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sezione III civile; sentenza 29 ottobre 2001, n. 13419; Pres. Fiduccia, Est. Preden, P.M. Russo(concl. parz. diff.); Ottomano (Avv. Nanna) c. Borrelli (Avv. Sacchetti, Notaristefano).Conferma Trib. Bari 25 settembre 1999Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 5 (MAGGIO 2002), pp. 1467/1468-1473/1474Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198359 .
Accessed: 25/06/2014 03:31
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1467 PARTE PRIMA 1468
In definitiva, pur essendo diversi i titoli posti a fondamento
della domanda, il petitum è identico per tutti e tre i convenuti, essendo identico l'oggetto dell'azione. Pertanto, così come
l'attrice ha formulato la domanda, non può negarsi che, versan
dosi in un caso di responsabilità alternativa, ciò che la Sigma International dovesse ottenere da uno dei soggetti obbligati non
potrebbe non influire sulla posizione processuale degli altri
convenuti, in quanto la responsabilità dell'uno influisce su
quella dell'altro.
Sull'esistenza di una connessione in relazione all'oggetto tra
azione contro il vettore marittimo e azione contro l'assicuratore
e al rapporto di alternatività tra le prestazioni dovute dai due
soggetti, con conseguente spostamento della competenza inter
nazionale, la giurisprudenza della corte si è ripetutamente pro nunciata: v., fra le altre, sez. un. 14 novembre 1981, n. 6035
{id., 1982, I, 1640), e 21 maggio 1986, n. 3375 (id., Rep. 1987, voce Giurisdizione civile, n. 70).
Nessun sostegno alla tesi delle società ricorrenti può, del re
sto, ricavarsi dalla sentenza della Corte di giustizia 27 ottobre
1998, causa C-51/97, Reunion Européenne SA c. Spliethoffs Be
vrachtingskantoor BV (id., Rep. 1999, voce cit., n. 99), nella
quale è stata esclusa l'esistenza di una connessione, ai fini del
l'applicazione degli art. 6, n. 1, e 22 della convenzione, tra le
domande di risarcimento nei confronti del vettore di fatto (e non
di quello indicato nella polizza di carico) e dell'assicuratore.
Tale esclusione è stata, infatti, ritenuta dalla Corte comunita
ria sul diverso fondamento delle due domande, fondata, la prima sulla responsabilità extracontrattuale, la seconda sulla responsa bilità contrattuale. Nel caso di specie, invece, le due domande si
fondano entrambe sulla responsabilità contrattuale; inoltre,
l'applicabilità degli art. 6, n. 1, e 22 era esclusa perché la causa
era stata proposta dinanzi a un giudice nella cui circoscrizione
non aveva sede alcuno dei convenuti.
La decisione, pertanto, non contiene alcuna deviazione dai
principi affermati dalla Corte di giustizia nella sentenza Kalfeìis del 1988.
3. - In conclusione, deve essere dichiarata la giurisdizione del
giudice italiano nei confronti di tutte le convenute.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 29 ottobre 2001, n. 13419; Pres. Fiduccia, Est. Preden, P.M. Russo (conci, parz. diff.); Ottomano (Avv. Nanna) c. Borrelli
(Avv. Sacchetti, Notaristefano). Conferma Trib. Bari 25 settembre 1999.
Sfratto (procedimento per la convalida) — Opposizione tar
diva — Natura — Articolazione — Fase rescissoria —
Domanda nuova del locatore intimante — Inammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 384, 416, 420, 447 bis, 668).
Poiché il giudizio di opposizione tardiva alla convalida di sfratto, ex art. 668 c.p.c., ha natura di mezzo di impugnazione speciale, che si articola in una duplice fase, rescindente e re
scissoria, nella seconda delle quali oggetto del giudizio di
merito è il diritto azionato con l'originaria intimazione di li cenza o di sfratto dal locatore, il quale assume la veste so stanziale di attore, nel giudizio di merito, soggetto al rito di cui all'art. 447 bis c.p.c., che si instaura con l'apertura della
fase rescissoria, il locatore medesimo non può proporre do mande nuove, ma tutt 'al più modificare la propria domanda, ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 420, 1° comma,
c.p.c. (nella specie, la Suprema corte, rilevando la novità della domanda di condanna al pagamento di canoni ed oneri accessori relativi a periodi del rapporto locatizio ulteriori ri
spetto a quelli dedotti nell'originaria intimazione di sfratto
Il Foro Italiano — 2002.
per morosità, ha confermato, correggendone la motivazione
ai sensi dell'art. 384 c.p.c., la sentenza del giudice del meri
to, che aveva ritenuto inammissibile detta domanda perché
proposta oltre il termine di decadenza previsto per le doman
de riconvenzionali). (1)
(1) Con la decisione che si riporta la corte di legittimità affronta per la prima volta approfonditamente la problematica della natura e della struttura dell'opposizione tardiva alla convalida di sfratto ex art. 668
c.p.c., aderendo alla tesi, autorevolmente sostenuta in dottrina (v. A. Proto Pisani, Il procedimento per convalida di sfratto, in Riv. trim. dir.
eproc. civ., 1988, 1379; R. Preden, Sfratto (procedimento per convali da di), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, XLII, 429,
spec. 452; G. Trisorio Liuzzi, Procedimenti in materia di locazione, voce del Digesto civ., Torino, 1996, XIV, 459, spec. 505 ss.; F. Trifo
ne, Del procedimento per convalida di sfratto, in Cod. proc. civ. comm. a cura di Vaccarella-Verde, Torino, 1997, IV, 260), secondo cui si tratta di uno speciale mezzo di impugnazione del provvedimento emes so dal giudice ai sensi dell'art. 663 c.p.c., ed il relativo procedimento si articola in una fase rescindente, diretta ad ottenere la declaratoria della nullità e la revoca del provvedimento impugnato, ed in una susseguente (eventuale) fase rescissoria, diretta ad ottenere la sua sostituzione con una sentenza favorevole all'opponente («nella quale oggetto del giudi zio di merito è il diritto azionato dal locatore con l'originaria intima zione di licenza o sfratto»). Un accenno alla distinzione tra le due fasi anzidette si rinviene nella motivazione di Trib. Milano 31 maggio 1999, Foro it., 2000, I, 680. In dottrina, v. anche, da ultimo, ampia mente, R. Frasca, Il procedimento per convalida di sfratto, in Giur. sist. dir. proc. civ. diretta da A. Proto Pisani, Torino, 2001, 455 ss.
La natura impugnatoria dell'opposizione ex art. 668 c.p.c. trova, pe raltro, riconoscimento, ancorché — sovente — solo incidentalmente, nella giurisprudenza consolidata: cfr., tra le più recenti, Cass. 19 gen naio 2000, n. 560, Foro it.. Rep. 2000, voce Sfratto, n. 18; 16 maggio 1997, n. 4366, id., Rep. 1997, voce cit., n. 11; 1° dicembre 1994, n.
10270, id., Rep. 1995, voce cit., n. 24; 27 aprile 1994, n. 3977, id., 1995, I, 230 (riportata anche in Rass. locazioni, 1995, 354, con nota di A. Carrato); nonché, da ultimo, Cass. 21 novembre 2001, n. 14720, Foro it., Mass., 1169; concorde, sul punto, è anche l'opinione della dottrina prevalente: oltre agli autori poc'anzi menzionati, v. E. Garba
gnati, I procedimenti di ingiunzione e per convalida di sfratto, 5" ed., Milano, 1979, 340; C. Cavallini, In tema di «decisione» sull'ammissi bilità dell'opposizione tardiva alla convalida di sfratto, in Giur. it., 1995, I, 1, 1122; M. Di Marzio, Il procedimento per convalida di licen za e sfratto, Milano, 1998, 348 ss.; C. Mandrioli, Diritto processuale civile, 13aed„ Torino, 2000, III, 233.
Altra parte (ormai minoritaria) della dottrina, configura, invece, l'opposizione ex art. 668 c.p.c. come rivolta contro l'intimazione, sot tolineandone quindi il parallelismo con l'opposizione tempestiva di cui all'art. 665 c.p.c.: in questo senso, N. Giudiceandrea, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 1956, 380; V. Anselmi Blaas, Il pro cedimento per convalida di licenza o di sfratto, Milano, 1966, 260; F. Lazzaro-R. Preden-M. Varrone, Il procedimento per convalida di
sfratto, Milano, 1978, 294; A. Bucci-M. Crescenzi, Il procedimento per convalida di sfratto, Padova. 1990, 153 ss. E nella stessa ottica sembre rebbero muoversi, in verità, anche quelle pronunzie che, nel regime anteriore alla riforma processuale della I. 353/90, riservavano al giudice competente per valore, ex art. 667 c.p.c., non soltanto il merito della
controversia, ma anche la decisione in ordine all'ammissibilità dell'op posizione tardiva (come Cass. 3 marzo 1999, n. 1785, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 24, e 2 dicembre 1993, n. 11923, id., 1994, I, 1074, con nota di richiami).
Circa i presupposti di ammissibilità dell'opposizione tardiva alla convalida di sfratto, v. Trib. Milano 31 maggio 1999, cit., e Pret. Torre
Annunziata-Gragnano 13 febbraio 1995, id., 1995, I, 2313, e le rispetti ve note di richiami.
Per quanto riguarda, invece, il termine utile per la proposizione del rimedio ex art. 668 c.p.c., v., nel senso che esso decorre dal primo ac cesso dell'ufficiale giudiziario, che segna l'inizio dell'esecuzione for zata per rilascio, Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1610, id., 1989, I, 2168, con nota di richiami di D. Piombo; Pret. Verona 19 aprile 1989, id., 1990, I, 3034, e, da ultimo, Cass. 26 ottobre 2001, n. 13310, id., Mass., 1065. Per una diversa soluzione, qualora la causa di forza mag giore, che abbia impedito all'intimato la conoscenza del procedimento di sfratto, si protragga oltre l'inizio dell'esecuzione, v., tuttavia, Pret.
Bologna 19 gennaio 1995, id., 1995,1, 3615. Nel restringere alla sola modifica della domanda, nei limiti e alle
condizioni di cui all'art. 420, 1° comma, c.p.c., i mutamenti della do manda consentiti all'intimante-opposto nella fase rescissoria dell'oppo sizione ex art. 668 c.p.c., la Cassazione sembrerebbe, d'altra parte, avallare la tesi secondo cui, nel caso di tempestiva opposizione dell'in timato alla convalida dello sfratto e di conseguente prosecuzione del
giudizio con il rito locatizio, ex art. 667 o 447 bis c.p.c., è inammissi bile la proposizione, da parte del locatore-intimante, di domande nuove (c.d. mutatio libelli) con la memoria integrativa depositata in seguito
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 25 marzo
1996, Bruno Ottomano conveniva davanti al Pretore di Bari
Luisa Borrelli proponendo opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c. avverso ordinanza di convalida di sfratto per morosità relativa ai
canoni di locazione dei mesi di settembre, ottobre e novembre
1995, per complessive lire 2.159.259.
Deduceva l'irregolarità della notifica dell'intimazione, e, nel
merito, contestava la sussistenza della morosità, affermando di
essere creditore di somme versate in eccedenza.
La locatrice opposta resisteva; ribadiva che il conduttore era
moroso per importi ben superiori alle tre mensilità poste a fon
damento dell'intimazione di sfratto, maturati nel corso del rap
porto, sia in epoca precedente che successiva al suindicato pe riodo, a titolo di canoni e di oneri accessori; per i relativi im porti chiedeva pronunciarsi condanna.
Il pretore sospendeva l'esecutorietà dell'ordinanza di conva
lida. Definiva quindi il giudizio con sentenza del 19 maggio 1998, con la quale:
— pronunciando sull'opposizione, la dichiarava ammissibile
e la accoglieva, revocando l'ordinanza di convalida; —
pronunciando nel merito, risolveva il contratto per moro
sità del conduttore nel pagamento dei canoni; condannava
l'Ottomano al rilascio ed al pagamento della somma di lire
9.275.160 e di tre quarti delle spese di lite. Avverso la sentenza proponeva appello l'Ottomano deducen
do: — che erroneamente il pretore aveva ritenuto ammissibile la
domanda riconvenzionale della Borrelli avente ad oggetto il pa
gamento dei canoni insoluti; — che erroneamente aveva considerato versate a titolo di ag
giornamento del canone le somme eccedenti la misura legale,
malgrado la mancanza di richiesta da parte della locatrice;
all'ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 (in questo senso, v. Trib. Modena 16 marzo 2000, iti., Rep. 2000, voce cit., n. 23, che può leggersi in Giur. it., 2000, 2293, e Giur. merito, 2000, 812), ed anzi an
che la modifica (c.d. emendatio libelli) dell'originaria domanda, propo sta con l'atto di intimazione e contestuale citazione in giudizio, non è
ammissibile incondizionatamente, ma solo in presenza di gravi motivi e
previa autorizzazione del giudice. Per tale orientamento, v., in dottrina, G. Trisorio Liuzzi, op. cit., 501; M. Di Marzio, op. cit., 331. Di diverso avviso è, invece, A. Magaraggia, Il procedimento di convalida dopo la
riforma del processo civile, in Rass. locazioni, 1996, 118, che si rifà al
l'orientamento consolidato della Cassazione formatosi nel regime ante riore alla riforma ex 1. 353/90, secondo il quale la «prosecuzione» del
giudizio ai sensi dell'art. 667 c.p.c. si configura(va) come un procedi mento nuovo ed autonomo, nell'ambito del quale all'attore è (era) data la possibilità di proporre domande fondate su una causapetendi diversa da quella originariamente dedotta (v., tra le pronunzie più recenti, Cass.
23 marzo 1991, n. 3154, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 31, e 13 gen naio 1981, n. 282, id., Rep. 1981, voce cit., n. 21. Sul punto, v. anche Pret. Trento-Cles 26 luglio 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 20, ripor tata in Giur. it., 1994, 1, 2, 900, con nota di P. D'Ascola, Osservazioni in tema di domanda nuova, modificazione della domanda e procedi mento per convalida di sfratto). R. Frasca, op. cit., 369 ss., a sua volta, ritiene che al locatore-intimante sia preclusa soltanto la possibilità di far valere nella fase del giudizio a cognizione piena un diritto diverso da quello originariamente dedotto nelle forme speciali di cui all'art. 657 c.p.c., ma non anche la possibilità di modificare liberamente la
domanda con la memoria di cui agli art. 667 e 426 c.p.c., ed osserva
come, essendo quelli tutelabili con il procedimento per convalida diritti c.d. autodeterminati (rispetto ai quali, cioè, il fatto costitutivo non as
sume efficacia individuatrice dell'azione), «il semplice mutamento
della causa petendi nella memoria integrativa, ove resti fermo il c.d.
petitum mediato, cioè la richiesta di rilascio dell'immobile, non può es
sere considerato un mutamento della domanda, ma rientra nell'ambito
del concetto di modifica della domanda». Per quanto riguarda la posizione delle parti nella fase rescissoria del
giudizio di opposizione tardiva alla convalida di sfratto, la sentenza in
rassegna rileva, altresì, l'analogia della situazione con quella che si
determina in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, con riferimento
alla quale l'orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità è nel senso che l'opposto, avendo la posizione sostanziale di attore, non
può proporre domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso mo
nitorio (ma soltanto precisare o modificare queste, nei limiti stabiliti dal
codice di procedura civile, a seconda del rito applicabile): v., in propo
sito, Cass. 25 marzo 1999, n. 2820, Foro it., Rep. 1999, voce Ingiun zione (procedimento per), n. 124; 29 gennaio 1999, n. 813, ibid., n.
125; 24 marzo 1998, n. 3115, id., 1998, I, 2166; nonché, per ulteriori ri
ferimenti, Pret. Torino 3 giugno 1997, ibid., 279, con nota di E. Fabia
ni.
Il Foro Italiano — 2002.
— che erroneamente aveva negato la concessione del termine
di grazia. La Borrelli resisteva e, con appello incidentale, censurava il
mancato riconoscimento delle somme dovute a titolo di oneri
accessori.
Il Tribunale di Bari, con sentenza del 25 settembre 1999, ac
coglieva parzialmente l'appello principale e dichiarava assor
bito quello incidentale; condannava la Borrelli al pagamento della metà delle spese del grado. Considerava il tribunale:
— che la Borrelli, chiedendo il pagamento degli ulteriori ca
noni insoluti e degli oneri accessori aveva proposto una doman
da riconvenzionale; — che tale domanda era inammissibile, perché proposta sen
za l'osservanza del termine di cui all'art. 166 c.p.c.; — che, tenuto conto delle somme versate dal conduttore e
dell'importo del canone, comprensivo degli aggiornamenti, sus
sisteva morosità, per complessive lire 5.606.828, per canoni si
no al mese di novembre 1995, non rilevando la mancata richie
sta degli aggiornamenti da parte della locatrice; — che la mancata concessione del termine di grazia rientrava
nel potere discrezionale del giudice di primo grado, il quale cor
rettamente non lo aveva concesso, risultando controverse non
solo l'esistenza ma anche l'entità della morosità.
Avverso la sentenza l'Ottomano ha proposto ricorso per cas
sazione, affidato ad unico mezzo.
Ha resistito, con controricorso, la Borrelli, che ha proposto ri
corso incidentale, nel quale ha svolto un unico motivo.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione. — 1. - I due ricorsi, proposti avverso
la medesima sentenza, vanno riuniti (art. 335 c.p.c.). 2. - Ricorso n. 8801/00. Con l'unico mezzo, la ricorrente in
cidentale, denunciando violazione e falsa applicazione degli art.
166, 167, 168 bis c.p.c. ed omessa, insufficiente e contradditto
ria motivazione circa un punto decisivo della controversia, de
duce che erroneamente il tribunale ha qualificato la domanda
proposta dalla locatrice nel giudizio di opposizione ex art. 668
c.p.c., avente ad oggetto il pagamento degli ulteriori canoni in
soluti e degli oneri accessori, come domanda riconvenzionale.
Sostiene che non di domanda riconvenzionale si trattava, ma
soltanto di ampliamento quantitativo della domanda originaria mente proposta con l'atto di intimazione.
3. - Il motivo va disatteso.
3.1. - La pronuncia di inammissibilità della domanda proposta dalla locatrice nel giudizio di opposizione tardiva avverso la convalida instaurato dal conduttore va tenuta ferma, previa cor
rezione della motivazione della sentenza impugnata. 3.2. - Ai sensi dell'art. 668 c.p.c. (nel testo integrato dalla
sentenza della Corte costituzionale 89/72, Foro it., 1972, I,
1525), se l'intimazione di licenza o di sfratto è stata convalidata
in assenza dell'intimato, questi può farvi opposizione provando di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della
notificazione o per caso fortuito o forza maggiore, ovvero di
non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore. 3.3. - Sulla natura del giudizio di opposizione tardiva alla
convalida non v'è concordia di opinioni in dottrina, né la que stione risulta esaminata approfonditamente dalla giurisprudenza di questa Suprema corte.
Il ricorso fornisce quindi occasione per soffermarsi sul tema.
3.3.1. - Secondo i fautori di una prima tesi, incentrata sul pa rallelismo tra opposizione tempestiva ex art. 665 c.p.c. ed oppo sizione tardiva ex art. 668 c.p.c., la proposizione dell'opposi zione tardiva determinerebbe l'insorgere di una situazione pro cessuale analoga a quella conseguente alla proposizione tempe stiva nel corso del procedimento per convalida.
L'opposizione ex art. 668 sarebbe rivolta non contro la con
valida, bensì contro l'intimazione (come consente di affermare
il tenore letterale della norma), ed avrebbe la portata di una ri
messione in termini dell'intimato, poiché porrebbe il giudice, nell'esercizio del potere di sospensione dell'ordinanza di con
valida per gravi motivi, nelle stesse condizioni previste dall'art.
665, equivalendo la concessione della sospensione ad un dinie
go dell'ordinanza di rilascio e determinando il rigetto dell'i
stanza di sospensione la conversione della convalida in un
provvedimento provvisorio, analogo all'ordinanza di rilascio,
sul quale dovrà incidere la sentenza con la quale sarà definito il
giudizio (il necessario parallelismo tra opposizione tardiva ed
opposizione tempestiva è postulato, ma non argomentato, in
giurisprudenza, da questa Suprema corte, con la sent. 4641/83,
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PARTE PRIMA 1472
id., Rep. 1984, voce Sfratto, n. 33, che individua il giudice competente a conoscere dell'ammissibilità dell'opposizione nel
giudice competente per il merito, se diverso dal pretore; tale
questione è peraltro superata a seguito dell'istituzione del giudi ce unico di primo grado).
3.3.2. - Alla suindicata ricostruzione si contrappone la tesi se
condo la quale l'opposizione tardiva alla convalida non può ri
tenersi equipollente all'opposizione tempestiva che l'intimato
avrebbe potuto proporre in sede di procedimento di convalida, se ritualmente citato ed esente da impedimenti a comparire, ma
ha natura di mezzo di impugnazione speciale.
L'opposta tesi è criticata sulla base delle seguenti osservazio
ni: —
l'opposizione tempestiva si rivolge contro un atto di parte, costituito dall'intimazione, e preclude l'adozione dell'ordinanza
di convalida, mentre l'opposizione tardiva (nonostante l'impro
pria formulazione della norma) si rivolge contro un provvedi mento giurisdizionale già esistente, che tende a rimuovere;
— l'opposizione tardiva non determina ipso iure la sospen
sione dell'esecutorietà dell'ordinanza di convalida, poiché oc
corre un'espressa pronuncia del giudice che ravvisi la sussisten
za di gravi motivi, imponendo, se lo ritiene opportuno, una cau
zione all'opponente; — un atto di parte, qual è l'opposizione tardiva, non può in
cidere direttamente su di un provvedimento giurisdizionale do
tato di efficacia di titolo esecutivo che accerta il diritto del lo
catore.
In positivo, si sostiene che l'opposizione tardiva alla convali
da ha natura di mezzo di impugnazione speciale (in tal senso, ma senza specifica motivazione di dissenso circa la tesi della
rimessione in termini nell'ambito del procedimento di convali
da, v. sent. 2857/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 12, e 4699/84,
id., Rep. 1985, voce cit., n. 26, che dall'esistenza del mezzo di
impugnazione di cui all'art. 668 desumono l'inammissibilità del ricorso ex art. Ill Cost, avverso l'ordinanza di convalida), arti
colato in una duplice fase rescindente e rescissoria.
Nella fase rescindente, se il giudice dell'opposizione ravvisa i
vizi in procedendo denunciati dall'opponente, deve dichiarare la
nullità dell'ordinanza di convalida e revocarla.
Tale pronuncia non esaurisce tuttavia il giudizio, ma apre la
fase rescissoria, nella quale oggetto del giudizio di merito è il
diritto azionato dal locatore con l'originaria intimazione di li
cenza o sfratto: oggetto del contendere è la fondatezza o meno
della pretesa azionata con il procedimento speciale dal locatore.
3.3.3. - Ad avviso del collegio, appare meritevole di adesione, in ragione delle argomentazioni che la sorreggono, la seconda
delle due tesi sopra richiamate.
Ai fini dalla presente pronuncia, tenuto conto della proposi zione dell'opposizione nel vigore dell'art. 447 bis c.p.c., occor re preliminarmente notare che il giudizio di merito che si instau
ra con l'apertura della fase rescissoria ha natura di controversia in materia di locazione, con conseguente applicazione del rito di cui alla citata disposizione.
Va ancora rilevato che nel giudizio di merito rescissorio, avente ad oggetto la fondatezza della pretesa svolta dal locatore
(opposto) nei confronti del conduttore (opponente) con l'origi naria intimazione, la posizione sostanziale delle parti non coin cide con quella formale.
L'opponente assume (o meglio conserva) la veste sostanziale di convenuto e le sue deduzioni, ancorché contenute in un atto di citazione, in quanto volte a contestare la fondatezza dell'av versa pretesa, hanno natura di eccezioni. A sua volta l'opposto, ancorché sia stato formalmente convenuto in giudizio, assume
(o meglio conserva) la veste sostanziale di attore. Le sue dedu zioni non hanno perciò natura di domande riconvenzionali, e non sono quindi soggette alle forme ed ai termini per queste
previsti a pena di decadenza, nel rito delle locazioni (art. 416 ri
chiamato dall'art. 447 bis), ma costituiscono reiterazione o,
eventualmente, modifica (ai sensi e nei limiti di cui all'art. 420, come sopra richiamato) della domanda originariamente proposta con l'atto di intimazione (la situazione risulta quindi simile a
quella che si instaura mediante l'opposizione a decreto ingiunti vo, nella quale, per consolidata giurisprudenza, l'opponente è
sostanzialmente convenuto, e può proporre domande riconven
zionali, mentre l'opposto è sostanzialmente attore e non può
proporre domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiun zione: sent. 2820/99, id., Rep. 1999, voce Ingiunzione (proce
lla Foro Italiano — 2002.
dimento per), n. 124; 813/99, ibid., n. 125; 3115/98, id., 1998,1, 2166).
Occorre considerare che, nel giudizio di merito instaurato con
l'apertura della fase rescissoria dell'opposizione tardiva alla
convalida, disciplinato dal rito delle locazioni, la facoltà del lo
catore-opposto di modificare la propria domanda è soggetta al
limite dell'art. 420, 1° comma, che consente la modifica delle
domande già formulate (espressione che, nel giudizio di cui
trattasi, deve essere intesa con riferimento alla proposizione della domanda con l'atto di intimazione di licenza o di sfratto), se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice.
Il linea di massima, può quindi ammettersi, nel concorso del
duplice requisito sopra menzionato, per il locatore-opposto, la
facoltà di compiere una emendatio libelli, dovendosi per con
verso ritenere esclusa l'ammissibilità di proporre una domanda
nuova rispetto a quella enunciata con l'atto di intimazione.
Ora, risulta dagli atti, che questa Suprema corte è abilitata ad
esaminare direttamente, vertendosi in tema di valutazione del
l'ammissibilità o meno di domande, a seconda della loro quali ficazione come semplice emendatio libelli ovvero come radicale
mutatio libelli, che la pretesa del locatore-opposto, enunciata
con l'intimazione di sfratto per morosità, concerneva l'accerta
mento di una situazione di morosità nel pagamento dei canoni di
un determinato periodo (da settembre a novembre 1995). Con la comparsa di costituzione, il locatore-opposto ha radi
calmente mutato l'oggetto della sua pretesa. Ha invero dedotto
una assai più consistente situazione di morosità, derivante dalla
complessiva riconsiderazione dei rapporti di dare ed avere du
rante tutto il corso del rapporto (e non soltanto in relazione al
periodo già dedotto con l'intimazione ed al periodo successivo), sia a titolo di canoni che a titolo di oneri accessori (non men
zionati, questi ultimi, nell'intimazione come elemento della mo
rosità), al fine di ottenere il pagamento dei relativi importi. Ma
così facendo ha introdotto una domanda del tutto nuova, come
tale inammissibile nella fase rescissoria del giudizio di opposi zione tardiva alla convalida, soggetto al rito delle locazioni.
E va rilevato, altresì, che su tale nuova domanda il condutto
re-opponente non ha accettato il contraddittorio, ma, qualifican dola come riconvenzionale, ne ha espressamente eccepito l'i
nammissibilità, perché tardivamente proposta. 3.4. - In conclusione, previa correzione della motivazione nei
sensi suindicati, la statuizione di inammissibilità della domanda proposta dal locatore-opposto adottata dal giudice d'appello va
tenuta ferma.
4. - Ricorso n. 5761/00. Con l'unico mezzo, il ricorrente
principale, denunciando violazione e falsa applicazione degli art. 12, 24, 55 e 79 1. n. 392 del 1978, dell'art. 1453 c.c., del l'art. 91 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, svolge due censure.
4.1. - Con la prima, deduce che erroneamente il tribunale ha
compreso nell'importo delle somme dovute dal conduttore gli aggiornamenti Istat del canone, malgrado la locatrice non avesse mai espressamente richiesto l'aggiornamento, come previsto dall'art. 24 della legge sull'equo canone.
4.2. - Con la seconda, deduce che il tribunale non ha indicato le ragioni che giustificavano la mancata concessione del termine
di grazia richiesto in primo grado dal conduttore.
5. - Entrambe le censure sono infondate.
5.1. - Per costante giurisprudenza di questa Suprema corte, in
tema di locazione di immobili urbani, qualora le parti abbiano
stabilito un canone convenzionale ed il conduttore richieda suc
cessivamente la determinazione di quello equo (e l'eventuale
restituzione delle somme corrisposte contra legem) questo deve
essere calcolato con gli aggiornamenti Istat che il locatore non
aveva motivo di richiedere in quanto già compresi nel maggior canone pattiziamente convenuto (sent. 4382/87, id., Rep. 1987, voce Locazione, n. 352; 977/95, id., Rep. 1995, voce cit., n.
298; 2933/95, ibid., n. 310). Al principio si è sostanzialmente attenuto il giudice del me
rito, che ha ritenuto irrilevante la mancata richiesta dell'aggior namento del canone, atteso che, per maggiorazioni progressive, il canone aveva superato la misura legale, incorporando gli ag giornamenti.
La considerazione, ai fini dell'accertamento della morosità,
degli importi dovuti a titolo di aggiornamento non inficia quindi la ritenuta sussistenza della morosità, che ha determinato la pro nuncia di risoluzione.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
5.2. - Per costante giurisprudenza di questa Suprema corte il
diniego del giudice di concedere al conduttore moroso il termi
ne per il pagamento ex art. 55 1. n. 392 del 1978 sfugge al sin
dacato della Corte di cassazione ove sia motivato con argomen tazioni immuni da vizi logici o giuridici (sent. 4490/82, id., Rep. 1983, voce cit., n. 575; 1817/84, id., Rep. 1984, voce cit., n.
476; 5113/89, id., Rep. 1989, voce cit., n. 668). Ed i menzionati caratteri esibisce la motivazione adottata dal
giudice del merito.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 29 ottobre 2001, n. 13406; Pres. Grossi, Est. Trifone, P.M.
Maccarone (conci, conf.); Zorzin e altra (Avv. Mastrobuo
no, Moze, Zuppi) c. Morselli (Avv. Messineo). Conferma
App. Trieste 27 marzo 1997.
Distanze legali — Fondi a dislivello — Rovina del muro —
Danneggiamento a terzi — Responsabilità solidale dei
proprietari dei fondi finitimi — Fattispecie (Cod. civ., art. 880, 887, 2053).
Nell 'ipotesi in cui non sia stata superata la presunzione dì co
munione del muro di confine tra fondi a dislivello, i proprie tari dei fondi superiore ed inferiore sono solidalmente re
sponsabili nei confronti dei terzi danneggiati dalla rovina del
muro comune. (1)
(1) La disciplina delle limitazioni legali nei rapporti di vicinato ge nera un sistema normativo spesso difficilmente comprensibile: qualcu no potrebbe (maliziosamente?) opinare che la sua impermeabilità miri a disincentivare l'alto tasso di litigiosità, che sembra essere caratteristica
peculiare dei rapporti di vicinato. In particolare, la disciplina del muro di confine fonde i problemi delle distanze tra costruzioni con quelli della separazione tra le proprietà, e innesca una complessità normativa
(almeno a livello applicativo) che raggiunge l'apice nella disciplina del muro di cinta nei fondi a dislivello.
L'art. 887 c.c. regola la costruzione del muro di cinta nei fondi a di slivello posti negli abitati: il manufatto deve essere costruito per metà sul terreno di ciascun fondo, rimanendo in comune solo dal punto in cui i fondi si livellano idealmente. Ne deriva, per la parte a dislivello, l'o nere —
per il proprietario del fondo superiore — di sopportare l'intera
spesa di costruzione e manutenzione. Secondo la giurisprudenza di le
gittimità, cui esplicitamente si rifà la stessa decisione in epigrafe, tale norma pone una presunzione semplice di comproprietà di detto muro, salva la possibilità per gli interessati di provare il contrario (Cass. 11
agosto 1980, n. 4924, Foro it., 1981, 1, 2535: l'art. 887 c.c., nel disci
plinare il regime delle spese di costruzione e conservazione del muro di confine comune fra fondi a dislivello negli abitati, pone una presunzio ne semplice di comproprietà di detto muro, salvo agli interessati il di ritto di provare con ogni mezzo, ed al giudice il potere di raggiungere il convincimento anche per via presuntiva, la proprietà esclusiva del muro a favore del proprietario del fondo sopraelevato o di quello sottostante, a seconda che il muro sia stato costruito interamente sul suolo di uno soltanto dei due confinanti, allo scopo, rispettivamente, di contenere il fondo sopraelevato o di realizzare una struttura necessaria o utile per il fondo a valle).
La dottrina si è espressa causticamente sulla norma, giudicandola «tra le più illogiche ed inique» (Tabet-Ottolenghi-Scaliti, La pro
prietà, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Torino, 1981,
494), posto che «il proprietario del fondo inferiore può costringere» (e, si aggiunge, per espressa previsione legislativa) «il vicino a costruire a sue spese un muro per tutta l'altezza del dislivello, che può essere an
che cospicua, solo per il diritto di avere un muro di cinta divisorio, di
altezza regolamentare, dal piano di campagna del fondo superiore. Non
si comprende, quando il dislivello sia superiore a tre metri, quale inte
resse abbia il proprietario del fondo inferiore all'esistenza e alla com
proprietà di un muro di cinta, che si innalza di tre metri dal piano di
campagna del fondo superiore e che non può essere per lui irraggiungi bile». Non solo, ma la gravosità per il proprietario del fondo superiore aumenta, sol che si guardi all'obbligo di costruire metà del muro sul
terreno di un fondo e metà sul terreno dell'altro.
Il Foro Italiano — 2002.
Svolgimento del processo. — Con citazione del 26 settembre
1988 Giorgio Gorella conveniva in giudizio, innanzi al Tribu nale di Trieste, Oreste Morselli per ottenerne la condanna al ri
sarcimento dei danni, arrecati alla sua autovettura in sosta dal
crollo del muro posto al confine della proprietà del convenuto.
Il convenuto si difendeva assumendo che il muro, posto sul
confine tra fondi a dislivello, era stato costruito da Livio Zorzin,
proprietario del fondo sottostante, allo scopo di proteggere la
sua proprietà. Con separata citazione del 26 settembre 1988 Roberto Ruz
zier svolgeva analoga domanda per danni nei confronti di Oreste
Morselli, assumendo sempre che il crollo del muro aveva coin
volto anche un carrello portabarche ed un motore nautico di sua
proprietà ed anche in questa causa il convenuto si difendeva ec
cependo che il muro era stato costruito dai proprietari del fondo
sottostante.
Nella costituzione dei chiamati in causa Livio e Luisa Zorzin
e nel contraddittorio, altresì, di Guerrina Scodellare e della so
cietà Italpetroli s.r.l., l'adito Tribunale di Trieste, decidendo le cause riunite in simultaneo processo, con sentenza depositata il
23 maggio 1995, condannava Oreste Morselli, Livio Zorzin e
Luisa Zorzin, in solido, a risarcire i danni reclamati nei loro confronti da Giorgio Gorella e Roberto Ruzzier e rigettava le
domande avanzate nei confronti della Scodellare e della Italpe troli s.r.l.
Il tribunale considerava che la responsabilità solidale dei
convenuti derivava dalla previsione dell'art. 2053 c.c., poiché
La stessa dottrina citata, inoltre, si interroga sulla natura giuridica del muro costruito su fondi a dislivello, posto che, nel silenzio normativo sulla porzione inferiore del muro, appare «innegabile che la parte che si eleva dal piano di campagna del fondo superiore è comune, perché sor
ge sulla metà di ciascun suolo, è costruita a spese comuni e assolve alla funzione del muro di cinta». Nel silenzio normativo sulla facciata infe
riore, si ritiene «più logico concludere che il tratto di muro sino al pia no di campagna del fondo superiore si appartiene in proprietà esclusiva al proprietario di questo, dando luogo ad uno strano sistema di doppia proprietà superficiaria parziale, giacché metà del muro poggia sul suolo altrui e il muro di cinta comune, posto alla sommità, poggia su muro di esclusiva proprietà di uno dei comproprietari».
Per la Suprema corte, invece, la comproprietà (rectius, la presunzio ne semplice di essa) si estende all'intero manufatto, salvo il diritto de
gli interessati di provare il contrario. L'applicazione del principio al ca so di specie comporta la soluzione massimata, nel senso della respon sabilità solidale di entrambi i proprietari nei confronti dei terzi danneg giati dalla rovina del muro comune, giusta l'art. 2053 c.c. La ripartizio ne dell'obbligo risarcitorio si complicherebbe, e neppure poco, se si ac
cogliesse la soluzione prospettata in dottrina: considerare la parte supe riore in comune e quella inferiore di proprietà esclusiva del proprietario del fondo superiore, con tanto di doppia proprietà superficiaria parziale, ingenerebbe un (ulteriore) circolo vizioso sulle quote risarcitone ri
spettivamente addebitabili. Né soccorre, in tal senso, la disciplina delle
spese di conservazione, sol che si pensi alla possibilità, per il proprieta rio del suolo inferiore, di far costruire il muro sino all'altezza del suolo
superiore, pretendendo a spese di quest'ultimo le spese di conservazio ne: appare logico (ed equo) preferire la soluzione giurisprudenziale della presunzione (sia pure iuris tantum) di comunione, recuperando al
pignolo proprietario del fondo inferiore una parte di spese per la via della corresponsabilità (si noti come Tabet-Ottolenghi-Scauti, op. cit., 572, ritengano la comunione forzosa del muro un non senso, «per ché, anche nell'ipotesi tipica dell'art. 887, il muro resta, come si è vi
sto, di proprietà esclusiva di colui che ha l'obbligo di costruirlo, mentre
poi, come si è avuto occasione di sottolineare, la comunione forzosa è una facoltà e giammai un dovere»).
La norma in questione «non trova [, invece,] applicazione [con ciò
semplificando di molto il ruolo e degli interpreti e dei proprietari] né
quando la creazione di un dislivello ex novo — ovvero l'aumento del
l'originario dislivello naturale — sia opera del proprietario del fondo inferiore (incombendo su quest'ultimo, in tal caso, l'onere della realiz
zazione e manutenzione del muro di sostegno della scarpata da lui stes
so creata ovvero reso maggiormente soggetto a smottamenti), né qualo ra il muro sia stato costruito esclusivamente sul suolo di uno dei due
fondi, superiore od inferiore (nel qual caso sussiste la proprietà esclusi
va del muro in capo al proprietario del relativo fondo), né quando il
muro sia stato, infine, costruito dal solo proprietario del fondo inferio
re, di propria autonoma iniziativa, allo scopo di realizzare una struttura
necessaria (o anche solo utile) per il proprio fondo (nel qual caso resta
a suo carico, con l'onere della costruzione, anche quello della manu tenzione del muro)»: Cass. 18 agosto 1998, n. 8171, Foro it., Rep. 1998, voce Distanze legali, n. 27 (nello stesso senso, Cass. 25 maggio 2001, n. 7131, id., Mass., 623). [M. Caputi]
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