Sezione III civile; sentenza 3 febbraio 1964, n. 272; Pres. Caizzi P., Est. Sbrocca, P. M. Gentile(concl. conf.); Min. difesa-esercito (Avv. dello Stato Santoro Passarelli) c. Soc. per la filatura deicascami di seta (Avv. Faraone, Patricolo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 87, No. 6 (1964), pp. 1185/1186-1187/1188Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23156181 .
Accessed: 25/06/2014 04:01
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 04:01:51 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Indubbiamente la impugnata sentenza presenta sul
punto una qualche incertezza e perplessità, avendo i giudici di appello da un lato ravvisato nella fattispecie dedotta in
giudizio gli estremi di una simulazione assoluta e dall'altro affermato la liceità del negozio dissimulato. Ed in effetti la enunciata interposizione fittizia di persona integrava proprio un caso particolare di simulazione relativa. Ma tale
perplessità della motivazione, che va rettificata nei sensi
sopra esposti, non inficia, la esattezza della decisione. In
vero, premesso che l'illiceità ex art. 1417 riguarda l'atti vità dispositiva posta in essere per eludere l'applicazione di
una norma imperativa, è ben certo invece che la pars ho norum riservata ai legittimari non importa per il de cuius un limite al potere di disposizione, nè conferisce al succes
sibile alcun diritto reale o personale prima dell'apertura della successione, tanto vero che gli atti lesivi non vengono considerati nulli ma soltanto riducibili.
Escluso adunque che la lesione della quota di riserva
implichi la violazione di un divieto o di un diritto sogget tivo preesistente, ovviamente consegue che il problema della
liceità o meno del contratto dissimulato non è addirittura
configurabile, pur quando l'attività negoziale sia stata
preordinata al preciso scopo di ledere le future ragioni del
legittimario. Merita invece accoglimento la censura di cui più sopra
si è fatto cenno al n. 3. Giova in proposito rilevare che le disposizioni, le quali
limitano l'ammissibilità della prova per testimoni e delle
presunzioni, non attengono all'ordine pubblico, ma sono
ispirate alla tutela di interessi privatistici, e quindi rien
trano nell'autonomia dispositiva delle parti litiganti. A
prescindere dal più generale problema dommatico se tale
libertà trovi giustificazione nella natura sostanziale della
discip ina giuridica del processo o se debba invece ricono
scersi l'esistenza di un diritto processuale dispositivo, è
comune inegnamento che l'inosservanza di detti limiti non
può essere sollevata ex officio dal giudice, salvo che la
controversia abbia ad oggetto l'accertamento di un negozio
per il quale la legge richiede ad substantiam la forma scritta.
E questa Suprema corte ha già avuto occasione di preci sare che la prova inter partes della simulazione resta affi
data alle norme comuni, con la conseguente possibilità per
gli interessati di derogare alle disposizioni limitative della
prova testimoniale e di quella per presunzione (sent. 17
marzo 1958, n. 872, Foro it., Rep. 1958, voce Frode e
simulazione, nn. 44, 45). D'altra parte neppure va omesso di ricordare che la
facoltà di proporre in appello nuove eccezioni, ai sensi del
l'art. 345, 2° comma, cod. proc. civ., è, qualora chi intende
proporre l'eccezione sia l'appellante, limitata dalla pre clusione costituita dalla specifica formulazione dei motivi
di gravame. In particolare, qualora siano state ammesse in
primo grado prove orali in violazione dei limiti legali di
ammissibilità, tale violazione, anche se eccepita allora da
chi si era opposto, per altre ragioni, alle prove medesime, deve costituire oggetto specifico di impugnazione, sicché, ove la doglianza investa soltanto l'apprezzamento valuta
tivo di merito, il giudice di appello non può rilevare di
ufficio la inammissibilità della prova presuntiva e di quella
testimoniale, senza incorrere in modo palese nel vizio di
ultrapetizione (Cass. 10 luglio 1962, n. 1828, jForo it., Rep. 1962, voce Prova testimoniale, n. 13).
Tali criteri giuridici sono stati del tutto disattesi dalla
corte di merito, giacche, com'è pacifico in atti, Angelo ed
Egidio Bresciani si sono limitati a dedurre in primo grado, anche in sede di reclamo contro l'ordinanza ammissiva della
prova testimoniale, la irrilevanza e non decisività delle
circostanze, oggetto del mezzo istruttorio, e neppure con
l'atto di appello avevano lamentato la inosservanza dei
limiti legali di ammissibilità delle prove, dalle quali il tri
bunale aveva desunto la simulazione del trasferimento delle
azioni sociali, sollevando irritualmente la relativa eccezione,
per la prima volta, con la memoria di replica del 9 dicembre
1960, e quindi i successivi scritti difensivi in data 29 gen naio e 3 febbraio 1962.
Infondato è infine il motivo di ricorso con il quale si
censura il capo di pronuncia relativo alla revoca del se
questro giudiziario (mezzo primo). In proposito i giudici di appello hanno osservato che
la misura cautelare era stata autorizzata ai sensi dell'art.
670, n. 1, e, come tale, non poteva avere ad oggetto l'azienda di proprietà della società, estranea alla presente controver
sia, circoscritta alla divisione tra i coeredi delle sole azioni, che si assumevano fittiziamente trasferite dal eie cuius, a nulla rilevando le considerazioni di mera opportunità pro
spettate dall'istante con riguardo alla migliore tutela dei
propri diritti e alla acquisizione al processo degli elementi
necessari per l'espletamento della consulenza tecnica.
Ora è anzitutto evidente che la mancata presenza in
causa della società non poteva precludere il riesame del
provvedimento di autorizzazione al sequestro, attesa la
natura meramente delibativa della prima fase della proce dura, giacché, in sede di convalida, è compito del giudice accertare le ritualità e legittimità della disposta misura
cautelare.
E ciò a prescindere dal rilievo che Angelo ed Egidio Bresciani, nella loro qualità di soci, bene avevano interesse
ad eccepire la inammissibilità del sequestro pregiudizievole oltre tutto al normale svolgimento della gestione aziendale, e quindi alla percezione degli utili da parte degli azionisti.
La esattezza dell'emessa pronuncia è poi fuor di dubbio, ove si consideri che il sequestro giudiziario, previsto dal
n. 1 dell'art. 670, costituisce il mezzo per garentire la suc
cessiva esecuzione specifica, sicché il primo presupposto è
rappresentato dalla sussistenza di una controversia sulla
proprietà o sul possesso della cosa, oggetto del provve dimento di cautela. Di qui, la necessaria correlazione che
deve sussistere tra l'oggetto del sequestro e quello della
pretesa dedotta nel giudizio di merito, come già altra volta
riconosciuto da questa Suprema corte (sent. 6 novembre
1958, n. 3611, Foro it., Eep. 1958, voce Sequestro, n. 107). Infine neppure giova far richiamo al n. 2 del citato
art. 67 poiché tale forma di sequestro riguarda i libri,
registri e in genere ogni altra cosa, alla quale pure va
riferita la pretesa di desumere elementi di prova, e presup
pone altresì la esistenza di controversia sul diritto alla
esibizione e comunicazione di documenti. Al contrario il
provvedimento impugnato non soddisfaceva la mera esi
genza di impedire la dispersione o la distruzione del mate
riale probatorio, considerato utile ai fini del giudizio di
cognizione, ma, per le sue caratteristiche estrinseche e og
gettive, s'inquadrava nella ben diversa ipotesi prevista dal
n. 1 dell'art. 670 e, in quanto rivolto ad assicurare la pra tica efficacia della futura pronuncia di merito, non poteva investire l'azienda sociale in luogo delle azioni, sulla cui
proprietà era sorta controversia tra le parti.
Accogliendosi il quinto mezzo del ricorso, va disposta entro tali limiti la cassazione della sentenza impugnata, con il rinvio della causa ad altra corte perchè, alla stregua dei rilievi giuridici sopra esposti, si provveda a nuovo
esame circa l'ammissibilità delle prove orali in subiecta
materia ed eventualmente alla valutazione delle loro risul
tanze. Allo stesso giudice va pure demandata la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione iii civile ; sentenza 3 febbraio 1964, n. 272 ; Pres.
Caizzi P., Est. Sbrocca, P. M. Gentile (conci, coni.) ;
Min. difesa-esercito (Avv. dello Stato Santoro Pas
sarelli) c. Soc. per la filatura dei cascami di seta (Avv.
Faraone, Patricolo).
(Gassa App. Milano 18 maggio 1962)
Prescrizione ili materia civile — Danni di guerra —
Richiesta d'indennizzo all'amministrazione — In
terruzione del termine per il risarcimento da latto
illecito — Inidoneità (Cod. civ., art. 2943, 2947 ;
This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 04:01:51 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
1187 PARTE PRIMA 1188
legge 26 ottobre 1940 n. 1543, risarcimento dei danni
di guerra, art. 1, 2, 7 ; d. 1. 6 settembre 1946 n. 226, definizione dei fatti di guerra, ecc., art. 1).
L'istanza, con la quale il proprietario elei beni danneggiati dalla esplosione di una polveriera militare ha chiesto al
l''amministrazione di essere indennizzato in base alle di
sposizioni sui danni di guerra, è inidonea ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da
fatto illecito spettante al danneggiato nei confronti della
stessa amministrazione ai sensi delle norme del codice
civile. (1)
La Corte, ecc. —■ Con la prima censura del primo motivo
del ricorso, denunciandosi la falsa applicazione degli art.
2943, 2945 e 2947 cod. civ., nonché del t. u. 26 ottobre
1940 n. 1543 e del decreto pres. 6 settembre 1946 n. 226 in
relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. il ministero
della difesa esercito sostiene ebe i giudici del merito avreb
bero errato riconoscendo alle domande presentate alla
amministrazione del tesoro per ottenere la reintegrazione del danno di guerra effetto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da atto illecito.
La censura è fondata. Ed invero, l'atto interruttivo
della prescrizione del diritto azionato va riguardato con
riferimento al diritto, eli e costituisce la materia del rap
porto dedotto in giudizio (cfr. Cass. 22 giugno 1962, n.
1597, Foro it., Eep. 1962, voce Prescrizione civ., n. 63). Nella specie, le norme sul risarcimento dei danni di
guerra alle cose, vigenti al tempo in cui si verificò lo scoppio della polveriera militare di S. Giovanni, al pari di quelle attualmente in vigore (legge 27 dicembre 1953 n. 968), non
disconoscevano il principio ripetutamente affermato da
questa Corte suprema, secondo il quale esse hanno una fun
zione meramente sussidiaria, perchè lo Stato può essere
chiamato a risarcire il danno che non sia stato ad altro ti
tolo reintegrato ; o, in diversi termini, l'assunzione del
l'onere dell'indennizzo da parte dello Stato — in base
ad un superiore dovere di ordine etico che postula, come
(1) La massima, nei cui precisi termini non si rinvengono precedenti, è espressione di principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza : a) la richiesta di indennizzo per i danni di guerra non preclude l'azione di risarcimento contro l'autore del danno (ancorché sia la stessa amministrazione : Cass. 23
maggio 1952, n. 1488, Foro it., 1952, I, 848, con nota di richiami, cui adde, in materia di pensioni di guerra, Cass. 8 novembre 14)57, n. 4310, id., 1957, I, 1929, citata in motivazione), fermo restando il divieto della cumulabilità delle due liquidazioni gravanti l'una la pubblica amministrazione e l'altra il responsa bile civile (Cass. 20 luglio 1962, n. 2124, id., 1963, I, 76, con ampia nota di richiami) ; b) l'atto interruttivo della prescrizione del diritto azionato va riguardato con riferimento all'oggetto del
rapporto dedotto in giudizio (Cass. 22 giugno 1962, n. 1597, id., Rep. 1962, voce Prescrizione civ., n. 63, pure richiamata in motivazione ; 25 marzo 1961, n. 681, id., Rep. 1961, voce cit., n. 44 ; 23 gennaio 1959, n. 187, id., Rep. 1959, voce cit., n. 34) e non estende i suoi effetti ai terzi estranei al rapporto medesimo (in motivazione, Cass. 19 agosto 1955, n. 2545, id., 1956, I, 915, con nota di richiami).
Nel senso che la legislazione sui danni di guerra non riconosce al danneggiato un diritto soggettivo perfetto all'erogazione del l'indennizzo per il risarcimento dei danni, ma solo un interesse
legittimo, cons. Cass. 13 maggio 1963, n. 1179, id., Rep. 1963, voce Danni di guerra, n. 5 ; 13 luglio 1963, n. 1911, ibid., n. 18
(citata in motivazione) ; 29 febbraio 1960, n. 397, id., Rep. 1960, voce cit., n. 7 ; 11 aprile 1958, n. 1190, id., Rep. 1958, voce cit., n. 5 ; App. Torino 15 febbraio 1956, id., Rep. 1957, voce cit., n. 72.
Per qualche riferimento, infine, v., nel senso che non costi tuiscono atti interruttivi della prescrizione dell'azione di ri sarcimento di danni, proposta dall'escluso contro il comitato direttivo degli agenti di cambio e la deputazione borsa va lori, che rispettivamente promossero e disposero l'esclusione, i ricorsi amministrativi contro il provvedimento di esclusione della borsa valore, dichiarato, a seguito dei ricorsi, illegittimo dal ministero del tesoro, Cass. 17 novembre 1962, n. 3140, id., 1963, I, 276, con nota di richiami.
necessità di guerra, la perequazione tra i sacrifici dei cit
tadini — non esclude la responsabilità, in base alle norme
del diritto civile, dell'autore del danno, sia esso un pri vato o un ente pubblico o la stessa amministrazione statale, anche se il danno rientri nella previsione della legislazione
speciale in relazione al fatto di guerra, che lo ha originato o occasionato. Principio che si giustifica considerando che
la pretesa al risarcimento dei danni di guerra nei confronti
dello Stato non si concreta in un diritto soggettivo perfetto, bensì nell'interesse legittimo ad una discrezionale eroga zione (cfr. da ultimo Sez. un. 13 luglio 1963, n. 1911, Foro
it., Rep. 1963, voce Danni di guerra, n. 5), di guisa che, se
si fosse negata al danneggiato la facoltà di rivolgersi al
l'autore del danno, la concessione dell'indennizzo si sarebbe
risolta nella negazione del diritto al risarcimento, che per le norme ordinarie al danneggiato compete.
In conclusione, se del danno, il quale secondo la legisla zione speciale è considerato di guerra perchè originato o
occasionato da fatto di guerra, possa dimostrarsi la causa
efficiente, imputabile anche all'atto di un terzo (e la con
clusione è valida, oltre che per i danni alle cose, di cui è
ora questione, anche in materia di danno alle persone, come si desume dalla legge 10 agosto 1950 n. 648 sul rior
dinamento delle pensioni di guerra : cfr. Sez. un. 8 novem
bre 1957, n. 4310, Foro it., 1957, I, 1929), il danno stesso
è risarcibile anche in base alle norme ordinarie, fermo, ben
inteso, il divieto del cumulo delle due liquidazioni, l'una
per fatto di guerra, l'altra per responsabilità da atto ille
cito, e ferma altresì la perdita dei benefici della legislazione
speciale qualora il danneggiato tenti di eludere il divieto
anzidetto.
Le conseguenze, che dagli esposti principi devono trarsi
rispetto al caso di specie, sono in aperto contrasto con la
decisione adottata dalla corte di merito.
Se, come si è detto, l'atto interruttivo della prescri zione del diritto azionato dev'essere considerato in rela
zione al diritto, che è materia del rapporto dedotto nel
giudizio, nel quale la prescrizione è eccepita ; o, in altre
parole, se gli effetti interruttivi vanno circoscritti, sotto
il profilo oggettivo, al diritto che è fatto valere in giudizio, ne discende che, essendo distinti, per le enunciate ragioni, l'interesse legittimo all'erogazione da parte dello Stato del
l'indennizzo del danno di guerra ed il diritto soggettivo al risarcimento del danno da atto illecito, anche se impu tabile alla stessa amministrazione statale a titolo di respon sabilità, diretta o indiretta, per il comportamento dei suoi
dipendenti, l'esercizio della tutela giuridica, attuata in via
amministrativa, di quell'interesse non può valere ad inter
rompere il termine prescrizionale del diritto al risarcimento.
La censura accolta ha carattere assorbente, talché non oc
corre passare all'esame della seconda censura del primo mezzo, riflettente l'effetto istantaneo o permanente del
l'atto interruttivo (nell'ipotesi che l'atto fosse esistito), nè degli altri mezzi del ricorso, che riguardano la diversità
dei soggetti (amministrazione del tesoro e amministra zione della difesa-esercito), nei cui confronti l'atto inter ruttivo avrebbe dal lato passivo esplicato i suoi effetti, e la qualificazione giuridica della domanda giudizialmente proposta contro l'amministrazione della difesa-esercito.
Alla stregua delle esposte considerazioni l'impugnata sentenza dev'essere cassata, e la causa rinviata ad altro
giudice di pari grado, il quale, nella sua decisione, si uni
formerà al principio accolto e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Per questi motivi, cassa, ecc.
This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 04:01:51 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions