sezione III civile; sentenza 3 settembre 1984, n. 4740; Pres. Guerrieri, Est. Lazzaro, P. M.Amirante (concl. conf.); Pagani (Avv. Procopio, Cavazzuti) c. Cassinelli. Cassa Pret. BorgonovoVal Tidone 23 ottobre 1981Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 4 (APRILE 1985), pp. 1151/1152-1155/1156Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178432 .
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1151 PARTE PRIMA 1152
Non ritiene infine questa corte di sollevare eccezione di legit timità costituzionale degli art. 797 ss. c.p.c. nella parte in cui
consentivano (e consentono ancora a norma dell'art. 76 1. 4
maggio 1983 n. 184) di dichiarare efficace in Italia un provvedi mento straniero di adozione o di affidamento preadottivo senza le
cautele previste dalla legge italiana, a favore del minore, per la
scelta degli affidatari e poi dei genitori adottivi.
Su tale eccezione, infatti, già si è pronunciata la Corte costitu
zionale, con sentenza, che ha respinto l'eccezione medesima.
(Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 3 set
tembre 1984, n. 4740; Pres. Guerrieri, Est. Lazzaro, P. M.
Amirante (conci, conf.); Pagani (Avv. Procopio, Cavazzuti)
c. Cassinelli. Cassa Pret. Borgonovo Val Tidone 23 ottobre 1981.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso non
abitativo — Disciplina transitoria — Recesso del locatore —
Completo restauro dell'immobile locato — Nozione (L. 27
luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani,
art. 29, 73).
Ai fini del recesso del locatore dal contratto di locazione nell'ipo tesi prevista dal combinato disposto degli art. 73 e 29, lett. c),
l. 392/78, per completo restauro deve intendersi, considerata
anche la previsione dell'art. 31 l. 457/78, un complesso sistema
tico di opere, realizzato su di una pluralità di parti dell'immo
bile locato (e non necessariamente sull'intero edificio), tale da
conferire all'immobile medesimo, pur nel rispetto dei suoi
elementi tipologici, formali e strutturali, un quid novi che lo
renda qualitativamente diverso da quello precedente. (1)
II
PRETURA DI MODENA; sentenza 3 maggio 1984; Giud. L. Per
sico; Soc. edilizia Estense (Avv. Zanasi) c. Soc. Autocorriere
Zanasi (Aw. Giliani) e Castagnoli (Avv. Trevisi).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso non
abitativo — Disciplina transitoria — Recesso del locatore —
Demolizione dell'immobile — Ricostruzione in forma identica — Necessità — Esclusione (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 29, 73).
Ai sensi del combinato disposto degli art. 73 e 29, lett. c), l.
392/78, il locatore può recedere dal contratto di locazione
quando dimostri la seria e concreta intenzione di demolire
l'immobile locato per costruire sulla sua area altro immobile
non necessariamente identico. (2)
(1-2) Al « completo restauro » e alla « ricostruzione previa demoli zione » (nonché all'« integrale ristrutturazione », che comporta una radicale rinnovazione delle strutture dell'immobile), si contrappone la « manutenzione straordinaria » (che non dà luogo alla facoltà di
recesso), definita nella decisione della Cassazione come sommatoria di interventi diretti a rinnovare o sostituire parti anche strutturali del
l'immobile, che, privi del carattere di sistematicità e compiutezza, si esauriscono in un'attività edilizia di conservazione non implicante la modificazione ontologica dell'immobile.
In senso conforme, v. Oass. 21 luglio 1983, n. 5021, Foro it., Rep. 1983, voce Locazione, n. 888; 19 ottobre 1982, n. 5452, ibid., n. 882; Pret. Vizzini 21 maggio 1981, id., 1982, I, 1777, con nota di richiami. In tema di integrale ristrutturazione, Cass. 11 dicembre 1984, n. 6508, id., Mass., 1984; Pret. Bari 28 febbraio 1984 (giud. Buquicchio, Amato e. Pice, inedita); nonché Cass. 14 maggio 1984, n. 2929, Giust.
civ., 1984, I, 2485, la quale sottolinea che l'intervento edilizio deve
riguardare specificamente l'unità immobiliare locata. In dottrina, cfr. G. M. Manzani, Ancora sull'integrale ristruttu
razione e sul completo restauro dopo la l. 457/78, in Locazioni urbane, 1981, 157 e G. Spagnuolo, Interventi di ristrutturazione integrale e di
completo restauro: effetti, in Rass. equo canone, 1982, 178. Sulla valutazione della serietà e realizzabilità delle opere di integra
le ristrutturazione e completo restauro, v. Cass. 28 aprile 1983, n. 2914, Giur. it., 1984, I, 1, 1515, con nota di M. Annunziata, Recesso del locatore, « possesso » di autorizzazione per opere edilizie, sindacato giudiziale; e, in dottrina, Simonazzi, Licenza edilizia e rilascio per necessità, in Locazioni urbane, 1982, 71.
Sulle nozioni di integrale ristrutturazione e di completo restauro dell'immobile locato al fine dell'applicazione del coefficiente correttivo per la determinazione del canone previsto dalll'art. 20 1. 392/78, v. Cass. 5 luglio 1984, n. 3926, Foro it., 1984, I, 2758, con nota di richiami.
I
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso il
Pagani, denunciando violazione degli art. 101, 112, 414 e 416
c.p.c., rileva che il locatore aveva posto a fondamento della domanda di recesso — sia in primo che in secondo grado — la
propria intenzione di procedere alla integrale ristrutturazione dell'immobile locato: nell'accogliere la domanda sotto il diverso
profilo della effettuazione di interventi di « completo restauro » — mai prospettato dalle parti e sul quale non vi era stato alcun contraddittorio — il giudice dell'appello era incorso in palese violazione dell'art. 112 c.p.c., allargando arbitrariamente il thema decidendum.
Tale censura, ad avviso del collegio, non merita consenso. In realtà, il combinato disposto degli art. 73 e 29, lett. e), 1. n.
392/78 prevede, come causa di recesso dal contratto di locazione afferente ad immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione, l'intenzione del locatore di effettuare lavori di un certo rilievo, specificati nella demolizione, nelT« integrale ristrut turazione o completo restauro », ecc.: sicché, allorché l'attore agisca sul presupposto di dover eseguire degli interventi edilizi, il thema della lite viene ad incentrarsi sulla loro idoneità ad essere attratti in una delle suddette categorie, legittimanti il recesso — e non, invece, in quella delle riparazioni (ordinarie o straordinarie) che non lo legittimano — senza che la qualificazio ne che la parte ne abbia dato, in ipotesi in maniera errata, escluda il potere del giudice di inquadrarli nella esatta categoria e pronunciare, di conseguenza, sulla domanda. Il che, d'altra parte, risponde al principio che la domanda giudiziale deve essere considerata non solo nella sua formulazione letterale ma, soprat tutto, nel suo contenuto sostanziale e con riguardo alle finalità che la parte intende perseguire, tenendo conto dei fatti esposti anche nella parte motiva nonché della volontà che possa essere desunta implicitamente od indirettamente. Sicché il giudice del merito che, applicando tali criteri, pervenga alla precisa determi nazione dell'oggetto della lite, fa corretto uso del suo potere decisionale, laddove incorrerebbe nel vizio di omesso esame ove limitasse la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa e trascurasse la ricerca dell'effettivo conte nuto sostanziale di essa (Cass. 24 luglio 1981, n. 4779, Foro it., 1982, I, 2315; 26 gennaio 1982, n. 503, id., Rep. 1982, voce Procedimento civile, n. 83; 13 dicembre 1982, n. 6848, ibid., n. 81. Con specifico riferimento alla materia locatizia, cfr. Cass. 9 marzo 1971, n. 664, id., Rep. 1971, voce Locazione, n. 90; 6 febbraio 1982, n. 694, id., Rep. 1982, voce cit., n. 457).
Va poi per completezza osservato che, nell'atto d'appello, il Cassinelli ha fatto esplicito riferimento, quale sostegno alla pro pria domanda di rilascio, alla lett. c) dell'art. 29 della quale ha mutuato anche la dizione — esplicitata in detto atto — di « integrale ritrutturazione o completo restauro ».
Con il secondo e il terzo motivo del ricorso — da esaminarsi congiuntamente stante la loro connessione logico-giuridica — il Pagani denuncia violazione dell'art. 31 1. n. 457/78 e dell'art. 29 1. n. 392/78, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria moti vazione circa punti decisivi della controversia. Assume, in parti colare, che i lavori preventivati dal Cassinelli, alla luce delle definizioni dell'art. 31 1. n. 457/78, non erano riconducibili nel novero né dell'integrale ristrutturazione né del completo restauro, bensì in quello della manutenzione straordinaria essendo « diretti semplicemente a rinnovare o sostituire parti dell'edificio senza agire sugli elementi strutturali e senza alterare volumi o mutare destinazioni d'uso ». Il giudice dell'appello, per conferire agli stessi la qualifica di « restauro », aveva preso in esame taluni interventi che non risultavano affatto né nella domanda né nella concessione, che pure aveva espressamente dichiarato di conside rare come parametri di giudizio: cosi per « il rifacimento del tetto » (mentre si trattava della copertura in eternit di un terrazzo), il « rinnovo della facciata » (laddove era prevista la mera sua tinteggiatura) ed il « rifacimento del muro perimetrale posteriore », del quale invece non vi era traccia nei suddetti documenti. Detto giudice non aveva, poi, indicato i criteri in base ai quali era pervenuto alla conclusione che i lavori in questione coinvolgevano elementi anche strutturali dell'immobile; mentre, per altro verso, aveva erroneamente ancorato la nozione di completezza del restauro alla consistenza dei lavori, posti altresì come (contraddittoriamente) caratterizzante il mero restauro. A veva, infine, inesattamente interpretato la sentenza del primo giudice reputando che essa avesse ravvisato un difetto di prova in ordine ai lavori da effettuare ed avesse escluso che essi costituissero un restauro, mentre era stata esclusa solamente
Il Foro Italiano — 1985.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
la confìgurabilità dell'integrale ristrutturazione, che costituiva
l'oggetto della domanda.
La censura è fondata, per quanto di ragione, nei termini di cui
appresso.
È pur vero che il pretore ha preso spunto dall'esatta considera zione che, ai fini della qualificazione degli interventi sull'immobi
le di cui all'art. 29, lett. c), 1. n. 392/78, occorre far riferimento
alle definizioni dell'art. 31 1. 5 agosto 1978 n. 457, il quale, infatti, in relazione a tale momento, presenta, come questa corte ha già avuto occasione di chiarire (Cass. 21 luglio 1983, n. 5021, id.,
Rep. 1983, voce cit., n. 888; 17 gennaio 1984, n. 403, id., Mass.,
83), carattere di norma generale e fondamentale in considerazione
della sua collocazione fra le norme generali per il recupero del
patrimonio edilizio ed urbanistico esistente e del disposto dell'ult.
comma dello stesso articolo (per il quale le definizioni in esso
contenute « prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbani
stici generali e dei regolamenti edilizi »). Detto giudice è tuttavia
pervenuto ad una immotivata configurazione della nozione di « completo restauro ».
Invero, la norma cui si fa riferimento, indica come interventi
di manutenzione straordinaria « le opere e le modifiche necessarie
per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici... »; mentre definisce interventi di restauro e di risanamento conserva
tivo « quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicu
rare la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali, dell'or
ganismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compa tibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento
degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze
dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edili
zio ».
Orbene — premesso che, stante il tenore letterale della lett. c) dell'art. 29 1. n. 392/78, occorre, nel caso che interessa, avere
riguardo all'immobile locato e non all'intero edificio (cfr. Cass. 27
luglio 1983, n. 5021, cit.) — va osservato che il criterio discrimi
nante tra i lavori di manutenzione straordinaria e quelli di
restauro deve essere reperito non nella quantità degli interventi
che si effettuano bensì nella loro sistematicità e coordinamento. Il
restauro, cioè, si concreta in un intervento articolato, comprensivo di una pluralità di interventi singoli, come risulta dal dato
testuale della lett. e) dell'art. 31 1. n. 457/78 che parla di un
« insieme sistematico di opere ». E seppure anche la definizione
di straordinaria manutenzione usa al plurale le parole « opere » e
« modifiche », va rilevato tuttavia — come la dottrina ha eviden
ziato — che in questa seconda occasione il plurale è adoperato solamente perché la norma considera gli « interventi » come
genere, così che ognuno di essi è tale da ricadere nella previsio ne.
Una sommatoria d'interventi, dunque, dà luogo alla straordina
ria manutenzione; una serie di lavori, coordinati tra loro, su una
pluralità di parti ed effettuata in una visione di compiutezza, li
riconduce nel novero del restauro. Il risultato, inoltre, è anch'esso
finalizzato in maniera diversa: nel primo caso si tratta (come si
evince dal termine « manutenzione ») di eliminare dei danni o
manchevolezze, in genere di una certa consistenza, (« rinnovare e sostituire »), attraverso un'attività edilizia di conservazione, ma
senza che ciò comporti « una modificazione ontologica di risultato
rispetto a ciò che preesisteva né, in relazione alla estensione
dell'intervento, una diversità qualitativa del nuovo edificio » (cfr. Cass. 19 ottobre 1982, n. 5452, id., Rep. 1983, voce cit., n. 882);
nel secondo caso, invece, all'immobile è conferita una nuova
linfa, si da proporlo come ontologicamente o qualitativamente diverso da quello precedente, pur nel rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali, e da conferirgli quasi una nuova
identità, quel quid novi, cioè, che la richiamata norma della legge
dell'equo canone mostra di sottendere.
La necessità dell'incidenza dell'intervento su una pluralità di
elementi dell'immobile e del risultato che si presenti come un
quid novi, è rafforzata poi dall'aggettivazione del restauro — ai
fini che qui interessano — come « completo », volendo la norma
sottolineare, anche da questo versante, la globalità e la complessi
tà dell'intervento medesimo, in esito al quale — sulla base delle
finalità perseguite e del risultato raggiunto — l'immobile è, in
certo senso, « altro » rispetto a quello precedente. Consegue che,
sulla base di tali premesse, il giudice del merito deve non solo
dar conto e valutare l'entità e l'importanza dell'intervento, ma
altresì cogliere ed indicare la sua sistematicità e completezza, nel
senso sopra detto.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata è carente proprio in ordine a tali momenti, essendosi limitata a sottolineare « una
certa consistenza » dei lavori ed a richiamare genericamente « l'entità delle opere, la loro natura e qualità », senza però soffermarsi ad analizzare — indicando i criteri adoperati — il
rapporto tra le stesse e l'« entità, qualità e struttura dell'edificio », il riferimento al quale resta soltanto una mera enunciazione; del
pari non viene indicato in che cosa consista il « nuovo » aspetto estetico dell'edificio e quali siano le modifiche ai « prospetti » ed all'« ultimo piano ». Manca poi del tutto ogni motivazione in ordine alla relazione tra l'« edificio » (che la sentenza impugnata richiama in vari passaggi) e l'immobile locato (al quale, invece, occorre aver riguardo ai fini della esperibilità dell'azione di
recesso) o della eventuale dipendenza funzionale di esso, sì che il restauro dell'edificio sia tale da coinvolgerlo comunque.
In relazione a tali considerazioni il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento della sentenza e rinvio ad altro
giudice — che si indica nel Pretore di Piacenza — il quale si atterrà ai principi sopra indicati. (Omissis)
II
Motivi della decisione. — Pacifici essendo i fatti tutti di causa e la titolarità, in capo alla ricorrente, di valide concessioni al momento della domanda e al momento della pronunzia, per rinnovazione, in virtù di atti comunali qui incontestabili, si deve rilevare che la decisione dipende dalla soluzione di una sola
rilevante questione interpretativa dell'art. 29, lett. e), 1. 27 luglio 1978 n. 392, sulla quale i tre difensori hanno svolto, pur da
contrapposte angolazioni, ampio e documentato lavoro esegetico. Le difese convenute si sono alleate nel negare l'ammissi
bilità del recesso nel caso di specie, sul rilievo che la società
ricorrente vuole e andrà a realizzare un complesso immobiliare
completamente diverso rispetto all'esistente. Ciò esulerebbe dalla
prima ipotesi della citata norma che, laddove testualmente recita « demolire l'immobile per ricostuirlo », con il suffisso pronominale « lo » intenderebbe designare il nuovo edificio come identico al
precedente dal punto di vista strutturale e di destinazione, seppur nuovo nei materiali.
Le difese convenute hanno insistito poi sulla inapplicabilità al caso delle ulteriori ipotesi della citata norma, che si riferiscono a vicende edilizie diverse, nelle quali non è prevista la totale demolizione dell'esistente.
La difesa della ricorrente, da parte sua, ha ottemperato a tutte le richieste di produzione, rivolte dall'attuale giudicante, il quale ha potuto constatare che, al posto del fabbricato principale antistante la via Emilia e degli staccati e retrostanti capannoni, oggi assai degradati e privi di qualunque valore estetico, sorgerà un corpo principale ad uso negozi e dei retrostanti corpi residen
ziali, di moderna concezione.
La difesa ricorrente, in linea di diritto, ha invocato il preceden te della Cass. 21 luglio 1983, n. 5021 (Foro it., Rep. 1983, voce
Locazione, n. 888) e la necessità di interpretare la norma del citato art. 29, lett. c), 1. 392/78 con il combinato disposto dell'art. 31 1. 5 agosto 1978 n. 457, che detta norme sull'edilizia residen ziale.
Cosi formulata la questione interpretativa, che, come si è detto, costituisce l'unico essenziale punto della presente decisione, e
valutati i suoi complessi profili, questo giudicante ritiene che la domanda della ricorrente sia ammissibile e fondata e come tale
vada pienamente accolta.
La proposta interpretazione restrittiva, avanzata dalle difese
convenute, che cioè il recesso, nella prima ipotesi della norma
(demolizione totale), sia consentito soltanto per far luogo ad una
ricostruzione identica dell'immobile, urta contro vari argomenti. Il primo è che la sostituzione del vecchio immobile con uno
identico, ma formato con materiali nuovi e con fresca costruzio
ne, è esattamente l'ipotesi terza della norma, laddove si parla di
« completo restauro », il quale consiste appunto in una operazione edilizia che, al posto di un fabbricato cadente, ne fa risultare uno
nuovo, ma per forma, dimensioni, destinazione identico al prece dente. Ciò accadrà quando il preesistente edificio era vincolato, ovvero di un qualche valore architettonico.
La « integrale ristrutturazione » prevede invece una serie di
innovazioni (specie agli interni, agli accessori e agli impianti) pur conservando in tutto o in parte gli elementi dimensionali, e non
v'è chi non veda che detti concetti vanno ricavati dal ricordato
art. 31 1. 457/78, che all'ultimo capoverso, oltre che nella rubrica, attribuisce carattere legale alle « definizioni » ivi enunciate.
Del resto che le due norme non possano essere disgiunte, ma
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1155 PARTE PRIMA 1156
vadano interpretate sistematicamente, lo si evince dalla distanza
di pochi giorni che separa la emanazione delle due leggi. Deve presumersi che il legislatore, nell'affrontare i problemi
sempre gravi dell'edilizia residenziale e dei rapporti locativi,
specie in relazione alle opere edilizie (art. 29 1. 392/78) abbia
avuto una globale ed unitaria visione del sistema e della termino
logia. Devesi invece risolvere la questione non puramente fisiologica
del suffisso « lo » aggiunto alla parola « ricostruire », non poten dosi ammettere che in tal materia essa sia frutto di un lapsus calami e quindi privo di significato concreto, una mera ridonan
za.
Ad avviso di questo giudicante, l'espressione « demolire l'im
mobile per ricostruirlo » vale ad ancorare il diritto di recesso del
proprietario, che vuol demolire, alla condizione che egli dimostri
una concreta, specifica ed attuale volontà di riutilizzo dell'area, che non sarebbe imposta invece ove la norma recitasse « demolire
per ricostruire », risultando allora tale finalità del tutto generica e
ipotetica. Si ritiene cioè che la tassativa condizione per consentire il
recesso del proprietario-locatore nella prima ipotesi dell'art. 29, lett. c), cit., sia il dimostrato proposito di costruire quale risulta
da una già rilasciata concessione comunale che, recando termini
ristretti di efficacia, ed essendo sorretta da progetti tecnici nor
malmente costosi, costituisce una notevole presunzione di serietà
e concretezza della volontà di costruire.
Resta invece evidente che le caratteristiche strutturali e le
destinazioni d'uso della nuova costruzione vanno autonomamente
valutate dalla autorità comunale, cui spetta disciplinare l'uso del
territorio, l'assetto urbanistico e la conformità alle norme edilizie,
eppertanto, a fonte di valida concessione, il giudice chiamato a
ordinare il rilascio per recesso non ha alcun potere di sindacare
il merito della concessione, ben potendo l'autorità amministrativa
consentire, entro i parametri legali, una costruzione « nuova » in
tutti i sensi e strutturalmente diversa sulla stessa area, se ciò
rientra nelle previsioni degli strumenti urbanistici della zona.
È evidente che, nel prevedere una potestà unilaterale del
recesso da parte del locatore che vuol farsi costruttore, la norma
deve aver valutato il sacrificio che si impone ai conduttori
costretti a lasciare l'immobile, ma sembra intuibile che il legisla tore ha voluto considerare prevalente l'interesse generale all'in
cremento edilizio e al recupero del patrimonio fatiscente, che
realizza più ampia disponibilità per tutti i cittadini e favorisce
l'economia generale, con il noto fenomeno del « moltiplicatore »
degli investimenti nell'edilizia.
Tale comparazione di interessi, appunto perché ancorata ad
un'attività edilizia costruttiva concreta, che non può non seguire
rapidamente dopo il recesso, appare compatibile con le garanzie
costituzionali della libertà di iniziativa economica e con la tutela
del diritto all'abitazione.
!È vero invece, e va detto per completezza di argomentazione,
che se la norma in esame venisse interpretata negando un
qualunque significato precettivo al suffisso « lo », si presentereb be un non trascurabile sospetto di incostituzionalità. Infatti, ove
si ammettesse (ma qui si nega) una generica potestà di recesso
del proprietario-locatore, semplicemente in vista o in previsione di
un futuro reimpiego dell'area (che dunque potrebbe restare per
anni « scoperta » per attendere più lucrosi impieghi) il sacrificio
dei conduttori estromessi dal vecchio immobile apparirebbe
sproporzionato e non bilanciato da un interesse generale della
collettività dell'incremento delle strutture edilizie sane e moderne
e produttive. Le osservazioni sopra svolte portano dunque a ritenere che, nei
casi di recesso ex art. 29, lett. c), prima ipotesi, il giudice civile
debba compiere una scrupolosa verifica della sussistenza di valida
ed efficace specifica concessione per il riutilizzo rapido dell'area
risultante dalla demolizione, condizione imposta testualmente dal
la stessa norma della lett. c).
Peraltro, mentre si possono condividere le opinioni espresse
dalle difese convenute contro le indiscriminate speculazioni edili
zie, non può accedersi invece alla interpretazione restrittiva dalle
stesse suggerite, poiché ove la ricostruzione dovesse comportare
sempre il rifacimento identico dell'edificio, è fin troppo intuibile
che nessun privato intraprenderebbe simili progetti, onerosi e
senza vantaggio, con risultato dell'ulteriore degrado dell'assetto
edilizio. Si nota infine che un uso dell'area come « scoperto » potrà
risultare soltanto in talune ipotesi di vasti programmi comunali
pluriennali, che risistemino interi comparti urbanistici1, e ciò
nell'ultima ipotesi dell'art. 29 cit. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 3 luglio
1984, n. 3915; Pres. Bile, Est. Cherubini, P. M. Nicita (conci,
diff.); Soc. Eurotouring (Aw. C. M. Barone) e Soc. Mare e
Vacanze (Avv. Manunza, Buffa, D'Angelo). Regolamento di
competenza.
Competenza civile — Continenza di cause — Limiti temporali di
deducibilità (Cod. proc. civ., art. 39, 42, 295).
L'udienza del collegio di cui all'art. 275 c.p.c. costituisce il limite
di operatività della disciplina in tema di continenza, cosi che
una volta che la causa preveniente sia passata in decisione non
può più operare lo spostamento della causa successiva per
ragioni di continenza, ma il giudice di questa può solo, ove ne
ricorrano i presupposti, applicare l'art. 295 c.p.c. per ovviare al
pericolo di contrasto di giudicati. (1)
(1) I. - Sul limite temporale di deducibilità della continenza di cause
si rinvengono, in giurisprudenza, quattro orientamenti, fra loro non
necessariamente in contraddizione: a) per un primo, conforme alla
sentenza in epigrafe, la continenza può esser dichiarata solo se il
giudizio preventivamente instaurato non sia stato rimesso al collegio e
non risulti, quindi, già completamente esaurito (v. Cass. 16 marzo
1982, n. 1713, Foro it., Rep. 1982, voce Competenza civile, n. 139, e
Cass. 30 ottobre 1971, n. 3099, id., 1972, I, 1671); b) per un
secondo, ferma l'impossibilità di una declaratoria di continenza
fra giudizi che pendono in gradi diversi, non rileverebbe in modo
alcuno il diverso stadio istruttorio dei procedimenti medesimi (v. Cass.
12 dicembre 1977, n. 5391, id., Rep. 1977, voce cit., n. 139); c) un
terzo, di gran lunga dominante, si limita a rilevare che non può
esser dichiarata la continenza tra due giudizi i quali pendono in gradi
diversi, perché, in detti casi, il rapporto di continenza non sarebbe
ipotizzabile (v. Cass. 15 luglio 1982, n. 4164, id., Rep. 1982, voce cit., n.
149; 23 aprile 1979, n. 2303, id., Rep. 1979, voce cit., n. 163; 4 novembre 1978, n. 5006, id., Rep. 1978, voce cit., n. 164; 14 maggio 1977, n. 1931, id., Rep. 1977, voce cit., n. 138; 28
luglio 1976, n. 2998, id., Rep. 1976, voce cit., n. 170; 5 aprile 1974, n. 972, id., Rep. 1974, voce cit., n. 174; 14 novembre 1972, n. 3373,
id., 1973, I, 380, con nota di richiami e osservazioni di G. Salmè); d)
infine un quarto, assolutamente minoritario, ritiene possibile la declara
toria di continenza anche tra due giudizi pendenti in gradi diversi
quando in grado di appello si trovi la causa contenente e in primo
grado la causa contenuta (v. Cass. 14 marzo 1972, n. 737, id., Rep.
1972, voce cit., n. 262, e per esteso in Giur. it., 1973, I, 1, 71, con
nota di Segrè e in Moti, trib., 1974, 23, con nota di Spaccapelo,
Processi in grado diverso e continenza).
""Opinioni non unanimi si hanno anche in dottrina: 1) per alcuni la
continenza può esser rilevata tout court in qualunque stato e grado del
processo (Menestrina, Il nuovo codice di procedura civile commenta
to, diretto da D'Amelio, Torino, 1943, I, 208; Andrioli, Commento,
Napoli, 1954, 1 3, 140; Gionfrida, Appunti sulla connessione e conti
nenza di cause, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960, 150); 2) altri
hanno avallato l'opinione giurisprudenziale sub c), ritenendo inammis
sibile la declaratoria di continenza fra cause che pendono in gradi diversi (Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 211); 3) per altri ancora, con opinione non dissimile a quella giurisprudenziale sub d), la causa contenuta può unirsi alla causa contenente anche se
quest'ultima pende in grado di appello e l'altra sia ancora in primo grado « non potendosi dire che quest'ultima perda uno o più gradi di
giurisdizione, poiché ogni sentenza pronunciata in merito alla causa contenente può, a motivo della parziale litispendenza, considerarsi
pronunciata anche in merito alla causa contenuta » (cosi, testualmente, Garbagnati, Continenza di cause, voce del Novissimo digesto, Torino, 1957, IV, 405; conforme Giannozzi, Sulla continenza di cause, in Giur. Cass. civ., 1954, 4", 417); 4) infine v'è chi ha ritenuto possibile la translatio iudicii per continenza fra cause entrambe pendenti in grado di appello e l'ha esclusa, viceversa, tra una causa in primo grado ed una in sede di rinvio (Franchi, Litispendenza e continenza di cause, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Allorio, Torino, 1973, I, 415).
Ciò posto sembra indispensabile vedere cosa possa (o debba) fare il
giudice in quelle ipotesi nelle quali, ravvisando un rapporto di continenza fra cause, sia egualmente, per lo stato o il grado di quelle, nell'impossibilità di dichiarare la continenza ai sensi dell'art. 39, 2°
comma, c.p.c. !Per alcuni il giudice della causa contenuta successivamente adito
deve addirittura dichiarare la litispendenza e disporre la cancellazione della propria causa dal ruolo (Massari, Continenza di cause e giudizio pendente di impugnazione, in Giur. it., 1954, I, 1, 431; Franchi, op. cit., 414: Gionfrida, op. cit., 148; Andrioli, op. ult. cit., 210, il quale però ritiene che il giudice, pur disponendo con ordinanza la cancella zione della causa dal ruolo, debba dichiarare la continenza e non la
litispendenza); per altri, invece, ove ne sussistano i presupposti (questa è anche l'indicazione data dalla sentenza in epigrafe) il guidice può sospendere il proprio procedimento ai sensi dell'art. 295 c.p.c. sino a sentenza passata in giudicato sulla controversia dell'altro processo (v.,
Il Foro Italiano — 1985.
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