Sezione III civile; sentenza 28 aprile 1962, n. 827; Pres. Carta P., Est. Forlenza, P. M. Caldarera(concl. conf.); Vezzulli (Avv. Biamonti, Gentile) c. Schiabolin (Avv. Giorgetti, Scipioni)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 5 (1962), pp. 913/914-917/918Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150592 .
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913 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 914
fensore per la compilazione dell'atto, provvede a sotto, scriverlo personalmente, una volta ritenuta sufficiente per la validità di esso la sola firma del creditore istante. Ma, se al difensore viene anche domandata la rappresentanza della parte, in tal caso sarà pur sempre necessario o una
procura ad litem o un mindato ad negotia che legittimi
i'opirato dal difensore sul piano dal diritto sostanziale,
prescindendo dalle attribuzioni professionali di costui. Ed è appana il caso di rilevare che il sistema processuale vi
gente si ispira alla distinzione tra rappresentanza negoziale e rappresentanza processuale, nel senso che l'una non com
porta necessariamente l'altra, donde la necessità che l'even tuale conferimento di entrambe, se effettuato contestual
mente, risulti in maniera esplicita e non equivoca. Besta, infine, da accertare quale sia la sanzione che con
segue alla inosservanza dell'art. 125 cod. proc. civ. e, alla
stregua delle considerazioni predette, è agevole concludere
che anche il precetto sottoscritto solo da un procuratore
leg ile, non abilitato all'esercizio professionale nel distretto
in cui esso viene intimato, è affetto da un vizio che incide
non già sulla regolarità formile dall'atto, ma sulla sostanza
di esso. L'atto è pertanto nullo ab initio perchè la mancanza
di una regolare sottoscrizione ne impedisce il perfeziona mento. E ciò rende non solo irrilevante il disposto del 1°
comma dell'art. 156 cod. proc. civ., che esige una espressa comminatoria di legge ai fini della declaratoria di nullità
degli atti processuali per inosservanza di forme, ma altresì
inapplicabile il 3° comma della stessa norma, secondo cui
la nullità di un atto è esclusa allorquando esso abbia rag
giunto lo scopo al quale è destinato, perchè il difetto di un
requisito essenziale rende l'atto tamquam non esset, e quindi
improduttivo di effetti giuridici. Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
I
Sezione iii civile ; sentenza 28 aprile 1962, n. 827 ; Pres.
Carta P., Est. Forlenza, P. M. Caldarera (conci,
conf.) ; Yezzulli (Avv. Biamonti, Gentile) c. Schia bolin (Avv. G-iobgetti, Scipioni).
(Cassa App. Milano 20 maggio 1960)
Responsabilità civile — Concorso del l'atto colposo del minore — Rilevanza (Cod. civ., art. 1227, 2056).
Il concorso del fatto colposo del minore nel cagionare il danno
va valutato ai fini di una proporzionale riduzione del
risarcimento. (1)
II
Sezione III civile ; sentenza 10 febbraio 1961, n. 291 ; Pres. Sagna P., Est. Felicetti, P. M. Toro (conci, conf.) ; Ministero difesa-esercito c. Botti (Avv. Lancellotti).
(Conferma App. Bologna 23 aprile 1959)
III
CORTE D'APPELLO DI MILANO.
Sentenza 24 novembre 1961 ; Pres. Benedicenti P., Est.
Tinebra ; Ohioccliia c. Pietra.
Responsabilità eivile — Concorso del fatto colposo del minore —- Irrilevanza (Cod. civ., art. 1227, 2056).
Il concorso del fatto colposo del minore nella produzione dell'evento dannoso non vale a diminuire la misura del
risarcimento del danneggiaste. (2)
(1-2) Il consapevole mutamento di giurisprudenza operato dalla Corte di cassazione con la sentenza 28 aprile 1962, n. 827,
Il Foeo Italiano — Volume LXXXV — Parte 1-59.
I
La Corte, ecc. — Con l'unico motivo di ricorso si de nunzia la violazione dell'art. 1227 cod. civ. nel punto ove la
sentenza della Corte d'appello di Milano ha ritenuto e deciso
clie la condotta della minore non poteva essere presa in
considerazione ai fini della riduzione del risarcimento, essendo la minore incapace di intendere e di volere.
Viene così riproposta, in linea di puro diritto, la que stione del concorso causale del danneggiato non imputa bile nella produzione del fatto dannoso.
Con ripetuti e uniformi giudicati (sent. 24 marzo 1947, n. 421, Foro it., Rep. 1947, voce Responsabilità civ., n. 42 ; 5 luglio 1950, n. 1749, id., Rep. 1950, voce cit., nn. 43, 47 ; 11 giugno 1953, n. 1697, id., Rep. 1953, voce cit., nn. 306, 307 ; 25 marzo 1957, n. 1016, id., Rep. 1957, voce cit., n. 69) questa Suprema corte aveva assunto e mante
nuto, senza soluzione di continuo, l'indirizzo che, quando al
verificarsi del fatto dannoso abbia contribuito il com
portamento del danneggiato, pur se non imputabile, il
risarcimento del danno debba essere proporzionalmente ridotto in forza della disposizione dell'art. 1227 (applica bile con pari efficacia alla colpa contrattuale e a quella
aquiliana per l'esplicito richiamo recettizio contenuto nel
l'art. 2056), la quale stabilisce che, « se il fatto colposo del
creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento
è diminuito ».
Senonchè, questa Corte con sentenza 3 giugno 1959, n. 1650 (Foro it., 1959, I, 923), si è discostata, in una fatti
specie non identica, ma vicina a quella della presente causa, dall'orientamento precedente ed ha affermato la
pratica ininfluenza della condotta dell'incapace, il quale, anche se ha reso possibile l'evento, ha diritto al risarci mento per intero. E la stessa affermazione ha ripetuto con sentenza 10 febbraio 1961, n. 291.
Trascurando gli argomenti di contorno, il nucleo razio nale di questa opinione si può così accentrare. È principio
generale del nostro diritto positivo che, ai fini dell'obbligo di responsabilità per atto illecito, le concause sono irrile vanti ; unica deviazione è costituita dall'art. 1227, il quale prevede una diminuzione del risarcimento solo nel caso di «fatto colposo » del danneggiato. Nella formale schema
tizzazione tipica di fatto colposo non rientra, però, l'im
prudenza dell'incapace, perchè chi non ha la capacità di intendere e di volere, non essendo imputabile, non versa in colpa.
Le recenti decisioni non hanno, tuttavia, eliminato il
travaglio di critica e il contrasto dottrinale intorno al
problema e si impone una rimeditazione della questione, pur confermandosi, quanto alle premesse, l'impostazione generale d'ordine teorico-sistematico contenuta nelle dette
pronunce. Si deve cominciare con il ribadire che, stando alla
nostra legislazione positiva, l'intervento di concause nella
produzione dell'evento non fa, di massima, venir meno nell'autore del fatto dannoso l'obbligo di rispondere della
totalità del danno.
Nella sfera del diritto civile manca, in verità, una norma relativa alla causalità materiale e quindi al concorso di causa ; ma il problema del nesso eziologico tra l'azione o l'omissione, intesi in senso materiale, e l'evento è comune al diritto civile e al diritto penale, onde legittimo è il rife rimento che dottrina e giurisprudenza fanno agli art. 40 e 41 del cod. penale.
Queste disposizioni accolgono il principio che sotto il
profilo teorico si identifica con il criterio della equivalenza
trova immediati precedenti conformi, in App. Firenze 7 gennaio I960, Foro it., Rep. 1960, voce Responsabilità civ., n. 127 (an notata da Corsi, in Giur. tose., 1960, 217 ; cui adde Nasini, in Resp. civ., 1960, 345 ; Boxasi Benucci, in Circolai, e trasporti, 1959, 512 ; De Cupis, nel Commentario del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G-. Branca, sub art. 2047, pag. 315) e contrari in
App. Milano 13 febbraio 1959, Foro it., Rip. 1960, voce cit., n. 125 e Cass. 3 giugno 1959, n. 1650, id., 1959, I, 923, con nota di richiami.
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PARTE PRIMA
delle cause o della conditio sine qua non, in base al quale, se il fatto è conseguenza, oltre clie dell'azione del colpevole, anche di cause diverse e nessuna di queste è da sola suffi
ciente alla sua determinazione, non è possibile riferire
l'evento all'una piuttosto che all'altra e l'azione del colpe vole mantiene il suo pieno valore causale, con tutte le
conseguenze a carico di lui.
Rispetto a questo concetto generale di diritto, del
quale nel campo della responsabilità extracontrattuale è
coerente corollario la solidarietà passiva prevista dal
l'art. 2055 cod. civ., il legislatore civile ha apportato una
moderazione con la norma speciale dell'art. 1227, che ha
codificato il criterio, mancante nel codice del 1865 ma già
acquisito alla tradizione giuridica, di limitare la misura
dei risarcimento nell'ipotesi di concausa posta in essere dal
danneggiato. Ciò premesso in linea di principio, si tratta di indi
viduare la portata dell'art. 1227 e a tale scopo, anziché
fermarsi alla formula della norma, dettata propriamente
per regolare la materia negoziale (in relazione alla quale nessun problema di adeguatezza sorge), bisogna piuttosto esaminare la disposizione in tutto il suo possibile conte
nuto e nella sua peculiare funzione nell'ambito extra
contrattuale.
La lettera della legge « fatto colposo » non offre mozzo
risolutivo di interpretazione. Il termine, come è stato già rilevato da questa Corte nella sentenza n. 1650 del 1959, non può essere inteso nel preciso senso tecnico giuridico stabilito dalla dottrina o dalla giurisprudenza e va accolto
con ogni riserva ; giacché un fatto acquista la caratte
rizzazione di colposo soltanto quando sia lesivo dell'altrui
sfera giuridica, non profilandosi « colpa » nel suo valore
proprio in chi danneggia se stesso. Nè l'espressione ha
una univoca accezione comune, non potendosi escludere
che venga adoperata nel senso (oggettivo) di omissione di
diligenza, ovvero in relazione (senso soggettivo) all'agente. Un più. valido strumento di esegesi è, invece, la consi
derazione che la norma moderatrice dell'art. 1227 non
solo è espressione di un generale criterio di giustizia distri
butiva, ma più specificamente ed organicamente fa capo al principio di intuitiva evidenza di cui è traccia sin nelle
fonti romane, secondo il quale non è danno giuridico, vale
a dire non è danno indennizzabile, quello risentito da una
persona che vi abbia dato causa. Così come non è colposa strido sensu, secondo quanto si è detto, la sua condotta.
Il danneggiato non può incontrare un obbligo verso
se stesso, essere ad un tempo debitore e creditore e se
l'evento dannoso è derivato dall'azione concorrente propria e dell'agente dovrà tenersi, senza diritto al risarcimento,
la parte di danno dipendente dal fatto proprio.
Posta, come punto di partenza, la irripetibilità del danno
di cui uno sia coautore, è rispondente all'assolutezza del
principio riconoscere all'art. 1227 la più ampia sfera di
efficacia. In modo che venga operata la riduzione della
responsabilità nella generalità dei casi di concorso del fatto
del danneggiato ; estendendo il significato naturale del
l'espressione « fatto colposo » fino a comprendervi anche il
fatto che abbia carattere obiettivamente colposo, ancorché
non sia imputabile per uno status subiettivo del soggetto :
in altri termini, il fatto riguardato nella sua oggettiva essenza e sul solo piano della causalità.
Considerati lo scopo e l'utilità dell'art. 1227, non v'è
ragione per una diversa interpretazione. A ben vedere,
infitti, ai fini dilla graduazione dell'indennizzo in pro
porzione al danno cagionato e con esclusione della quota
cagionata dallo stesso danneggiato, quel che conta è il
comportamento lesivo di quest'ultimo, il risultato, cioè,
esteriore dell'attività che si sia inserita nel rapporto causale ; non è il modo, volontario o involontario, di quel comporta mento (elemento interiore).
In ogni ipotesi, pure in quella di azione involontaria,
l'evento rimane, nell'ordine delle cose, un evento deri
vante dal fatto di due persone (ed è giusto che incida su due
patrimoni) e non diviene, ai fini del risarcimento, di una
sola persona perchè l'altra è lo stesso danneggiato non
imputabile. Se dovesse rispondere unicamente il danneggiato,
si avrebbe una specie di solidarietà passiva senza rivalsa
fra danneggiante e danneggiato : assurdo logico, dacché la
solidarietà passiva presuppone più coobbiigati, implica l'azione di regresso ed è posta a favore dei terzi danneg
giati. Il criterio di larghezza esegetica soddisfa, inoltre,
pienamente quelle esigenze dei rapporti e la necessità di
equilibrio fra i vari interessi avvertite dal legislatore e
rispetta i superiori principi di etica giuridica ; evitando
ia manifesta iniquità di conseguenze pratiche, quale quella di far gravare tutto il danno su chi per avventura si sia
trovato a partecipare ad un incidente in cui sia rimasto
vittima un ragazzo, anche se costui ne sia stato elemento
concorrente e preminente. Una soluzione in tal senso
sanzionerebbe una inamjlissibile posizione di favore del
l'incapace derivante dalla sua stessa incapacità ed una
ingiusta sperequazione di trattamento tra l'autore di un
fatto illecito, che abbia per oggetto passivo un capace, e, nelle medesime circostanze, l'autore di un fatto che abbia
per soggetto passivo un incapace.
Va, poi, notato che l'interpretazione, che postula (ove si presenti la particolarità di coincidenza di condotte del
soggetto attivo e del soggetto passivo incapace) la distin
zione fra i due aspetti, colposo e imputabile, della condotta
del soggetto passivo, non trova ostacolo nella disposizione dell'art. 2046, che sancisce in via di massima la non impu tabilità dell'incapace per il fatto, comunque considerato,
commesso.
La non imputabilità verso terzi, cui l'art. 2046 si rife
risce, è cosa diversa e da non confondere, come è stato
rilevato in dottrina, con la responsabilità dei terzi verso
l'incapace. D'altro oanto, mentre l'art. 2046 non esclude nella sua
formulazione e nella sua ratio la eventualità che il fatto
non imputabile corrisponda obiettivamente ad una viola
zione di norma di legge o di prudenza, l'articolo successivo
attribuisce, precisamente, al fatto stesso nella sua materia
lità rilevanza giuridica, a prescindere dall'imputabilità del
soggetto agente. Nel 2° comma dell'art. 2047 il legislatore ha, per vero,
configurato l'ipotesi del danno realizzato dall'incapace e
non indennizzato dalla persona addetta alla sorveglianza ed ha stabilito, seguendo un concetto accolto anche in
altre legislazioni, che l'incapace autore del danno, per
quanto non imputabile, possa essere condannato ad un'equa indennità.
Non è affatto estranea, dunque, al sistema della legge la possibilità di considerare la colpa dall'angolo visuale
del solo suo contenuto oggettivo, se nell'art. 2047 una
responsabilità patrimoniale, sia pure in via sussidiaria ed
equitativa, è stata ammessa, disgiunta dall'elemento sog
gettivo, e il soggetto incapace figura, malgrado la sua inca
pacità, destinatario di norme dell'ordinamento.
Finalmente, non sarà inutile osservare che a conte
stare la valutazione della colpa per se stessa non è valida
la obiezione che con l'art. 1227 si sarebbe legislativa mente espresso il principio della c. d. compensazione delle
colpe concrete contrapposte ; chè, viceversa, secondo l'opi nione prevalente in dottrina e in giurisprudenza, in luogo dell'antico concetto di estinzione del diritto, nella totalità
o fino a concorrenza di par quantità, mediante compensa
zione, è stato ivi adottato l'altro di limitazione del risar
cimento, badando soprattutto e più direttamente all'effi
cacia della cooperazione del fatto del danneggiato. Il che
non contrasta anzi sorregge l'affermata irrilevanza dell'ele
mento volitivo e l'influenza esclusiva del risultato.
Ritenendo, in base alle esposte considerazioni, che la
previsione legislativa nel regolare in tutti gli atteggiamenti il concorso del danneggiato comprende anche la condotta
a3trattamente colposa del danneggiato incapace, la Corte
viene a riallacciarsi alla più liberale direttiva della giuris
prudenza anteriore alla sentenza del 1959.
La decisione impugnata, la quale si è invece richiamata
senza particolare motivazione alla pronuncia del 1959
(che aveva dato dell'art. 1227 un'interpretazione restrit
tiva, che ora dopo più matura riflessione viene abbando
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917 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 918
nata), deve, pertanto, essere cassata con rinvio in accogli mento e nei limiti del ricorso ; e la causa va riesaminata
sulla scorta dei principi sopra enunciati.
Data la delicatezza della questione e in considerazione
dei dispareri cui ha dato luogo, ricorrono giusti motivi
per la compensazione delle spese di questo giudizio di cassa
zione ; mentre va ordinata la restituzione del deposito. Per questi, motivi, ecc.
II
La Corte, ecc. — (Omissis). Con il secondo e terzo mezzo
l'Amministrazione ricorrente denuncia la violazione degli art. 2047, 2048, 2055 cod. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. Lamenta che la Corte di merito, avendo riconosciuto che la bomba conservava la sicura,
non abbia altresì riconosciuto che la sicura stessa dovette
essere rimossa dal Botti, senza di che non sarebbe esplosa. E tale fatto sarebbe stato la vera causa dell'incidente, da
imputarsi quanto meno al concorso della colpa del minore
ed anche della colpa dei genitori di lui, che lo avevano
lasciato senza sorveglianza. La Corte di merito avrebbe
inoltre negato efficacia probatoria ad un rapporto dei
carabinieri, dal quale sarebbe risultato che un altro ragazzo aveva avvertito il Botti del pericolo che correva.
Tali censure sono infondate.
Premesso che l'efficacia causale del comportamento della pubblica A.umraistrazione rispetto alla produzione del sinistro è stata nella specie riconosciuta dalla Corte di
merito con apprezzamento di fatto incensurabile, le censure
suiiette rimangono superate dalla più recente giurispru denza di questa Corte suprema, la quale, con la sentenza
n. 1650 del 3 giugno 1959 (Foro it., 1959, I, 923) ha rite
nuto che, qualora un evento dannoso sia prodotto con il
concorso del fatto imprudente del danneggiato incapace d'intendere e di volere per minore età o per altra causa
(fattispecie), il comportamento dell'incapace non può
essergli imputato a titolo di colpa, in quanto la colpa
presuppone la capacità d'intendere e di volere, ma dev'essere
considerato, rispetto all'agente, siccome un fortuito,
restando a carico dell'altro concorrente imputabile l'intera
responsabilità per il danno verificatosi. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
III
La Corte, ecc. — (Omissis). Il primo motivo viene
suddiviso dall'appellante in quattro argomenti : con i primi tre viene censurata la decisione del Tribunale in relazione
all'accertamento dei fatti che hanno portato il primo
Giudice ad attribuire al piccolo Gianfranco Chiocchia un
concorso di colpa, mentre con il quarto si sostiene, in base
ad una giurisprudenza, che ormai si è affermata, del Supremo
collegio, l'irrilevanza del concorso dell'azione del danneg
giato quando questi sia incapace di intendere e di volere.
È però evidente che l'ultimo argomento precede gli altri
in ordine logico, giacché l'eventuale esclusione del con
corso di colpa del danneggiato perchè incapace sarebbe
assorbente, e renderebbe inutile ogni discussione sugli altri
argomenti. Sul tema controverso il Supremo collegio, fino al 1957 (si veda sent. n. 1016 del 25 marzo detto anno
Foro it., Rep. 1957, voce Responsabilità civ., n. 69, e pre
cedenti conformi) si era pronunciato nel senso che, nel caso
di concorso di colpa del danneggiato minore, l'indagine del giudice doveva essere limitata al punto dell'efficienza
della causa concorrente, prescindendo dalla ricerca sulla
capacità o meno di intendere e di volere del minore o sulla
violazione del dovere di vigilanza di chi era tenuto a sor
vegliarlo. Con la nota sentenza 3 giugno 1959, n. 1650 (Foro it.,
1959, I, 923), seguita dall'altra 10 febbraio 1961, n. 291 (id.,
Mass., 61), si è avuto un mutamento radicale, ed in senso
contrario, del suddetto principio, e si è stabilito invece
che, qualora un avento dannoso sia prodotto col concorso
del fatto imprudente del danneggiato incapace d'inten
dere e di volere, per minore età o altra causa, il comporta
mento dell'incapace non può essere imputato allo stesso
a titolo di colpa (in quanto la colpa presuppone la capacità di intendere e di volere), ma deve essere considerato, rispetto
all'agente, siccome un fortuito, restando così a carico del
l'altro concorrente imputabile l'intera responsabilità per il danno verificatosi.
Detto principio parte dal presupposto (peraltro sempli cemente presunto) che il minore non pubertati proximus sia incapace d'intendere e di volere. E poiché l'art. 1227
cod. civ., espressamente richiamato dall'art. 2056, condi
ziona la diminuzione del risarcimento, non già al concorso
di un semplice fatto del danneggiato, ma al carattere
colposo del fatto stesso (come si evince dal testo e dalla
rubrica della norma) ne viene di conseguenza che il fatto
dell'incapace, non potendosi qualificare colposo, dal mo
mento che la colpa presuppone la piena capacità, non ha la
possibilità di inserirsi come concausa efficiente tra l'azione
del danneggiante e l'evento dannoso.
G-li argomenti del Supremo collegio considerati sotto
un profilo rigidamente giuridico e meramente concet
tualistico, non si prestano (nonostante qualche contrasto
in dottrina) ad un valido dissenso da parte del giudice di merito, anche se la tesi conduce inevitabilmente all'effetto
tutt'altro che equo (e non sufficientemente giustificato da ragioni di puro diritto) di attribuire al danneggiante l'onere di risarcire, in pratica, quella parte di danno da lui
non cagionato. Ciò detto, poiché il danneggiato Chiocchia Gianfranco,
all'epoca del danno aveva l'età di otto anni, e pertanto, non essendo pubertati proximus, deve essere considerato
incapace d'intendere e di volere, non resta alla Corte che
applicare i concetti del Supremo collegio, escludere il
concorso di colpa del danneggiato, e dichiarare tenuto
l'apnellato al risarcimento dell'intero danno. (Omissis) Per questi motivi, ecc.
CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 17 aprile 1962, n. 752 ; Pres.
Torrente P., Est. Gtannattasio, P. M. Cutrupia
(conci, parz. diff.) ; Soc. Àlemagna panettoni dei fra
telli Alemagna (Avv. Carnelutti, Amoroso) c. Soc.
Motta (Avv. Nicolò, Delitala, Franceschelli,
Antonini) e Proc. gen. Corte app. Milano.
(Gassa App. Milano 16 giugno 1959)
Concorrenza (disciplina della) — Pubblicità con
vanteria iperbolica od amplificazione — Liceità — Limiti (Cod. civ., art. 2598).
Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza pa
rassitaria — Sistematicità e continuativi! à —
Illiceità (Cod. civ., art. 2598). Privative industriali — Modello di utilità — No
vità (Cod. civ., art. 2592).
L'uso della pubblicità deve ritenersi lecito in tutte le piii svariate forme che la tecnica moderna suggerisce purché non ricorrano le ipotesi di propaganda menzognera, fon data su false affermazioni idonee a trarre in inganno i
consumatori, o di propaganda illecita per speciali pecu liarità ed ove manchi una designazione esplicita od im
plicita dell'attività o dei prodotti di un concorrente. (1)
(1) La sentenza della Corte di appello di Milano 16 giu
gno 1959 (Pres. Borrei.t.i, Est. Alibrandi), i cui principi sono stati confermati dalla decisione riportata è riassunta in
Foro it., Rep. 1900, voce Concorrenza, nn. 89-96 ed annotata
dal Francescheli.1, Scritto polemico in tema di concorrenza
parassitaria, in Riv. Sir. ind., 1959, IX, 261 e dal Carnelutti,
Concorrenza parassitaria ì, in Riv. dir. civ., 1959, I, 491.
La sentenza di primo grado, Trib. Milano 25 giugno 1956,
è riassunta in Foro it., Rep. 1956, voce cit., nn. 68-71.
Iti arg., per quanto attiene alle liceità della, pubblicità, v.
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