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sezione III civile; sentenza 5 marzo 2001, n. 3160; Pres. Grossi, Est. Perconte Licatese, P.M....

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sezione III civile; sentenza 5 marzo 2001, n. 3160; Pres. Grossi, Est. Perconte Licatese, P.M. Maccarone (concl. conf.); Francia e altri (Avv. D'Innocenzo) c. Vignaroli (Avv. Di Porto). Conferma App. Roma 28 aprile 1997 Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2871/2872-2879/2880 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196322 . Accessed: 28/06/2014 13:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.53 on Sat, 28 Jun 2014 13:35:35 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sezione III civile; sentenza 5 marzo 2001, n. 3160; Pres. Grossi, Est. Perconte Licatese, P.M. Maccarone (concl. conf.); Francia e altri (Avv. D'Innocenzo) c. Vignaroli (Avv. Di Porto).

sezione III civile; sentenza 5 marzo 2001, n. 3160; Pres. Grossi, Est. Perconte Licatese, P.M.Maccarone (concl. conf.); Francia e altri (Avv. D'Innocenzo) c. Vignaroli (Avv. Di Porto).Conferma App. Roma 28 aprile 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 10 (OTTOBRE 2001), pp. 2871/2872-2879/2880Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196322 .

Accessed: 28/06/2014 13:35

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PARTE PRIMA 2872

superficiale appare solo il risultato finale di tale lavoro, che, vi

ceversa, costituisce la punta (visibile) di un iceberg (invisibile).

Pertanto, solo se un artista viene «ingaggiato» a prestazione rileva solo lo spettacolo in sé e non anche tutto il lavoro che vi è

a monte.

Da ultimo va rilevato che nella discussione orale il ricorrente

ha proposto una generica eccezione d'illegittimità costituzionale

della normativa in esame ove essa dovesse essere interpretata nel senso esposto dal tribunale, ma l'eccezione appare manife

stamente infondata, in quanto non sono state indicate specifica tamente né le norme sospette d'incostituzionalità né le norme

costituzionali in ipotesi violate, ma è stato solo dedotto che

l'imprenditore dello spettacolo si troverebbe in una posizione deteriore rispetto agli altri imprenditori, perché, è parso di capi re, pagherebbe i contributi anche per i giorni dagli artisti non

lavorati; cosa, come si è visto, non rispondente a realtà per

quanto è stato detto circa i motivi della distribuzione della retri

buzione su tutti i giorni della durata del contratto.

Il ricorso va pertanto rigettato.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 5 marzo 2001, n. 3160; Pres. Grossi, Est. Perconte Licatese, P.M. Maccarone (conci, conf.); Francia e altri (Avv. D'In

nocenzo) c. Vignaroli (Avv. Di Porto). Conferma App. Roma

28 aprile 1997.

Assicurazione (contratto di) — Assicurazione infortuni a fa

vore degli eredi legittimi — Designazione generica — Plu ralità di beneficiari — Ripartizione delle quote (Cod. civ., art. 582, 1412, 1920).

In un contratto di assicurazione contro gli infortuni la generica designazione degli eredi legittimi quali beneficiari dell'in

dennizzo in caso di morte dell'assicurato vale a conferire ai

designati un diritto autonomo proprio ai vantaggi dell'assi

curazione, sì che, in caso di mancata indicazione di un crite rio di riparto dell'indennizzo, questo va diviso tra i benefi ciari in parti uguali e senza tenere conto delle norme in mate ria di successione. (1)

(1) I. - La decisione tocca fondamentali principi in materia di assicu razione contro gli infortuni in favore di terzo e di criteri di ripartizione dell'indennizzo tra i designati. Invero, al termine di una complessa vi cenda processuale, i giudici di legittimità affermano che, in presenza di una polizza di assicurazione contro gli infortuni stipulata in favore de

gli eredi legittimi, a seguito della morte per infortunio dell'assicurato, gli eredi (nel caso di specie, la moglie, entrambi i genitori, un fratello ed una sorella) avranno diritto a dividersi l'indennizzo in parti uguali, in mancanza di una diversa ed espressa volontà dell'assicurato.

II. - Sembra utile a questo punto riassumere i termini della questione. Un tale in vita contrae una polizza infortuni e designa quali «beneficia ri», in caso di morte, gli eredi legittimi. Alla morte dell'assicurato però la moglie, giocando d'anticipo, dichiara alla compagnia di assicurazio ne di essere l'unica erede e si fa liquidare l'intero indennizzo senza

«spartirlo» con gli altri designati. I parenti esclusi, per recuperare le

quote «scippate», si rivolgono al Tribunale di Roma, che, accogliendo le richieste, condanna la moglie alla restituzione dell'indennizzo pro quota agli altri beneficiari, statuendo che l'indennizzo va diviso in parti uguali. La vedova, a suo dire privata di un legittimo diritto, propone appello alla sentenza e chiede che il riparto delle quote venga fatto nel

rispetto delle norme sulla successione legittima. La corte d'appello, con una decisione singolare nel quadro della giurisprudenza e della dottrina

(più avanti illustrate), accoglie l'appello (affermando che «la riparti zione dell'indennizzo tra gli eredi legittimi doveva avvenire secondo il

Il Foro Italiano — 2001.

Svolgimento del processo. — Con ricorso al presidente del

Tribunale di Roma in data 2 luglio 1984 D'Arienzo Antonietta e

Francia Vittorio, Stefano e Fabiola, i primi due nella qualità di

genitori, il terzo e la quarta nella qualità di fratelli di Francia

Massimo, esponevano che quest'ultimo era deceduto I'll giu

gno 1988, lasciando eredi la moglie, Vignaroli Nadia, e loro

stessi; che il defunto, dipendente della Agip Petroli, era titolare

di una polizza assicurativa per infortuni, a tenore dell'art. 14

della quale, in caso di morte dell'assicurato, la somma assicu

rata, in mancanza di beneficiari designati, doveva essere liqui

criterio stabilito dall'art. 582 c.c., anche perché un diverso criterio di

ripartizione avrebbe dovuto essere espressamente previsto dalla clau sola . . ., la quale invece, sul punto specifico, nulla disponeva»), e con danna la moglie a restituire il terzo dell'indennizzo totale. Puntuali, i

parenti e la moglie impugnano la sentenza, ognuno ha qualcosa di cui

«lagnarsi»: gli uni di essere stati reintegrati nel loro diritto solo in parte e l'altra di non dover restituire alcunché. La Cassazione, con sentenza 10 novembre 1994, n. 9388, Foro it., Rep. 1995, voce Assicurazione

(contratto), n. 117, e Giust. civ., 1995, I, 949, nel tentativo di dirimere una controversia che, a dispetto di ogni pronostico, è destinata ad avere un seguito, cassa la decisione del giudice di appello e rinvia ad altro

giudice, al quale detta il principio di diritto seguente: «Nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore del terzo, cui si applica la di

sciplina dell'assicurazione sulla vita, la disposizione contenuta nell'art.

1920, 3° comma, c.c. (secondo cui, per effetto della designazione, il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione) deve essere interpretato nel senso che il diritto del beneficiario alla presta zione dell'assicuratore trova fondamento nel contratto ed è autonomo, cioè non derivato da quello del contraente; pertanto, quando in un con tratto di assicurazione contro gli infortuni, compreso l'evento morte, sia stato previsto, fin dall'origine, che l'indennità venga liquidata ai beneficiari designati o, in difetto, agli eredi, tale clausola va intesa nel senso che il meccanismo sussidiario di designazione del beneficiario è idoneo a far acquistare agli eredi i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore (art. 1920, 2° e 3° comma, c.c.); mentre l'individuazione dei beneficiari-eredi va effettuata attraverso l'accertamento della qua lità di erede secondo i modi tipici di delazione dell'eredità (testamenta ria o legittima: art. 475, 1° comma, e 565 c.c.) e le quote tra gli eredi, in mancanza di uno specifico criterio di ripartizione, devono presumersi uguali, essendo contrattuale la fonte regolatrice del rapporto e non ap plicandosi, quindi, la disciplina codicistica in materia di successione con le relative quote (nella specie, trattavasi di successione legittima del coniuge con i genitori ed i fratelli del de cuius)».

La corte basa la sua decisione su quattro punti cardinali: 1) gli eredi «. . . in quanto originariamente designati (sia pure in modo generico . . .), [diventano] titolari, alla morte del contraente, di un 'proprio' di ritto all'indennizzo (art. 1920, 3° comma, c.c.) .. .»; 2) «la fonte rego latrice della controversia non può essere costituita che dal contratto sti

pulato in loro favore»; 3) «... in siffatti contratti, ... la generica espressione 'eredi', utilizzata per designare i beneficiari, . .. serve . . . unicamente ad individuare le persone dei beneficiari ... [e] non può assolutamente intendersi come una sorta di 'rinvio materiale' alla di

sciplina codicistica in materia di successione (testamentaria o legitti ma)»; 4) «se, dunque, la fonte regolatrice della controversia è costituita esclusivamente dal contratto, ne consegue che, ove questo preveda una

pluralità di beneficiari rispetto all'indennità dovuta dall'assicuratore

per il caso di morte dello stipulante e non prefiguri uno specifico crite rio di ripartizione delle quote tra i beneficiari medesimi, le quote stesse devono presumersi uguali».

III. - Nonostante che il giudice di rinvio si sia adeguato ai principi di diritto espressi dalla Cassazione, le parti trovano il coraggio e la forza di ricorrere anche avverso la decisione della corte di rinvio per conte stare (in modo assai irrituale) il criterio di ripartizione dell'indennizzo, la misura ed il calcolo degli interessi ed altro ancora.

L'occasione è colta dai giudici di legittimità per ribadire la prece dente decisione 9388/94 ed affermare i seguenti principi:

1) all'assicurazione contro gli infortuni a favore di terzo si applica la

disciplina dettata dalla legge in materia di assicurazione sulla vita a fa vore di terzi;

2) la designazione generica agli «eredi» è ammessa; 3) il diritto del beneficiario all'indennizzo è un diritto autonomo ed

estraneo al diritto successorio;

4) la mancata previsione di un criterio di riparto dell'indennizzo

comporta la sua ripartizione in parti uguali tra tutti i beneficiari. In merito al primo punto, la Cassazione si uniforma ad una giuris

prudenza, costante sull'argomento, che tende ad applicare l'art. 1920 c.c., dettato in materia di assicurazione sulla vita, anche all'assicura zione contro gli infortuni. In tal senso, Cass. 23 aprile 1992, n. 4912, Foro it.. Rep. 1993, voce Successione ereditaria, n. 48, e Giur. it., 1993,1, 1, 378; 28 luglio 1980, n. 4851, Foro it., Rep. 1980, voce Assi curazione (contratto) n. 297; Trib. Lamezia Terme 24 luglio 1978, id., 1979, I, 528; Cass. 4 aprile 1975, n. 1205, id.. Rep. 1975, voce cit., n.

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Page 3: sezione III civile; sentenza 5 marzo 2001, n. 3160; Pres. Grossi, Est. Perconte Licatese, P.M. Maccarone (concl. conf.); Francia e altri (Avv. D'Innocenzo) c. Vignaroli (Avv. Di Porto).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

data agli eredi; che la moglie del de cuius, sulla base di una di

chiarazione sostitutiva di atto notorio in cui si era dichiarata unica erede del marito, aveva ottenuto dalla società assicuratrice l'intero indennizzo di novanta milioni, che invece avrebbe do

vuto esser diviso in parti uguali fra tutti gli eredi. Ciò premesso, i ricorrenti chiedevano all'autorità adita il se

questro conservativo di un immobile di proprietà della Vignaro li, a garanzia del loro vantato credito. Il presidente del tribunale

autorizzava il sequestro con ordinanza del 30 luglio 1984.

138; App. Roma 10 agosto 1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 136, e Dir. e pratica assic., 1972, 735.

Ciò significa che l'assicurazione contro gli infortuni: a) è valida se

stipulata a favore di terzo; b) «la designazione del beneficiario può es sere fatta nel contratto di assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore, o per testamento»; c) la designazio ne «è efficace anche se il beneficiario è determinato solo genericamen te»; d) «per effetto della designazione il terzo acquista un diritto pro prio ai vantaggi dell'assicurazione» (le parti tra virgolette sono tratte dal disposto dell'art. 1920, 2° e 3° comma, c.c.).

La dottrina sull'argomento è divisa. Una parte concorda con l'indi rizzo espresso dalla giurisprudenza (v. Pugliaro, Massimario delle as sicurazioni private, Milano, 1958, 189) e riconduce le assicurazioni contro gli infortuni al ramo delle assicurazioni sulla vita. Altra parte di

stingue l'assicurazione contro gli infortuni in due filoni: l'uno contro il «rischio morte», da ricondurre nell'ambito dell'assicurazione sulla vita, l'altro che assicura un indennizzo per l'invalidità temporanea o perma nente conseguente ad infortunio ed un rimborso delle spese sostenute, da ricondurre nell'ambito di applicazione dell'assicurazione contro i danni. Quindi, se il contraente stipula un contratto di assicurazione che 10 garantisce sia contro il rischio «morte» che «invalidità», pone in es sere un contratto misto, in parte assoggettato alla disciplina degli art. 1919 ss. c.c. ed in parte a quella degli art. 1904 ss. c.c. (in tal senso, Tamburrino, Assicurazione per infortunio a beneficio, in caso di morte,

degli eredi legittimi e poteri del curatore dell'eredità giacente, in Assi

curazioni, 1980, II, 2, 32; Fanelli, Assicurazione. IX. Assicurazione

privata contro gli infortuni, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, III, 588). Infine, altra dottrina inquadra l'assicurazione contro gli infortuni nel ramo danni in ogni caso (Gasperoni, Assicurazione contro i danni, voce del Novissimo digesto, Torino, 1958,1, 2, 1168; Buttaro, Assicurazione. II. Assicurazione in generale, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1958, III, 439; Fiorentino, Assicurazione contro i

danni, Napoli, 1949, 20). Anche in merito al secondo punto, la sentenza si allinea ad un indi

rizzo già espresso dalla giurisprudenza (Cass. 14 maggio 1996, n. 4484, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 79, e Corriere giur., 1996, 1110; App. Milano 3 gennaio 1989, Foro it., Rep. 1989, voce Successione eredita

ria, n. 28, e Giur. it., 1989,1, 2, 848; Cass. 3 dicembre 1988, n. 6548, Foro it., Rep. 1989, voce Fallimento, n. 324, e Giust. civ., 1989,1, 597; Trib. Lamezia Terme 24 luglio 1978, cit.; Trib. Roma 23 aprile 1969, Foro it., Rep. 1969, voce Assicurazione (contratto), n. 229, e Giur. it., 1969, I, 2, 788; Trib. Alba 15 febbraio 1967, Foro it., Rep. 1967, voce

cit., n. 254, e Foro pad., 1967, I, 741), in virtù del quale una designa zione generica è valida purché a) effettuata mediante formule sì generi che ma non ambigue; b) permetta di determinare con certezza la perso na indicata e c) sia espressione della volontà dello stipulante di dar vita ad una designazione. In tale ottica è considerata certamente valida la

designazione «agli eredi» o agli «eredi legittimi», o agli «eredi testa mentari».

La posizione è condivisa dalla dottrina che «ritiene valida ogni for

mula, sempre che non lasci incertezze sulla persona designata e [. . .] contenga gli elementi per individuare la persona del terzo» ed anche se «la identificazione [non] sia possibile al momento della designazione: basta che lo sia in quello della scadenza della prestazione dell'assicu ratore» (in tal senso, Santi, Il contratto di assicurazione, Roma, 1965, 554, che si allinea a quanto espresso da Buttaro, op. cit., 650; Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, Milano, 1956, III, 604; Salandra, Della assicurazione, in Commentario a cura di Scialoja e

Branca, Bologna-Roma, 1956, 364). Non è mancata all'appello la posizione opposta di chi ha ritenuto che

la designazione «ai miei eredi» dovesse, data la sua «genericità», essere

equiparata alla mancanza di designazione (Fanelli, Le assicurazioni,

Milano, 1969,192). In merito al terzo punto, la sentenza si allinea alla giurisprudenza co

stante (Cass. 14 maggio 1996, n. 4484, cit.; App. Milano 3 gennaio 1989, cit.; Cass. 3 dicembre 1988, n. 6548, cit.; Trib. Lamezia Terme

24 luglio 1978, cit.; Cass. 14 gennaio 1953, n. 93, Foro it., 1953, I, 1073; App. Napoli 30 gennaio 1945, id., Rep. 1943-1945, voce cit., n.

120) che riconosce ai beneficiari un «diritto proprio alla prestazione as

sicurativa, che trova la sua fonte nel contratto e non nella successione»

(Trib. Roma 23 aprile 1969, cit.), tanto che il «beneficiario . . . potreb be far valere il suo diritto alla prestazione assicurativa indipendente mente dall'accettazione dell'eredità od anche rinunciando ad essa, ...

11 Foro Italiano — 2001.

I predetti D'Arienzo e Francia convenivano quindi la Vigna roli per la convalida del sequestro e per la di lei condanna al pa gamento, in loro favore, della somma di lire 72.000.000 o di

quella diversa dovuta, oltre alla rivalutazione e agli interessi.

La Vignaroli si opponeva ad ambedue le domande, chieden

do, in subordine, la riduzione della somma dovuta da lire 72.000.000 a lire 30.000.000 e, in via riconvenzionale, la condan na degli attori al risarcimento del danno.

II tribunale adito, con sentenza del 5 dicembre 1987, convali

il rinvio alle norme sulle successioni soddisfa, infatti, esclusivamente

l'esigenza di individuare — sia pure per relationem —- le persone alle

quali l'indennità assicurativa deve essere corrisposta in caso di morte dell'assicurato [ed] è sufficiente all'individuazione del beneficiario stesso indipendentemente dalla qualità effettiva ... di erede capace» (App. Roma 10 agosto 1972, cit.).

Sul punto, la dottrina concorda con la giurisprudenza e sostiene che «il terzo beneficiario acquista, per effetto della designazione, non già una semplice aspettativa, ma un vero e proprio diritto alla prestazione dell'assicuratore, diritto che è qualificato espressamente come 'pro prio' del terzo e, cioè, autonomo e non derivato da quello del con traente» (in tal senso, Gasperoni, Assicurazione. III. Assicurazione sulla vita, voce dell' Enciclopedia giurìdica Treccani, Roma, 1988, III, 12, che condivide l'impostazione di Santi, op. cit., 552, secondo il

quale il diritto del beneficiario «discende recta via dal contratto, senza

passare per il patrimonio dell'assicurato»; Buttaro, op. cit., 650, per il

quale «il beneficiario . . . per effetto della designazione acquista un di ritto soggettivo perfetto (anche se sottoposto a condizione risolutiva) al

pagamento dell'indennità (e non una semplice aspettativa)»). Da questa soluzione del problema discendono importanti conseguen

ze. In primo luogo, gli eredi e i creditori del contraente assicurato non

possono esercitare alcun diritto sulla prestazione dell'assicuratore: que sta, infatti, non proviene dal patrimonio dell'assicurato; pertanto, se il beneficiario è anche erede, l'indennità non va calcolata né per ricostrui re l'asse ereditario né la quota di eredità di sua spettanza e per questo si suole dire che il beneficiario acquista la prestazione dell'assicuratore ultra vires hereditatis. In secondo luogo, il beneficiario, se è anche ere

de, può esigere il beneficio se rinunzia all'eredità, come può rinunziare al beneficio pur accettando l'eredità, senza che l'una cosa si rifletta sull'altra.

Ciò non significa che la legge ha trascurato l'esigenza di tutela degli eredi del contraente. L'art. 1923, 2° comma, c.c. consente agli eredi di far valere le disposizioni relative alla collazione, all'imputazione ed alla riduzione delle donazioni nei confronti dei premi pagati dal con traente deceduto, «ma non nei confronti del diritto alla prestazione del l'assicuratore che di quel patrimonio non ha mai fatto parte» (Buttaro,

op. cit., 650; Fanelli, Assicurazione sulla vita, voce del Novissimo di

gesto, Torino, 1958,1, tomo II, 1378). IV. - Un discorso a parte merita la designazione fatta all'interno di

un testamento. Per parte della dottrina la natura giuridica della designa zione non cambia, il terzo, anche in questo caso, acquista un diritto

proprio ai vantaggi dell'assicurazione: «trattasi anche in questa ipotesi di negozio inter vivos perché il contraente non compie un atto di dispo sizione del suo diritto a titolo di eredità o legato, ma si limita ad effet tuare la determinazione del terzo beneficiario qual è voluta dallo stesso

contratto, stipulato ab initio a favore di terzo» (in tal senso, Gasperoni, Assicurazione. III. Assicurazione sulla vita, cit., 12). In altri termini, «la parificazione alla designazione contrattuale originaria di quella suc

cessiva, testamentaria o meno, non costituisce una modificazione dei

principi fondamentali regolatori dell a, materia . . ., in quanto la designa zione successiva, testamentaria o meno, per poter generare gli effetti della designazione originaria contrattuale, deve inserirsi in (o comun

que riferirsi ad) un contratto costruito sin dall'origine come stipulazio ne a favore di terzo sia pure indeterminato. La designazione successiva, testamentaria o meno, null'altro è se non un completamento della sti

pulazione originaria, poiché in ogni caso, qualunque sia stata la sede della designazione (originaria o successiva, per atto tra vivi o per di

sposizione testamentaria), il diritto del terzo, per essere tale e cioè ori

ginario ed autonomo e non derivato dal patrimonio del contraente, deve discendere da un contratto stipulato a favore altrui» (in tal senso, Fa

nelli, Assicurazione sulla vita, cit., 1398; posizione sostenuta anche da

Bonilini, Nozioni di diritto ereditario, Torino, 1986, 14; Trabucchi

Rasi-Caldogni, La successione legittima, voce del Novissimo digesto, Torino, 1971, XVIII, 770; Cicu, Successioni per il caso di morte, in

Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1961, 73; Stolfi, Teoria del negozio

giuridico, Padova, 1961, 46; Vigorita, In tema di designazione testa

mentaria del terzo beneficiario di una polizza di assicurazione, in Assi

curazioni, 1953, II, 98). Altra parte della dottrina, invece, ritiene che la

designazione nel testamento dia luogo ad un'attribuzione mortis causa, dal momento che la «designazione svolge i suoi effetti solo alla morte e

per la morte del disponente» (in tal senso, Monticelli-Cuggiò, Il notaio

ed i limiti dell'autonomia negoziale «inter vivos» e «mortis causa»,

Napoli, 1985, 65, che si allinea a Nicolò, Attribuzioni patrimoniali

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2875 PARTE PRIMA 2876

dava il provvedimento cautelare e condannava la Vignaroli a

pagare, in favore di ciascuno degli attori, la somma di lire

18.000.000, oltre agli interessi legali. Avverso tale decisione la Vignaroli propose appello davanti

alla corte di Roma, chiedendo, fra l'altro, la riduzione della

somma richiestale.

La D'Arienzo e i Francia resistevano al gravame e, in via in

cidentale, chiedevano la rivalutazione della somma loro ricono

sciuta.

La corte adita, con sentenza del 27 febbraio 1990, in parziale riforma della decisione impugnata, condannava la Vignaroli a

corrispondere alle controparti la somma rivalutata di lire

45.531.000, con l'aggiunta degli interessi legali dalla domanda.

La corte, in particolare, nell'accogliere il terzo motivo del

l'appello della Vignaroli — nel quale si sosteneva che il tribu

nale avrebbe dovuto ripartire la somma da lei incassata secondo

i criteri dettati dall'art. 582 c.c. e non in quote uguali tra tutti gli eredi legittimi

— rilevava anzitutto che l'indennizzo assicurati

vo de quo trae origine dal contratto stipulato dall'Agip per i

suoi dipendenti e che di esso è beneficiario la persona indicata

dall'assicurato o, in mancanza, «gli eredi» di quest'ultimo. Ciò premesso, i giudici d'appello, dopo aver rilevato, nella

specie, l'assenza di eredi testamentari, ritenevano che la qualifi ca di «eredi», contenuta nella clausola contrattuale, indicasse

necessariamente tutti gli eredi legittimi; sicché la ripartizione dell'indennizzo tra gli eredi legittimi doveva avvenire secondo

il criterio stabilito dall'art. 582 c.c., anche perché un diverso

criterio di ripartizione avrebbe dovuto essere espressamente

previsto nella clausola predetta, la quale invece, sul punto speci fico, nulla disponeva.

La corte qualificava poi il debito di lire 30.000.000, gravante sulla Vignaroli in base all'art. 582 cit. (un terzo di 90.000.000), come di valore, «trattandosi di somma illecitamente riscossa per intero dalla Vignaroli».

Ad avviso della stessa corte, poco rilevava sul punto l'assolu

zione della Vignaroli emessa dal giudice penale con formula

dubitativa, perché sotto il profilo civilistico non poteva dubitarsi

che l'appellata si fosse appropriata anche la parte della somma

che non le spettava, contro ogni regola contrattuale.

Proponevano ricorso per cassazione la D'Arienzo e i Francia, deducendo due motivi di censura.

Resisteva con controricorso la Vignaroli, la quale spiegava anche un motivo di ricorso incidentale, dolendosi della ritenuta

natura di valore del suo debito.

La Suprema corte, con sentenza 10 novembre 1994, n. 9388

(Foro it., Rep. 1995, voce Assicurazione (contratto), n. 117),

accoglieva entrambi i ricorsi e rinviava anche per le spese del

giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte d'appello di

Roma.

Con sentenza del 28 aprile 1997 il giudice di rinvio rigettava entrambi gli appelli e, ad integrazione della sentenza impugnata (confermata per il resto, salvo che per le spese del giudizio).

«post mortem» e «mortis causa», in Vita not., 1971, 152; Coviello, L'assicurazione sulla propria vita a favore di terzo e l'attribuzione per testamento della somma assicurata, in Assicurazioni. 1952.1, 47).

A questo punto e dopo aver stabilito che il diritto alla somma assicu rata spetta al beneficiario iure proprio e non gli deriva dal patrimonio del de cuius, è logico escludere l'applicazione delle norme del diritto successorio, compresa quella contenuta nell'art. 582 c.c. (in virtù della

quale «al coniuge sono devoluti i due terzi dell'eredità se egli concorre con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ov vero con gli uni e con gli altri»). Pertanto la ripartizione dell'indenniz zo tra i beneficiari deve avvenire in parti uguali, in mancanza di un di verso criterio indicato dal de cuius (in tal senso, Cass. 10 novembre 1994, n. 9388, cit.; Trib. Lamezia Terme 24 luglio 1978, cit.; App. Roma 10 agosto 1972, cit.).

Alle stesse conclusioni giunge la dottrina che, esprimendosi sull'ar

gomento, ha così opinato: «se i beneficiari sono più ed il contraente non ha indicato in quale misura la somma assicurata deve ripartirsi fra di essi, concorrono tutti in parti uguali. E nel caso che i beneficiari sia no anche eredi non ha influenza ai fini delle rispettive quote la riparti zione fatta fra di essi della eredità» dal momento che «l'indennità non va calcolata né per ricostruire l'asse ereditario né la quota di eredità di sua spettanza» (Santi, op. cit., 559). La posizione è condivisa da Mora. li beneficiario dell'assicurazione sulla vita a favore di terzi, in Resp. civ., 1988, 338; Tamburrino, op. cit.. 33; Donati, op. cit., 606; Salan dra, op. cit., 352; Stolfi, L'assicurazione sulla vita a favore di terzi, Milano, 1937, 89). [P. Santoro]

Il Foro Italiano — 2001.

condannava la Vignaroli al pagamento della somma complessi va di lire 72.000 (recte 72.000.000) in favore dei Francia e della

D'Arienzo, oltre agli interessi legali dal 13 ottobre 1983 al sal

do, previa detrazione di quanto già corrisposto ai medesimi, come meglio spiegato in motivazione.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono i Francia e la

D'Arienzo, deducendo tre motivi di censura. Resiste la Vigna roli con controricorso e contestuale ricorso incidentale, affidato

a un unico motivo.

I ricorrenti hanno depositato un controricorso per resistere al

ricorso incidentale.

Motivi della decisione. — E preliminare, ai sensi dell'art. 335

c.p.c., la riunione delle impugnazioni. Col primo motivo, denunciando la violazione dell'art. 1224

c.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), Francia Vittorio si duole che la

corte, senza adeguata motivazione, gli abbia negato, nonostante

la sua incontroversa qualità di imprenditore, su un credito (dalla Cassazione definito di valuta e non di valore) di importo rile

vante (lire 18.000.000), il risarcimento del maggior danno da

svalutazione monetaria, particolarmente accentuata proprio nel

periodo di inadempimento della Vignaroli, disattendendo i do

cumenti attestanti il suo abituale ricorso al credito e contravve

nendo al principio, sempre affermato da questa Suprema corte,

della liceità del ricorso ad elementi presuntivi e a fatti di comu

ne esperienza, dai quali tutti era lecito arguire che, se avesse

ottenuto il pagamento tempestivamente, l'odierno ricorrente

avrebbe impiegato la somma in modo da sottrarla agli effetti

negativi del fenomeno inflattivo.

Col secondo mezzo, denunciando la violazione dell'art. 389

c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), i ricorrenti principali deducono

l'illegittimità della restituzione alla Vignaroli di lire

88.800.000, sebbene disposta in forza del principio che colui il

quale sia stato privato di un bene sulla base di un titolo suc

cessivamente annullato debba essere reintegrato nella situazione

precedente. Tale principio infatti non è applicabile nella fattispecie, posto

che la Vignaroli, in base a quanto statuito dalla Cassazione, è

divenuta debitrice di una somma ben maggiore (lire 72.000.000, invece che 45.531.000); e ciò perché la domanda restitutoria,

conseguente alla cassazione della sentenza in base alla quale è

stato pagato alcunché, riguarda i casi in cui il giudizio di legit timità si concluda con la negazione del debito, ossia con l'ac

certata inesistenza dell'obbligazione. Solo in tal caso la parte soccombente, che ha pagato in base alla sentenza esecutiva, ha

diritto di essere reintegrata nel suo patrimonio per il pregiudizio subito a seguito dell'indebito pagamento, mentre nel caso in

esame la Suprema corte, annullando la sentenza di secondo gra do, ha fissato un principio in base al quale la Vignaroli è dive

nuta debitrice di maggiori somme.

Quando, come nella fattispecie, viene statuito un principio in

applicazione del quale l'importo da versare è maggiore di quello versato in ottemperanza della sentenza poi riformata, «la somma

pagata dev'essere considerata contabilmente come acconto sul

maggior importo dovuto, e in tal caso gli interessi dovranno de

correre dalla data del versamento solo sul residuo». Ha perciò errato la corte nel condannare gli odierni ricorrenti alla restitu

zione dell'intero importo ricevuto, maggiorato degli interessi

dal giorno del pagamento, perché in tal modo li ha onerati del

pagamento degli interessi su una somma che comunque avevano

diritto di percepire, consentendo alla Vignaroli di lucrare il re

lativo importo. In subordine, proseguono i ricorrenti, gli interessi (moratori)

sulla somma da restituire dovevano decorrere dalla domanda di

restituzione e non dall'avvenuto pagamento. Un ulteriore errore della corte consiste nell'aver disposto la

restituzione, in favore della Vignaroli, delle spese dell'esecu

zione immobiliare sostenute dai Francia e dalla D'Arienzo (lire

14.300.000), in quanto l'importo per il quale si è proceduto ese

cutivamente è stato maggiorato nel prosieguo del giudizio, e de ve applicarsi l'art. 653, 2° comma, c.p.c. quale espressione di un

principio generale, valido per tutte le ipotesi in cui un provve dimento giurisdizionale posto in esecuzione venga poi annullato e sostituito da altro recante condanna per un importo diverso.

In applicazione di tale principio, iniziata l'esecuzione in base ai primo titolo, ove sopravvenga una decisione che l'annulli modificando in senso quantitativo l'importo dovuto, il processo esecutivo non resta caducato, ma prosegue e conserva efficacia nei limiti dell'importo contenuto nel nuovo titolo.

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Page 5: sezione III civile; sentenza 5 marzo 2001, n. 3160; Pres. Grossi, Est. Perconte Licatese, P.M. Maccarone (concl. conf.); Francia e altri (Avv. D'Innocenzo) c. Vignaroli (Avv. Di Porto).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Con il terzo motivo, denunciando la violazione dell'art. 112

c.p.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), sostengono che la domanda di

restituzione proposta dalla Vignaroli nel giudizio di rinvio è

stata accolta oltre i limiti richiesti, con la conseguente mancata

corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Ed infatti la Vignaroli ha chiesto in restituzione lire

15.000.000, importo corrispondente alla rivalutazione concessa

dalla corte, pagata e poi negata dalla Cassazione, oltre agli inte

ressi pagati sul predetto importo fino al momento dell'attribu

zione della somma di lire 88.800.000, avvenuta il 26 aprile 1994, in base all'ordinanza del giudice dell'esecuzione. Indi la

Vignaroli ha chiesto alla corte di operare il necessario congua

glio, eseguendo i conteggi, con il maggior credito dei Francia e

D'Arienzo, corrispondente a una differenza per sorte pari a lire

42.000.000. In nessuna difesa la Vignaroli ha mai chiesto in re

stituzione l'intero importo di lire 88.800.000, oltre agli inte

ressi, come ha invece statuito il giudice di rinvio, senza dare

contezza delle ragioni che lo hanno indotto ad attribuire tale più

ampio contenuto alla domanda di restituzione.

Con l'unico motivo del ricorso incidentale la Vignaroli, de

nunciando la violazione degli art. 582, 1362, 1364. 1369 e 1920

c.c. e 384 c.p.c. (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), afferma che la corte

di rinvio ha erroneamente interpretato il principio di diritto

enunciato dalla Suprema corte.

Questa infatti, senza addentrarsi, come è detto espressamente,

nell'interpretazione della clausola contrattuale di designazione dei beneficiari, devoluta al giudice di merito, si è limitata a

chiarire che il rinvio agli eredi non implica anche un rinvio ma

teriale alle regole della successione (nel senso che il diritto non

si acquista mortis causa, ma per contratto) e che nelle obbliga zioni collettive, qualora nel titolo manchi una diversa determi

nazione delle quote, queste devono presumersi uguali. Ebbene, la corte di rinvio, ritenendo di applicare le indicazio

ni della sentenza della Cassazione, ha diviso l'indennizzo di lire

90.000.000 in parti uguali tra tutti gli eredi (moglie, genitori e

fratelli); ha cioè interpretato il rinvio all'art. 582 c.c. in senso

semplicemente qualitativo, come limitato all'individuazione de

gli eredi beneficiari e non esteso anche alla determinazione

delle rispettive quote. In tal modo la corte ha spezzato la logica unitaria dell'art. 582 c.c., il quale individua determinate persone e determinate quote in ragione del loro rapporto con il de cuius,

sulla base di valutazioni che non consentono di disgiungere il

profilo «qualitativo» dello status di erede da quello «quantitati vo» della quota ad esso spettante; non ha insomma spiegato le

ragioni per le quali ha ritenuto che l'individuazione degli eredi

come beneficiari fosse limitata alla qualità e non contenesse an

che un rinvio alla determinazione delle quote di ciascun erede.

La presunzione di eguaglianza delle quote, applicata dal giu dice del rinvio, non regge, in assenza di una espressa previsione della clausola in tal senso, sicché alla Vignaroli non poteva es

sere negata una quota di due terzi.

Peraltro il principio della presunzione di eguaglianza delle

quote è stato dettato dalla Suprema corte per la sola ipotesi di

completa assenza di determinazione delle quote e la corte d'ap

pello non si è avveduta che, nel caso di specie, una determina

zione delle quote (pur se per relationem) esiste. Consegue da

tutto quanto esposto che non solo è stato mal interpretato il

principio di diritto, ma che è stata erroneamente interpretata an

che la clausola, in contrasto con le indicazioni fornite dalla Su

prema corte.

E logicamente e giuridicamente preliminare l'esame del ri

corso incidentale, volto a rimettere in discussione la legittimità della ripartizione dell'indennità assicurativa in parti uguali tra

gli eredi legittimi di Francia Massimo, del quale va dichiarata

l'infondatezza.

La Vignaroli, per sostenere la tesi che la corte di rinvio si sia

discostata dal principio di diritto enunciato nella sentenza di an

nullamento n. 9388 del 1994, cit., procede a una sua personale

interpretazione di quest'ultima, del tutto avulsa dal suo reale si

gnificato. Ed invero questa Suprema corte, sulla incontestata premessa,

in punto di fatto, che, secondo i patti della polizza, la società as

sicuratrice avrebbe liquidato l'indennità, per il caso di morte

dell'assicurato, ai beneficiari designati, o in difetto agli eredi, e

che gli eredi sono le parti in causa, da un lato la vedova Vigna roli e dall'altro i genitori, il fratello e la sorella del de cuius;

colse, nella sentenza d'appello del 1990 (basata sull'avviso che

Il Foro Italiano — 2001.

la clausola succitata richiami, anche se non espressamente, la

normativa sulla successione legittima, ossia l'art. 582 c.c., in

quanto, se le parti avessero voluto dettare un diverso criterio di

ripartizione, avrebbero dovuto prevedere esplicitamente la ri

partizione pro quota), «un duplice vizio giuridico». Anzitutto, infatti, ribadì che la disposizione dell'art. 1920, 3°

comma, c.c., secondo cui, per effetto della designazione, il terzo

acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione, va in

terpretata nel senso che il diritto del beneficiario alla presta zione dell'assicuratore trova fondamento nel contratto ed è au

tonomo («proprio»), cioè non derivato da quello del contraente; sicché quando, come nella fattispecie, sia stato fin dall'origine

previsto che l'indennizzo venga liquidato ai beneficiari desi

gnati o, in difetto, agli eredi, una siffatta clausola non può esser

letta come se in essa mancasse totalmente la designazione (onde la prestazione dell'assicuratore resterebbe a vantaggio dello sti

pulante e con la sua morte si trasmetterebbe agli eredi iure he

reditaria), racchiudendo essa, al contrario, un meccanismo sus

sidiario di designazione del beneficiario (designazione generica e impersonale degli «eredi», operante automaticamente in man

canza di ogni altra, specifica ed espressa). Il primo vizio della sentenza impugnata era dunque, secondo

il pensiero allora espresso dalla Suprema corte, nell'aver inter

pretato la predetta clausola contrattuale come se non consentisse

la designazione del beneficiario.

Il secondo errore consisteva invece nell'aver fatto riferimen

to. per la determinazione della quota d'indennizzo spettante a

ciascuno degli eredi, alle norme sulla successione legittima (art. 582 c.c.), anziché al titolo (contratto) in forza del quale gli eredi

medesimi hanno acquistato il diritto all'indennità in seguito alla

morte dello stipulante in loro favore. Essendo questi ultimi, in

quanto originariamente designati, divenuti titolari, alla morte

del contraente, di un «proprio» diritto all'indennizzo (art. 1920.

3° comma, c.c.), e dovendosi perciò rinvenire la fonte regola trice della controversia nel contratto stipulato a loro favore,

l'espressione «eredi» serviva unicamente a individuare le per sone dei beneficiari e non poteva assolutamente intendersi come

una sorta di rinvio materiale alla disciplina codicistica in mate

ria di successioni, il quale sarebbe stato in immediata contraddi

zione col citato fondamento normativo dell'acquisto del diritto

attribuito al terzo, «proprio», e dunque, come già sottolineato, non derivato da quello dello stipulante.

E pertanto, se la fonte regolatrice della controversia era esclu

sivamente nel contratto, ne conseguiva che, in presenza di una

pluralità di beneficiari dell'indennizzo nel caso di morte del

l'assicurato, ove non fosse prefigurato uno specifico criterio di

ripartizione delle quote tra i beneficiari medesimi, «le quote stesse debbono presumersi uguali»; come del resto accade in va

ri altri casi di una pluralità di creditori in forza di un'identica

causa crederteli, i quali tutti, se la prestazione è divisibile, im

plicano una misura della partecipazione, una «quota» di ciascu

no dei soggetti interessati, che il nostro codice presume ge neralmente uguale alle altre, in mancanza di una diversa deter

minazione stabilita nel titolo (cfr., ad es., gli art. 674. 1° com

ma, 773, 1° comma, 1101, 1° comma, 1298, 2° comma, 2055, 3°

comma, 2253, 2° comma, c.c.; 97, 2° comma, c.p.c.).

Questi essendo i principi di diritto enunciati nella sentenza di

annullamento, è facile constatare come la corte di rinvio ne ab

bia fatto puntuale applicazione, laddove, in forza della regola

dell'eguaglianza delle quote, affermata a chiare lettere da questo

Supremo collegio, ha confermato, sul punto, la sentenza del tri

bunale, determinando il debito della Vignaroli in lire

72.000.000 (90.000.000 : 5 x 4). È il caso di soggiungere che la

pronuncia della Suprema corte si basa sul presupposto di fatto di

una clausola indiscussa nella sua chiara letteralità, che la ricor

rente incidentale peraltro nemmeno contesta, e attribuisce al

termine «eredi» un significato giuridico che naturalmente, atte

nendo al principio di diritto enunciato, il giudice di rinvio non avrebbe potuto disattendere; sicché a quest'ultimo non si pone va più alcun problema di interpretazione della clausola, essendo

il suo compito ormai limitato alla mera suddivisione dell'inden

nizzo in parti uguali tra tutti gli aventi diritto.

La ricorrente incidentale, non condividendo quel vincolante

significato, che assegna al termine «eredi» una mera funzione di

individuazione dei beneficiari, sotto l'apparenza di muovere

critiche all'operato del giudice di rinvio, pretenderebbe invece

di reintrodurre proprio l'implicito rinvio della clausola in esame

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2879 PARTE PRIMA 2880

all'art. 582 c.c. che questa corte ha decisamente negato, e addi

rittura di ribaltare la presunzione di eguaglianza delle quote, in

difetto di contraria pattuizione, sostituendo ad essa il criterio, del pari ripudiato dalla sentenza di annullamento, della riparti zione in quote diseguali, conformemente all'art. 582 c.c.; in tal

modo tentando inammissibilmente di riaprire il dibattito su temi

giuridici irretrattabilmente decisi e non più disputabili. (Omis sis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 13 febbraio 2001, n. 62/SU; Pres. Iannotta, Est. Cristarella

Orestano, P.M. Cinque (conci, diff.); Borghese (Avv. Pa

scasio) c. Min. giustizia (Avv. dello Stato Macaluso). Con

ferma Corte conti, sez. Ili, 6 giugno 1997, n. I69/A.

Pensione civile, militare e di guerra — Corte dei conti —

Pensioni civili — Giudicato — Interpretazione — Penden za del giudizio di ottemperanza innanzi al giudice ammini

strativo — Irrilevanza (R.d. 26 giugno 1924 n. 1054, appro vazione del tu. delle leggi sul Consiglio di Stato, art. 27; r.d.

12 luglio 1934 n. 1214, approvazione del t.u. delle leggi sulla

Corte dei conti, art. 78; 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, istituzione

dei tribunali amministrativi regionali, art. 7).

La Corte dei conti, in sede di appello avverso una sentenza di

primo grado in materia di pensioni civili, ha il potere di ac

certare ed interpretare il giudicato che sia intervenuto fra le

stesse parti sul rapporto pensionistico, a nulla rilevando che, con riguardo allo stesso, sia pendente il giudizio di ottempe ranza innanzi al giudice amministrativo. ( 1 )

(1) I. - Nel riconoscere alla Corte dei conti il potere di accertare ed

interpretare, in un giudizio pensionistico, il giudicato formatosi su di una precedente sentenza da essa resa fra le stesse parti del giudizio in corso (c.d. giudicato esterno), la sentenza ricostruisce solo in parte la

portata dell'art. 78 r.d. 1214/34 («spetta alla Corte [dei conti] il giudi zio sulle questioni di interpretazione delle sue decisioni»), che viene inteso — agli stretti fini della decisione — come espressione del prin cipio generale secondo cui ogni giudice, ordinario o speciale, chiamato a pronunciarsi su domanda rientrante nella sua giurisdizione, ha il pote re-dovere di affrontare in via incidentale le questioni pregiudiziali o

preliminari la cui definizione sia indispensabile per la decisione (com prese, perciò, le questioni concernenti l'esistenza del giudicato ed il suo contenuto precettivo): cfr., cit. in motivazione, Cass. 6 luglio 2000, n. 467/SU, Foro it., Rep. 2000, voce Tributi in genere, n. 1536. Il tutto, a meno che tale principio sia derogato da un'espressa previsione norma tiva che traduca l'accertamento incidentale in una causa di carattere

pregiudiziale devoluta ad un giudice diverso; ciò che avviene, ad esem

pio: a) nell'ambito del processo amministrativo, per effetto dell'art. 28, 3° comma, r.d. 1054/24 e dell'art. 8, 2° comma, 1. 1034/71, con riguar do all'incidente di falso ed alle questioni concernenti lo stato e la capa cità delle persone (salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio), attribuiti alla «esclusiva competenza» dell'a.g.o. (per la giurisprudenza, v. infra, sub II); b) nell'ambito del processo contabile, per effetto degli art. 9-11 r.d. 1038/33, con riguardo all'incidente di falso, attribuito alla

giurisdizione dell'a.g.o., e dell'art. 62 r.d. 1214/34, con riguardo alle

questioni di status in materia pensionistica, attribuite al giudice del

rapporto d'impiego, che è, a seconda dei casi, il giudice amministrativo o il giudice ordinario (per la giurisprudenza, v. infra, sub II).

Precisa la Suprema corte nella sentenza in epigrafe che una deroga al menzionato principio non può essere rinvenuta nella disposizione (art. 7, 1° comma, 1. 1034/71, in relazione all'art. 27, 1° comma, n. 4, r.d. 1054/24) che attribuisce alla giurisdizione di merito de! giudice ammi nistrativo la cognizione dei ricorsi rivolti ad ottenere l'ottemperanza dell'amministrazione ad ogni giudicato su diritti (da qualsiasi giudice esso promani), ancorché tale cognizione comprenda l'interpretazione del giudicato (cfr. l'art. 28, 1° comma, r.d. 1054/24 e l'art. 8, 1° com ma, 1. 1034/71, e, in giurisprudenza, cit. in motivazione, Cass. 15 giu

II Foro Italiano — 2001.

Motivi della decisione. — Il ricorso, con riguardo alla tesi

principale del difetto di giurisdizione, è infondato.

Il giudice ordinario o speciale, chiamato a pronunciarsi su

domanda rientrante nella propria competenza giurisdizionale, è

necessariamente munito del potere-dovere di affrontare in via

incidentale i problemi pregiudiziali o preliminari la cui defini zione sia indispensabile per la decisione, e, quindi, in presenza della deduzione di uno dei contendenti, secondo cui la decisione

stessa sarebbe in tutto od in parte vincolata da un precedente

giudicato sostanziale (c.d. giudicato esterno), ha il compito

gno 2000, n. 438/SU, ibid., voce Giustizia amministrativa, n. 1363),

giacché il giudizio di ottemperanza non è la sede esclusiva di questa interpretazione — a meno che, ovviamente, il giudizio non abbia ad

oggetto l'ottemperanza a una decisione dello stesso giudice ammini

strativo, nel qual caso il giudice dell'ottemperanza ha il potere non solo di interpretare, ma anche di integrare il giudicato: v. Cass. 30 giugno 1999, n. 376/SU, id., Rep. 1999, voce cit., n. 1168 — e comunque, non delimita la competenza della Corte dei conti, che, nell'ambito della

propria giurisdizione pensionìstica, è, appunto, legittimata ad accertare e interpretare, in virtù del principio generale riflesso nell'art. 78 r.d. n. 1214 cit., il giudicato che sia già intervenuto sui rapporto pensionistico fra le stesse parti, traendone le relative conseguenze ai fini della pro nuncia sulla domanda.

II. - In tal modo, la sentenza in epigrafe si è limitata a riconoscere la

cognizione in via incidentale della Corte dei conti sulle questioni pre giudiziali o preliminari alle sue stesse decisioni, e tanto era sufficiente, in realtà, per la soluzione del caso concreto, dal momento che la que stione di giurisdizione era — per così dire — tutta interna alla giurisdi zione contabile, investendo una sentenza della Corte dei conti «inter

pretativa» di precedente giudicato dello stesso giudice e non il rapporto fra tale giudicato (poi «interpretato» dalla corte) ed il (pur instaurato) giudizio di ottemperanza per la sua esecuzione.

È a dire, peraltro, che anche nel rapporto fra giudice contabile e giu dice dell'ottemperanza vale la regola — che si ricava, in termini gene rali, dall'art. 78 r.d. n. 1214 cit. e, specificatamente, dall'art. 25 r.d. 1038/33 («se per l'esecuzione di una decisione della corte sorga que stione sulla interpretazione di essa, si deve proporre il giudizio davanti allo stesso collegio che l'ha pronunciata») — per cui la Corte dei conti è giudice esclusivo delle questioni, davanti a qualunque giudice insor

gano, concernenti l'interpretazione delle sue decisioni (per tutte, v. Cass. 23 febbraio 1999, n. 99/SU, ibid., voce Pensione, n. 12; Corte

conti, sez. I, 4 dicembre 1986, n. 710, id., Rep. 1987, voce Responsabi lità contabile, n. 560; sez. giur. reg. Toscana 19 giugno 1996, n. 334, id., Rep. 1997, voce Pensione, n. 56; sez. giur. reg. Emilia-Romagna 26 febbraio 1996, n. 75, id., Rep. 1996, voce cit., n. 27), ferme restando la giurisdizione dell'a.g.o. sulla querela di falso (Cass. 7 luglio 1988, n.

4479, id., Rep. 1989, voce Corte dei conti, n. 29; Corte conti, sez. I, 25 marzo 1980, n. 33, id., Rep. 1981, voce cit., n. 30; sez. giur. reg. Lom bardia 5 novembre 1997, n. 972, id., Rep. 1998, voce Pensione, n. 41) e

quella del giudice del rapporto d'impiego — amministrativo o ordina

rio, a seconda dei casi — sulle questioni di status (Cass. 1° settembre

1999, n. 617/SU, id., 2000, I, 2651, in motivazione, con nota di Stabi le; 99/SU/99, cit.; 7 luglio 1983, n. 4580, id., 1984, I, 788; Corte conti, sez. I, 710/86, cit.; 33/80, cit.; sez. giur. reg. Toscana 334/96, cit.; sez.

giur. reg. Emilia-Romagna 75/96, cit.; sez. giur. reg. Lombardia 24 ot tobre 1995, n. 965, id., Rep. 1996, voce cit., n. 37).

Nello stesso senso, v. già Cons. Stato, ad. plen., 4 novembre 1980, n.

43, id., 1981, III, 65, con nota di richiami, e, di recente, sia pure affer mando che, in caso di attivazione dello speciale procedimento previsto dall'art. 25 r.d. 1038/33, «è opportuno» che il giudizio di ottemperanza venga sospeso in attesa della decisione della Corte dei conti, Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 1995, n. 95, id.. Rep. 1996, voce Giustizia am

ministrativa, n. 856, e Giur. it., 1996, III, 1, 46. E, comunque, inammissibile, in sede di ottemperanza ad un giudicato

della Corte dei conti in materia pensionistica, la domanda avente ad

oggetto la rivalutazione monetaria e gli interessi moratori, proposta per la prima volta dinanzi al giudice amministrativo, in quanto rientrante nella giurisdizione della Corte dei conti: Cons. Stato, ad. plen., 17 gen naio 1997, n. 1, Foro it., 1997, III, 261, con nota di richiami.

Sui limiti del giudizio di interpretazione ex art. 78 r.d. n. 1214 cit., v., di recente, Corte conti, sez. giur. reg. Lazio, 24 gennaio 1998, n. 300

(id.. Rep. 1998, voce Pensione, n. 735), secondo cui il giudizio sulle

questioni di interpretazione delle decisioni della Corte dei conti è di retto esclusivamente a individuare, in caso di dubbi o incertezze nella fase esecutiva, il senso e la portata della decisione resa dal giudice, on de non può essere utilizzato per introdurre ulteriori domande o per cen surare statuizioni della decisione stessa.

III. - Quanto all'incidenza dello ius superveniens sul rapporto og getto della decisione passata in giudicato ed alla proposizione di con nesse eccezioni di costituzionalità, la sentenza in rassegna conferma —

nel segno di una consolidata giurisprudenza — che le relative questioni esulano dal sindacato della Suprema corte relativo alla verifica dei «li

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