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sezione III civile; sentenza 4 agosto 1987, n. 6703; Pres. Bile, Est. Schermi, P.M. Martinelli(concl. conf.); Borrello (Avv. Recchi) c. Criserà ed altri (Avv. Morace). Conferma App. ReggioCalabria 4 gennaio 1983Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 11 (NOVEMBRE 1987), pp. 3007/3008-3013/3014Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179107 .
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3007 PARTE PRIMA 3008
vato i giudici di merito, soltanto ad impugnare la graduatoria
qualora ritengano che non siano stati adottati imparziali e ragio nevoli criteri di selezione oppure che essi non siano stati applicati secondo i criteri di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1375
c.c.
Costringere il datore di lavoro a comunicare tali criteri quando non è stata impugnata la graduatoria del concorso in cui essi
sono stati adottati e applicati, sarebbe, infatti, un'attività inutile
anche per i ricorrenti; inutile in relazione al concorso espletato in quanto essi non hanno impugnato la graduatoria nei termini
previsti; inutile in relazione ai futuri concorsi in quanto, non trat
tandosi di criteri predeterminati e da valere in genere per ogni
concorso, potrebbero essere modificati dalle commissioni succes
sive.
Il ricorso va pertanto respinto.
I
CORTE DI CASSAZIONE: sezione III civile; sentenza 4 agosto
1987, n. 6703; Pres. Bile, Est. Schermi, P.M. Martinelli
(conci, conf.); Borrello (Avv. Recchi) c. Criserà ed altri (Avv.
Morace). Conferma App. Reggio Calabria 4 gennaio 1983.
Contratti agrari — Miglioramenti eseguiti senza il consenso del
concedente — Conseguenze (L. 3 maggio 1982 n. 203, norme
sui contratti agrari, art. 17).
Costituisce grave inadempimento contrattuale, che dà luogo a ri
soluzione del contratto di colonia parziaria, la mancata corre
sponsione da parte del colono al concedente della quota dei
prodotti dovuta, anche se il colono assuma di avere eseguito
miglioramenti a sue spese — trasformazione del frutteto in vi
gneto — da cui era derivato un periodo di improduttività, in
quanto è illegittima, e costituisce pertanto grave inadempimen to contrattuale, l'esecuzione dei miglioramenti che non sia sta
ta concordata con il concedente o, in mancanza, previo parere
favorevole dell'ispettorato dell'agricoltura. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 27 lu
glio 1987, n. 6518; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Cru
ciani, P.M. Sgroi V. (conci, conf.); Plescia (Avv. Lipari, Jan
narelli) c. Calabria (Avv. Agnusdei). Cassa App. Bari 5 apri le 1984.
Contratti agrari — Rapporti di mero fatto — Miglioramenti —
Diritto di ritenzione dell'affittuario — Ammissibilità — Fatti
specie (L. 3 maggio 1982 n. 203, art. 17, 20, 53).
Il diritto di ritenzione può essere invocato nel processo esecutivo, anche in relazione ai miglioramenti in un rapporto di fatto che, al di fuori delle previsioni contrattuali o dell'accordo delle par ti, siano stati comunque eseguiti in data anteriore all'entrata in vigore della I. 203/82, in conformità della disciplina allora
vigente. (2)
(1-2) La controversia di cui a Cass., sez. un., n. 6518/87 era stata rimessa alle sezioni unite in ordine alla applicabilità dell'art. 53 1. 203/82 ai rapporti di fatto, rientrando tra questi il rapporto in controversia (per il contratto di affitto tra le parti, era stata esclusa la proroga legale inten dendo il proprietario concedente coltivare direttamente il fondo, ed il
giudizio riguardava ormai soltanto l'indennizzo per i miglioramenti ap portati).
Le sezioni unite hanno ritenuto superflua l'indagine sull'art. 53, in quanto nella specie si trattava di opposizione alla esecuzione, insorta dopo l'en trata in vigore della 1. 203/82, che trova il suo fondamento nel 2° comma dell'art. 20 di detta legge; e, atteso lo stretto legame tra la norma citata e l'art. 17, la retroattività prevista dallo stesso art. 17 non può non riflet tersi sulla materia regolata.
Fondando l'accoglimento del ricorso sul «comunque», le sezioni unite hanno disatteso quanto ritenuto dalla corte del merito, secondo la quale il diritto di ritenzione può aversi solo nel caso di un pacifico rapporto di affittanza e non già in pendenza del giudizio e in contrasto con la volontà del concedente.
Hanno affermato le sezioni unite che il 7° comma dell'art. 17 trova
Il Foro Italiano — 1987.
I
Svolgimento del processo. — Con ricorso alla sezione specia lizzata agraria del Tribunale di Reggio Calabria in data 26 no
vembre 1977 Giuseppina Criserà, Anna Maria Criserà e Rosa Co
rigliano, premesso che erano proprietarie ed usufruttuarie in par te di un fondo sito a Campo Calabro, contrada Leonte Inferiore,
condotto in colonia parziaria da Giovanna BorreHo e che costei
non aveva corrisposto la quota padronale, pari a 3/5 del prodot
to, dall'annata agraria 1972/73 in poi, per cui esse ricorrenti in
tendevano ottenere la risoluzione del rapporto colonico, chiede
vano che la Borrello fosse dichiarata decaduta dal diritto alla
proroga legale per grave inadempimento contrattuale e fosse con
dannata al rilascio del fondo ed al pagamento della quota padro
nale, dall'annata agraria 1972/73 in poi, rinviandosi la relativa
liquidazione a separato giudizio. Convocate le parti, la Borrello, costituitasi, negava che sussi
stesse la dedotta inadempienza deducendo: che essa coIona, con
il consenso delle concedenti, aveva provveduto a proprie spese
all'impianto di un vigneto in sostituzione delle poche piante di
frutta esistenti ed alla realizzazione di altre opere; che ciò aveva
comportato un periodo di improduttività del fondo; che essa Bor
rello era in attesa di effettuare con le concedenti i conteggi del
dare ed avere reciproco, accreditando le somme relative ai lavori
eseguiti. La sezione adita, con sentenza 8/31 gennaio 1980, dichiarava
applicazione anche per le opere «comunque eseguite in data anteriore alla entrata in vigore della legge», indipendentemente dalle previsioni con trattuali e dall'accordo delle parti, ipotesi quest'ultima prevista dalla pri ma parte del 7° comma e distinta dalla successiva con una «o» con chia ro significato disgiuntivo. L'avverbio «comunque», sempre secondo le sezioni unite, «riferito al tempo della esecuzione assume un evidente si
gnificato di 'in ogni caso' e non può certo riferirsi alle modalità di esecu zione delle opere stesse, che debbono essere quelle che furono eseguite in conformità della disciplina previgente».
Di diverso avviso sul «comunque» è Cass. 4 agosto 1987, n. 6703,
pure riportata, secondo cui l'avverbio «comunque» non può essere inteso nel senso di «in ogni caso», in quanto per «la continuità della disciplina legislativa in ordine alle opere di miglioramento», i miglioramenti eseguiti in data anteriore all'entrata in vigore della 1. 203/82 sono legittimi, e danno luogo alla relativa indennità o all'aumento del canone per il conce
dente, solo se la loro esecuzione ha avuto luogo con il consenso del con cedente o, in mancanza, previo parere favorevole dell'ispettorato dell'a
gricoltura. Va ricordato che già App. Napoli, ord. 15 maggio 1986, Foro it., 1987,
I, 2272, con osservazioni di Bellantuono, aveva sollevato dubbi di costi tuzionalità sul «comunque» di cui al 7° comma dell'art. 17, sotto l'aspet to della mancata possibilità di controllo da parte del concedente sulla esecuzione dei miglioramenti effettuata dal conduttore.
Questa ordinanza non ebbe dubbi sul significato letterale e logico del
«comunque», mentre Cass. n. 6703/87 opera un vero e proprio stravolgi mento linguistico e logico che finisce per costituire, nei fatti, abrogazione di una norma voluta dal parlamento.
Giova ricordare che il 7° comma dell'art. 17 è la riproposizione, quasi con le stesse parole, di quanto previsto dall'ultimo comma dell'art. 15 1. 11/71, e quest'ultima norma fu sottoposta all'esame della Corte costi
tuzionale, che con sentenza 22 dicembre 1977, n. 153, id., 1978, I, 11, la ritenne costituzionalmente legittima.
La Corte costituzionale disattese la dedotta incostituzionalità per via della dichiarata incostituzionalità del 1° comma dell'art. 15 1. 11/71 in relazione all'art. 4, 3° comma, stessa legge (con tale pronuncia, fu ritenu to incostituzionale che il locatore che aveva eseguito miglioramenti fosse
ricompensato con il canone risultante dalla nuova classificazione catasta le: e cioè, per via della esiguità della somma, si ritenne che veniva meno l'interesse del locatore a migliorare).
Sia o meno questa giustificazione soddisfacente, in attesa che sul «co
munque» si pronunci ancora la Corte costituzionale, ovvero che la Cassa
zione, a sezioni unite o non, chiarisca il suo pensiero sulla questione, ci sembra di potere affermare che il «comunque», nel senso di «in ogni caso», non pone dubbi di costituzionalità per quei miglioramenti eseguiti senza il consenso del concedente prima dell'entrata in vigore della 1. 11/71: mancava precedentemente a tale legge una adeguata disciplina dei miglio ramenti, per cui il legislatore con il «comunque» introdusse una sanato ria, per assai diffuse situazioni del genere nel paese, a tutela del condut tore che aveva speso lavoro e denaro per l'esecuzione dei miglioramenti, sia pure senza il consenso del concedente.
Un profilo di incostituzionalità, pertanto, potrebbe aversi solo per i
miglioramenti eseguiti successivamente all'entrata in vigore della 1. 11/71 senza il consenso del concedente, ove quest'ultimo non intenda utilizzare i residui miglioramenti a fine rapporto, allorquando potrà essere richiesta la eliminazione delle opere non volute. [D. Bellantuono]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
la Borrello decaduta dal diritto alla proroga legale della colonia
parziaria sul fondo in questione e la condannava al rilascio del
fondo stesso ed al pagamento della quota di prodotti spettante alle concedenti a far tempo dall'annata agraria 1972/73 nonché
a rimborsare alle stesse le spese del giudizio.
Proposto appello dalla Borrello, la sezione specializzata agra ria della sezione di Corte d'appello di Reggio Calabria, con sen
tenza 2 dicembre 1982 - 4 gennaio 1983, confermava l'impugnata
pronuncia e condannava l'appellante a rimborsare alle appellate le spese del giudizio di secondo grado.
Premesso che, come era pacifico tra le parti, dall'annata agra ria 1972/73 in poi la Borrello non aveva corrisposto alle conce
denti la quota padronale del prodotto del fondo da lei tenuto
in colonia parziaria, la sezione specializzata, quanto all'assunto
della Borrello secondo cui il fondo era rimasto per un certo pe riodo in condizioni di improduttività a seguito dei lavori di im
pianto di un vigneto da lei eseguiti a sue spese e che essa Borrel
lo, quando si iniziò il giudizio, era in attesa di fare i conteggi con le Criserà, considerava che, importando l'impianto del vigne to la trasformazione del fondo da frutteto a vigneto, la Borrello
avrebbe potuto eseguire detto impianto solo con il consenso delle
concedenti — che queste negavano di aver dato e sul quale la
Borrello non aveva dato alcuna prova — e, in caso di mancata
autorizzazione, con il parere favorevole dell'ispettorato agrario. Ed osservava che alla grave inadempienza dell'omesso pagamen to del canone dall'annata agraria 1972/73 in poi la Borrello ave
va aggiunto l'inadempienza del mutamento della coltura del fon
do, fatto arbitrariamente. La sezione specializzata escludeva che
potesse essere concesso un termine, chiesto dalla Borrello all'u
dienza di discussione in appello, per il pagamento dei canoni sca
duti ai sensi dell'art. 46, 6° comma, 1. 3 maggio 1982 n. 203.
Considerava che per tale norma il termine va concesso dal giudi ce alla prima udienza e prima di ogni altro provvedimento, men
tre nella specie si era nella fase finale del giudizio d'appello. Avverso questa sentenza Giovanna Borrello ha proposto ricor
so per cassazione deducendo quattro motivi. Giuseppina Criserà, Anna Maria Criserà e Rosa Corigliano resistono con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo ed il secondo motivo
si denuncia violazione degli art. 38 e 17, 2° e 7° comma, 1. 3
maggio 1982 n. 203 nonché insufficiente motivazione su un pun to decisivo della controversia.
La ricorrente lamenta che la sezione specializzata agraria della
corte di Reggio Calabria non abbia considerato che l'avvenuta
esecuzione dei miglioramenti non poteva essere considerata come
inadempienza per la norma di cui all'art. 17, 7° comma, 1. n.
203 del 1982, applicabile anche alle colonie parziarie per l'espres sa statuizione dell'art. 38 della stessa legge; la quale norma di
spone che l'affittuario che abbia apportato al fondo migliora menti prima dell'entrata in vigore di detta legge ha diritto ad
essere indennizzato anche se tali opere siano state eseguite invito
domino e senza la «autorizzazione» dell'ispettorato agrario. Ne
deriva, secondo la ricorrente, che, alla luce dell'avvenuta esecu
zione delle migliorie, il giudizio sulla gravità della mancata corre
sponsione della quota pattizia dei prodotti sarebbe potuto essere
diverso e non portare alla risoluzione del contratto.
Il motivo è infondato. È da premettere che — come si è visto
nella precedente narrativa — la inadempienza della Borrello de
dotta in causa dalle Criserà, in base alla quale queste chiesero
la risoluzione del contratto di colonia parziaria e la dichiarazione
di decadenza della convenuta dal diritto alla proroga legale del
rapporto agrario, fu la mancata corresponsione della quota pa
dronale dei prodotti (pari a 3/5) dall'annata agraria 1972/73 in
poi. Alla quale deduzione la Borrello oppose di avere arrecato
un miglioramento al fondo con l'impianto di un vigneto in sosti
tuzione delle poche piante di frutta esistenti, derivandone un pe
riodo di improduttività del fondo e il suo diritto alla relativa in
dennità; il che avrebbe giustificato la mancata corresponsione della
quota padronale dei prodotti, escludendo il dedotto inadempi
mento.
Nell'ambito, e nei limiti, di queste deduzioni delle parti, la se
zione specializzata di appello avrebbe dovuto decidere, ed in ef
fetti ha, in definitiva, deciso. Infatti, anche se nella motivazione
della sentenza impugnata si legge che «alla grave inadempienza
dell'omesso pagamento del canone dalla annata agraria 1972/73
in poi — sono ormai passati dieci anni — la Borrello aggiunse
l'inadempienza del mutamento della coltura del fondo, fatto ar
bitrariamente e senza il consenso delle proprietarie dello stesso
Il Foro Italiano — 1987.
fondo», in realtà i giudici d'appello hanno inteso affermare che
l'impianto del vigneto, in sostituzione del preesistente frutteto, fu illegittimo e perciò non giustificava la mancata corresponsione della quota padronale dei prodotti del fondo protrattasi per tutti
quegli anni, la quale mancata corresponsione costituiva grave ina
dempimento comportante la risoluzione del contratto e la deca
denza della Borrello dal diritto alla proroga legale del rapporto di colonia parziaria.
È da premettere ancora che la sentenza di primo grado, emessa
nel 1980, non fu munita di clausola di provvisoria esecuzione
(non trattandosi di condanna a favore del coltivatore per un cre
dito derivante dal rapporto agrario, la sentenza non era esecutiva
di diritto a norma dell'art. 431, 1° comma, c.p.c.); per cui la
causa doveva essere decisa in appello facendosi applicazione della
sopravvenuta 1. 3 maggio 1982 n. 203, a norma dell'art. 53, 1°
comma, di tale legge. Ed appunto la ricorrente lamenta che i giudici d'appello non
abbiano applicato nella specie la norma di cui al 7° comma del
l'art. 17 di quella legge, interpretandola nel senso che l'affittua
rio (nonché il mezzadro o colono) ha diritto all'indennità per mi
glioramenti apportati al fondo vigendo la legislazione anteriore
anche se eseguiti, in mancanza di consenso del concedente, senza
una pronuncia autorizzativa dell'ispettorato agrario. (Non viene
proposta, con tale deduzione, una questione nuova in questa sede
di legittimità, come sostengono le controricorrenti, perché, ferma
la situazione di fatto accertata in sede di merito, si fa questione delle norme di legge che la corte di Reggio Calabria avrebbe do
vuto applicare). Interpretazione, questa, che il collegio non ritie
ne esatta.
La precedente 1. 11 febbraio 1971 n. 11 stabiliva la procedura da osservarsi dalla parte, nel rapporto di affitto, che intendeva
eseguire miglioramenti sul fondo; la quale procedura, indicata
in via generale nell'art. 11 e semplificata nell'art. 14 per l'affit
tuario coltivatore diretto (il 2° comma di quest'ultimo articolo, che attribuiva all'affittuario coltivatore diretto la facoltà di ese
guire miglioramenti, che fosse in grado di compiere con il lavoro
proprio e con quello dei componenti della propria famiglia, senza
alcun onere procedurale, è stato dichiarato costituzionalmente il
legittimo con la sentenza 19 dicembre 1977, n. 153, Foro it., 1978,
I, 11, della Corte costituzionale), si traduceva essenzialmente in
ciò, che i miglioramenti potevano essere eseguiti soltanto o con
il consenso dell'altra parte o, in mancanza, a seguito di provvedi mento autorizzativo dell'ispettorato agrario. Eseguiti legittima mente i miglioramenti, a norma dell'art. 15, 2° comma, l'affit
tuario aveva diritto ad una indennità corrispondente all'aumento
di valore conseguito dal fondo e sussistente alla fine dell'affitto, anche in ipotesi di risoluzione anticipata del rapporto; la quale
indennità, ovviamente, non era dovuta se i miglioramenti erano
stati eseguiti dall'affittuario senza il consenso del concedente e
senza il provvedimento autorizzativo dell'ispettorato agrario, tra
ducensosi tale comportamento in un inadempimento.
Uguale regime è stato mantenuto nella nuova 1. 3 maggio 1982
n. 203, all'art. 16, per le opere di miglioramento fondiario (quale sarebbe quello di specie, consistente nell'impianto, sul fondo, di
un vigneto, in sostituzione del preesistente frutteto), nonché per le addizioni e trasformazioni degli ordinamenti produttivi e dei
fabbricati rurali (l'art. 19 facoltizza l'affittuario ad eseguire sul
fondo, in deroga alle procedure di cui all'art. 16, previa comuni
cazione al concedente, «piccoli miglioramenti», specificati in quelli
che, eseguiti dall'affittuario con il lavoro proprio e della propria
famiglia, non comportano trasformazioni dell'ordinamento pro
duttivo, ma sono diretti a rendere più agevoli e produttivi i siste
mi di coltivazione in atto; condizioni, queste, evidentemente non
ricorrenti nelle specie): anche per la nuova legge, le opere di mi
glioramento fondiario possono essere eseguite dall'affittuario (è
l'ipotesi che qui interessa) se vi è il consenso del concedente e, in mancanza, se vi è il provvedimento autorizzativo dell'ispetto
rato agrario. Il 2° comma dell'art. 17 attribuisce il diritto all'indennità al
l'affittuario che abbia eseguito le opere di cui al 1° comma del
l'art. 16, cioè quelle di miglioramento fondiario e trasformazione
degli ordinamenti produttivi e dei fabbricati rurali; e, natural
mente, se legittimamente eseguite, con l'osservanza della proce
dura di cui ai successivi commi dello stesso art. 16, che sfocia
nel consenso del concedente, o, in mancanza, nel provvedimento
positivo o negativo dell'ispettorato agrario. Il 7° comma dell'art. 7 statuisce: «Le disposizioni del presente
articolo si applicano anche per le opere di cui al 1° comma del
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3011 PARTE PRIMA 3012
l'art. 16 previste nel contratto e concordate dalle parti, o comun
que eseguite in data anteriore all'entrata in vigore della presente
legge». Questa norma consta di due parti, separate dalla particel la disgiuntiva «o» preceduta da una virgola, le quali contengono due disposizioni distinte. La prima parte integra la normativa con
tenuta nei precedenti commi dello stesso articolo disponendo che
l'aumento del canone, se le opere di cui al 1° comma dell'art.
16 sono state eseguite dal locatore, e l'indennità, se le opere sono
state eseguite dall'affittuario, sono dovuti anche se le opere sono
state eseguite senza l'osservanza della procedura indicata nell'art.
16, ma che siano state «previste nel contratto e concordate dalle
parti». La seconda parte contiene una disposizione transitoria, secondo la quale l'aumento del canone e l'indennità, nelle rispet tive ipotesi, sono dovuti in caso di opere, di cui all'art. 16, «co
munque eseguite in data anteriore all'entrata in vigore» della 1.
n. 203 del 1982.
Nella disposizione transitoria il «comunque» non può essere
inteso nel senso di «in ogni caso», anche se, nel vigore della pre cedente 1. 11 febbraio 1971 n. 11, le opere di miglioramento fos
sero state eseguite, in mancanza di accordo fra le parti, senza
provvedimento autorizzativo dell'ispettorato agrario. Nella conti
nuità di disciplina normativa, rimasta uguale nella precedente e
nella nuova legge, la disposizione transitoria, cosi interpretata, sarebbe irrazionale, in contrasto con la logica della legge: perché
spezzerebbe la continuità della disciplina legislativa in ordine alle
opere di miglioramento, rendendo ingiustificatamente legittimo, retroattivamente e per il futuro, il comportamento di un soggetto del rapporto agrario che, invece, era illegittimo per la precedente
legge e tale rimane anche per la legge nuova.
Alla disposizione transitoria deve essere data, allora, una di
versa interpretazione, rispondente a criterio di razionalità, secon
do la logica interna della legge: va intesa nel senso che le opere di cui al 1° comma dell'art. 16, tra cui quelle di miglioramento
fondiario, eseguite in data anteriore all'entrata in vigore della
1. n. 203 del 1982, sono legittime, e danno diritto alla relativa
indennità per l'affittuario o all'aumento del canone per il locato
re, se la loro esecuzione ha avuto luogo con il rispetto delle con
dizioni stabilite dalla precedente legge 11 febbraio 1971 n. 11, cioè con il consenso dell'altra parte o, in mancanza, previa dispo sizione autorizzati va dell'ispettorato agrario.
Cosi interpretata la disposizione transitoria, la decisione impu
gnata risulta esatta. (Omissis)
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 7 luglio 1977 As
sunta Calabria, nella qualità di proprietaria di un fondo semina
tivo in agro di San Severo, esteso circa quindici ettari e condotto
in affitto da Achille Plescia, conveniva costui davanti alla sezione
specializzata agraria del Tribunale di Foggia per ottenere il rila scio del terreno, avendo intenzione di coltivarlo direttamente e
personalmente.
Costituitosi, il Plescia resisteva alla domanda, che veniva riget tata dalla sezione adita.
La sezione specializzata della Corte d'appello di Bari, invece, non solo riteneva fondata la pretesa della Calabria, ma dichiara va pure l'inammissibilità dell'impugnazione incidentale del Pie scia avente ad oggetto l'indennità per i miglioramenti arrecati al fondo.
Con atto del 1° agosto 1983, la Calabria intimava il precetto
per il rilascio, ma il Plescia e la di lui moglie Ersilia Prattichizzo
proponevano opposizione, facendo valere il loro diritto di riten zione fino a quando non fosse stata ad essi corrisposta l'indenni tà per i miglioramenti.
Con sentenza del 9 novembre 1983, la sezione specializzata agra ria del Tribunale di Foggia accoglieva l'opposizione soltanto par zialmente, dichiarando che il Plescia e la di lui moglie avevano il diritto di ritenere il fondo fino al momento del pagamento del
l'equo indennizzo previsto dall'art. 43 1. n. 203 del 1982, e non anche fino a quello della determinazione e del pagamento dei
pretesi miglioramenti, essendo stati questi ultimi eseguiti in epoca posteriore alla proposizione della domanda di cessazione della pro roga legale.
Su gravame del Plescia e della Prattichizzo, la sezione specia lizzata agraria della Corte d'appello di Bari, con sentenza del 5 aprile 1984, ha confermato la pronuncia di primo grado.
Il Foro Italiano — 1987.
La corte del merito ha considerato che i miglioramenti furono
eseguiti dopo circa tre anni dall'inizio della causa, nonostante
le contrarie decise diffide della concedente; che in virtù della re
troattività della decisione i miglioramenti devono ritenersi arbi
trari perché eseguiti da meri detentori di fatto del fondo, a cui
non compete lo ius retentionis sia in base al codice civile, sia
in forza delle leggi speciali sui contratti agrari. In particolare, la corte del merito ha osservato che, anche ai sensi degli art.
17 e 20 1. n. 203 del 1982, per far valere il diritto di ritenzione
è necessario che si tratti di miglioramenti eseguiti in costanza di
un pacifico rapporto di affittanza, mentre, nella specie, i miglio ramenti erano stati eseguiti conto la volontà della concedente e
durante la pendenza del giudizio. Ricorre per cassazione il Plescia, in nome proprio e nella quali
tà di erede della moglie, con un solo motivo. La Calabria resiste
con controricorso. Le parti hanno presentato memorie illustrative.
Motivi della decisione. — Il ricorrente denuncia la violazione
degli art. 17, 20 e 53 1. n. 203/82, anche sotto il profilo della
insufficiente motivazione, per avere la sentenza impugnata rite
nuto che la particolare tutela offerta dal sistema legislativo al
concessionario attraverso la ritenzione del fondo debba operare solo per i miglioramenti effettuati in costanza di rapporto agra rio. Pertanto, l'effetto retroattivo della pronuncia favorevole al
concedente — secondo i giudici di merito — ricondurrebbe i mi
glioramenti ad un tempo in cui il rapporto non poteva più consi
derarsi esistente de iure, ma solo di fatto. Al contrario, secondo
il ricorrente, doveva applicarsi la disposizione dell'art. 17 1. n.
203, nel senso che consente l'applicazione delle disposizioni sulla
ritenzione e sulle indennità ai miglioramenti anche se eseguiti in
data anteriore alla detta legge e pur nella sussistenza di un rap
porto di fatto, per la disposizione transitoria dell'art. 53.
Ciò posto, deve osservarsi che l'art. 17, 7° comma, contiene
una disposizione sicuramente retroattiva: esso ha infatti riguardo anche alle spese «comunque eseguite in data anteriore all'entrata
in vigore della (presente) legge». La specialità di tale disposizione rende superflua l'indagine sul
contrasto insorto nella giurisprudenza della corte in ordine alla
applicabilità dell'art. 53 ai rapporti di mero fatto; motivo per il quale la presente controversia è stata rimessa alle sezioni unite
civili. Nella specie si tratta infatti di opposizione alla esecuzione, in
sorta dopo l'entrata in vigore della 1. n. 203; tale opposizione trova formalmente il suo fondamento nel 2° comma dell'art. 20, che estende al processo esecutivo il diritto di ritenzione, che la
precedente normativa (art. 15 1. 11 del 1971) prevedeva nella sola
sede di cognizione. Atteso lo stretto nesso logico e sistematico fra l'art. 17 e l'art.
20 1. n. 203, la retroattività prevista dall'art. 17 non può non
riflettersi sulla materia regolata dall'art. 20.
Ma nella specie sembra non porsi neppure un problema di re troattività: infatti il diritto di ritenzione è stato qui fatto valere in sede di esecuzione, di opposizione a precetto di rilascio, dopo l'entrata in vigore della 1. n. 203.
Il rapporto dedotto in giudizio è quindi soltanto quello che
riguarda il credito per indennità per miglioramenti; questo rap porto si pone come autonomo rispetto al rapporto agrario, dalla cui esecuzione ha origine, tanto è vero che può essere dedotto anche per la prima volta nella sede dell'esecuzione, ai sensi del l'art. 20, quando ormai non è più in vita il rapporto di affitto.
Nel corso dei giudizi di merito la resistente ha proposto due
profili di eccezioni; uno nascente dal giudicato esterno sul rap porto di affitto e uno relativo alla qualità delle opere di migliora mento eseguite ed al tempo in cui esse furono poste in essere.
La corte di Bari esattamente ha considerato negativamente il
primo profilo, rilevando che il giudicato esterno non ostava alla
proponibilità della domanda, in quanto nel giudizio originario sul contratto di affitto la domanda del Lo Porfido relativa all'in dennizzo per i miglioramenti era stata dichiarata inammissibile
per mere ragioni di rito. Pertanto nel giudizio di cognizione non si era formato alcun giudicato sostanziale, di merito, che potesse impedire al Lo Perfido di invocare la ritenzione del fondo nel diverso processo esecutivo.
Dopo questa premessa la sentenza impugnata perviene all'af fermazione che, quali siano i limiti a la portata del nuovo ius
retentionis, deve trattarsi di miglioramenti eseguiti nel corso di un pacifico rapporto di affittanza e non già — come nella specie — di miglioramenti eseguiti in contrasto con la volontà del con cedente.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Tale affermazione appare errata ed in violazione degli art. 17
e 20 1. n. 203.
Il 7° comma dell'art. 17, come già sopra si è visto, trova appli cazione anche per le opere «comunque eseguite in data anteriore
all'entrata in vigore della legge». Ciò indipendentemente dalle pre visioni contrattuali o dall'accordo delle parti, ipotesi prevista nel
la prima parte del comma e distinta dalla successiva da una «o»
con chiaro significato disgiuntivo. L'avverbio «comunque» riferito al tempo di esecuzione delle
opere assume un evidente significato di «in ogni caso» e non può certo riferirsi alle modalità di esecuzione delle opere stesse, che
debbono essere quelle che furono eseguite in conformità della
disciplina previgente. Una diversa generica interpretazione cozzerebbe contro lo spi
rito e la sostanza della nuova normativa molto precisa e rigorosa nella materia, che in parte ha mutuato proprio dalla disciplina
previgente e che si è ora specificata all'art. 16 in precise previsio ni di osservanza di determinate condizioni e modalità.
Di conseguenza deve ritenersi che lo ius retentionis possa essere
invocato nel processo esecutivo, anche in relazione alle opere che, al di fuori delle previsioni contrattuali o dell'accordo delle parti, siano state in ogni caso (comunque) eseguite in data enteriore
all'entrata in vigore della legge n. 203, ma in conformità della
disciplina previgente. (Omisiss)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 luglio
1987, n. 6408; Pres. Colesanti, Est. Lazzaro, P.M. Di Renzo
(conci, diff.); Mancini (Avv. Minutolo) c. Falcucci (Avv. Cas
sola). Cassa Pret. A tessa 6 maggio 1982.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Disciplina transitoria — Cessazione dell'atti
vità — Decadenza dalla proroga legale — Inapplicabilità —
Recesso del locatore — Inammissibilità (Cod. civ., art. 1587;
1. 23 maggio 1950 n. 253, disposizioni per le locazioni e sublo
cazioni di immobili urbani, art. 3; 1. 27 luglio 1978 n. 392,
disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 29, 59, 73,
80, 84).
Nel regime transitorio della l. n. 392/78, non è configurabile la
facoltà del locatore di recedere dal contratto di locazione aven
te ad oggetto un immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo ove il conduttore abbia cessato di svolgere l'attività
alla quale esso serviva, non essendo stata considerata tale si
tuazione come motivo di recesso dal combinato disposto degli
art. 73 e 29 della suddetta legge ed essendo inapplicabile, per
ché priva di ultrattività, la norma dell'art. 3, n. 2, I. n. 253/50,
che tale situazione considerava come causa di decadenza dalla
proroga legale del contratto (nella motivazione della sentenza
si esclude altresì' sia l'applicabilità in via analogica del recesso
ai sensi dell'art. 59, n. 8, l. n. 392/78, previsto per le locazioni
abitative, sia che la situazione considerata possa dare luogo alla risoluzione del contratto per mutamento dell'uso pattuito dell'immobile ai sensi dell'art. 80 della stessa legge ovvero, al
l'infuori di ipotesi particolari, in base ai principi generali in
tema di inadempimento contrattuale). (1)
(1) Con l'argomentata sentenza qui riprodotta la Corte di cassazione
prende posizione sulla delicata questione della risolubilità — prima della
sua scadenza fisiologica — della locazione di immobile non abitativo nel
caso di cessazione dell'attività cui questo era adibito, ovvero di non uso
dell'immobile. La pronunzia segue, a breve distanza di tempo, Corte cost.
9 aprile 1987, n. 116, Foro it., 1987, I, 1666, con nota di richiami di
D. Piombo (alla quale si rinvia per una panoramica aggiornata dei vari
orientamenti della giurisprudenza di merito e della dottrina sul proble
ma), che ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità del
l'art. 73 1. n. 392/78 nella parte in cui — a differenza di quanto fa l'art.
59 per le locazioni abitative — non prevede il recesso del locatore in
caso di mancata occupazione dell'immobile non abitativo da parte del
conduttore. Adde, in senso conforme alla Cassazione, Trib. Genova 10
novembre 1986, Arch, locazioni, 1987, 132.
Per quanto riguarda la prospettata sopravvivenza dell'art. 3, n. 2, 1.
n. 253/50, è interessante notare che per la sentenza in epigrafe l'eventuale
giudizio di compatibilità, di cui all'art. 84 1. n. 392/78, può essere effet
tuato «esclusivamente tra la precedente disciplina ordinaria e quella, pari
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-195.
Motivi della decisione. — Il ricorrente deduce: a) «errata valu
tazione delle risultanze testimoniali», in quanto i giudici del meri
to avevano affermato l'avvenuta cessazione dell'attività sulla ba
se della testimonianza del comandante dei vigili urbani di Atessa
il quale, invece, aveva riferito che il negozio in questione era, «da qualche tempo, prevalentemente chiuso al pubblico»: dal che
emergeva, al contrario di quanto reputato da quei giudici, che
l'attività sia pure saltuariamente era svolta (primo motivo); b)
«illegittima applicazione dell'art. 3 1. n. 253/50» che doveva rite
nersi abrogato dal combinato disposto degli art. 73 e 29 1. n.
392 del 1978: in particolare, l'art. 29 — con riferimento alle loca
zioni non abitative — non aveva riproposto la disposizione di
cui all'art. 3, n. 2,1. n. 253 del 1950 che considerava, quale causa
di decadenza dalla proroga legale del contratto, la cessazione del
la attività da parte del conduttore. Il che comportava l'applicabi lità dell'art. 1587 c.c., il quale non pretende che il conduttore
usi dell'immobile (tranne che un tale obbligo sia da reputare ne
cessario per la conservazione della cosa locata ovvero sia stato
assunto con apposito patto), né prevede come inadempienza il
non uso dello stesso. In tale prospettiva era sintomatico che, per
gli immobili destinati ad abitazione, il legislatore del 1978 avesse
previsto con apposita norma (art. 59, n. 8) la possibilità di reces
so del locatore in caso di mancata occupazione dell'immobile da
parte del conduttore senza giustificato motivo (secondo mezzo). La censura di cui al secondo motivo del ricorso — l'esame
della quale ha precedenza logica e giuridica — è fondata.
La questione prospettata è stata affrontata dalla dottrina e dal
la giurisprudenza di merito, che hanno adottato diverse soluzioni
cosi sintetizzabili: a) la norma di cui all'art. 3, n. 2, 1. 23 maggio 1950 n. 253 non è incompatibile con il regime transitorio della
1. 27 luglio 1978 n. 392 e, pertanto, tenuto anche conto del dispo sto dell'art. 84 (che dichiara abrogate soltanto «le disposizioni
incompatibili» con essa legge) deve reputarsi tuttora in vigore;
b) la cessazione dell'attività del conduttore è deducibile come mo
tivo di recesso in forza dell'art. 59, n. 8, n. 12 1. n. 392 del 1978,
da applicarsi in via analogica in forza del principio dell'autointe
grazione della legge dell'equo canone; c) il «non uso» dell'immo
bile è equiparabile all'uso diverso da quello pattuito, con la con
seguente risolubilità del contratto, ai sensi e secondo le modalità
dell'art. 80 della richiamata 1. n. 392 del 1978; d) la norma in
questione è stata abrogata poiché la legge dell'equo canone ha
inteso porre fine al regime vincolistico, che ha rimosso in radice,
dando all'istituto locatizio una regolamentazione compiuta: sic
menti ordinaria, dettata dalla nuova legge», dovendo invece escludersi
di per sé l'attuale vigenza (o ultrattività) delle norme eccezionali e tempo ranee del regime vincolistico in materia di locazioni urbane. Per una ras
segna più generale delle disposizioni in relazione alle quali si è posto il
problema della abrogazione per incompatibilità con la 1. n. 392/78, v.
la nota redazionale di D. Piombo a Trib. Milano 6 ottobre 1986 e a Pret.
Milano 24 novembre 1986, Foro it., 1987, I, 1595.
Sull'ambito di applicazione dell'art. 80 1. n. 392/78, v. Cass. 16 luglio
1986, n. 4600 e Pret. Monza 7 gennaio 1986, ibid., Ill, con osservazioni
di D. Piombo; Cass. 24 febbraio 1987, n. 1935, ibid., 2147, e Cass. 3
marzo 1987, n. 2226, che sarà riportata in un prossimo fascicolo (le sen
tenze della Cassazione ora citate possono leggersi, unitamente a Corte
cost. n. 116/87, cit., anche in Giusi, civ., 1987, I, 1026, con nota di
N. Nizzo). Sul principio — pure ribadito nella motivazione da Cass. n. 6408/87
— secondo cui il non uso dell'immobile locato non integra (di regola)
inadempimento contrattuale, non avendo il conduttore alcun obbligo di
usare l'immobile, salvo il caso che oggetto di godimento siano beni pro duttivi o che richiedano l'utilizzazione per la loro conservazione, e a me
no che le parti non abbiano assunto specificamente un determinato uso
del bene locato nel sinallagma contrattuale, v., oltre a Cass. 7 agosto
1967, n. 2108, Foro it., Rep. 1967, voce Locazione, n. 21 (richiamata nella motivazione), Cass. 5 agosto 1954, n. 2879, id., Rep. 1954, voce
cit., n. 128. In senso difforme da tale opinione v., entrambe con riferi
mento alle locazioni di immobili adibiti ad un'attività economico-produttiva: Trib. Roma 24 marzo 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 150 (e in Loca
zioni urbane, 1984, 378), e Pret. Agrigento 29 aprile 1983, ibid., n. 179
(e in Giust. civ., 1984, I, 322, con nota critica di P. Ferrone); nonché,
in relazione ad una fattispecie di locazione abitativa, Trib. Torino 14
marzo 1984, Corriere giur., 1985, 513, con nota critica di D. Piombo.
In dottrina v. inoltre, nel senso della insussistenza, ex art. 1587 c.c., di
un divieto di non uso della cosa locata: P. Ferrone, Ipotesi sul «non
uso» dell'immobile locato, in Quaderni giustizia, 1984, fase. n. 30, 40; M. Cappelli, L'equo canone, Majorca, 1981, 372 ss.
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