sezione III civile; sentenza 5 marzo 1986, n. 1418; Pres. Scribano, Est. Fiduccia, P. M. Iannelli(concl. conf.); Mari (Avv. Palumbo) c. Soc. Valenti &C. (Avv. Carsana). Conferma Trib. Latina 21agosto 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1247/1248-1257/1258Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179915 .
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1247 PARTE PRIMA 1248
costituito dalla soccombenza e se la natura dell'interesse ad im
pugnare toglie ogni rilevanza e indisponibilità del diritto in conte
stazione, l'indagine va incentrata sul concetto di soccombenza.
(Cass. 27 aprile 1978, n. 1965, cit.). Coloro, infatti, che contendono sul bene e sulla prestazione
oggetto della pretesa fatta valere in giudizio, sono titolari dell'a
zione, quale diritto ad ottenere dal giudice che provveda nella
situazione controversa, mediante l'attuazione della norma ad essa
applicabile, in virtù della quale il bene oggetto della pretesa e
la corresponsione della prestazione dovrà essere riconosciuto al
l'uno e negato all'altro. E quest'ultimo, per effetto della decisio
ne, nella quale le concrete posizioni delle parti si riverberanno, risulterà il responsabile del conflitto che il giudice è chiamato
a decidere.
Se, inoltre, il fondamento della responsabilità del processo va
individuato nel cosiddetto principio di causalità, del quale la soc
combenza costituisce soltanto un elemento rivelatore, che consen
te di risalire al fatto causativo del giudizio per identificare la parte
soccombente, cioè quelle a carico della quale viene emanato il
provvedimento richiesto dalla controparte, con quella che, lascian
do insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata (o azionando
una pretesa riconosciuta infondata) abbia dato causa alla lite (Cass. 19 aprile 1975, n. 1507, id., Rep. 1975, voce Spese giudiziali, n. 5; 15 novembre 1973, n. 3030, id., Rep. 1973, voce cit., n.
29; 11 marzo 1972, n. 697, id., 1972, I, 3445), ne consegue che, al fine di individuare il soggetto che ha dato causa al processo e che di regola è il soccombente (cioè colui a cui sfavore il pro cesso viene celebrato) nessuna rilevanza può riconoscersi all'at
teggiamento assunto nel processo dalle parti rispetto al bene o
alla prestazione, che può essere di indifferenza come l'ipotesi di
contumacia, o anche di adesione alla pretesa contraria (Cass. 27
aprile 1978, n. 1965, cit.) come nel caso di specie.
Valga al riguardo il richiamo a quelle decisioni con le quali si è ritenuto che il riconoscimento del debito a parte del convenu
to non esclude la soccombenza, da riferirsi non già alla contesta
zione in giudizio del debito ma al fatto oggettivo all'inadempimento
dell'obbligazione (Cass. 23 giugno 1972, n. 2127, id., Rep. 1972, voce cit., n. 32; 22 dicembre 1970, n. 2742, id., Rep. 1971, voce
cit., n. 7; 24 marzo 1969, n. 934, id., Rep. 1969, voce cit., n. 48). Ne consegue, in relazione al caso di specie, che soccombente
nella lite dedotta innanzi al pretore dalla Rampanti, era l'istituto, risolvendosi la soccombenza nel contrasto sostanziale fra il con
tenuto della sentenza e l'interesse della parte, per cui l'interesse
all'impugnazione è determinato dalla lesione che la sentenza ca
giona alla parte. Nel caso di specie non vi è dubbio che dalla
declaratoria di cessazione della materia del contendere sia deriva
to danno all'I.n.p.s. che, pur in presenza dell'asserita carenza
dei presupposti soggettivi per il riconoscimento del diritto alla
pensione di invalidità della Rampanti, si troverebbe esposto ad
una prestazione non dovuta.
Peraltro, l'I.n.p.s., proprio proponendo impugnazione, ha esclu
so ogni spontanea soddisfazione della pretesa avversaria, conte
stando il preteso diritto.
Conseguentemente, alla luce dei cennati precedenti giurispru
denziali, devesi ritenere che anche in materia previdenziale, suc
cessivamente al riconoscimento della propria soccombenza con
conseguente dichiarazione processuale in tal senso, l'ente tenuto
alla prestazione debba provvedere spontaneamente alla soddisfa
zione della pretesa avversaria, onde se ciò non si è concretamente
verificato, la parte può impugnare la sentenza per far valere un
profilo giuridico nuovo (cfr. sent. 1965 del 1978, cit.; 3859 del
1978, cit.), nei limiti appresso precisati. Infatti, pur aderendosi
alla tesi della soccombenza sostanziale e non meramente proces
suale, deve sottolinearsi che il riconoscimento dell'altrui ragione non consente di tornare a mettere in discussione, nel grado supe
riore, i temi o i profili già dibattuti nel grado di giudizio conclu sosi con la cessazione della materia del contendere. Onde
l'impugnazione, sempre che il riconoscimento dell'altrui diritto — come nel caso di specie — sia stato opera di difensore legitti mato a disporre del diritto e sempre che questo risulti disponibile
(che, in caso diverso, non sarebbe configurabile un «riconosci
mento» operativo di effetti nei confronti delle parti) è ammissibi
le quando con il gravame si faccia valere «un profilo giuridico
nuovo», un profilo cioè assolutamente non trattato nella fase con
clusasi con la cennata dichiarazione di cessazione della materia
del contendere.
Profilo giuridico nuovo nella specie consistente nell'interesse
Il Foro Italiano — 1987.
attuale e concreto dell'istituto ad ottenere una sentenza d'accer
tamento negativo del diritto a pensione di invalidità per insussi
stenza di un requisito fondamentale, qual è quello dei regolari e sufficienti versamenti contributivi.
I giudici di secondo grado, in realtà, pur partendo da premesse non erronee sull'interesse ad agire in generale ed in particolare sull'interesse ad impugnare derivante dalla soccombenza, intesa
quest'ultima — come nella motivazione che precede si è chiarito — come il contrasto fra il contenuto della sentenza e l'interesse
della parte, sono giunti a conclusioni inaccettabili quando hanno
negato la legittima introduzione dell'appello nel caso in esame,
in cui la sentenza impugnata si è limitata a dichiarare cessata
la materia del contendere.
II Tribunale di Genova, di fronte ad una esplicita doglianza al riguardo dell'istituto, ha omesso infatti del tutto di esaminare
e considerare se nella fattispecie sussistessero o meno i presuppo sti della cessazione della materia del contendere, avuto riguardo alla natura del diritto vantato in giudizio, o se, invece, l'erronea
dichiarazione dell'I.n.p.s. posta a base della declaratoria di pri mo grado, comportando un profilo giuridico nuovo, non abbia
determinato il sostanziale perdurare della controversia, resa pe raltro palese dalla stessa proposizione dell'atto di appello e dalla
mancanza di spontanea soddisfazione della pretesa avversaria suc
cessivamente alla dichiarazione, resa in giudizio, di riconoscimen
to della detta pretesa, soddisfazione cui ostava la carenza dei
prescritti requisiti soggettivi voluti al riguardo dalla normativa
previdenziale (art. 9 r.d.I. 639/39). Il Tribunale di Genova ha trascurato per ciò stesso di esamina
re la concreta soccombenza dell'istituto, dalla quale scaturisce l'in
teresse all'impugnazione, soccombenza che deve essere intesa non
soltanto in senso processuale, cioè come un rapporto fra la pro nuncia del giudice e le posizioni assunte dalle parti nel processo, ma anche — come già detto — in senso sostanziale con le limita
zioni dianzi precisate e con riguardo al pregiudizio che dalla pro nuncia medesima derivi al diritto (sostanziale) di cui l'I.n.p.s. è portatore (cfr. al riguardo Cass. 3 maggio 1979, n. 2540, id.,
Rep. 1979, voce cit., n. 23).
Conseguentemente, in accoglimento del proposto ricorso, la sen
tenza impugnata deve essere cassata, con rinvio degli atti per nuovo
esame ad altra sezione del Tribunale di Genova, che si conferme
rà al principio di diritto sopra enunciato. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 5 marzo
1986, n. 1418; Pres. Scribano, Est. Fiduccia, P. M. Iannelli
(conci, conf.); Mari (Aw. Palumbo) c. Soc. Valenti & C. (Aw.
Carsana). Conferma Trib. Latina 21 agosto 1982.
Locazione — Legge 392/78 — Area inedificata o «nuda area» — Applicabilità — Immobili adibiti ad uso diverso dall'abita zione — Destinazione indiretta ad attività commerciale — In
clusione — Facoltà del conduttore di costruire manufatti —
Irrilevanza (L. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni
di immobili urbani, art. 27, 67).
La disciplina dettata dagli art. 27 e 67 l. n. 392/78, in tema di
durata delle locazioni di immobili urbani ad uso diverso da
quello di abitazione, concerne anche le aree non edificate adi
bite, ancorché in modo accessorio e indiretto, all'esercizio di
una delle attività elencate nei primi due commi del predetto art. 27; né rileva in contrario, non comportando alcuna devia
zione dallo schema negoziale della locazione, l'attribuzione al
conduttore della facoltà di costruire sull'area manufatti (nella
specie, oggetto della locazione era un'area adibita, insieme ad
un capannone ed altri manufatti su di essa realizzati dal con
duttore, a deposito di materiali per l'edilizia, costituenti ogget to dell'attività commerciale dello stesso conduttore). (1)
(1) I. - L'inclusione nell'ambito applicativo della 1. n. 392/78 delle lo cazioni di aree non edificate adibite ad una delle attività economico
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 5 dicem
bre 1985, n. 6101; Pres. Gabrieli, Est. Maiella, P. M. Detto
ri (conci, conf.); Soc. Edil Caserta (Avv. Panuccio) c. I.n.p.s.
(Avv. Solarini, M. Passaro). Cassa Trib. Reggio Calabria 12
febbraio 1981.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Immobili adibiti ad attività assistenziale —
Uffici amministrativi dell'I.n.p.s. — Esclusione (L. 27 luglio 1978 n. 392, art. 42, 67, 70).
produttive elencate dall'art. 27, costituisce un principio in via di consoli
damento, dopo il deciso mutamento di rotta della Cassazione, segnato dalle sentenze 16 dicembre 1985, n. 6384 e 29 novembre 1985, n. 5930, Foro it., 1986, I, 690, con nota di D. Piombo, (la seconda delle quali è annotata anche da M. Comenale Pinto e da A. De Cupis, in Giust.
civ., 1986, I, 1411 ss., e da A. M. Bruni, in Nuova giur. civ., 1986, I, 306). Nello stesso senso v. successivamente: Cass. 27 febbraio 1986, n. 1285, Rass. equo canone, 1986, 103; 4 aprile 1986, n. 2332, Foro it., Mass., 401; 16 giugno 1986, n. 3993, ibid., 700; 4 luglio 1986, n. 4409, ibid., 776. L'indirizzo opposto è, invece, ancora seguito da Cass. 4 mar zo 1986, n. 1351, ibid., 245.
Nel definire il concetto di «immobile urbano», cui si riferisce la 1. n.
392/78, la sentenza qui riprodotta si uniforma a Cass. n. 5930/85, cit., e ai fini di tale qualificazione attribuisce rilevanza alla destinazione rica vata dagli strumenti urbanistici, di modo che va considerato «urbano» l'immobile in quanto «oggetto, attuale o potenziale, di disciplina urbani stica». Assumono invece la natura «non agricola» dell'attività svolta nel l'immobile come elemento determinante la sua qualificazione come «urbano» (contrapposta a quella di «fondo rustico»), indipendentemente dall'ubicazione del bene: Cass. 14 dicembre 1985, n. 6344, Rass. equo canone, 1986, 36, e Arch, locazioni, 1986, 233; Cass. 19 aprile 1986, n. 2775, ibid., 435, e Rass. equo canone, 1986, 112.
La pronuncia in epigrafe si segnala, peraltro, per l'affermazione che l'eventuale previsione nel contratto della facoltà del conduttore di erigere sull'area locatagli manufatti, da destinare alla sua attività, non incide sulla natura di locazione tipica del rapporto; e ciò soprattutto quando il conduttore sia obbligato a «togliere i manufatti eretti... al termine della
locazione», giacché in tal caso non si fa che «tradurre» nel contratto la disciplina dei miglioramenti e delle addizioni dettata dagli art. 1592 e 1593 c.c.», tuttora vigenti in materia di locazione. In senso sostanzial mente conforme, v. (con riferimento al previgente regime vincolistico) Cass. 21 giugno 1979, n. 3444, Foro it., Rep. 1980, voce Locazione, n.
249, cui si rifà, nel risolvere una fattispecie analoga a quella definita dalla sentenza in epigrafe, Trib. Milano 17 ottobre 1985, id., 1986, I, 192, con nota di richiami ed osservazioni di D. Piombo. Contra, da ulti
mo, Cass. 12 marzo 1985, n. 1942, ibid., richiamata in motivazione da Cass. n. 1418/86.
In dottrina, sull'argomento, v., da ultimo, F. Di Ruzza, Brevi osserva
zioni in tema di locazione di area nuda, in Giur. it., 1986, I, 1, 1655. II. - Circa la estensione dell'ambito di applicazione dell'art. 27 1. n.
392/78 alle locazioni di immobili destinati solo indirettamente allo svolgi mento di attività commerciale, artigianale, industriale, ecc., già Cass. 3 novembre 1982, n. 5775, Foro it., 1983, I, 1004, con nota di richiami
(citata in motivazione da Cass. n. 1418/86), si è pronunziata nello stesso
senso, purché si tratti di immobile «collegato — spazialmente e/o funzio nalmente — con una delle... attività» tutelate dalla predetta disposizione. Analogamente v., da ultimo, Cass. 28 aprile 1986, n. 2943, Rass. equo canone, 1986, 104, e Arch, locazioni, 1986, 428; e, ai fini del recesso del locatore ex art. 73 e 29, lett. b), 1. n. 392/78: Cass. 16 marzo 1984, n. 1814, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 676; 21 luglio 1983, n. 5020, id., 1984, I, 910.
Cass. n. 1418/86 si esprime, peraltro, in modo più compiuto sui limiti
di operatività del citato art. 27, dove espressamente condivide la linea ermeneutica secondo cui è determinante non la «funzione del tutto essen
ziale, o quanto meno prevalente, dell'immobile per l'esercizio di quelle attività» tutelate dalla norma, bensì' la sua «necessaria correlazione —
spaziale e/o funzionale — alle esigenze oggettive dell'organizzazione non
primaria ma... accessoria». E questo perché il legislatore, ai fini della
durata della locazione, ha «di mira il fenomeno delle attività tutelate
nella sua globalità ed in relazione alle sue articolazioni organizzative», come rivela la stessa formulazione dell'art. 27 (che si riferisce agli «im
mobili adibiti ad attività...») ed il suo raffronto con il successivo art.
35, che restringe l'ambito della tutela del conduttore con riguardo all'in
dennità di avviamento ex art. 34 1. n. 392/78. La giurisprudenza di meri
to, anche sulla base di quest'ultimo rilievo, concorda generalmente con tale impostazione, ritenendo in particolare che per l'assoggettamento del
contratto all'art. 27 cit. non sia necessario un vincolo pertinenziale del
l'immobile locato con altro immobile in cui sia svolta direttamente una
delle attività elencate dalla disposizione anzidetta (ma in senso contrario v. Pret. Sorrento 14 marzo 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 195). Una
parte della giurisprudenza richiede tuttavia — oltre al carattere oggettivo
Il Foro Italiano — 1987.
La locazione di un immobile destinato ad uffici amministrativi
dell'I, n.p.s. non rientra nella previsione dell'art. 42 l. n. 392/78,
giacché nei relativi locali non viene concretamente svolta alcu
na attività assistenziale (nella specie, la controversia riguardava
l'applicabilità della proroga del rapporto prevista dall'art. 67
della stessa l. n. 392). (2)
e diretto del collegamento dell'immobile locato con una delle attività tu telate — che la utilizzazione indiretta o complementare dell'immobile ri sulti essenziale per l'esercizio di tale attività. In quest'ultimo senso, v., in particolare, Pret. Cremona 22 settembre 1984, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 162; Pret. Napoli 26 febbraio 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 191; Pret. Milano 24 gennaio 1983, ibid., n. 164.
In relazione alle fattispecie concrete esaminate, v., oltre alla giurispru denza richiamata nelle note a Pret. Torre Annunziata 9 agosto 1980, id., 1982, I, 597, e a Pret. Milano 30 aprile 1981, ibid., 2090:
— Pret. Bologna 14 aprile 1983, id., Rep. 1983, voce cit., n. 198, e
id., Rep. 1985, voce cit., n. 163 (si tratta della stessa sentenza, ma le
parti sono indicate con nominativi differenti), che ha ritenuto applicabile l'art. 27 1. n. 392/78 nell'ipotesi di locazione di una vetrinetta per esposi zione di merce;
— la medesima soluzione è adottata, nel caso di locali adibiti a deposi to di merce nell'ambito di un'attività commerciale, da Trib. Milano 17 ottobre 1985, cit. (nella motivazione); Pret. Salerno 2 dicembre 1983, ibid., n. 591; Pret. Taranto 15 dicembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 157 (testo in Arch, locazioni, 1984, 119), che, con riguardo al caso del venditore ambulante, ha sottolineato come la destinazione indiretta dell'immobile ad attività commerciale «non presuppone necessariamente, come accade per le pertinenze, alcuna relazione con altro bene»; Pret. Amalfi 7 febbraio 1983, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 194; Pret.
Foggia 4 marzo 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 916. V. anche Pret.
Napoli 26 febbraio 1983, cit., che tuttavia — come detto — richiede che l'immobile locato sia «essenziale» nell'organizzazione dell'impresa;
— per l'applicabilità della 1. n. 392/78, in un caso di immobile adibito a deposito di libri di un agente editoriale, v. Trib. Foggia 4 ottobre 1980, id., Rep. 1982, voce cit., n. 900; mentre per l'ipotesi del deposito di attrezzi e prodotti agricoli del conduttore dedito professionalmente all'a
gricoltura, v. Pret. Orsara di Puglia 23 dicembre 1983, id., Rep. 1984, voce cit., n. 152;
— con riferimento al deposito di attrezzature occorrenti per l'attività
imprenditoriale del conduttore v. anche, nel medesimo senso a lui favore vole: Pret. Cremona 22 settembre 1984, cit. (deposito di materiale edile); e Pret. Ravenna 24 luglio 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1086 (deposi to di pezzi di ricambio di autocarro utilizzato per attività di trasporto per conto terzi). Contra, su un caso di deposito di materiali per l'attività di idraulico, v. Pret. Fidenza 10 gennaio 1984, id., Rep. 1984, voce cit., n. 151 (che nella specie non ha ravvisato il necessario collegamento «di retto e funzionale» con una delle attività contemplate dall'art. 27 1. n.
392/78); — nell'ipotesi di locazione di box per il ricovero di autoveicoli utilizza
ti nell'esercizio di attività commerciale o altra elencata dall'art. 27, l'ap plicabilità di tale norma è stata affermata da Trib. Padova 17 giugno 1983, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 187, 189, 193 (e in Giust. civ., 1983, I, 3082, con nota di G. Grasselli), e negata — invece — da Pret. Milano 24 gennaio 1983, cit., in relazione ad un caso di ricovero di automezzo usato per la distribuzione della merce venduta dal conduttore (panettie re), per la mancanza del requisito della «indispensabilità». La diversità di posizioni si ripropone con specifico riferimento alla fattispecie del box
per ricovero di «taxi»; per l'assimilabilità della locazione nel novero di
quelle disciplinate dalla I. n. 392, v. Trib. Milano 14 marzo 1983, Foro
it., Rep. 1983, voce cit., n. 196; in senso contrario si sono invece pronun ziati Trib. Milano 11 marzo 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 908, e Pret. Milano 23 marzo 1981, id., Rep. 1983, voce cit., n. 197 (secondo cui nel caso esaminato, cosi come in quello del box-auto del rappresen tante di commercio o del medico, il collegamento funzionale con l'attivi tà professionale del conduttore è soltanto «indiretto e mediato»);
— Pret. Sorrento 17 febbraio 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 910, sulla base della interpretazione restrittiva già proposta nella sentenza 14 marzo 1981, cit., ha ritenuto esclusa dalla disciplina della 1. n. 392/78 la locazione di un immobile adibito a dépendance di un albergo. V. inol
tre, in dottrina, F. Trifone, La locazione: disposizioni generali e locazio ni di fondi urbani, in Trattato di dir. privato, diretto da P. Rescigno,
III, 11, Torino, 1984, 589; S. Di Amato, Le locazioni non abitative,
Roma, 1984, 16 ss.; F. Lazzaro-R. Preden, Le locazioni per uso non
abitativo, Milano, 1985, 79 ss.
(2) La riportata sentenza n. 6101/85 della Cassazione ha escluso che
rientri tra i rapporti contemplati dall'art. 42 1. n. 392/78 (e quindi disci
plinati quanto alla durata dall'art. 27) la locazione di un immobile ad
uso «ufficio amministrativo» dell'I.n.p.s., osservando che in tal caso nel l'immobile non viene «concretamente svolta» alcuna attività assistenziale, come invece presuppone la norma, adoperando l'espressione «immobili
adibiti». Conformemente alla Cassazione, ma in base al rilievo che l'I.n.p.s.
non è un ente pubblico territoriale e che l'elencazione dell'art. 42 è tassa
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1251 PARTE PRIMA 1252
I
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso la
Mari denuncia «erronea interpretazione ed applicazione dell'art.
27 1. 27 luglio 1978 n. 392» lamentando che era stata ritenuta
applicabile la detta norma alla presente ipotesi di locazione di area nuda ed al riguardo sostenendo che quella disciplina aveva
ad oggetto soltanto gli immobili urbani intesi nel senso di manu
fatto edile derivato dall'opera dell'uomo e destinato al ricovero
delle attrezzature necessarie per le attività indicate nella norma.
E con il secondo motivo la ricorrente si duole per «violazione
dell'art. 115 c.p.c. in relazione all'erronea applicazione dell'art. 27 1. 27 luglio 1978 n. 392» deducendo che l'errata qualificazione di immobile urbano — soggetto alla disciplina normativa dell'e
quo canone — dell'area nuda concessa in locazione alla soc. Va
lenti Carlo e C. era il risultato dell'inesatta valutazione delle prove
all'uopo ottenute ed in ispecie dei documenti contrattuali e delle
indicazioni dell'ispezione giudiziale dei luoghi, che avevano com
provato che oggetto del contratto era stato un'area di campagna libera da manufatti e da restituire sgombra dai consentiti manu
fatti provvisori. Gli esposti motivi — che per l'evidente connessione vanno esa
minati congiuntamente — non possono trovare accoglimento. Infatti, le censure della ricorrente ripropongono all'esame di
questa corte il problema dell'applicabilità alla locazione di un'a
rea non edificata della 1. n. 392/78 — ed in particolare la sogge zione alla durata legale prescritta dall'art. 27 in regime ordinario
e dall'art. 67 in regime transitorio — che, in consonanza alla
impugnata decisione del Tribunale di Latina, va risolto positiva mente alla luce della ratio e del dato testuale della detta legge e della correlativa normativa generale dettata dal legislatore.
In tale prospettiva di ermeneutica normativa va debitamente
richiamato quale necessario punto di partenza della indagine la
nozione di «immobile» che, data dall'art. 812 c.c., comprende oltre agli edifici ed altre costruzioni, il suolo e, in genere, tutto
ciò che è incorporato al suolo, naturalmente od artificialmente,
per la rilevante considerazione che la distinzione operata dal co
dice, tra locazione di fondi urbani ed affitto di fondi rustici a
seconda che oggetto del godimento sia la casa per abitazione od
il terreno produttivo di frutti naturali, pur assegnando come con
naturale al concetto di «fondi urbani» quello della costruzione
o del manufatto dovuto all'opera dell'uomo, ha ignorato la sot
tospecie di «immobili urbani» come pure la sottodistinzione tra
immobili (urbani) destinati ad abitazione ed immobili (urbani) destinati ad uso diverso.
Invero, è da tenere al riguardo presente che le cennate subcate
gorie sono nate nella legislazioe vincolistica del dopoguerra con
tiva, v. Pret. Catanzaro 20 ottobre 1978 e Pret. Reggio Calabria 30 giu gno 1979 (emessa nel giudizio di primo grado sulla vicenda cui si riferisce la pronunzia in epigrafe), Foro it., Rep. 1980, voce Locazione, nn. 608, 607 (entrambe riportate in Prev. soc., 1980, 568 ss., con nota di F. Sala
ri). Di avviso contrario sono, invece, Trib. Pordenone 3 dicembre 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 593 (in Informazione prev., 1985, 149, con nota di Solarino), e Pret. Savona 19 dicembre 1979, Foro it., Rep. 1980, voce cit., n. 609 (annotata, insieme ai due citati provvedimenti di
segno opposto, da F. Salari, in Prev. soc., 1980, 578). Cfr. anche Pret. Lametia Terme 26 febbraio 1981, Foro it., 1982, I, 1760, che ha ritenuto de plano applicabile nella fattispecie in questione la normativa transitoria della 1. n. 392/78.
Per il carattere «assistenziale» dell'attività svolta dall'E.n.p.i., v. Pret. Como 6 aprile 1982, id., 1983, I, 1471, con nota di richiami (che ha
conseguentemente ritenuto applicabile l'art. 42 alla locazione concernente uffici dell'ente).
Per un caso di destinazione «indiretta» allo svolgimento di un'attività assistenziale, v. anche Pret. Salerno 28 luglio 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 295, che ha riconosciuto la tutela della normativa in questione ai locali utilizzati come deposito di materiali e scorte dalla Croce rossa
italiana, trattandosi di immobili necessari per lo svolgimento dell'attività istituzionale dell'ente.
Mette conto rilevare che la citata Cass. n. 2943/86, nell'affermare l'ap plicabilità della 1. n. 392/78 alle locazioni di immobili destinati indiretta mente ad una delle attività dalla stessa tutelate, ha fatto riferimento, sia
pure incidentalmente, anche alle ipotesi dell'art. 42. In dottrina, v. inoltre, P. Ferrone, in AA.VV., Contratti non soggetti
all'equo canone, Milano, 1981, 186 ss. (il quale come esempio di attività assistenziale cita, tra le altre, proprio quella istituzionalmente svolta dal
l'I.n.p.s.). [D. Piombo]
Il Foro Italiano — 1987.
quella elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale della materia,
che, per rendere aderente il contenuto precettivo di norme di ca
rattere speciale od eccezionale ai presupposti ed alle finalità del
l'intervento legislativo (necessitato dalla penuria degli alloggi e
dalla crisi edilizia in genere), ebbe ad individuare quel tertium genus di immobili non rustici, in quanto non produttivi di frutti
naturali, e non urbani, in quanto non riconducibili al concetto
di casa (ex art. 1607 c.c.) o di costruzione.
Cosi si è formato e sviluppato quell'indirizzo giurisprudenziale
per cui l'espressione «immobili urbani» usato nelle leggi speciali vincolistiche non può ritenersi equivalente al concetto lato di im
mobile, fornito dall'art. 812 c.c., ma deve intendersi limitato al
«fabbricato» od al «locale» del quale viene concesso il godimen to (v. Cass. 11 settembre 1954, n. 3032, Foro it., Rep. 1954, voce Locazione, n. 382) con la conseguente esclusione della ope ratività della normativa vincolistica per le locazioni di area nuda
(v., tra le altre, Cass. 25 gennaio 1965, n. 131, id., 1965, I, 802; 31 marzo 1967, n. 745, id., Rep. 1967, voce cit., n. 59; 27 aprile 1978, n. 1979, id., Rep. 1979, voce cit., n. 194, e di recente Cass. 7 luglio 1981, n. 4437, id., Rep. 1981, voce cit., n. 445; 14 giu gno 1982, n. 3628, id., Rep. 1982, voce cit., n. 253) anche nel
caso in cui il conduttore abbia la facoltà di impiantare costruzio
ni amovibili o provvisorie (Cass., sez. un., 18 aprile 1958, n. 1298,
id., Rep. 1958, voce cit., n. 291); seppure non siano mancate
pronunce contrarie (v. Cass. 21 giugno 1979, n. 3444, id., Rep.
1980, voce cit., n. 249 e Cass. 10 ottobre 1980, n. 5438, id.,
Rep. 1981, voce cit., n. 443) che con riguardo alla legislazione vincolistica, hanno attribuito valore decisivo alla concordata de
stinazione dell'area ad un uso commerciale o industriale, da svol
gere mediante installazione di manufatti, ed altre decisioni che
hanno ravvisato nel cennato rapporto natura di contratto inno
minato, puro o misto (v. Cass. 13 ottobre 1980, n. 5488, id.,
Rep. 1980, voce cit., n. 239; 24 settembre 1981, n. 5177, id.,
Rep. 1982, voce cit., n. 186).
Orbene, cosi delineato l'excursus storico del problema che ne
occupa, nella direzione della considerata operatività della legge del c.d. equo canone non può venir meno la debita considerazio
ne della ratio legis, dovendo l'interpretazione delle espressioni let
terali adoperate dal legislatore nella individuazione dell'area di
applicabilità del disposto del richiamato art. 27 trovare primaria correlazione con la natura e finalità della nuova disciplina della
legge del 1978.
In tal senso questa corte ha già osservato che la detta legge ha introdotto nell'ordinamento una complessa normativa ordina
ria e non più eccezionale delle locazioni di immobili urbani desti
nati ad uso abitativo e non, articolata in una nuova disciplina
oganica e tendenzialmente completa, negli aspetti fondamentali, con la integrazione a mezzo delle disposizioni codicistiche sulle locazioni di fondi urbani con essa non incompatibili (v. Cass. 15 febbraio 1985, n. 1289, id., 1985, I, 1017).
Peraltro, proprio la correlativa considerazione del valore solo
sussidiario e residuale che, in sede di coordinamento, queste ulti me assumono nei confronti delle disposizioni introdotte dalla nuova
legge, comporta la conclusione del venir meno delle esigenze che avevano condotto ad una interpretazione limitativa e riduttiva di
norme proprie della previgente legislazione vincolistica, in quanto norme eccezionali, dettate per contingenti finalità in deroga alla
disciplina ordinaria intesa come sistema, ed in ispecie di quelle esigenze che avevano portato all'equiparazione, nell'economia di
quella legislazione, della nozione di «immobile urbano» a quella di edificio o di costruzione, prendendo a base la categoria di «fon
do urbano» delineata dall'art. 1607 c.c.
D'altro canto, non va dimenticato che le finalità della legge c.d. dell'equo canone, non sono più attinenti alla sperequazione nel mercato delle locazioni di insediamenti abitativi, ma afferi scono oltre che alla stabilità ed equilibrio dei rapporti giuridici circa quel bene fondamentale che è la casa, anohe allo sviluppo di attività economiche e professionali, pur se non esercitate in termini di impresa, garantendo termini minimi di durata per il loro insediamento, avendo di mira un quadro tendenzialmente coordinato con la legislazione urbanistica, con la disciplina del l'assetto del territorio, e con la tutela dell'avviamento commerciale.
In questa prospettiva si pone ora la disamina ermeneutica del dato testuale dell'art. 27 della legge del 1978 ed in particolare di quelle espressioni di «immobili», «urbani» ed «adibiti» ad uso diverso da quello di abitazione»: «ad una delle attività appresso elencate», che costituiscono il contenuto delimitativo dell'oggetto
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
della regolamentazione espressa dalla detta norma.
Orbene, quanto al termine «immobili», con cui il bene viene
definito in senso giuridico-naturalistico, soccorre quale parame tro distintivo quello già cennato dell'art. 812 c.c., per cui anche
il suolo (e tutto ciò che ad esso è unito od incorporato, pur se
artificialmente ed a scopo transitorio) costituisce bene immobile, senza che si rinvengano nella norma dell'art. 27 in esame elemen
ti testuali per intendere in senso limitativo il concetto di «immo
bile»; tale non apparendo l'equivoco argomento rinvenibile nel
5° comma (ove si prevede la ipotesi che abbia carattere provviso rio l'attività esercitata o da esercitare «nel» e non sull'immobile).
Passando, quindi, alla seconda espressione, mentre deve tener
si presente che di già dottrina e giurisprudenza, sia pure con rife
rimento alla previgente legislazione vincolistica, convergevano, nella
qualificazione come «urbano» dell'immobile, nel reputare rile
vante non tanto la ubicazione del bene, quanto la sua destinazio
ne (v. per riferimenti Cass. 6 luglio 1955, n. 2075, id., Rep. 1955, voce cit., n. 331), al di là, pertanto, del suo inserimento in un
agglomerato abitativo, d'altro canto deve sottolinearsi come nel
nuovo sistema ordinario delle locazioni la rilevanza dell'aspetto della destinazione — già utilizzato, sostanzialmente, per distin
guere l'immobile urbano dall'immobile pertinenziale al fondo ru
stico — sembra destinato ad acquistare un più pregnante significato nel senso di configurare un parallelismo tra le previsioni e le «zo
nizzazioni» degli strumenti urbanistici con la distinzione degli usi, cui adibire l'immobile «urbano», in quelli, rispettivamente, abi
tativi, industriali, commerciali, artigianali, turistici, alberghieri,
assistenziali, scolastici, ecc.; con la conseguenza di pervenire alla
qualificazione come «urbano» dell'immobile in quanto conside
rato come oggetto, attuale e potenziale, di disciplina urbanistica.
Peraltro, al riguardo resta insuperabile la constatazione che nes
sun dato testuale consente di escludere le superfici inedificate e
le aree nude dal novero degli immobili «urbani»: trovando tale
conclusione conferma ulteriore nella considerazione non solo che
tra gli immobili destinati ad attività di interesse turistico, com
prese tra quelle di cui all'art. 2 1. 12 marzo 1968 n. 326 (richia mato espressamente dall'art. 27, sub n. 2), sono certamente da
includere i terreni adibiti a campeggio e che soggetti alla discipli na di durata di cui al citato art. 27 sono pure, ai sensi dell'art.
42 della stessa legge, gli immobili urbani adibiti ad attività (ri creativa: culturale e scolastica), che non necessariamente si svol
gono in fabbricati, od in luoghi comunque artificialmente creati; ma benanco che la esclusione della indennizzabilità per la perdita di avviamento da cessazione di rapporti di locazione relativi ad
immobili complementari od interni (tra l'altro) ad aree di servizio
stradale od autostradale, ex art. 35 della legge, trova motivo di
essere stabilito per dette ipotesi proprio in ragione della pregressa
configurabilità della locazione (e quindi della sua cessazione) di
tutte indistintamente le aree scoperte, al di là della localizzazione
dell'impresa (v. Cass. 14 aprile 1977, n. 1413, id., Rep. 1977, voce cit., n. 258).
Ordunque, va considerato che la qualificazione in senso
amministrativo-urbanistico dell'immobile de quo in quanto urba
no non importa l'esclusione dall'ambito operativo della norma
del citato art. 27 di quegli immobili che sono le aree nude o rec
tius non edificate, ed in tal senso reca ulteriore conforto la disa
mina dell'ultimo attributo contenuto in detta norma: l'essere
l'immobile «adibito ad una delle attività» diverse dall'uso abitati
vo all'uopo indicate e cosi protette. In proposito va opportunamente chiarito che nell'ambito che
ne interessa ha rilievo non quella destinazione statuita o program mata dagli istrumenti urbanistici bensì' la destinazione che quali fica la causa, in senso economico-sociale, del singolo contratto
e che, individuando il tipo di utilità assegnato al godimento del
l'immobile, contrassegna due delle obbligazioni reciproche nascenti
dal negozio locatizio: quella, per il locatore, di mantenere la cosa
in stato da servire all'uso convenuto (art. 1575, n. 2, c.c.) e quel
la del conduttore, di osservare la diligenza del buon padre di fa
miglia nel servirsi della cosa per l'uso determinato nel contratto
e per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze (art.
1587, n. 1, c.c.). In tal senso deve riflettersi che se con la espressione in esame,
oltre a rivelarsi l'atteggiamento volitivo che induce all'atto giuri
dico, si determina l'impiego pratico che, nel rispetto del patto
contrattuale, l'immobile deve in concreto ricevere, un tale impie
go richiede di necessità una naturale e strutturale idoneità del
l'immobile a soddisfarlo ma non esige indefettibilmente la
Il Foro Italiano — 1987.
dotazione, altresì, di attrezzature artificiali od edificatorie che siano
strumento dell'impiego concordato, o quanto meno ne necessita
in forme e misure diverse a seconda della pattuita utilizzazione
dell'immobile. Invero, è dato di comune esperienza che, secondo le circostan
ze e le previsioni contrattuali, le attività menzionate od altre con
simili possono insediarsi su superfici prive di manufatti edificati, senza che la relativa mancanza le renda inidonee all'uso convenu
to, ma semmai più economiche, onde se ne deve escludere una
incompatibilità concettuale.
Orbene, tenuto presente che nell'accezione usuale del dibattito
dottrinario e giurisprudenziale l'indicazione di locazione di «area
nuda» è comprensiva di situazioni assai diverse che vanno dalla
assenza completa, nell'immobile, di strutture e di attrezzature, fisse e mobili, create dall'uomo, alla elementarità od insufficien
za di esse, ma sempre caratterizzate dal comune denominatore
dell'essere le aree medesime «inedificate», va debitamente sottoli
neato come la differenza qualitativa dell'immobile edificato (o dotato di costruzioni) rispetto all'immobile non edificato, se può incidere in sede contrattuale sulla quantificazione del corrispetti vo dovuto per il godimento del bene, non è sicuramente determi
nante per escludere che quest'ultimo, nella seconda ipotesi, sia
idoneo all'uso in vista del quale è stato preso in locazione, deri
vandone cosi che se quell'uso rientra in una delle categorie indi
cate nell'art. 27 su citato, non v'è ragione perché la disciplina
legale del rapporto debba essere diversa a seconda che il contrat
to abbia per oggetto un edificio, un locale od una superficie non
edificata. Al riguardo, deve ricordarsi che anche da parte della dottrina
si è posta in luce che per gli immobili adibiti ad uso non abitativo
più che le qualità o le caratteristiche di essi a determinare la scel
ta del legislatore circa il tipo di regolamentazione da applicare alla fattispecie negoziale sono le species dell'impiego che dell'im
mobile si intende effettuare, atteso che solo in relazione all'uso
concordato ed al suo effettivo svolgimento è individuato il genere di attività del conduttore ritenuto meritevole di tutela, in termini
di durata, di stabilità, di avviamento e di prelazione. In tale prospettiva — che conduce alla stessa conclusione della
sentenza impugnata circa l'applicabilità della legge del 1978 (del c.d. equo canone) a tutti gli immobili di qualsiasi specie nei quali
venga espletata una delle attività elencate nei due primi commi
dell'art. 27 — non può non condividersi l'ulteriore linea erme
neutica dei giudici di appello al riguardo di quel parametro deli
mitativo dell'operatività della citata norma dell'art. 27, che fa
riferimento alla entità del compito dell'immobile nell'esercizio delle
attività ivi tutelate, individuandolo non nella funzione del tutto
essenziale, o quanto meno prevalente, dell'immobile per l'eserci
zio di quelle attività, di tal ché in sua mancanza ne deriverebbe
la stessa vanificazione dell'attività protetta, bensì nella necessaria
correlazione — spaziale e/o funzionale — alle esigenze oggettive
dell'organizzazione imprenditoriale di quelle attività, anche se in
posizione non primaria ma benanco accessoria (v., per riferimen
ti, Cass. 3 novembre 1982, n. 5775, id., 1983, I, 1004).
Invero, al riguardo va osservato che se la stessa espressione
adoperata dal legislatore nell'art. 27 per indicare il cennato colle
gamento tra gli immobili e le successive attività tutelate («immo bili adibiti ad attività») è priva di qualunque dato di specificazione o comunque delimitativo, d'altro canto il contenuto dell'art. 35
della stessa legge del 1978 — come si è già indicato — nel restrin
gere specificatamente la tutela dell'avviamento prevista dal prece dente art. 34 escludendola per i locali in cui non vi siano rapporti con gli utenti o consumatori oppure siano interni o complemen
tari, manifesta chiaramente che anche tali immobili, ove utilizzati
in corrispondenza delle esigenze dell'esercizio di quelle attività,
rientrano nell'ambito regolamentato dell'art. 27.
Cosi deve sottolinearsi che tale normativa è senza equivoci di
retta a tutelare i conduttori esercenti le attività ivi determinate,
rilevanti sul piano economico-sociale, senza aver posto una limi
tazione né in ragione della dimensione dell'attività esercitata, né
in relazione alla entità della funzione dell'immobile se non quella
di una sua necessaria correlazione a quell'esercizio, avendo di
mira il fenomeno delle attività tutelate nella sua globalità ed in
relazione alle sue articolazioni organizzative, siano queste appre state per lo svolgimento diretto dell'attività industriale, commer
ciale ecc., che per quello svolgimento indiretto, quali i depositi o similari strutture, che ne sono corredo e supporto necessario.
La rilevata interpretazione della norma dell'art. 27, che già trova
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1255 PARTE PRIMA 1256
riscontro in precedenti decisioni di questa corte (v. in tal senso
Cass. 16 luglio 1981, n. 4642, id., Rep. 1981, voce cit., n. 267; 27 novembre 1982, n. 6480, id., Rep. 1983, voce cit., n. 152), batte in breccia per le riferite osservazioni la diversa opinione che questa corte ha talvolta assunto al riguardo ed in ispecie non
riceve smentita in quella specifica considerazione dell'inoperativi tà della legge dell'equo canone in relazione alla configurazione non di locazione bensì di un contratto misto nella concessione
del godimento di area per cui — come nel caso che ne occupa — sia data facoltà al conduttore di costruirvi dei manufatti (v. Cass. 9 dicembre 1981, n. 6503, id., Rep. 1982, voce cit., n. 917; 3 settembre 1982, n. 4801, id., Rep. 1983, voe cit.', n. 139; 12
marzo 1985, n. 1942, id., 1986, I, 132), dovendosi riflettere che
una tale pattuizione non comporta alcuna deviazione o snatura
mento dello schema negoziale della locazione, atteso che — ed
in ispecie anche quando sia previsto l'obbligo del conduttore di
togliere i manufatti eretti sull'area al termine della locazione —
una tale previsione si appalesa come la traduzione negoziale della
disciplina dei miglioramenti e delle addizioni dettata dagli art.
1592 e 1593 c.c. per la locazione con una normativa che trova
tutt'ora residuale vigore nella compatibilità con la nuova discipli na della legge del 1978 nonché nell'assenza di una sua specifica
regolamentazione al riguardo.
Orbene, è debita constatazione che i giudici d'appello, che si
sono attenuti ad una esatta interpretazione della normativa del
l'art. 27 1. n. 392/78, peraltro non sono incorsi in una errata
o falsa applicazione di tale legge nella decisione della concreta
fattispecie sottoposta al loro giudizio. A tal riguardo va considerato che nella decisione impugnata
quei giudici hanno ben saputo individuare quale oggetto della
previsione negoziale del rapporto di locazione intercorso tra la
Mari e la soc. Valenti l'area di proprietà della prima nella sua
specifica destinazione all'esercizio dell'attività commerciale della
seconda, attraverso la motivata considerazione del dato documen
tale di quel negozio ed in ispecie della pattuizione della costruzio
ne su quell'area dei manufatti da destinare all'attività commerciale
ma altresì' attraverso il corrispondente riscontro sia della stessa
condotta processuale della parte attrice — espressamente ricolle
gante, nell'atto di intimazione per finita locazione, la locazione
dell'area al convenuto uso di deposito di materiali edili della so
cietà conduttrice — sia del risultato dell'ispezione giudiziale che
aveva condotto all'accertamento della posizione dell'area inedifi
cata, condotta in locazione dalla soc. Valenti, su di una strada
urbana, ed in particolare — per quanto ne interessa — del suo
inserimento, con i manufatti all'uopo realizzati (un capannone di mq. 200, tettoia e baracca in lamiera) per il deposito di mate
riali per l'edilizia, nel più ampio complesso adibito da detta con
duttrice ad attività di deposito e rivendita di quel materiale anche
con l'utilizzazione di terreni e manufatti in vetro e cemento di
proprietà propria. E cosi', di seguito a tale motivata — e quindi non censurabile
— individuazione dell'oggetto della locazione, lo hanno esatta
mente qualificato, ai fini della durata di quel rapporto secondo
la regolamentazione dell'art. 27 citato, come immobile urbano adibito all'impiego contrattualmente previsto per l'esercizio del
l'attività commerciale da parte della società conduttrice, rilevan
done quell'estremo essenziale della pertinente correlazione alle
anzidette esigenze oggettive dell'organizzazione imprenditoriale per il commercio di materiale edilizio.
In conclusione, la sentenza del Tribunale di Latina sia nell'in
terpretazione che nella concreta applicazione alla fattispecie de
qua dell'art. 27 della legge c.d. dell'equo canone si sottrae alle
censure mossele dalla Mari con la conseguenza che il ricorso della
predetta deve essere rigettato. (Omissis)
II
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 23 otto bre 1978 la s.r.l. Edil Caserta chiese al Pretore di Reggio Cala
bria di convalidare lo sfratto per finita locazione di un edificio, sito in quella città, che essa istante, con contratto registrato il
20 novembre 1973, aveva affittato per la durata di quattro anni
all'I.n.p.s. per uso uffici. L'attrice chiese altresì che, in caso di
opposizione, fosse emessa ordinanza di rilascio, previo accerta
li Foro Italiano — 1987.
mento che la locazione era cessata il 31 luglio 1978, essendo sca duta in tale data la proroga prevista dal d.l. 24 giugno 1978, convertito nella 1. n. 395 del 28 luglio 1978.
Costituitosi, Pl.n.p.s. eccepì pregiudizialmente l'inapplicabilità alla controversia del rito del lavoro e, nel merito, contestò la
fondatezza della domanda, assumendo che la locazione era anco
ra soggetta a proroga in virtù della disciplina transitoria di cui
agli art. 42 e 67 1. n. 392/78.
In accoglimento dell'eccezione pregiudiziale, il pretore ritenne
che la controversia dovesse essere trattata con il rito ordinario
e, dopo la regolarizzazione degli atti, con sentenza del 30 giugno
1979, condannò l'I.n.p.s. al rilascio dell'immobile.
L'I.n.p.s. propose gravame, deducendo che il pretore aveva er
rato nell'affermare che la sua attività non può farsi rientrare fra
quelle previste dagli art. 27 e 42 1. n. 392/78.
In via subordinata, l'I.n.p.s. propose eccezione di illegittimità costituzionale delle norme ora indicate per contrasto con il prin
cipio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.
La società Edil Caserta resistette all'impugnazione, in base alle
argomentazioni già svolte davanti al pretore. Con sentenza del 12 febbraio 1981, il Tribunale di Reggio Ca
labria, in totale riforma della pronuncia di primo grado, ha riget tato la domanda della locatrice, considerando che il pretore ha
dato alla norma dell'art. 42 1. n. 392/78, per quanto riguarda l'espressione «attività assistenziali», una interpretazione ingiusti ficatamente restrittiva.
In particolare, il tribunale ha osservato che, se è vero che per attività assistenziali si intendono quelle svolte per sopperire alle
necessità di persone che si trovino in condizioni di disagio, è in
negabile che tale connotato si riscontra anche nelle funzioni svol te da alcuni uffici dell'I.n.p.s., e precisamente nella erogazione delle pensioni sociali, nella gestione del fondo di solidarietà so
ciale ed in altre prestazioni che prescindono dalla posizione con
tributiva dei beneficiari ed hanno invece riguardo alle loro
condizioni personali. Né potrebbero validamente obiettarsi — ha
soggiunto il tribunale — che la locazione in questione venne espres samente convenuta ad uso di uffici e non risulta provato in causa che gli uffici insediati nello stabile della Edil Caserta svolgano in concreto attività assistenziali, in quanto devesi prescindere dal
le funzioni specificamente svolte dai singoli uffici dell'I.n.p.s. e
si deve ritenere che tutti gli uffici di un ente pubblico concorrano
con la propria attività al conseguimento dei suoi fini istituzionali. Ricorre per cassazione la società Edil Caserta con un solo mo
tivo. L'I.n.p.s. non si è costituito, ma ha partecipato alla discus sione orale.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo del ricorso, nel
denunciare la violazione e la falsa applicazione di norme di dirit
to (art. 360, n. 3, c.p.c.), la società Edil Caserta censura la sen tenza impugnata per avere ritenuto che il contratto di locazione
de quo possa fruire della proroga prevista dallo art. 67 1. n. 392/78
in quanto l'I.n.p.s., conduttore dell'immobile, svolge anche atti
vità assistenziale, che è una delle attività elencate nell'art. 42, 1° comma, della suddetta legge. Al riguardo, la ricorrente sostie ne che il Tribunale di Reggio Calabria è incorso in errore perché il contratto in questione è sottratto al regime transitorio della
proroga legale, sia per la natura dell'attività esercitata dal con duttore nell'immobile locato, sia per la destinazione di uso del l'immobile stesso, sia perché l'I.n.p.s. non fa parte dello Stato, né può qualificarsi ente pubblico territoriale.
Il ricorso è fondato. Va premesso che la sentenza impugnata ha negato che l'I.n.p.s. possa identificarsi con lo Stato o essere
considerato un ente pubblico territoriale, sicché la doglianza for mulata dalla ricorrente sotto tale profilo si rivela del tutto ultro
nea, avendo il tribunale riconosciuto che il contratto in esame non rientra tra quelli contemplati nella seconda parte del 1 ° com ma dell'art. 42 1. n. 392/78.
Ciò posto, la quaestio iuris consiste nello stabilire in quale sen so debba intendersi la locuzione «attività assistenziali», ricreati
ve, culturali o scolastiche, che figura nella prima parte del 1°
comma del menzionato art. 42.
Ad avviso di questa Corte suprema, le attività di cui sopra sono state prese in considerazione dal legislatore esclusivamente dal punto di vista obiettivo, in quanto deve trattarsi di attività
concretamente svolte negli immobili locati, come è reso evidente dal fatto che la norma fa riferimento alla destinazione di uso
degli immobili, che devono essere «adibiti» ad una delle attività innanzi indicate.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Tale convincimento risulta avvalorato dalla locuzione imme
diatamente successiva «nonché a sede di partiti e di sindacati», la quale ribadisce ulteriormente che il requisito determinante ai
fini della proroga è costituito dalla effettiva destinazione di uso
degli immobili. Nella specie, poiché non è controverso che nell'edificio conces
so in godimento all'I.n.p.s. non viene esercitata alcuna attività
assistenziale, atteso che i locali sono destinati ad uffici ammini
strativi, ne deriva che la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa ad altra sezione del Tribunale di Reggio Calabria per le conseguenti statuizioni di merito. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione II civile; sentenza 15 gen naio 1986, n. 184; Pres. Pieri, Est. Albanese, P. M. Iannelli
(conci, conf.); Soc. Cementeria di Augusta (Avv. D'Amico) c.
Bordonaro Rubini. Conferma App. Catania 29 maggio 1982.
Proprietà — Immissioni — «Compensalo lucri cum damno» —
Indennizzo — Criteri di determinazione (Cod. civ., art. 844).
In tema di immissioni nocive industriali, il giudice può operare la compensazione tra il danno subito e l'incremento di valore
del fondo solo quando i due aspetti siano conseguenza imme
diata e diretta di una stessa causa; può altresì' determinare la
misura dell'indennizzo, adottando il criterio che più ritenga ido
neo a reintegrare la situazione patrimoniale lesa (nella specie, l'indennizzo era stato determinato in somma pari alla svaluta
zione del fondo e non sulla base della capitalizzazione del mi
nor reddito). (1)
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 4 marzo
1970 Luigi Bordanaro Rubini, deducendo che un suo fondo colti
vato ad agrumi aveva subito gravi danni a causa della continuata
immissione di polveri emanate dalla fabbrica di cementi gestita, in un proprio fondo vicino, dalla s.p.a. Cementerie di Augusta, citò questa società davanti al Tribunale di Siracusa chiedendone
la condanna a una prestazione adeguatamente riparatoria del pre
giudizio patrimoniale arrecatogli. La domanda, contrastata dalla società convenuta, intanto fusa
e incorporata nella s.p.a. Unicem, fu respinta dal tribunale adito, in base alle risultanze della disposta istruzione tecnica della cau
sa, con sentenza in data 22 aprile 1976.
A seguito di impugnazione la Corte d'appello di Catania, pre via rinnovazione della istruzione, condannò invece la società con
venuta a pagare al Bordonaro Rubini la somma, adeguata all'attuale potere di acquisto della moneta, di complessive lire
131.952.000, maggiorata di interessi decorrenti, a tasso legale, dalla
data della domanda.
Contro questa sentenza la società soccombente, con la nuova
denominazione di Cementeria di Augusta, ha proposto ricorso, deducendo cinque motivi di cassazione.
Il Bordonaro Rubini non si è costituito, nonostante la rituale
notificazione del ricorso, eseguita presso il domiciliatario procu ratore per lui costituito nel giudizio di merito in difetto di dichia
razione di residenza o di elezione di diverso domicilio contenuti
nell'atto di notificazione della sentenza impugnata (art. 330 c.p.c.). Motivi della decisione. — Merita subito rilevare, per opportu
na chiarezza, che nonostante il ripetuto uso, ad opera delle parti e dei giudici del merito, dei termini di «danno» e di «risarcimen
to», il rapporto dedotto in giudizio, relativo al conflitto tra pro
prietari di fondi vicini originato dalla denuncia di pregiudizievole
incidenza, sull'uno dei fondi, degli effetti dell'attività industriale
(1) Nulla di nuovo da rilevare sul fronte della applicabilità della com
pensano lucri cum damno in materia di immissioni. Anche qui, come in Cass. 21 luglio 1975, n. 1302, Foro it., Rep. 1975, voce Danni civili, n. 91 (v. anche Cass. 13 gennaio 1975, n. Ill, id., 1975, I, 2222), la
generica argomentazione sul principio non consente alla corte di centrare il punto sotto il profilo tecnico. Per un'analisi critica dell'orientamento
qui confermato, v. R. Pardolesi, Circolazione del fondo soggetto ad
«immissioni industriali» e diritto all'indennizzo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 392.
Il Foro Italiano — 1987 — Parte 7-82.
legittimamente esercitata nell'altro, è stato correttamente discus
so alla stregua delle norme che nella materia dei rapporti reali di vicinato prevedono l'istituto delle cosi dette immissioni, e alla
stregua della relativa disciplina è stato regolato. Ciò detto, si osserva. Per ravvisata insufficienza della consu
lenza tecnica collegiale e della relazione integrativa di chiarimen
ti, alle cui risultanze il giudice di primo grado aveva adeguato il proprio giudizio, la corte del merito dispone la rinnovazione
integrale, davanti a sé, della istruzione della causa, commettendo
a un singolo consulente l'incarico delle opportune indagini e veri
ficazioni, e delle conseguenti valutazioni; e dopo il compimento di tale disposta attività, in considerazione del contrasto delle con clusioni alle quali, in base ad accertamenti di fatto sostanzial
mente eguali, i consulenti nominati in primo grado e in appello erano pervenuti, ordinò una ulteriore consulenza tecnica collegia le. Senonché, a seguito della mancata accettazione dell'incarico
da parte di tutti i consulenti designati e di tutti quelli via via
ad essi sostituiti, la corte, anzi che procedere a nuove designazio ni, ritenne la causa in decisione e pronunciò la sentenza impugnata.
In relazione, con il primo motivo denunciando, con riferimen
to ai nn. 2 e 5 dell'art. 360 c.p.c., violazione degli art. 844 e
2043 c.c. e vizi di motivazione, la società ricorrente sostiene che
illegittimamente la corte del merito non ha dato esecuzione (pe raltro senza revocarla formalmente) alla ordinanza con la quale aveva disposto il compimento della nuova consulenza collegiale, e ancora deduce che, accogliendo il parere del consulente singolo
già ritenuto insoddisfacente e ad esso conformando il proprio
giudizio senza adeguata considerazione di quello contrario dei con
sulenti nominati in primo grado, e delle ragioni datevi, la corte
è incorsa in palese contraddizione e in vizio di insufficiente moti vazione.
Il motivo è destituito di fondamento e deve essere respinto (a
prescindere dal rilievo, comunque dovuto, della evidente non per tinenza del riferimento al n. 2 dell'art. 360 c.p.c. — che ha ri
guardo a violazione di norme sulla competenza, di cui non è al
caso questione — e del riferimento all'art. 2043 c.c., che attiene al risarcimento per fatto illecito, affatto estraneo alla materia delle
immissioni causate da legittimo uso della proprietà immobiliare). Anzitutto, invero, salvo eccezioni al caso non ricorrenti, le or
dinanze (istruttorie) sono sempre revocabili o modificabili, anche
in modo soltanto implicito, e, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione definitiva (art. 179 c.p.c.): e pertan to, in via di principio, non è ipotizzabile un obbligo del giudice di dare esecuzione all'ordinanza emanata, né il contrasto con una
anteriore ordinanza può per sé assurgere ad apprezzabile vizio
di contraddittoria motivazione della decisione.
La corte del merito, poi, ha (indirettamente) giustificato la im
plicita revoca dell'ordinanza con la quale era stata disposta la
ulteriore consulenza collegiale, mediante l'enunciazione dei moti
vi per cui l'incarico della rinnovata istruzione della causa era sta
to già commesso a un singolo consulente («la necessità, in questa
sede, di una nuova consulenza, affidata a un solo professionista
per un responso più sicuro in base a una indagine meno dispersi va e più costruttiva» di quella compiuta dal collegio di consulenti di cui si era avvalso il giudice di primo grado); e per altro verso
ha dato ragione della prestata adesione alle conclusioni del con
sulente tecnico nominato in ordine alla sussistenza e dannosità
delle immissioni, e del rifiuto invece di quelle dell'anzidetta con
sulenza collegiale, con pertinenti argomentazioni esposte in ter
mini chiari ed esaurienti, esenti da segnalati o riconoscibili errori
di diritto o di logica, comune o giuridica. Deve conseguentemente escludersi che, sul punto, la sentenza
impugnata sia inficiata dai dedotti vizi di carente o contradditto
ria motivazione, e di violazione sotto simile profilo, il solo pro
spettato dalla ricorrente, dell'art. 844 c.c.
Con il secondo motivo — con il quale denuncia violazione e
falsa applicazione degli art. 844, 1223 ss., 2043 ss. c.c., nonché
dei principi generali che regolano la risarcibilità delle lesioni pa
trimoniali, e, ancora, insufficiente e contraddittoria motivazione — la ricorrente sostiene che al caso, non discutendosi della pre valenza delle esigenze della produzione (industriale) sulle ragioni della proprietà, e quindi della liceità delle lamentate immissioni,
quand'anche eccedenti la normale tollerabilità, la corte del meri
to avrebbe dovuto negare la ricorrenza di pregiudizio patrimonia le indennizzabile indotto dalle anzidette immissioni: perché avendo
riconosciuto che il fondo ad esse soggetto, ormai inserito «in un
contesto extraurbano interessato da importantissimi insediamenti
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