

fatto illecito, che abbia per oggetto passivo un capace, e, nelle medesime circostanze, l'autore di un fatto che abbia

per soggetto passivo un incapace.

Va, poi, notato che l'interpretazione, che postula (ove si presenti la particolarità di coincidenza di condotte del

soggetto attivo e del soggetto passivo incapace) la distin

zione fra i due aspetti, colposo e imputabile, della condotta

del soggetto passivo, non trova ostacolo nella disposizione dell'art. 2046, che sancisce in via di massima la non impu tabilità dell'incapace per il fatto, comunque considerato,

commesso.

La non imputabilità verso terzi, cui l'art. 2046 si rife

risce, è cosa diversa e da non confondere, come è stato

rilevato in dottrina, con la responsabilità dei terzi verso

l'incapace. D'altro oanto, mentre l'art. 2046 non esclude nella sua

formulazione e nella sua ratio la eventualità che il fatto

non imputabile corrisponda obiettivamente ad una viola

zione di norma di legge o di prudenza, l'articolo successivo

attribuisce, precisamente, al fatto stesso nella sua materia

lità rilevanza giuridica, a prescindere dall'imputabilità del

soggetto agente. Nel 2° comma dell'art. 2047 il legislatore ha, per vero,

configurato l'ipotesi del danno realizzato dall'incapace e

non indennizzato dalla persona addetta alla sorveglianza ed ha stabilito, seguendo un concetto accolto anche in

altre legislazioni, che l'incapace autore del danno, per

quanto non imputabile, possa essere condannato ad un'equa indennità.

Non è affatto estranea, dunque, al sistema della legge la possibilità di considerare la colpa dall'angolo visuale

del solo suo contenuto oggettivo, se nell'art. 2047 una

responsabilità patrimoniale, sia pure in via sussidiaria ed

equitativa, è stata ammessa, disgiunta dall'elemento sog

gettivo, e il soggetto incapace figura, malgrado la sua inca

pacità, destinatario di norme dell'ordinamento.

Finalmente, non sarà inutile osservare che a conte

stare la valutazione della colpa per se stessa non è valida

la obiezione che con l'art. 1227 si sarebbe legislativa mente espresso il principio della c. d. compensazione delle

colpe concrete contrapposte ; chè, viceversa, secondo l'opi nione prevalente in dottrina e in giurisprudenza, in luogo dell'antico concetto di estinzione del diritto, nella totalità

o fino a concorrenza di par quantità, mediante compensa

zione, è stato ivi adottato l'altro di limitazione del risar

cimento, badando soprattutto e più direttamente all'effi

cacia della cooperazione del fatto del danneggiato. Il che

non contrasta anzi sorregge l'affermata irrilevanza dell'ele

mento volitivo e l'influenza esclusiva del risultato.

Ritenendo, in base alle esposte considerazioni, che la

previsione legislativa nel regolare in tutti gli atteggiamenti il concorso del danneggiato comprende anche la condotta

a3trattamente colposa del danneggiato incapace, la Corte

viene a riallacciarsi alla più liberale direttiva della giuris

prudenza anteriore alla sentenza del 1959.

La decisione impugnata, la quale si è invece richiamata

senza particolare motivazione alla pronuncia del 1959

(che aveva dato dell'art. 1227 un'interpretazione restrit

tiva, che ora dopo più matura riflessione viene abbando

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917 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 918

nata), deve, pertanto, essere cassata con rinvio in accogli mento e nei limiti del ricorso ; e la causa va riesaminata

sulla scorta dei principi sopra enunciati.

Data la delicatezza della questione e in considerazione

dei dispareri cui ha dato luogo, ricorrono giusti motivi

per la compensazione delle spese di questo giudizio di cassa

zione ; mentre va ordinata la restituzione del deposito. Per questi, motivi, ecc.

II

La Corte, ecc. — (Omissis). Con il secondo e terzo mezzo

l'Amministrazione ricorrente denuncia la violazione degli art. 2047, 2048, 2055 cod. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. Lamenta che la Corte di merito, avendo riconosciuto che la bomba conservava la sicura,

non abbia altresì riconosciuto che la sicura stessa dovette

essere rimossa dal Botti, senza di che non sarebbe esplosa. E tale fatto sarebbe stato la vera causa dell'incidente, da

imputarsi quanto meno al concorso della colpa del minore

ed anche della colpa dei genitori di lui, che lo avevano

lasciato senza sorveglianza. La Corte di merito avrebbe

inoltre negato efficacia probatoria ad un rapporto dei

carabinieri, dal quale sarebbe risultato che un altro ragazzo aveva avvertito il Botti del pericolo che correva.

Tali censure sono infondate.

Premesso che l'efficacia causale del comportamento della pubblica A.umraistrazione rispetto alla produzione del sinistro è stata nella specie riconosciuta dalla Corte di

merito con apprezzamento di fatto incensurabile, le censure

suiiette rimangono superate dalla più recente giurispru denza di questa Corte suprema, la quale, con la sentenza

n. 1650 del 3 giugno 1959 (Foro it., 1959, I, 923) ha rite

nuto che, qualora un evento dannoso sia prodotto con il

concorso del fatto imprudente del danneggiato incapace d'intendere e di volere per minore età o per altra causa

(fattispecie), il comportamento dell'incapace non può

essergli imputato a titolo di colpa, in quanto la colpa

presuppone la capacità d'intendere e di volere, ma dev'essere

considerato, rispetto all'agente, siccome un fortuito,

restando a carico dell'altro concorrente imputabile l'intera

responsabilità per il danno verificatosi. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.

III

La Corte, ecc. — (Omissis). Il primo motivo viene

suddiviso dall'appellante in quattro argomenti : con i primi tre viene censurata la decisione del Tribunale in relazione

all'accertamento dei fatti che hanno portato il primo

Giudice ad attribuire al piccolo Gianfranco Chiocchia un

concorso di colpa, mentre con il quarto si sostiene, in base

ad una giurisprudenza, che ormai si è affermata, del Supremo

collegio, l'irrilevanza del concorso dell'azione del danneg

giato quando questi sia incapace di intendere e di volere.

È però evidente che l'ultimo argomento precede gli altri

in ordine logico, giacché l'eventuale esclusione del con

corso di colpa del danneggiato perchè incapace sarebbe

assorbente, e renderebbe inutile ogni discussione sugli altri

argomenti. Sul tema controverso il Supremo collegio, fino al 1957 (si veda sent. n. 1016 del 25 marzo detto anno

Foro it., Rep. 1957, voce Responsabilità civ., n. 69, e pre

cedenti conformi) si era pronunciato nel senso che, nel caso

di concorso di colpa del danneggiato minore, l'indagine del giudice doveva essere limitata al punto dell'efficienza

della causa concorrente, prescindendo dalla ricerca sulla

capacità o meno di intendere e di volere del minore o sulla

violazione del dovere di vigilanza di chi era tenuto a sor

vegliarlo. Con la nota sentenza 3 giugno 1959, n. 1650 (Foro it.,

1959, I, 923), seguita dall'altra 10 febbraio 1961, n. 291 (id.,

Mass., 61), si è avuto un mutamento radicale, ed in senso

contrario, del suddetto principio, e si è stabilito invece

che, qualora un avento dannoso sia prodotto col concorso

del fatto imprudente del danneggiato incapace d'inten

dere e di volere, per minore età o altra causa, il comporta

mento dell'incapace non può essere imputato allo stesso

a titolo di colpa (in quanto la colpa presuppone la capacità di intendere e di volere), ma deve essere considerato, rispetto

all'agente, siccome un fortuito, restando così a carico del

l'altro concorrente imputabile l'intera responsabilità per il danno verificatosi.

Detto principio parte dal presupposto (peraltro sempli cemente presunto) che il minore non pubertati proximus sia incapace d'intendere e di volere. E poiché l'art. 1227

cod. civ., espressamente richiamato dall'art. 2056, condi

ziona la diminuzione del risarcimento, non già al concorso

di un semplice fatto del danneggiato, ma al carattere

colposo del fatto stesso (come si evince dal testo e dalla

rubrica della norma) ne viene di conseguenza che il fatto

dell'incapace, non potendosi qualificare colposo, dal mo

mento che la colpa presuppone la piena capacità, non ha la

possibilità di inserirsi come concausa efficiente tra l'azione

del danneggiante e l'evento dannoso.

G-li argomenti del Supremo collegio considerati sotto

un profilo rigidamente giuridico e meramente concet

tualistico, non si prestano (nonostante qualche contrasto

in dottrina) ad un valido dissenso da parte del giudice di merito, anche se la tesi conduce inevitabilmente all'effetto

tutt'altro che equo (e non sufficientemente giustificato da ragioni di puro diritto) di attribuire al danneggiante l'onere di risarcire, in pratica, quella parte di danno da lui

non cagionato. Ciò detto, poiché il danneggiato Chiocchia Gianfranco,

all'epoca del danno aveva l'età di otto anni, e pertanto, non essendo pubertati proximus, deve essere considerato

incapace d'intendere e di volere, non resta alla Corte che

applicare i concetti del Supremo collegio, escludere il

concorso di colpa del danneggiato, e dichiarare tenuto

l'apnellato al risarcimento dell'intero danno. (Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione I civile ; sentenza 17 aprile 1962, n. 752 ; Pres.

Torrente P., Est. Gtannattasio, P. M. Cutrupia

(conci, parz. diff.) ; Soc. Àlemagna panettoni dei fra

telli Alemagna (Avv. Carnelutti, Amoroso) c. Soc.

Motta (Avv. Nicolò, Delitala, Franceschelli,

Antonini) e Proc. gen. Corte app. Milano.

(Gassa App. Milano 16 giugno 1959)

Concorrenza (disciplina della) — Pubblicità con

vanteria iperbolica od amplificazione — Liceità — Limiti (Cod. civ., art. 2598).

Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza pa

rassitaria — Sistematicità e continuativi! à —

Illiceità (Cod. civ., art. 2598). Privative industriali — Modello di utilità — No

vità (Cod. civ., art. 2592).

L'uso della pubblicità deve ritenersi lecito in tutte le piii svariate forme che la tecnica moderna suggerisce purché non ricorrano le ipotesi di propaganda menzognera, fon data su false affermazioni idonee a trarre in inganno i

consumatori, o di propaganda illecita per speciali pecu liarità ed ove manchi una designazione esplicita od im

plicita dell'attività o dei prodotti di un concorrente. (1)

(1) La sentenza della Corte di appello di Milano 16 giu

gno 1959 (Pres. Borrei.t.i, Est. Alibrandi), i cui principi sono stati confermati dalla decisione riportata è riassunta in

Foro it., Rep. 1900, voce Concorrenza, nn. 89-96 ed annotata

dal Francescheli.1, Scritto polemico in tema di concorrenza

parassitaria, in Riv. Sir. ind., 1959, IX, 261 e dal Carnelutti,

Concorrenza parassitaria ì, in Riv. dir. civ., 1959, I, 491.

La sentenza di primo grado, Trib. Milano 25 giugno 1956,

è riassunta in Foro it., Rep. 1956, voce cit., nn. 68-71.

Iti arg., per quanto attiene alle liceità della, pubblicità, v.

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