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sezione III civile; sentenza 28 luglio 1994, n. 7079; Pres. Iannotta, Est. Fiduccia, P.M. Iannelli(concl. conf.); Cassa di risparmio di Roma (Avv. Vassalli) c. Soc. Miles (Avv. D'Amelio, Spada).Conferma App. Roma 18 settembre 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1995), pp. 2209/2210-2215/2216Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193354 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Muovendo dalla constatazione, esattamente colta dai giudici
d'appello, che non vi fu rapporto contrattuale tra Elli e Sac
chetti, restando quest'ultimo estraneo allo svolgimento dello sche
ma negoziale tra Elli e la società, deve configurarsi tale schema
negoziale come contratto a favore di terzo, laddove Elli, socio
di maggioranza, dopo aver sottoscritto l'aumento di capitale ed anteriormente all'emissione delle relative azioni (donde l'e
sattezza dell'altro rilievo dei giudici d'appello circa l'inesistenza
di «trasferimento» di titoli), con negozio dispositivo del suo
diritto, concluso con la società, rinuncia all'intestazione delle
azioni corrispondenti ad una parte dell'aumento di capitale sot
toscritto e ne stipula l'intestazione a favore del terzo Sacchetti.
In questo negozio sono riscontrabili tutti gli estremi propri del contratto a favore di terzo come delineati dall'art. 1411 c.c.:
accordo tra due soggetti, Elli e società, avente ad oggetto l'or
dine del primo e l'impegno della seconda ad intestare al nomi
nativo di un terzo un certo numero di azioni di nuova emissio
ne, sottoscritte e liberate dallo stipulante a seguito dell'aumento di capitale. Rimane al di fuori dell'ambito contrattuale la posi zione del terzo beneficiario Sacchetti, che non è parte né in
senso sostanziale né in senso formale, e si limita a ricevere gli effetti di un rapporto già validamente costituito ed operante,
configurandosi la sua adesione — rilevabile per facta conclu
dentia — come mera condicio iuris sospensiva dell'acquisizione del diritto (Cass. 1136/88, id., Rep. 1988, voce Contratto in
genere, n. 365 e 13661/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 342). L'interesse dello stipulante, che la giurisprudenza ha chiarito
doversi intendere in senso ampio, potendo essere di qualsiasi
natura, anche morale (Cass. 3484/69, id., Rep. 1969, voce Ob
bligazioni e contratti, n. 226 e 3749/79, id., Rep. 1979, voce Contratto in genere, n. 246), risiede nell'intento — accertato
in fatto — del socio di maggioranza di compensare in tal modo
le prestazioni lavorative svolte dal Sacchetti. Si inserisce cosi
quell'elemento, erroneamente qualificato di liberalità, e più esat
tamente identificabile con la finalità perseguita dall'azionista lar
gamente maggioritario di remunerare il direttore generale della
società per l'opera prestata, stimolandone ed incoraggiandone altresì' l'attività futura, cosi tutelando il proprio interesse, volto
ad ottenere una valida ed efficiente collaborazione nel seno del
l'organismo societario.
E poiché per il contratto a favore di terzo non è richiesto
alcun particolare requisito di forma, risulta conforme a diritto
il dispositivo della sentenza impugnata, operandosi la correzio
ne della motivazione nel senso sopra precisato. Il ricorso deve dunque essere rigettato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 28 lu
glio 1994, n. 7079; Pres. Iannotta, Est. Fiduccia, P.M. Ian
nelli (conci, conf.); Cassa di risparmio di Roma (Aw. Vas
salli) c. Soc. Miles (Aw. D'Amelio, Spada). Conferma App. Roma 18 settembre 1990.
Danni in materia civile — Contratto di conto corrente bancario — Pagamento di assegni bancari falsi — Responsabilità del
l'ente creditizio — Debito di valore — Conseguenze (Cod.
civ., art. 1218, 1223, 1224, 1852).
L'obbligazione risarcitoria incombente in capo all'ente crediti zio (cassa di risparmio) per i danni cagionati al correntista in seguito all'incauto rilascio a terza persona di moduli di
assegni ed al conseguente pagamento di assegni con firme fal
sificate, costituisce debito di valore, non di valuta, in quanto scaturente dall'inadempimento di un'obbligazione avente ori
ginariamente ad oggetto una prestazione diversa dalla corre
sponsione di una somma di denaro; ne consegue, in sede di
Il Foro Italiano — 1995.
quantificazione del danno, l'obbligo del giudice di attendere al computo, anche d'ufficio, della svalutazione monetaria ve
rificatasi fino al momento della decisione. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione, notifica
to in data 23 giugno 1977, la s.r.l. Miles (Manutenzione immo
bili lavori edili e stradali) conveniva in giudizio, davanti al Tri bunale di Roma, la Cassa di risparmio di Roma, indicando che, a causa del comportamento gravemente negligente della detta
convenuta, alcune persone si erano avvalse di moduli di assegni bancari ottenuti fraudolentemente con il concorso di un dipen dente della cassa, riuscendo a prelevare dal conto corrente di
essa attrice la somma di lire 301.150.000 con l'apporre sui titoli
bancari firme falsificate e timbri contraffatti del legale di essa
società istante; e quindi chiedendo la condanna della Cassa di
risparmio di Roma al pagamento dell'indicata somma con gli
(1) Nella storia infinita delle dispute pretorie ingaggiate allo scopo di focalizzare il (sovente) labile discrimen tra debiti di valore e di valuta approda in Cassazione la fattispecie dell'obbligazione risarcitoria scatu rente in capo ad una cassa di risparmio a motivo dell'incauto rilascio di moduli di assegni bancari a persona all'uopo non autorizzata o dele
gata dalla società correntista e, in via conseguenziale, dell'improvvido pagamento di assegni falsificati (con tanto di imitazione del timbro del la malcapitata società).
In particolare, la disputa — gravida, di rilevanti conseguenze in ordi ne al computo d'ufficio della svalutazione monetaria ed al cumulo della medesima con gli interessi legali (salva, su quest'ultimo aspetto, la 'ster zata' compiuta da Cass., sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712, Foro
it., 1995, I, 1470) — finisce per imperniarsi sulla qualificabilità dell'ob
bligazione inadempiuta come obbligazione avente originariamente ad
oggetto una somma di denaro (come tale, di valuta) ovvero caratteriz zata da un'iniziale dimensione contenutistica non pecuniaria, e quindi di stampo valoristico.
Nell'abbracciare tale ultima opzione ermeneutica la corte di legittimi tà rintuzza con vigore l'assunto difensivo, a sua volta ispirantesi ad un precedente del 1983 della stessa Suprema corte (sent. 24 febbraio
1983, n. 1420, id., 1984, I, 1353, con nota di Covelli — relativa al caso di pagamento di assegni falsi rubati presso la società correntista — con nota di Di Majo, Responsabilità della banca trattario e debiti di valore), a tenore del quale, in caso di pagamento di assegni bancari con firma falsa, l'originara obbligazione disattesa dalla banca trattaria — a carattere pecuniario, e quindi soggetta al regime scolpito dall'art. 1224 c.c. per i debiti di valuta — si concreta nel «pagare gli assegni ai presentatori dei titoli sottoscritti dal traente» e nel «restituire a que st'ultimo la provvista in qualsiasi momento ed il saldo alla scadenza del rapporto». Tale parabola argomentativa si dimostra, infatti, inqui nata da una sorta di invasione di campo dell'obbligazione effettivamen
te pecuniaria assunta da parte dell'istituto di credito trattario nella fase
attuativa del rapporto, con il pagamento dei titoli, rispetto al ben più
ampio complesso di obblighi sullo stesso incombenti a seguito della sti
pulazione di un contatto di conto corrente. Sfogliando, infatti, la rosa di tali doveri, è sin troppo facile rilevare che gli obblighi vulnerati nella
specie, lungi dal toccare la fase terminale del rapporto, fanno capo al «primario dovere di correttezza e diligenza ex art. 1175, 1176 c.c., in ordine alle dovute e diverse prestazioni che, ancorché preparatorie o definitorie dell'esecuzione dell'ordine del traente di pagamento dei titoli sottoscritti dal correntista, si pongono con una autonoma valenza nell'ambito del rapporto contrattuale». Trattasi, a ben vedere, delle ob
bligazioni afferenti alla prodromica ma essenziale fase della consegna
degli assegni bancari al legittimo avente diritto ovvero ad un suo dele
gato, che «hanno riferimento ad un diverso e specifico facere e ad una
cosa ben diversa dal denaro e, comunque, non determinabile a priori in una somma secondo parametri fissi predeterminati, siccome si richie
de per le obbligazioni pecuniarie soggette al principio nominalistico».
In soldoni, mentre carattere originariamente pecuniario può ascriver
si, ad avviso della Suprema corte, all'obbligazione relativa alla restitu
zione della provvista al correntista e, al più, a quella relativa al paga mento ai presentatori dell'importo indicato negli assegni legittimamente
emessi, a conclusioni tutt'affatto differenti devesi addivenire per quel che attiene all'obbligo, inquadrabile nei parametri della diligenza e del
la correttezza, di consegnare libretti di assegni solo previa adeguata e
rigorosa verifica dell'identità e della legittimazione del ricevente. Il pa
gamento degli assegni falsificati si pone quindi, piuttosto che come fon
te ulteriore di responsabilità, quale «parametro del danno» riveniente dalla violazione di tale obbligo preliminare di cautela posto a tutela
del correntista. Tracciate tali premesse, il punto di approdo è scontato. Stante il ca
rattere originariamente non pecuniario dell'obbligazione disattesa, ope ra infatti il collaudato principio secondo cui «l'obbligo di risarcimento
del danno, sia contrattuale che extracontrattuale, tendendo alla reinte
grazione del patrimonio del danneggiato nello stato in cui si troverebbe
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2211 PARTE PRIMA 2212
interessi del il "Jo dal giorno del dovuto nonché al risarcimento
del danno per il mancato guadagno per l'impossibilità di stipu lare nuovi contratti e per le perdite subite a seguito della vendi
ta di immobili per la liquidità necessaria per l'esecuzione di con tratti in corso, il tutto con interessi e rivalutazione monetaria.
La convenuta cassa di risparmio contestava la sua responsa bilità.
L'adito tribunale con sentenza non definitiva del 15 novem
bre 1983 riconosceva la responsabilità per colpa della convenuta
e l'obbligo sia della restituzione della somma illegittimamente
addebitata, per cui pronunciava condanna di pagamento per
quanto richiesto, sia del risarcimento del danno, per cui dispo neva l'ulteriore istruzione.
Indi, con sentenza del 23 novembre 1987 il tribunale condan
nava la cassa di risparmio al risarcimento del danno ex art.
1224 c.c., per lire 370.415.000 con gli interessi legali. Avverso questa decisione proponevano distinti appelli la cas
sa di risparmio e la soc. Miles.
La Corte d'appello di Roma con sentenza del 18 settembre
1990 in accoglimento dell'appello di quest'ultima condannava
la cassa di risparmio al pagamento di lire 798.047.000 a titolo
di danni di svalutazione monetaria.
I giudici di secondo grado, dopo avere escluso la nullità della
sentenza del tribunale con riguardo all'omessa trascrizione delle
conclusioni, affermavano che alla stregua delle conclusioni for
mulate, ancorché con imprecisioni terminologiche ed erronei ri
ferimenti normativi, dalla soc. Miles nel giudizio di primo gra do ed in riferimento al tenore dell'atto di citazione della stessa
società, contenente una inequivoca domanda di risarcimento del
danno da illecito contrattuale, doveva ritenersi che la detta do manda esulava dalla previsione dell'art. 1224 c.c. non concer
nendo danni nelle obbligazioni pecuniarie con la conseguenza che il tribunale era incorso nel vizio di ultrapetizione per avere
pronunciato su di una domanda ex art. 1224 c.c. mai proposta.
Quindi, i detti giudici escludevano la sussistenza di un giudicato interno con riguardo agli interessi ed al tasso al 17% nonché al mancato guadagno, rilevando che la sentenza non definitiva
del tribunale aveva affermato soltanto il diritto al risarcimento, riservando al prosieguo del giudizio l'accertamento e la liquida zione di ogni ipotesi di danno, che andava dimostrato nella sua
esistenza e consistenza a norma dell'art. 2697 c.c.
Al riguardo i giudici di appello, disattesa la pretesa circa gli interessi per mancata prova della relativa misura anche per l'av
versa contestazione della banca, identicamente carente di prova
reputavano il lamentato lucro cessante per la rinuncia ad ulte
riori contratti, neppure liquidabile ex art. 1226 c.c.
Anche per la doglianza della società appellante dell'inadegua tezza del maggior danno riconosciuto ex art. 1224 c.c. i giudici di secondo grado, mentre rilevavano che tale censura rimaneva
superata dalla affermata ultrapetizione su siffatta domanda, con
sideravano che la richiesta di rivalutazione doveva essere esami
nata nell'ambito della previsione dell'art. 1223 c.c., dovendosi
se non fosse avvenuto l'evento dannoso, ha natura di debito di valore, e non di valuta, sicché, il giudice, nella relativa quantificazione, deve tener conto della svalutazione monetaria sopravvenuta sino alla data della liquidazione, indipendentemente da qualsiasi prova da parte del
danneggiato» (Cass., 6 marzo 1982, n. 1429, id., Rep. 1982, voce Dan ni civili, n. 159; 23 giugno 1982, n. 3830, ibìd., n. 150; 27 luglio 1984, n. 4445, id., Rep. 1984, voce cìt., n. 181).
In sintonia con la scelta di campo della Cassazione, Di Majo, cit., 2378, il quale, premessa la catalogazione del contratto di check come «tipico contratto di servizio bancario, avente assieme gli elementi del contratto di lavoro e di mandato, in base al quale la banca si obbliga a onorare gli assegni che il traente vorrà emettere», conclude che «un errato pagamento, per negligenza o trascuratezza della banca (ad es., per mancato controllo della firma di traenza sullo specimen rimasto in suo possesso), non è solo un comune inadempimento di obbligazione pecuniaria ma equivale anche ad una difettosa esecuzione dell'incarico ricevuto dal traente, quale che sia la più corretta qualificazione di tale incarico». In altri termini, posto che nella fattispecie convenzionale in
parola il pagamento non si presenta alla stregua di mero corrispettivo di prestazioni ricevute ma costituisce oggetto di una particolare previ sione contrattuale, si deve convenire, a parere dell'a., che «sui principi propri e speciali dell'inadempimento dell'obbligazione pecuniaria (art. 1224 c.c.), costituenti un favor per i debitori di somme, sono destinati a prevalere i principi sull'adempimento inesatto di obblighi contrattual mente assunti». [F. Caringella]
Il Foro Italiano — 1995.
tenere presente che il giudizio verteva su una obbligazione di
risarcimento del danno, per cui il debito era di valore, con la
conseguenza che doveva attuarsi l'integrale reintegrazione della
soc. Miles tenendo conto anche di ufficio della svalutazione mo
netaria verificatasi fino alla decisione, come peraltro richiesto
implicitamente dalla detta società. In fine, dai detti giudici alla stregua delle indicazioni dell'I
stat per il periodo 1977/89 si determinava in lire 798.047.000 la somma dovuta dalla banca per la maggiorazione del 265%
della somma di lire 301.150.000 già corrisposta nel 1989. Contro questa sentenza la Cassa di risparmio di Roma ha
proposto ricorso per la sua cassazione con un motivo di censu ra. La soc. Miles nel controricorso ha formulato ricorso inci
dentale condizionato. Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione. — A norma dell'art. 335 c.p.c. deve
essere disposta la riunione del ricorso principale proposto dalla
Cassa di risparmio di Roma e del ricorso incidentale formulato dalla s.r.l. Miles, trattandosi di impugnazioni della stessa sen
tenza, quella depositata in data 18 settembre 1990 dalla Corte
d'appello di Roma.
Con l'unico motivo del ricorso principale la cassa di rispar mio denuncia «Violazione e falsa applicazione di norme di di
ritto (art. 1223, 1224 c.c., 1, 3 e 5 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, 345 e 346 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.)».
Al riguardo, la ricorrente principale deduce la erroneità della
affermazione del giudice di appello del configurarsi un inadem
pimento contrattuale di una obbligazione di valore, sostenendo
che per contro la sua responsabilità per pagamento di assegno con firma falsa del cliente dà luogo al diritto al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1224 c.c. dovendosi considerare ori
ginariamente pecuniaria l'obbligazione inadempiuta di essa banca.
Inoltre, la ricorrente cassa osserva che siffatta domanda ex
art. 1224 c.c. non era mai stata proposta come affermato nella
sentenza di appello ovvero era stata comunque abbandonata in
appello con la richiesta di rivalutazione, che peraltro era inam missibile in quanto nuova.
Infine, la ricorrente sostiene che dalla controparte non si era
adempiuto all'onere di dimostrare il maggior danno per il dimi
nuito potere di acquisto della moneta con specifiche prove, mai
fornite né allegate. Con l'unico motivo del ricorso incidentale condizionato la
s.r.l. Miles lamenta «Violazione e falsa applicazione degli art.
99, 112 c.p.c., 1224 e 1226, 2907, 2909 c.c. in relazione all'art.
360, nn. 3 e 4, c.p.c. Omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa punti decisivi della controversia in relazione
all'art. 360, n. 5, c.p.c.». Al riguardo, la ricorrente incidentale si duole per l'errata af
fermazione del giudice di appello circa l'ultrapetizione con ri
guardo alla domanda ex art. 1224 c.c. ritenuta mai proposta contrariamente al contenuto delle conclusioni di primo grado, che si esprimevano «e la rivalutazione monetaria ex art. 1224
c.c.» con riguardo alla richiesta condanna al pagamento di lire
301.150.000 illecitamente addebitate, con gli interessi al 17%, nonché a quelle formulate in appello («il maggior danno ex art.
1224 c.c.»). Inoltre, la ricorrente società sostiene che erroneamente è sta
to disconosciuto il giudicato per gli interessi dovuti, compresi nel danno risarcibile riconosciuto dalla sentenza di primo gra do, non impugnata sul punto, ed altresì' che non poteva essere escluso per la loro misura il ricorso alle presunzioni che, non
dipendendo dal contegno del convenuto, peraltro era suffragato
dagli esibiti prospetti Abi del prime rate negli anni 1977-1988, mentre comunque è rimasta immotivata la mancata liquidazio ne in via equitativa.
Il ricorso principale è ammissibile ma non può trovare acco
glimento.
Invero, va preliminarmente esaminata e disattesa l'eccezione
sollevata nella memoria dalla controricorrente soc. Miles d'i
nammissibilità del ricorso principale in ragione della pretesa ca renza di un valido mandato alla lite a termine dell'art. 365 c.p.c.
per la proposizione di tale gravame a seguito del pregresso con ferimento della propria azienda bancaria dalla cassa di rispar mio al Banco di S. Spirito in sede di sottoscrizione di un au mento di capitale di quest'ultima e cosi dell'assunta estinzione del mandato speciale conferito dalla cassa di risparmio al suo direttore generale, avv. Roberto Scopetta, che ha conferito la
procura alla lite.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Difatti, ad asseverare l'enunciata soluzione negativa per tale
eccezione va in via primaria considerato che l'anzidetto conferi
mento dell'azienda bancaria a norma della 1. 30 luglio 1990 n.
218 e del d.leg. n. 356 del 1990 non ha comportato a termini
dell'art. 12 del citato decreto l'estinzione, né l'incorporazione della conferente cassa di risparmio, bensì — come si finisce con il riconoscere dalla stessa controricorrente — solo il trasferi
mento o cessione dell'azienda che resta cosi disciplinato in via
integrativa dalle relative norme ordinarie del codice civile e, quan to alle eventuali vicende processuali attinenti all'azienda ed ai
relativi rapporti, da quelle del codice di rito con la conseguenza
che, avvenuta tale cessione nel corso del processo, ancorché nel
termine per impugnare la sentenza di appello, configurandosi
un'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto contro
verso per quello pertinente all'azienda ceduta — disciplinata dal
l'art. Ili c.p.c. — la cedente cassa di risparmio — pur in pre senza della successione nelle vertenze giudizia n : convenuta nel
l'atto di conferimento del 27 febbraio 1991 — per la mancata
attuazione delle necessarie formalità della sua estromissione pre viste dal 3° comma del citato art. Ill (v. Cass. 11 maggio 1984, n. 2889, Foro it., Rep. 1984, voce Procedimento civile, n. 72), conservava la sua legittimazione processuale restando in causa
quale sostituto processuale del cessionario Banco di S. Spirito,
per la proposizione dell'impugnazione della sentenza che era stata
pronunciata nei suoi confronti, prevedendosi a tal fine dal 3°
comma dell'art. Ili citato soltanto la ulteriore legittimazione «anche» per il successore a titolo particolare (Cass. 28 dicembre
1989, n. 5803, id., Rep. 1989, voce cit., n. 79; 18 gennaio 1988, n. 320, id., Rep. 1988, voce cit., n. 48, e per riferimenti Cass.
10 maggio 1986, n. 3838, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rappor
to), n. 1946). D'altro canto va rilevato che siffatta legittimazione della ce
dente cassa di risparmio, se comportava la piena validità della
procura alle liti eventualmente conferita per la proposizione del
gravame, non diversamente — come, per il caso che ne occupa, all'aw. Scopetta — giustificava il negoziale conferimento a tal
fine della rappresentanza processuale ad altro soggetto, ancor
ché quale proprio dipendente fosse organo dell'azienda ceduta, dovendosi escludere per l'oggetto stesso di siffatto negozio che
10 stesso si fosse estinto ovvero comunque in esso fosse suben
trato l'istituto cessionario dell'azienda a norma dell'art. 2558
c.c., detto negozio attenendo de plano non ad un contratto sti
pulato «per l'esercizio» dell'azienda ceduta bensì all'attuazione
di un diritto processuale per il caso espressamente attribuito
in via primaria dall'art. Ili c.p.c. Cosi positivamente delibata l'ammissibilità del ricorso princi
pale proposto dalla Cassa di risparmio di Roma, lo stesso —
come si è enunciato — non è fondato. Al riguardo, invero, costituisce ormai ius receptum che l'ob
bligazione avente per oggetto il risarcimento del danno, sia che
questo derivi da illecito aquiliano che da inadempimento con
trattuale, come pacificamente nel caso che ne occupa — v. an
che in tal senso in motivazione Cass. 14 ottobre 1992, n. 11223
(che ha confermato la sentenza della Corte d'appello di Roma
in data 14 giugno 1988) —, configura un debito di valore con
la conseguenza che il giudice deve tenere conto, anche d'uffi
cio, della svalutazione monetaria verificatasi fino alla data della
relativa decisione, in quanto l'integrale ed effettiva reintegra zione del patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si
sarebbe trovato se non si fosse verificato l'evento dannoso, alla
quale il risarcimento è preordinato, può essere conseguita solo
tenendo conto di tale svalutazione (v. Cass. 6 marzo 1982, n.
1429, id., Rep. 1982, voce Danni civili, n. 159; 24 giugno 1982, n. 3830, ibid., n. 150; 9 agosto 1983, n. 5337, ibid., n. 228; 1° febbraio 1984 n. 890, id., Rep. 1984, voce Appello civile, n. 39; 27 luglio 1984, n. 4445, ibid., voce Danni civili, n. 181).
Né tale principio, di cui i giudici di appello hanno fatto ap plicazione nella sentenza impugnata, può trovare deroga con
riguardo alla dedotta natura pecuniaria dell'originaria obbliga
zione del contratto di conto corrente, siccome invocata dalla
ricorrente principale alla stregua della sentenza di questa corte
n. 1420 del 24 febbraio 1983 (id., Rep. 1983, voce cit., n. 205), laddove con riguardo alla responsabilità per il pagamento di
assegni bancari a firma falsa al presentatore si è ritenuto che
tale originaria obbligazione per la banca trattaria in base al c.d.
«contratto di chek» era quello di pagare gli assegni ai presenta
tori dei titoli sottoscritti dal traente e di restituirgli la provvista
11 Foro Italiano — 1995.
in qualsiasi momento ed il saldo alla scadenza del rapporto,
cosi che l'obbligo originario aveva ad oggetto soltanto il paga mento di una somma ben precisa di denaro e quindi una obbli
gazione pecuniaria e quindi di valuta, cui è applicabile la disci plina prevista dall'art. 1224 c.c. in tema di danni nelle obbliga zioni pecuniarie.
Difatti, va osservato che se ne può in toto condividersi l'anzi
detta onnicomprensiva valenza della obbligazione pecuniaria, nel
la specie assunta con riguardo alla posizione meramente debito
ria della banca trattaria nella fase attuativa del contratto con
il pagamento dei titoli e riferimento al rapporto di provvista,
non potendosi operare una semplicistica reductio ad unum di
tutto il complesso degli obblighi derivanti dal contratto di con
to corrente bancario, ma dovendosi in tal senso considerare di
questa contraente il «primario dovere di correttezza e diligenza ex art. 1175 e 1176 c.c. in ordine alle dovute ma diverse presta zioni che, ancorché preparatorie o definitorie dell'esecuzione del
l'ordine del traente di pagamento dei titoli sottoscritti dal cor
rentista stesso, come quelle in ispecie afferenti alla primaria ma
essenziale fase della consegna degli assegni bancari al legittimo avente diritto ovvero ad un suo delegato, si pongono con una
autonoma valenza nell'ambito del detto rapporto contrattuale
ed hanno riferimento ad un diverso specifico facere e ad una
cosa ben diversa dal denaro (v. in tal senso, in motivazione, Cass. 6 febbraio 1982, n. 693, id., Rep. 1982, voce Danni civili, n. 151) e comunque non determinabile a priori in una somma
secondo parametri fissi e predeterminati, siccome si richiede per le obbligazioni pecuniarie soggette al principio nominalistico (v. Cass. 18 aprile 1977, n. 1423, id., Rep. 1977, voce Obbligazioni in genere, n. 60).
In tale debita prospettiva, d'altro canto, resta incidente la
considerazione della responsabilità della cassa di risparmio co
me nel caso che incontestatamente ne occupa, di poi definita
a seguito dell'indicata sentenza n. 11223 del 1992 di questa cor
te, laddove ha confermato la decisione adottata dalla corte d'ap
pello con la sentenza in data 14 giugno 1988.
Invero, nella motivazione di tale sentenza la responsabilità del detto istituto bancario, per la cui liquidazione del relativo
danno si discute in questa sede (siccome si è indicato dalla stes
sa ricorrente principale), è stata riconosciuta di natura contrat
tuale nonché conseguente alla violazione dello specifico obbligo convenzionale avente ad oggetto la consegna dei c.d. «libretti»
degli assegni con riguardo alla riscontrata colpa grave nella in
dividuazione dello specifico soggetto abilitato a quell'incarico, siccome pattuita anche con riferimento al rapporto di quel sog
getto con la società correntista, individuandosi nel seguente pa
gamento degli assegni non una fonte (ulteriore) di responsabili tà della cassa di risparmio bensì soltanto il parametro del dan
no, consistito nell'ammontare di poi pagato.
Orbene, è cosi di piana rilevazione che l'originaria obbliga
zione dell'istituto bancario, cui è succedanea quell'obbligazione
per danni di cui è posta a base l'azione di responsabilità con
trattuale della società resistente, non è nel caso ravvisata né,
nell'incontestata identità dei relativi fatti generatori, può essere
identificata, in questa sede, nel richiesto riscontro della sua na
tura, in quella meramente pecuniaria del pagamento degli asse
gni (a persona non legittimata), ma bensì in quella attinente
alla previa consegna dei titoli ed alla debita individuazione dei
soggetti a ciò specificamente delegati dalla società titolare del
conto corrente bancario, e cosi in una obbligazione che, avendo
ad oggetto quello specifico facere, consiste in un bene contrat
tualmente definito del tutto diverso dal denaro e che solo per le successive vicende del rapporto, cioè per la grave violazione
del dovere di diligenza che alla cassa di risparmio si imponeva
per la sua pattuita esecuzione, si è tradotto in un nocumento
pecuniario, per essere rimasta alla società correntista addebitata
la somma risultante dal pagamento degli assegni agli indebiti
presentatori. Ne consegue, pertanto, che con riguardo alla cosi scrutinata
originaria obbligazione della cassa di risparmio, avente ab ori
gine ad oggetto una prestazione diversa dal denaro e cosi natu
ra di obbligazione di valore, il succedaneo obbligo di risarci mento per il suo inadempimento non può che assumere identica
natura ed il correlativo equivalente debito tradotto in denaro
non può non correlarsi nel suo indice quantitativo al momento
della sua liquidazione (v., in riferimento, Cass. 20 marzo 1969,
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2215 PARTE PRIMA 2216
n. 861, id., Rep. 1969, voce Moneta nelle obbligazioni, n. 2) con la cogente valenza della svalutazione monetaria verificatasi
sino alla relativa decisione, siccome esattamente si è operato nella sentenza della Corte d'appello di Roma.
In conclusione, la detta sentenza si sottrae alla censura for
mulata con il ricorso principale proposto dalla Cassa di rispar mio di Roma, tal ché tale ricorso deve essere rigettato con la
conseguenza dell'assorbimento del ricorso incidentale formula
to, in via subordinata e condizionata all'accoglimento dell'av
verso ricorso, dalla soc. Miles.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 9 giugno 1994, n. 5611; Pres. ed est. Sammartino, Rei. Fantacchiot
ti, P.M. Dettori (conci, parz. diff.); A. e F. Centamore (Aw.
Giorgianni, Catanzaro Lombardo) c. R. Centamore (Avv.
Giacobbe). Cassa App. Catania 23 marzo 1990.
Procedimento civile — Rimessione della causa al collegio —
Ritorno della causa in istruttoria — Preclusione del «novum»
(Cod. proc. civ., art. 184, 359).
Rimessa la causa al collegio, se la stessa ritorna innanzi al giu dice istruttore per lo svolgimento dell'ulteriore istruttoria, ri
mane fermo per le parti il divieto di modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate (1)
(1) Con la sentenza riportata, non a caso redatta a seguito della sosti tuzione del relatore da parte del presidente, la Suprema corte, facendo leva sul fondamentale principio di concentrazione del processo, si fa
interprete di un orientamento decisamente minoritario della giurisprudenza che afferma il divieto di ius novorum nelle ipotesi in cui la causa, a
seguito di rimessione al collegio, sia restituita al giudice istruttore; in tal senso, v. Trib. Latina 12 dicembre 1990, Foro it., Rep. 1991, voce Procedimento civile, n. 148, e Informazione prev. 1991, 985, nella par te in cui esclude la possibilità di sollevare per la prima volta eccezione di compensazione nella fase successiva alla emissione da parte del pri mo giudice di sentenza parziale; parimenti Trib. Brescia 25 ottobre 1951, Foro it., Rep. 1952, voce cit., n. 276, e Temi, 1952, 59 (con nota adesi va di A. Orengo, Rimessione al collegio e «ius novorum» in primo grado) e Cass. 10 settembre 1948, n. 1595, Foro it., Rep. 1948, voce
cit., n. 170. In dottrina, il principio è sostenuto da V. Andrioli, Com mento al codice di procedura civile, Napoli, 1956, II, 83-84.
Invero, la giurisprudenza sia di legittimità che di merito è da sempre ferma nel ritenere che nel corso del giudizio successivo al rinvio della causa dal collegio all'istruttore, devono ritenersi ammissibili le modifi cazioni delle domande e delle eccezioni già formulate, la produzione di nuovi documenti e di nuovi mezzi di prova in genere nonché la pro posizione di nuove eccezioni; in tal senso, v., oltre alle sentenze già citate in motivazione, Cass. 16 maggio 1973, n. 1392, Foro it., 1973, I, 2466; 26 novembre 1971, n. 3445, id., Rep. 1972, voce cit., n. 182 e Giust. civ., 1972, I, 899; 6 marzo 1970, n. 583, Foro it., Rep. 1970, voce cit., n. 184, e Giust. civ. 1970, I, 1017; 7 gennaio 1966, n. 136, Foro it., Rep. 1966, voce cit., n. 285; 6 agosto 1965, n. 1892, id., Rep. 1965, voce cit., n. 338; 22 luglio 1964, n. 1955, id., Rep. 1964, voce cit., n. 313; 26 febbraio 1960, n. 348, id., Rep. 1960, voce cit., n. 235; 18 giugno e 22 febbraio 1960, nn. 1602 e 300, ibid., nn. 236, 237, e Giust. civ., 1960, I, 1767 e 947; App. Roma 23 marzo 1959, Foro it., 1959, I, 839, con nota di richiami. In dottrina, cfr. P. Pajar
di, in Commentario del codice di procedura civile diretto da E. Auo
rio, Torino, 1980, II, 570. Sotto questo profilo, vi è concordia nel ritenere che, ove una delle
parti abbia proposto una nuova domanda in sede di comparsa conclu
sionale, il giudice debba pronunciarsi sulla stessa ove la controparte accetti espressamente il contraddittorio nella fase di trattazione seguita al ritorno della causa all'istruttore; cosi Cass. 16 maggio 1990, n. 4234, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 152; 14 giugno 1982, n. 3620, id., Rep. 1982, voce cit., n. 157; 20 dicembre 1978, n. 6117, id., Rep. 1978, voce cit., 147.
Il Foro Italiano — 1995.
Svolgimento del processo. — Rosario Centamore ha chiesto
l'accertamento del suo diritto di proprietà, per la quota di un
terzo, su un fabbricato con terreno circostante posto in Valver
de, nella via Vittorio Emanuele n. 200, ed intestato ai suoi fra
telli Alfio e Salvatore, sostenendo che il terreno è stato acqui stato ed il fabbricato è stato costruito anche con il suo denaro
dai fratelli che, proprio per questo motivo, hanno riconosciuto
il suo diritto di proprietà in una scrittura privata del 21 giugno 1962.
Alfio e Salvatore Centamore si sono opposti alla domanda
sostenendo, anzitutto, per quello che interessa in questa sede, che la scrittura invocata dall'attore è simulata e, contenendo
solo una dichiarazione unilaterale, non ha, comunque, efficacia
obbligatoria o reale, ed eccependo, in subordine, di avere usu
capito la proprietà indivisa della quota rivendicata dall'attore, avendone avuto il possesso ininterrotto per oltre venti anni.
In via riconvenzionale i predetti convenuti hanno chiesto che, in caso di accoglimento al pagamento di un terzo delle somme
da loro sborsate per l'acquisto del terreno e la costruzione del
l'edificio. La Corte d'appello di Catania, riformando la sentenza del
giudice di primo grado, che aveva solo parzialmente accolto
la domanda di Rosaria Centamore, ha accertato e dichiarato
che quest'ultimo è proprietario, per un terzo, del fabbricato
ed ha rigettato la domanda riconvenzionale dei fratelli Alfio
e Salvatore Centamore.
Con le sentenze indicate in epigrafe, la corte di merito ha, in paricolare, ritenuto:
1) che nella scrittura del 22 giugno 1962 i fratelli Alfio e Sal vatore Centamore non hanno solo riconosciuto il diritto di pro
prietà per quota indivisa del fratello ma hanno anche dichiarato
di volere trsferire a questo il fabbricato, per la quota di un
terzo, ponendo in essere un atto negoziale che, essendo stato
accettato da Rosario Centamore, ha prodotto, anche per questo autonomo motivo, l'effetto traslativo voluto dalle parti;
2) che il rapporto causale di questo trasferimento deve essere
identificato nella utile gestione, da parte di Alfio e Salvatore
Centamore, degli affari del fratello Rosario, che, essendo in
quel tempo minorenne, non poteva partecipare agevolmente agli atti negoziali necessari per l'acquisto del terreno e la costruzio
ne del fabbricato;
3) che fino alla data della scrittura privata del 22 giugno 1962
i costi di acquisto del terreno e di costruzione dell'edificio sono
stati regolarmente rimborsati da Rosario Centamore ai fratelli
secondo ciò che indirettamente risulta dalla predetta scrittura, ove Alfio e Salvatore Centamore hanno dichiarato di non van
tare pretese di sorta nei confronti del fratello;
4) che il credito di Alfio e Salvatore Centamore per le succes sive spese di completamento dell'edificio, essendo sorto sicura
mente prima del gennaio del 1972, dato che nel giugno del 1971
l'edificio era completamente ultimato, è estinto essendosi già maturata la prescrizione decennale quando dai predetti fratelli
è stato fatto valere con la domanda riconvenzionale proposta, nel giudizio di primo grado, con la comparsa di risposta del 26 gennaio 1982;
5) che il compossesso del bene da parte di Rosario Centamo
re esclude il possesso esclusivo che i fratelli Alfio e Salvatore
Centamore sostengono di avere esercitato sul bene per il ven
tennio necessario per l'usucapione. Contro queste sentenze Alfio e Salvatore Centamore ricorro
no per cassazione. Rosario Centamore resiste con controricor
so. Sia i ricorrenti che il controricorrente hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — (Omissis). Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli art.
1150, 2031, 2032, 2909, 2935 c.c., nonché omessa e contraddit toria motivazione su fatti decisivi, sostenendo che la corte di
merito: 1) non avrebbe potuto dichiarare, nella sentenza defini
tiva, la prescrizione del loro diritto alla rifusione delle spese
Per una soluzione intermedia, v. Cass. 28 aprile 1962, n. 839, id., Rep. 1962, voce cit., n. 272, in cui si ammette che le parti possano formulare nuove deduzioni, chiedere nuovi mezzi di prova e produrre in giudizio nuovi documenti sia pure nei limiti delle esigenze degli ulte riori accertamenti rimessi al giudice istruttore che si riferisce, di regola, a punti ben determinati della controversia.
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