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Sezione III civile; sentenza 5 luglio 1980, n. 4302; Pres. ed est. V. Sgroi, P. M. Cantagalli...

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Sezione III civile; sentenza 5 luglio 1980, n. 4302; Pres. ed est. V. Sgroi, P. M. Cantagalli (concl. diff.); Vaccari (Avv. Cataudella) c. Clerici Bonelli e Buraggi (Avv. Taranto, Mangione). Cassa App. Roma 22 giugno 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 2 (FEBBRAIO 1981), pp. 445/446-449/450 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171359 . Accessed: 28/06/2014 12:40 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.235 on Sat, 28 Jun 2014 12:40:31 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione III civile; sentenza 5 luglio 1980, n. 4302; Pres. ed est. V. Sgroi, P. M. Cantagalli (concl.diff.); Vaccari (Avv. Cataudella) c. Clerici Bonelli e Buraggi (Avv. Taranto, Mangione). CassaApp. Roma 22 giugno 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 2 (FEBBRAIO 1981), pp. 445/446-449/450Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171359 .

Accessed: 28/06/2014 12:40

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Con il secondo motivo si sostiene che nella controversia da

vanti al tribunale amministrativo la società contesta il

potere dell'amministrazione di determinare gli oneri di ur

banizzazione nel settore dell'edilizia industriale ed artigiana e

che questa domanda è sottratta al giudice ordinario, perché è

vero che l'art. 16 legge 28 gennaio 1977 n. 10 attribuisce al giu dice amministrativo la competenza anche sui ricorsi concernenti

la determinazione e la liquidazione dei contributi per oneri di

urbanizzazione, ma il legislatore non ha derogato ai principi ge nerali sul riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giu dice amministrativo e neppure ha istituito una nuova area di

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Anche questa argomentazione manca di qualsiasi fondamento,

perché, come si è già visto, la citata norma — come chiaramente

indica il suo tenore letterale e come confermato dalla relazione

al disegno di legge — attribuisce al tribunale amministrativo la

giurisdizione esclusiva su queste controversie; a parte quindi la

incongruenza del riferimento fatto dal ricorrente alla mera pro

spettazione della parte nel giudizio davanti al tribunale ammi

nistrativo, e a parte la inesattezza di quanto, anche sotto questo

profilo, attribuito al contenuto del ricorso della società (che ha

sostenuto non già la carenza di potere del comune di imporre il contributo, ma la incompetenza nella determinazione provvi soria dei parametri per gli insediamenti industriali e artigia

ni); a parte tutto ciò, si diceva, l'art. 16 citato non lascia spa zio per le destinazioni che il comune ricorrente vorrebbe far

valere.

11 ricorso pertanto deve essere rigettato, dichiarandosi la giu

risdizione del giudice amministrativo. Il comune ricorrente deve

essere condannato alle spese. Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III civile; sentenza 5 lu

glio 1980, n. 4302; Pres. ed est. V. Sgroi, P. M. Cantagalli

(conci, diff.); Vaccari (Avv. C at au della) c. Clerici Bonelli

e Buraggi (Avv. Taranto, Mangione). Cassa App. Roma 22

giugno 1977.

Mandato — Sostituto del mandatario — Sostituzioni ulteriori — Azione contrattuale diretta del mandante verso l'ulteriore

sostituto — Esclusione (Cod. civ., art. 1717).

In caso di sostituzione nell'esercizio del mandato il mandante

ha azione contrattuale diretta solo verso chi ha agito per in

carico ricevuto dal mandatario, non anche verso i sostituti

di grado ulteriore. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Con atto del

13, 14 e 18 aprile 1970 Meg Clerici Bonelli e Lidia Buraggi

esponevano: che nell'autunno del 1969 avevano affidato ad

Andrea Campanelli l'incarico di vendere' un quadro di proprie

tà di esse istanti, attribuito al Guerrino; che il Campanelli, ri

cevuto il quadro, lo aveva consegnato in deposito fiduciario,

a ciò espressamente autorizzato, al prof. Armando Palamaro,

il quale lo aveva a sua volta consegnato all'ing. Ezio Vaccari,

che aveva assicurato di essere in trattative per la vendita del

quadro; che il Vaccari si era avvalso dell'opera di Giuseppe Marcucci assieme al quale, senza autorizzazione alcuna, aveva

portato il quadro a • Bologna per mostrarlo ad un probabile

(1) Non constano precedenti editi in termini né opinioni dottrinali

sullo specifico punto. In genere sull'azione diretta « transcontrattuale »

del mandante cfr., da ultimo, Cass. 25 marzo 1976, n. 1070, Foro it.,

Rep. 1976, voce Mandato, n. 26, e fra le altre Cass. 30 luglio 1960,

n. 2278, id., 1961, I, 304, con nota di richiami. Per quanto riguarda la natura giuridica della sostituzione ex art.

1717 cod. civ., la sentenza en passant (il punto viene infatti dichia

rato privo di importanza ai fini del decidere) attribuisce alla dottrina

prevalente l'opinione che si tratti di contratto derivato (submandato). In senso contrario v., da ultimo, Grasso, Il subcontratto, 1977, 114;

Minervini, Mandato, submandato e sostituzione del mandatario nella

prassi bancaria e nella giurisprudenza, in Riv. dir. civ., 1976, I, 481 (e

già II mandato. La commissione. La spedizione, 1957, 56); Clarizia, So

stituzione e submandato, in Banca, borsa, ecc., 1973, II, 67 (nota a

Cass. 25 maggio 1972, n. 1445, Foro it., 1973, I, 559); e, con riferi

mento al previgente contesto legislativo, Carresi, Sostituzione e sub

mandato, id., 1938, I, 1087 (nota a Cass. 24 marzo 1937, n. 886,

che, come l'altra sentenza citata, e come spesso anche la dottrina,

trae spunto specifico di riflessione dalla fattispecie, oggi disciplinata dall'art. 1856 cod. civ., della banca che, priva di un proprio spor tello sulla piazza, commette ad altra banca l'esecuzione dell'incarico

affidatole dal cliente).

acquirente; che durante il viaggio di ritorno il quadro, legato con una corda sul tetto dell'auto e male assicurato, era caduto sulla strada, finendo sotto le ruote di un camion che lo aveva

praticamente distrutto; che il Marcucci aveva in un primo tem

po promesso di versare a titolo di risarcimento dei danni la

somma di lire 2.000.000 ma era poi venuto meno all'impegno; che evidente era la responsabilità oltre che del Marcucci an che del Palamaro e del Vaccari, i quali non avevano usato

nella custodia del quadro la diligenza richiesta dall'art. 1768

cod. civile.

Le attrici convenivano, pertanto, davanti al Tribunale di Ro

ma il Marcucci, il Palamaro e il Vaccari per sentirli condannare

al pagamento in loro favore della somma di lire 5.000.000 o di

quella ritenuta di giustizia. Si costituivano i convenuti, i quali resistevano alla avversa pretesa, eccependo il difetto di legitti mazione attiva; il Vaccari e il Palamaro deducevano, altresì', la

loro estraneità ai fatti di causa, mentre il Marcucci assumeva

che il danneggiamento del quadro era conseguente ad un fatto

fortuito.

Nel corso del giudizio veniva disposto sequestro giudiziario del quadro; si procedeva, inoltre, ad interrogatorio formale dei

convenuti e a consulenza tecnica. Con sentenza del 25 novem

bre 1974 il tribunale condannava, in solido, i convenuti al pa

gamento in favore delle attrici della somma di lire 2.500.000 ol

tre agli interessi e ordinava la restituzione del quadro alle at

trici.

Proponevano appello avverso la detta sentenza il Vaccari e

il Palamaro; si costituivano sia il Marcucci, il quale chiedeva

la conferma della sentenza impugnata, sia la Clerici Bonelli e

la Buraggi, le quali proponevano a loro volta appello inciden

tale in ordine all'entità della somma dovuta.

Con la sentenza ora denunciata la Corte d'appello di Roma

ha elevato a lire 4.290.000, per effetto di rivalutazione, la som

ma liquidata a favore della Clerici Bonelli e della Buraggi, con

fermando nel resto la decisione di primo grado.

La corte ha affermato che, versandosi in materia di respon sabilità contrattuale, era frustranea l'indagine intorno alla tito

larità del diritto di proprietà del quadro; che al Palamaro e

al Vaccari doveva riconoscersi la veste di sostituti del man

datario; che costoro nell'esecuzione del mandato non avevano

osservato la diligenza del buon padre di famiglia e non ave

vano provveduto alla custodia del quadro; che i medesimi Pa

lamaro e Vaccari, essendosi avvalsi senza autorizzazione di un

sostituto, erano tenuti a rispondere a norma dell'art. 1717, pri ma parte, cod. civ., per l'operato del Marcucci, la cui negli

genza era addirittura macroscopica.

Contro questa sentenza il Vaccari ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Resistono con unico con

troricorso la Clerici Bonelli e la Buraggi. Entrambe le parti han

no presentato memoria.

Motivi della decisione. — La corte di merito ha inquadrato sotto lo schema della responsabilità contrattuale l'azione pro

posta dalle attrici nei confronti del Palamaro e del Vaccari; e

avendo affermato l'esistenza di una valida fonte di obbligazioni

inter partes, come riflesso dell'attribuzione della veste di so

stituti del mandatario ad entrambi i convenuti, ha ritenuto su

perflua ogni indagine sulla appartenenza del quadro alle at

trici.

Quest'ultima affermazione, posta a premessa della statuizio

ne che ha liquidato il danno in misura pari all'intero valore del

quadro, forma oggetto del primo motivo di ricorso, col quale — sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli art.

1218, 1453 e 1718 cod. civ. — si critica la corte d'appello per

avere perso completamente di vista che per liquidare alle at

trici il danno derivante dal deterioramento del quadro era in

dispensabile accertare che le stesse ne avessero la titolarità, in

difetto della quale era da escludersi che esse avessero potuto

risentire il pregiudizio consistente nella diminuzione di valore

del quadro stesso.

Questa censura è, tuttavia, logicamente subordinata a quella

svolta nel secondo motivo in ordine alla qualificazione del

l'azione proposta e, conseguentemente, della responsabilità de

dotta dalle attrici a fondamento della pretesa di ristoro del

danno.

A tale proposito il ricorrente denuncia la violazione e falsa

applicazione degli art. 1717 e 1718 cod. civ. e il vizio di moti

vazione, sostenendo che la corte di merito non ha tenuto pre

sente la circostanza che l'incarico gli era stato conferito non

già da Armando Palamaro, ma dal figlio di costui (il quale si

era dichiarato proprietario del quadro), e che, pertanto, si era

interrotto il nesso mandatario-sostituto del mandatario, che co

stituisce il presupposto per l'applicazione dell'art. 1717 citato:

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PARTE PRIMA

in ogni caso la fattispecie prevista in via eccezionale da questa norma non si è realizzata perché egli era sostituto del sostituto

del mandatario.

Per quel che risulta dalla sentenza impugnata le attrici, nel

l'atto introduttivo, esposero di aver dato incarico (scilicet, man

dato a vendere il quadro) ad Andrea Campanelli, il quale ave

va concluso un contratto di deposito fiduciario con Armando

Palamaro; questi, a propria volta, aveva consegnato il quadro ad Ezio Vaccari perché ne curasse la vendita e il Vaccari si

era avvalso dell'opera di Giuseppe Marcucci.

Da questa descrizione si distacca sensibilmente la ricostru

zione operata dalla corte di merito.

Per vero, con riferimento al Palamaro la corte ha ritenuto « irrilevante ai fini della decisione che il contratto sia intercor

so non direttamente con le attrici, ma con il Campanelli, a

sua volta incaricato della vendita, dovendosi riconoscere al

Palamaro la qualità di sostituto del mandatario, con conseguen te facoltà delle attrici di agire direttamente nei confronti dello

stesso in applicazione dell'art. 1717, ult. comma, cod. civile ».

Anche al Vaccari, in quanto mandatario del Palamaro, la corte

di merito ha riconosciuto la qualità « di sostituto del manda

tario riguardo alle attrici».

Ma, poiché ne! periodo precedente il Palamaro era stato qua lificato sostituto, l'alternativa risulta ferrea: se non si vuol pre sumere che la corte di merito si sia contraddetta nella stessa

pagina, attribuendo al Palamaro la duplice e incompatibile ve

ste di mandatario delle attrici e contemporaneamente di sosti

tuto del mandatario, raffermata applicabilità del disposto del

l'art. 1717, ultimo comma, riposa implicitamente ma necessaria

mente sull'accoglimento dell'idea che il sostituto del sostituto

del mandatario sia equiparato, ai fini della citata norma, al

sostituto (diretto) del mandatario.

La verifica condotta sul piano testuale non permette di ac

quisire punti a favore della fondatezza di tale assunto.

La formula adottata dall'ultimo comma dell'art. 1717 — sul

la cui base la corte di merito ha giustificato l'azione diretta

delle attrici contro il Vaccari — si riferisce espressamente alla

persona, la cui investitura come sostituto proviene in via di

retta dal mandatario, non altro significato potendo assumere

una locuzione caratterizzata dall'uso del complemento di agen te. Per stabilire se questa interpretazione letterale corrisponda all'effettiva portata della norma occorre procedere ad una ana

lisi delle altre disposizioni dell'art. 1717, che vanno logicamente riguardate come un unitario e (presumibilmente) coerente com

plesso normativo.

Un'espressione perfettamente corrispondente a quella dell'ul

timo comma si ritrova nel primo, benché volta dal passivo al

l'attivo: il soggetto che opera la sostituzione è individuato nel

mandatario, sicché la «persona sostituita», della cui attività

egli è chiamato a rispondere verso il mandante, non può essere se non colui che il mandatario stesso ha personalmente nomi nato perché faccia le sue veci nell'esecuzione del mandato. A

diversa conclusione non adduce il termine « altri » (in quanto pronome indefinito singolare), il quale può ben alludere, oltre

tutto, alla ammissibilità di più sostituti, tutti incaricati dal man

datario, senza far necessariamente pensare ad una sequela di sostituzioni in senso, per cosi dire, verticale, la seconda delle

quali non .proceda dal mandatario, ma dal suo sostituto. Le locuzioni del 2° comma dell'art. 1717 non si discostano

dall'idea dell'esigenza di un vincolo diretto tra mandatario e

sostituto, se è vero: 1) che l'autorizzazione del mandante po stula come di regola un destinatario determinato (il quale non

può che essere la controparte contrattuale); 2) che il manda tario — quando il sostituto non sia stato nominativamente in dicato dal mandante — è chiamato a rispondere della scelta

fatta (ed è inutile sottolineare che questa scelta non esiste se

a scegliere è stato il sostituto); 3) che la responsabilità è fon

data sull'elemento soggettivo della colpa, in cui il mandatario

sia incorso nella scelta: ora, a parte il testuale riferimento al

mandatario come soggetto responsabile, per compiere l'ulte

riore passo occorrerebbe pensare che possa cadere in colpa nel

la scelta anche colui che si fa sostituire da una persona che, a propria volta, scelga male il proprio sostituto.

11 terzo comma si occupa della responsabilità del mandatario

per le istruzioni impartite al sostituto: ancora una volta ri

sulta evidente che le istruzioni possono impartirsi al sostituto

diretto, se non si vuole aggiungere alla norma una regola che

essa non contiene e che consisterebbe nell'ampliare la responsa bilità per ricomprendervi anche l'ipotesi di istruzioni impartite dal sostituto ovvero da costui (non impartite ma semplicemente) trasmesse al proprio sostituto.

In definitiva, la rapida ricognizione dei moduli verbali usati

nelle varie disposizioni dell'art. 1717 conferma l'esattezza e, con

testualmente, il limite del riferimento soggettivo che si ritrova

nella rubrica dell'articolo, la quale, lungi dall'essere generica mente intitolata alla «sostituzione nell'esecuzione del mandato», adotta il complemento di specificazione (« sostituto del manda

tario »), cosi' evidenziando il legame immediato tra le due per sone menzionate.

Alla lettera dell'art. 1717 (la quale attesta che nessuna delle norme esaminate ha modo di funzionare senza aggiustamenti ed

interpolazioni in rapporto al sostituto) non contraddice l'interpre tazione che trae fondamento dalla sua ratio e dall'inserimento

nel sistema delle sue diverse articolazioni normative: qualche osservazione, nei limiti imposti dalla decisione della questione controversa, appare in proposito significativa.

Nonostante le connotazioni di un rapporto fiduciario insite nel

mandato il legislatore ha preso atto delle difficoltà — che in ta lune ipotesi si presentano — di una esecuzione esclusivamente

personale dell'incarico commesso dal mandante al mandatario:

appunto per agevolare quest'ultimo nell'adempiere le prestazioni è stata prevista l'entrata in campo del sostituto.

Questa finalità dell'istituto in esame non è contraddetta dalla

previsione nel primo comma dell'ipotesi di sostituzione non ne

cessaria: infatti, non esiste correlazione automatica fra (rilevan za della) finalità di agevolare il mandatario (senza aggravare la

posizione del mandante) ed assoluta indispensabilità della sosti

tuzione, a causa della natura dell'incarico, restando ampio spa zio per ricorrere al sostituto allorché sussistano ragioni di oppor tunità (come quella di utilizzare una più specifica competenza per uri particolare aspetto o momento dell'incarico, di evitare una co

stosa trasferta e simili). La relativa ratio non basta tuttavia a giustificare la tesi del

l'applicabilità, al sostituto del sostituto, del medesimo regime pre visto dall'art. 1717 per il sostituto del mandatario sotto il rifles

so che l'attività prestata dal primo agevola l'esecuzione del manda

to. Si tratta, invero, di un argomento troppo facile ed altrettanto

generico, che deve fare i conti con una serie di indiscutibili

difficoltà, sorgenti principalmente — prima ancora che dall'as

setto che all'istituto ha dato l'art. 1717 — sia dall'impossibilità, una volta abbracciata la logica della sostituzione, di fissare un li

mite capace di spezzare una catena di sostituzioni che potrebbe

prolungarsi indefinitamente, sia dalla attenuazione, fino alla ne

gazione in fatto, del carattere fiduciario presente nel rapporto di

mandato (quanto meno nel profilo della rilevanza dell'intuitus

personae), mano a mano che le sostituzioni si susseguono e si

cumulano l'una all'altra.

In contrario non vale invocare un principio — che si preten derebbe di desumere dall'art. 1705, capov., e dall'art. 1706, 1°

comma — in forza del quale sarebbe consentito al mandante di

esercitare azioni dirette nei confronti dei terzi, fra i quali do

vrebbe comprendersi il sostituto del sostituto.

Per vero, i terzi dei quali si occupano le norme citate (sempre che si ritenga che esse prevedano azioni dirette e non surrogato

rie) sono coloro i quali sono vincolati al mandatario per effetto

della stipulazione di negozi compiuti in adempimento del man

dato: ad essi non è assimilabile il soggetto che, ai fini di quella

stipulazione, collabora all'esecuzione dell'incarico conferito dal

mandante al mandatario.

Nell'ipotesi in esame non è infatti questione di sostituzione del

mandante al mandatario nell'esercizio di determinati diritti (unico

profilo che emerge nelle disposizioni citate), ma di sostituzione

di un terzo al mandatario, senza contare che — in presenza di

una norma appositamente dettata per quest'ultima vicenda (art.

1717, ultimo comma) — non appare agevolmente sostenibile l'as

sunto della deduzione di una norma diversa o, se si vuole, ag

giuntiva da una disciplina concernente un aspetto del tutto di

stinto del mandato.

Il vero si è che nell'accordare al mandante il diritto di rivol

gersi direttamente contro il sostituto del mandatario l'art. 1717,

4° comma, introduce un'eccezione alla regola, in forza della quale l'azione ex contractu sorge esclusivamente tra le parti contrat

tuali.

Il punto di sutura, e, nel contempo, la base giustificativa di

quest'azione diretta, è costituito dall'atto di nomina del sostituto,

che per svolgere quella funzione deve essere qualificato dalla sua

provenienza dalla parte del contratto, cosi' ponendosi come im

mediata filiazione di quest'ultimo. Non è allora necessario chie

dersi se l'atto che opera la sostituzione e che si ricollega al man

dato faccia a sua volta germinare, in quanto il sostituto accetti

la nomina, un diverso mandato, classificabile come sub-mandato

rispetto al mandato originario dalla cui base esso deriva.

Questo inquadramento — che ha il favore di autorevole dot

trina — non porge, in relazione al problema qui in esame, ele

menti di chiarificazione, giacché non si discute dell'esperibilità.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

ad opera della parte del contratto principale, di pretese dirette nei confronti del sub-contraente (il che corrisponde ad un prin cipio positivamente affermato anche dall'art. 1595 cod. civ. in materia di sublocazione), ma viene, se mai, in rilievo la diversa situazione in cui su di un contratto derivato si innesta un ulte riore sub-contratto. Pertanto, si imporrebbe previamente l'inda

gine sul punto preliminare se la filiazione di contratti a catena sia pur sempre inquadrabile sotto lo schema del sub-contratto e, nell'affermativa, se la mancanza di un nesso derivativo immediato tra due contratti escluda per ciò stesso la proponibilità di azioni contrattuali ad opera della parte del contratto-padre nei con fronti della parte del contratto che non ha nel primo la sua genesi immediata.

Bisogna, d'altra parte, essere avvertiti del fatto che la preoc cupazione dell'interprete chiamato ad esaminare la posizione del mandante nei riguardi del sostituto del sostituto del mandatario, non può essere condizionata dall'esigenza di proteggerne ad ogni costo gli interessi (i quali possono, del resto, trovare tutela, ove si neghi l'azione contrattuale, sul piano della responsabilità aqui liana).

Considerate le inscindibili interconnessioni tra le diverse norme

dell'art. 1717, occorre, per vero, darsi carico della correlativa

posizione del mandatario, la cui responsabilità, chiamata in cau sa dalla sostituzione, non può espandersi al di là dei confini

razionalmente segnati in termini espressi dai primi tre comma

dell'art. 1717 con riferimento al fatto proprio dello stesso man

datario, consistente: a) nell'essersi fatto sostituire senza autoriz

zazione o senza necessità; b) nella cattiva scelta del sostituto; c) nell'inadeguatezza o incongruenza delle istruzioni impartite al sostituto. Non è, invece, agevole ricondurre a tale fatto una

condotta autonomamente posta in essere dal sostituto (e sfociata

nella nomina di un proprio sostituto) e imputare al mandatario

l'operato di quest'ultimo, tanto più che il mandatario ne potrebbe

persino ignorare l'esistenza.

In definitiva, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, con assorbimento del primo per le ragioni in premessa spiegate; e la causa va rinviata per nuovo esame ad altra sezione della

Corte d'appello di Roma, la quale — attesa la rilevata incon

gruenza in cui è incorsa la sentenza impugnata nel definire la

veste assunta nella vicenda dal Vaccari — dovrà preliminar mente accertare (prima, cioè, di adeguarsi al principio di diritto

or ora enunciato) se questi sia stato incaricato dal Palamaro ov

vero dal Campanelli e, nella prima ipotesi, se il Campanelli, nel

conferire l'incarico al Palamaro, abbia agito come mandatario ov

vero come rappresentante delle attrici, salva in ogni caso la veri

fica della possibilità di inquadrare sul terreno della responsabi lità aquiliana la pretesa concretamente esercitata da costoro.

(Omissis) Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I civile; sentenza 3 luglio 1980, n. 4225; Pres. Marchetti, Est. Caccavale, P. M. Va

lente (conci, conf.); Calamandrei (Avv. Alberici, Sebastia

ni) c. Ferroni e Orioli (Avv. U. Novelli, Carrozza) e Soc.

R.e.n.p.; Soc. R.e.n.p. (Avv. Manfredini, Biondi) c. Ferroni e

Orioli, e Calamandrei. Conferma App. Firenze 16 luglio 1976.

Concorrenza (disciplina della) — Concorrenza sleale — Dif

fida stragiudiziale — Denigrazione — Sussistenza — Fattispe cie (Cod. civ., art. 2598).

La diffida stragiudiziale intesa a bloccare la diffusione di un pro dotto (che, a torto, il diffidante assume lesivo di un suo diritto

di privativa) può costituire denigrazione anche quando sia ri

volta soltanto a chi abbia acquistato, dall'impresa in concor

renza col diffidante, il diritto esclusivo di rivendere il prodotto stesso. ( 1 )

(1) Con la pronunzia che si riporta, la Cassazione ribadisce — no nostante un temperamento, di cui diremo tra breve — un principio largamente ricevuto in giurisprudenza: quello secondo cui la diffida c. d. difensiva o specifica, diretta contro un soggetto individuato o

individuabile e volta ad ottenere una tutela preventiva e stragiudi ziale (e perciò ben distinta dalla diffida c. d. pubblicitaria o gene rica, utilizzata a scopi prettamente reclamistici — v. G. P. Savi, Diffide e concorrenza sleale nella giurisprudenza successiva al 1942, in Riv. dir. ind., 1966, 11, 99 — e considerata, di regola, lecita perché « atto di innocua iattanza », a prescindere dal contenuto di verità della diffida stessa: ma cfr. Trib. Milano 14 giugno 1951, Foro it., 1952, 1, 1313) integra gli estremi della slealtà concorrenziale quando il diritto vantato dal diffidante risulta, sulla base di un accertamento

li. Foro Italiano — 1981 — Parte I-29.

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — In data 4 aprile 1972 i sigg. Ferroni Roberto e Orioli Vincenzo, titolari di bre vetto di utilità relativo ad un astuccio metallico apribile, da usare in ogni sua possibile forma di accessorio di utilità perso nale (bracciale, collare, catena, portachiavi, ecc.) regolarmente depositato il 31 luglio 1971 ai n. 34913 e n. 11806 B/71, concede

ex posi, insussistente. V., in tal senso, Trib. Milano 13 luglio 1978, Giur. dir. ind., 1978, n. 1062, 440; Trib. Rovigo 28 giugno 1978, ibid., n. 1059, 423; App. Milano 26 maggio 1978, ibid., n. 1056, 400; Trib. Milano 25 luglio 1977, id., 1977, n. 956, 631; Trib. Mi lano 17 marzo 1977, Foro it., Rep. 1979, voce Concorrenza, n. 22: Cass. 1° giugno 1976, n. 1978, id., Rep. 1976, voce Brevetti, n. 13; Trib. Milano 17 maggio 1976, Giur. dir. ind., 1976, n. 834, 471; Trib. Milano 9 febbraio 1976, Foro it., Rep. 1978, voce Concorrenza, n. 130; Trib. Milano 10 marzo 1975, Giur. dir. ind., 1975, n. 707, 234; Trib. Milano 17 settembre 1973, id., 1973, n. 384, 1042; Trib. Milano 30 ottobre 1972, id., 1972, n. 194, 1455; App. Milano 24 ot tobre 1972, ibid., n. 190, 1421; Trib. Milano 12 giugno 1972, ibid., n. 142, 929; Trib. Milano 21 febbraio 1972, ibid., n. 76, 488; e ancora, fra le pronunzie più risalenti, Cass. 14 febbraio 1964, n. 331, Foro it., Rep. 1964, voce Concorrenza, n. 98, in motivazione, in Rass. propr. ind., 1964, 129; 9 luglio 1959, n. 2205, Foro it., Rep. 1959, voce Marchio, n. 41; 11 ottobre 1957, n. 3738, id., Rep. 1957, vo ce Privative industriali, n. 57 (queste ultime decisioni sono tutte men zionate in motivazione, insieme a Cass. 7 luglio 1959, n. 2157, id., Rep. 1959, voce Concorrenza, n. 41, che però non riguarda affatto la questione qui discussa e ha tutta l'aria di un by-product da uso intensivo di terminale computerizzato).

Per quanto consistente, tale filone giurisprudenziale non è incon trastato. Vi si contrappone una tesi di segno nettamente contrario — sostenuta, a quanto consta, soltanto da App. Milano 18 aprile 1972, Giur. dir. ind., 1972, n. 114, 761, e Trib. Milano 31 marzo 1955, Foro it., Rep. 1955, voce Privative industriali, n. 60 — a te nore della quale l'illiceità è esclusa in ragione della prescrizione di validità che assiste il brevetto (il che, si è replicato, equivale ad assegnare portata generale ad una regola destinata ad operare solo in sede di contestazione della privativa).

Tra i due estremi si colloca poi un'ulteriore opinione, per cosi dire intermedia, che si sforza di valorizzare i principi della legittima difesa putativa. La sua versione corrente ammette l'illecito concor renziale quando il marchio, brevetto, ecc., che si intendeva difendere con la diffida, risulti per qualsiasi motivo invalido; ma ritiene inap plicabile la sanzione risarcitoria in assenza di colpa del diffidante. Cfr. Trib. Milano 20 marzo 1975, Giur. dir. ind., 1975, Repertorio sistematico, voce Concorrenza, sub 6.9.2; Trib. Milano 28 novembre 1974, id., 1974, n. 648, 1339; Trib. Milano 24 maggio 1973, id., 1973, n. 338, 679 (travalica i termini di quest'impostazione Trib. Torino 29 maggio 1976, Foro it., Rep. 1978, voce Concorrenza, n. 76, secondo cui la prova dell'assenza di colpa, nel diffidante, si fonda sulla presunzione di validità del brevetto). A veder bene, comunque, l'unica « precisa e corretta » applicazione della legittima difesa pu tativa si deve a Trib. Milano 12 luglio 1976, ibid., n. 137, in extenso in Giur. dir. ind., 1976, n. 850, 584, a cui dire « la diffida [è] atto di denigrazione commerciale verso coloro che, nei confronti dei terzi, vengono individuati o sono individuabili come pretesi contraffattori del brevetto se questo risulta nullo a posteriori, a meno che la causa di nullità potesse essere esclusa secondo una previsione ragionevole e frutto di una prudente valutazione ». In altre parole, la liceità, 0 no, della diffida non deriverebbe automaticamente da una verifica ex post circa l'esistenza del diritto vantato, ma da una stima ex ante della sua, diciamo pure, plausibilità. (Da notare come la buona fede sia uno degli elementi costitutivi della difesa di qualified privilege riconosciuta al convenuto in un'azione per disparagement, equiva lente d'oltreoceano della nostra denigrazione. « [Il diritto] accorda al titolare di un brevetto il qualified privilege di render nota l'accusa di contraffazione a terzi interessati, anche se l'accusa si dimostra poi infondata, sempre che il titolare del brevetto ritenga ragionevolmente e in buona fede che l'accusa sia vera e non fosse spinto da malizia ma agisse esclusivamente in difesa del suo brevetto»: cosi' Kemart Corp. v. Printing Arts Research Laboratories, Inc., 146 F. Supp. 21, 22 (S. D. Cai. 1956), affirmed 269 F. 2d 375 (9th Cir. 1959) {« Se l'ap pellato riteneva che la sua accusa di contraffazione fosse fondata, ed era per lui ragionevole ritenere cosi, non vi fu alcuna concreta malafede da parte sua e fu perciò stabilito uno degli elementi ri chiesti per la difesa di privilege], certiorari denied 361 U.S. 893 (1959); e, per un dictum di più antica data, v. Emack v. Kane, 34 Fed. 46 (C.C.N.D. 111. 1888), secondo cui « [i]t may not be libelons for the owner of a patent to charge that an article made by another manufacturer infringes his patent, and notice of an alleged infringement may, if given in good faith, be a considerate and kind act on the part of the owner of the patent »).

Proprio sulla mancata osservanza dei principi in materia di difesa putativa s'incentrava il secondo motivo del ricorso principale. La Cassazione — ed ecco il temperamento cui si alludeva in esordio —

non rigetta l'argomento. Piuttosto, essa si limita ad osservare come 1 giudici del merito avessero escluso, con motivazione ineccepibile, che nella fattispecie fossero da riscontrare i presupposti di un errore scusabile; e lascia cosi aperto uno spiraglio per la revisione di un indirizzo « di tale rigore, per il concorrente di buona fede, da sco raggiare anche le diffide più ' sicure ' ».

In dottrina, G. Ghidini, La concorrenza sleale, Torino, 1971, 117-18

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