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sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli(concl. conf.); Mola (Avv. Vitaliani, Dina) c. Ronza (Avv. Coggiatti, Casavola). Conferma App.Milano 9 settembre 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1917/1918-1923/1924Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192656 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
accertato, in maniera non più sindacabile, che il creditore non
aveva ritenuto di manifestare ai debitori le ragioni del suo rifiu
to a ricevere gli assegni circolari e che, addirittura, aveva tratte
nuto due delle lettere raccomandate contenenti gli assegni circo
lari senza accertarsi del loro contenuto.
Questo accertamento e le conseguenze che da esso sono state
ricavate comportano che la sentenza impugnata si è attenuta
ai principi più sopra indicati, perché ha correttamente ritenuto
che esistevano elementi positivi che dimostravano il comporta mento contrario alle regole della correttezza tenuto dal credito
re nella situazione concreta.
La conclusione ora indicata esonera il collegio dall'esame del
secondo motivo del ricorso, relativo all'adempimento che sa
rebbe stato parziale per il fatto stesso di essere stato effettuato
mediante assegni e per non avere compreso le somme che sono
state tempestivamente inviate subito dopo la prima contestazio
ne anche mediante assegni circolari. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 6 feb braio 1998, n. 1286; Pres. Merigciola, Est. Saluzzo, P.M.
Ianneixi (conci, conf.); Mola (Aw. Vitaliani, Dina) c. Ronza
(Aw. Coggiatti, Casavola). Conferma App. Milano 9 set
tembre 1994.
Professioni intellettuali — Responsabilità professionale — Av
vocato — Omissione di adempimenti processuali — Esito del
processo — Nesso di causalità — Fattispecie (Cod. civ., art.
2229, 2236).
Il nesso di causalità tra l'omissione di attività difensiva da parte dell'avvocato e il negativo esito processuale può essere valu
tato, nella causa di risarcimento danni contro quest'ultimo, in termini di semplice probabilità, anziché di certezza (nella specie, è stato ritenuto che, ove non omessa, la citazione di
testimoni avrebbe potuto determinare un esito favorevole al
danneggiato nel processo penale per l'accertamento della re
sponsabilità del danneggiante). (1)
(1) La decisione si inserisce in un nutrito filone giurisprudenziale vol
to a delineare i contorni della responsabilità civile dell'avvocato nei con
fronti del cliente. Nella specie, il professionista aveva omesso di comunicare al patroci
nato — danneggiato da un sinistro stradale per il quale si era configu rata responsabilità penale del danneggiante — la data del dibattimento
e di citare i testimoni dalla cui escussione sarebbe stata provata la con
dotta colposa del terzo. Come conseguenza, il cliente era decaduto dal
la possibilità di costituirsi parte civile ed il danneggiante era stato assol
to con formula piena. Nella causa intentata dal cliente contro l'avvoca
to, i giudici di merito ne avevano riconosciuto la responsabilità civile
per colpa professionale. In particolare, la Corte d'appello di Milano
aveva ritenuto che l'omissione dell'avvocato avesse inciso sull'esito del
processo «con notevole probabilità». La Suprema corte ritiene che il nocciolo della questione ruoti attorno
al grado di «certezza» o «probabilità» richieste per affermare che la
condotta omissiva dell'avvocato abbia avuto attitudine causale alla de
terminazione del danno. Siffatta questione impone, preliminarmente, di chiarire il contenuto dell'obbligazione del professionista prestatore di opera intellettuale.
A tale proposito, ricorre l'affermazione secondo la quale la responsa bilità dell'avvocato è regolata dall'art. 1176 c.c.; tuttavia, risponde solo
per dolo o colpa grave quando la prestazione implichi la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà (in questo senso, Cass. 18 giugno
1996, n. 5617, Foro it., Rep. 1996, voce Procedimento civile, n. 116; Trib. Benevento 18 gennaio 1982, id., Rep. 1983, voce Professioni in
tellettuali, n. 56, e Giur. merito, 1983, 620, con nota di Ceniccola, In tema di ingiunzione per onorari e di responsabilità del difensore).
In applicazione di questo principio, si è sviluppata una cospicua casi
stica sulle varie ipotesi in cui è configurabile la responsabilità 'ordina
ria' del bonus patronus di cui all'art. 1176, 2° comma, c.c. o sia invo
cabile la «speciale difficoltà» di problemi tecnici che circoscrivono la
responsabilità dell'avvocato al dolo o alla colpa grave.
Il Foro Italiano — 1998.
Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 18 mag
gio 1983 Giampiero Ronza conveniva in giudizio dinanzi il Tri bunale di Vigevano l'aw. Dario Mola ed esponendo che il 17
luglio 1971, verso le ore 4,15, mentre percorreva alla guida del
suo autocarro OM Lupetto la strada Cozzo Lomellina Castel
D'Agogno, si era trovato la strada sbarrata da un autocarro
Fiat 690 con rimorchio, fermo a causa di un'avaria; che, poiché le luci di posizione del rimorchio erano spente e non era stato
collocato il prescritto triangolo, non aveva potuto avvistare tem
pestivamente l'ostacolo e, nonostante la pronta frenata, lo ave
va tamponato riportando lesioni; che il conducente del'autotre
no, Lorenzo Carbonero, era stato sottoposto a procedimento
È stata ritenuta sussistente la colpa grave in un caso in cui l'avvocato
pur avendo ricevuto un documento in bianco contenente una procura, aveva omesso di impugnare il licenziamento subito dal cliente (v. Cass. 1° agosto 1996, n. 6937, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 158). Allo stesso modo, è stata ritenuta colpa grave l'aver esaminato un atto di citazione notificato e aver concluso per la sua ritualità ex art. 143 c.p.c., allorché la semplice disamina della norma alla luce delle risultanze og gettive avrebbe consentito di concludere per l'intempestività della noti fica stessa (v. Trib. Roma 27 novembre 1992, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 113, e Nuova giur. civ., 1994, I, 267, con nota di Marinelli, Le nuove frontiere della responsabilità professionale dell'avvocato). Nel senso che la colpa grave del professionista legale può essere integrata dal fat to di aver promosso un appello palesemente infondato e proposto nel
l'interesse di un soggetto diverso dalla persona del cliente, Cass. 19
novembre 1992, n. 12364, Foro it., Rep. 1994, voce Avvocato, n. 53, e Giur. it., 1994, I, 1, 1638, con nota di Traverso, Appunti sulla re
sponsabilità del professionista legale. Nello stesso senso, quanto alla corretta notificazione dell'appello civile a più parti, Trib. Salerno 29
febbraio 1980, Foro it., Rep. 1983, voce Professioni intellettuali, n. 57. È stata affermata la responsabilità dell'avvocato verso il cliente quan do abbia trattenuto immotivatamente la documentazione da quest'ulti mo fornita, precludendo la proposizione di una domanda giudiziale e tacendo sull'eventualità che il diritto da azionare fosse soggetto a pre scrizione (v. Cass. 4 dicembre 1990, n. 11612, id., Rep. 1990, voce
cit., n. 115). È stato considerato problema tecnico di particolare diffi
coltà stabilire se si debba ricorrere alla forma scritta ad probationem di un contratto preliminare ove siffatta forma probatoria sia stata pre vista dalla legge per il contratto definitivo (in questi termini, Pret. Ta ranto 19 febbraio 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 49, e Arch, civ.,
1982, 761; Giur. it., 1982, I, 2, 581). Per contro, Cass. 17 febbraio
1981, n. 969, Foro it.. Rep. 1981, voce cit., n. 34, aveva ritenuto insus
sistente la responsabilità, per difetto di colpa, del difensore di ufficio
che non aveva dato comunicazione all'imputato dell'avviso ricevuto ex art. 533 del (vecchio) c.p.p., sul presupposto dell'inesistenza dell'obbli
go di tale comunicazione. La responsabilità è esclusa, a meno di dolo
o colpa grave, quando l'avvocato sia chiamato a fare applicazione di
leggi o a risolvere questioni non pacifiche (secondo quanto affermato
da Cass. 18 novembre 1996, n. 10068, id., Rep. 1996, voce cit., n. 159). A parte la minuziosa casistica sugli aspetti dell'attività forense, in
tempi recenti la giurisprudenza, con l'avallo della Cassazione anche nel
la pronuncia odierna, «ha cercato di superare, o quanto meno di atte
nuare, la tradizionale contrapposizione» tra obbligazione di mezzi —
che contraddistinguerebbe l'attività del professionista intellettuale (cfr. la già citata Cass. 18 giugno 1996, n. 5617) — ed obbligazione di risultati.
La conseguenza di siffatto sforzo è stata la maggiore attenzione al risultato che per il creditore della prestazione è ragionevole attendersi.
La valutazione dell'esatto adempimento ha richiesto, alla luce di questa mutata prospettiva, un'opera di ridefinizione — all'interno della quale si iscrive la decisione odierna — del nesso di causalità tra l'azione o
l'omissione dell'avvocato ed il «buon esito della lite». Aveva iniziato
Cass. 8 maggio 1993, n. 5325 (id., 1994, I, 3188, con nota di C. M.
Barone), facendo applicazione dei principi di equivalenza delle cause
e della causalità efficiente, mutuati dalla scienza penalistica (su cui cfr., all'interno della concezione 'quadripartita' del reato, e quindi con mag
giore attenzione alle condotte omissive, Fiandaca-Musco, Diritto pe nale, parte generale, Bologna, 1993, 173 ss.; Antolisei, Manuale di
diritto penale, parte generale, 13' ed., Milano, 1994, 216 ss.; sempre valide le pagine di Bettiol e Pettoello Mantovani, Diritto penale, 12" ed., Padova, 1986, 301 ss.), mentre, più timidamente, Cass. 28
aprile 1994, n. 4044 (Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 162, e Resp. civ., 1994, 635,.con nota di Ruta) aveva richiesto, tra l'attività espleta ta dall'avvocato ed il suo esito processuale, la «certezza morale» di
effetti vantaggiosi per il cliente. Da ultimo, Trib. Roma 11 ottobre 1995
(Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 162, e Danno e resp., 1996, 644, con nota di Cosentino, Colpa professionale dell'avvocato e «chance»
di vittoria del diente), relativamente alla tardiva notificazione dell'op
posizione a decreto ingiuntivo, aveva ritenuto sussistente la responsabi lità dell'avvocato ove fosse «ragionevole presumere» che un'opposizio ne tempestiva avrebbe potuto essere accolta, determinando un esito di
verso del ricorso. Ancora, sulla necessità di valutare ex post se una
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1919 PARTE PRIMA 1920
penale per il reato di lesioni colpose ai suoi danni ed egli si
era costituito parte civile con il ministero del convenuto presso il quale aveva eletto domicilio; che l'aw. Mola non aveva prov veduto ad informarlo della data fissata per il dibattimento ed
a citare i testimoni ammessi Gelindo De Pieri e Bruno Marello, dalle deposizioni dei quali sarebbe stato dimostrato che le luci
del rimorchio dell'autotreno al momento della collisione erano
spente e quindi la sussistenza della condotta colposa contestata
dal Carbonero nel capo di imputazione; che all'udienza dibatti
mentale del 14 luglio 1973 il Pretore di Mortara lo aveva dichia
rato decaduto dalla costituzione di parte civile per assenza e, in mancanza di detta prova testimoniale, aveva assolto il Car
bonero con formula piena, precludendo l'esercizio dell'azione
civile di risarcimento dei danni nei suoi confronti; che successi
vamente lui aveva instaurato contro l'aw. Mola procedimento
civile, definito con sentenza della Corte d'appello di Milano
18 maggio 1982, confermativa di sentenza del Tribunale di Mi
lano 26 febbraio 1980, con la quale il predetto era stato dichia
rato responsabile nei suoi confronti per colpa professionale e
condannato in via generica al risarcimento dei danni; chiedeva
quindi la condanna del Mola al pagamento di somma corri
spondente all'ammontare dei danni alla persona e alle cose su
biti nell'indicato incidente stradale, previa ammissione dei testi
De Pieri e Marello sulle relative modalità.
Il convenuto, costituendosi, chiedeva il rigetto della domanda
deducendo che la sua colpa professionale, accertata con senten
za passata in giudicato, non aveva arrecato al Ronza danno
alcuno.
Assunta la prova testimoniale formulata dall'attore ed ese
guita consulenza tecnica medico-legale d'ufficio sulla persona del medesimo, la causa veniva decisa con sentenza 27 gennaio 1989 con la quale il Tribunale di Vigevano condannava il con
venuto a pagare all'attore, a titolo di risarcimento, la somma
di lire 40.279.177, comprensiva di rivalutazione dalla data del
l'incidente, con interessi legali dal 10 maggio 1974, ed a rifon
dere al medesimo la metà delle spese processuali. Rilevava che l'accertata colpa professionale dell'avv. Mola
aveva, con notevole probabilità, influito sull'esito del procedi mento penale a carico del Carbonero e precluso all'attore la
possibilità di ottenere il risarcimento dei danni nei di lui con fronti ed affermava che l'incidente poteva essere ricollegato a
condotta diversa da quella tenuta avrebbe fornito la «ragionevole cer tezza» di un esito opposto (nella specie, un gravame contro sentenza
sfavorevole), Cass. 5 aprile 1984, n. 2222, Foro it., Rep. 1984, voce
cit., n. 59, e, nel senso che la «"ragionevole certezza" (. . .) come pa rametro alla stregua del quale operare l'accertamento del nesso di cau
salità, altro non può significare se non elevato grado di probabilità», Cosentino, Colpa professionale, cit., 647. Nello stesso filone, quanto meno sulla necessità di ricorrere ad un giudizio ipotetico sulla base di elementi successivamente accertati esistenti, sembra iscriversi Cass. 6
maggio 1996, n. 4196, Foro it., 1996, I, 2384. Di questo mainstream in via di consolidamento, in cui si ridefinisce
il ragionamento del giudice, costringendolo ad un ipotetico 'ritorno al
futuro', la decisione odierna costituisce l'ultima propaggine, dalla quale origina l'affermazione per la quale non è «dato esprimere, in relazione ad un evento esterno e già verificatosi (quale indubbiamente la sentenza intervenuta in un diverso procedimento), certezze di sorta (nemmeno di segno morale) (. . .), ma semplici "probabilità" di un possibile di verso esito» (sulla scia delle più recenti sentenze in materia di perdita di chance nel settore lavoristico, tra cui, ex plurimis, Cass. 15 marzo
1996, n. 2167, id., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 775; 29 aprile 1993, n. 5026, id., Rep. 1994, voce cit., n. 755).
In senso contrario, ritenendo impossibile la quantificazione del dan no per negligente conduzione della causa, in quanto la valutazione di
responsabilità richiederebbe valutazioni meramente ipotetiche, Cass. 10
agosto 1991, n. 8728, id., Rep. 1991, voce Professioni intellettuali, n.
110, e Corriere giur., 1991, 1319. Da complemento ai richiamati orientamenti fungono le decisioni —
che andranno lette, ora, sotto una nuova luce — in cui si afferma la necessità di provare, oltre il comportamento colposo dell'avvocato, la
perdita subita ed il nesso di causalità (cfr. Trib. S. M. Capua Vetere 6 febbraio 1989, Foro it., 1990, I, 3315, e, nel senso che la valutazione
degli elementi oggetto di prova rientrano nella cognizione del giudice di merito, la già citata Cass. 19 novembre 1992, n. 12364). A proposito dell'atteggiarsi della prova sul nesso di causalità, è stato messo in luce che essa risulta più o meno gravosa a seconda che il danneggiato alleghi che l'omissione del professionista ha leso la sua certezza di vittoria ov vero lamenti la perdita di una mera chance (Cosentino, cit., 648). [M. Granieri]
li Foro Italiano — 1998.
colpe concorrenti del Carbonero e del Ronza, valutabili rispetti vamente nel sessanta per cento e nel quaranta per cento.
Determinava varie voci di danno e riconosceva al Ronza il
sessanta per cento dei relativi importi, decurtato del venti per cento in via equitativa.
Proponeva appello il Mola chiedendo in via principale l'asso
luzione dalla domanda della controparte, assumendo che era
incerto che il pretore penale, in base alle disposizioni dei testi
De Pieri e Marello avrebbe adottato una decisione diversa dal
l'assoluzione con formula piena del Carbonero, cosicché non
poteva essere affermato con sicurezza il nesso di causalità tra
la sua colpa professionale e i danni lamentati dal Ronza; e cen
surando in via subordinata la sentenza impugnata per avere li
quidato il danno patrimoniale da invalidità permanente e il danno
biologico sulla base di una percentuale di invalidità maggiore di quella accertata dal c.t.u., per non avere imputato la capita lizzazione della rendita Inail anche al danno biologico e per avere liquidato il danno morale in misura eccessiva.
Il Ronza proponeva a sua volta appello incidentale impugnan do i capi della sentenza relativi all'accertamento del suo concor
so di colpa nella determinazione dell'incidente stradale e alla
rivalutazione monetaria.
La Corte d'appello di Milano, con sentenza 9 settembre 1994
rigettava il motivo fondamentale dell'impugnazione del Mola
ribadendo che era sufficiente la probabilità che il giudice pena
le, ove avesse assunto i testi De Pieri e Marello, avrebbe potuto adottare una decisione diversa da quella dell'assoluzione del Car
bonero; giudicava di eguale entità (cinquanta per cento) il con
corso di colpa del Carbonero e del Ronza nella causazione del
sinistro; escludeva il danno morale, riteneva fondata la censura
relativa alla liquidazione del danno biologico e quella, proposta con l'appello incidentale, relativa alla rivalutazione ed in par ziale riforma della sentenza del tribunale condannava il Mola
al pagamento, a titolo di risarcimento, della somma di lire
70.059.000, con interessi legali dal 10 maggio 1974, nonché al
rimborso delle spese dei due gradi del giudizio. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Mola
affidandone l'accoglimento a due motivi. Il Ronza ha resistito
con controricorso.
Motivi della decisione. — Denuncia il ricorrente con il primo motivo «violazione e falsa applicazione degli art. 2230 e 1223
c.c. e dei principi generali in materia di responsabilità dei pro
fessionisti, nonché in materia di risarcimento del danno per ina
dempimento — violazione e falsa applicazione dell'art. 2687 c.c.
e dei principi generali in materia di onere probatorio — viola
zione e falsa applicazione dell'art. 479 previgente c.p.p. e dei
principi generali in materia di relazione tra il giudicato penale e l'azione civile, con particolare riferimento all'azione di danni — violazione e falsa applicazione degli art. 2043, 2054 e 2697
c.c. e dei principi generali in materia di risarcimento dei danni
e di onere probatorio in ipotesi di danno arrecato dalla circola zione dei veicoli — violazione e falsa applicazione dell'art. 116
c.p.c. dei princpì generali in materia di valutazione delle prove — omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)» deducendo che:
a) la corte di merito avrebbe errato perché in materia di re
sponsabilità del professionista, giusto il costante insegnamento di questa Suprema corte, il cliente è tenuto a provare non solo
di avere sofferto un danno ma anche che questo è stato causato
dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista — in
particolare, trattandosi di difensore, l'affermazione della sua
responsabilità implicava l'indagine, positivamente svolta, sul si
curo e chiaro fondamento dell'azione ed era necessario il rag
giungimento della certezza morale che gli effetti sarebbero stati
più vantaggiosi per il cliente — invece la corte, anziché certez
ze, avrebbe espresso solo probabilità;
ti) in ogni caso il giudizio secondo cui la deposizione del De
Pieri avrebbe potuto portare ad un'assoluzione del Carbonero
per insufficienza di prove sarebbe fondato su motivazione in
sufficiente e contraddittoria e si porrebbe in contrasto con le norme ed i principi in materia — la corte non avrebbe poi mini
mamente considerato che se il pretore avesse ritenuto necessaria ed influente la deposizione del De Pieri avrebbe potuto dispor ne direttamente l'audizione — ed avrebbe inoltre errato perché, riguardando l'eventuale dubbio del giudice penale la sussistenza di un elemento oggettivo, la proposizione dell'azione civile (sia ex art. 2043 c.c., sia, come nella specie, ex art. 2054 c.c.) era
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
comunque, giusto il chiaro disposto dell'art. 25 c.p.p., certa
mente preclusa. Il motivo è privo di fondamento e va disatteso. Il nucleo cen
trale della censura, a ben vedere, attiene al fatto che la Corte
d'appello di Milano ha ritenuto che la domanda del Mola non
dovesse avere quale necessario presupposto la «certezza» ba
stando la semplice «probabilità» che un diverso esito processua le sarebbe potuto derivare dal diligente e corretto svolgimento dell'attività difensiva da parte sua.
Il problema, ben più amplio, dal quale occorre prendere le
mosse e che risulta costituire la necessaria premessa dej proble ma del danno, del nesso di causalità tra la condotta del profes sionista ed il pregiudizio che il cliente assume di aver subito
e della relativa prova, è quello della qualificazione dell'obbliga zione professionale dell'avvocato.
Ora, pur dovendosi precisare che nella specie il problema del
la responsabilità professionale dell'avv. Mola è stato affrontato
e risolto in modo positivo dal Tribunale di Vigevano con sen
tenza resa in data 26 febbraio 1980 e confermata dalla Corte
d'appello di Milano con sentenza 6 luglio 1982, passata in cosa
giudicata, occorre ricordare, per ragioni d'ordine logico-positivo, che siffatto problema ha formato oggetto di costante ed appro fondito esame da parte della dottrina e della giurisprudenza e
che questa Suprema corte, in particolare, nell'intento di meglio tutelare la posizione del cliente che risultava oltremodo sacrifi
cata dal genus dell'attività del professionista e dalle particolari connotazioni della stessa ha cercato di superare, o quanto meno
di attenuare, la tradizionale bipartizione obbligazione di mezzi - obbligazione di risultato.
Così, in materia di professione ingegneristica, ha svariate vol
te osservato che essa, frequentemente, si esplica in attività di
retta alla realizzazione di un'opera materiale, costituendo, già di per sé, un risultato per il creditore (cfr. Cass. 28 gennaio
1985, n. 488, Foro it., Rep. 1985, voce Responsabilità civile,
n. 156). Ed ha altresì rilevato (cfr. Cass. 7 maggio 1988, n.
497, id., Rep. 1990, voce Professioni intellettuali, n. 112) che
talvolta l'obbligazione del professionista deve, per suo partico lare contenuto, qualificarsi come un'obbligazione di risultato
avente ad oggetto la realizzazione di un opus, anziché un'obbli
gazione di mezzi.
Sulla stessa scia, avuto riguardo all'obbligazione del medico
chirurgo ha quindi parlato di «obbligazione di scopo» (cfr. Cass.
8 agosto 1985, n. 4394, id., Rep. 1986, voce cit., n. 52) ed
ha evidenziato la necessità di dissipare «le ombre indotte dalla
nozione di obbligazione di mezzi o di diligenza» — la quale risulterebbe qualificante la prestazione del professionista intel
lettuale — giungendo a sottolineare come il c.d. risultato che
si vorrebbe espungere dal paradigma delineato da tali norme,
ne costituisce pur sempre sostrato imprescindibile, quanto me
no nel senso che l'attività da prestarsi con diligenza dal profes sionista deve essere tesa al suo conseguimento.
Più recentemente, siffatti principi sono stati estesi all'ambito
della responsabilità professionale di avvocati e di notai (cfr. Cass.
8 maggio 1993, n. 5325, id., Rep. 1994, voce cit., n. 112; 28
aprile 1994, n. 4044, id., Rep. 1995, voce cit., n. 162), affer mandosi anche per tali categorie di professionisti, pur tenendosi
conto della peculiarità dell'attività da essi svolta, un particolare dovere di diligenza nell'espletamento del mandato loro conferi
to ed ancor più specificamente per gli avvocati l'obbligo di per
seguire il buon esito della lite.
Correlativa l'evoluzione giurisprudenziale in tema di «dan
no», di «nesso eziologico tra inadempimento e pregiudizio pa
trimoniale» e di «onere probatorio».
Così, e mantenendoci solo nell'ambito dell'obbligazione pro fessionale dell'avvocato, mentre le prime pronunce giurispru denziali in tema di responsabilità forense erano nel senso di
negare ogni possibile individuazione di un danno risarcibile an
che in presenza di un'accettata negligenza professionale (per tutte,
v. Cass. 10 febbraio 1931, n. 495, id., Rep. 1931, voce Avvoca
to, n. 110) le successive hanno gradualmente cercato di modifi
care tale orientamento rilevando che l'affermazione secondo cui
non era possibile determinare quale sarebbe stato l'esito finale
di una causa qualora un errore o un'omissione di uno dei difen
sori . . . non avesse impedito l'esame del merito . . . o avesse
portato ad una pronuncia di segno negativo si risolveva in un
mero assioma e che, per altro verso, non si prospettava alcun
problema di rispetto della res iudicata.
Il Foro Italiano — 1998.
In tale scia certamente si colloca la sentenza Cass. 8 maggio
1993, n. 5325, cit., nella quale il Supremo collegio — affron
tando il caso di un difensore che aveva rinunciato al mandato
in appello senza avere chiesto nemmeno in tale sede l'ammissio
ne di mezzi di prova — ha utilizzzato i principi delle equivalen ze delle cause e della causalità efficiente di cui agli art. 40 e
41 c.p. (dalla stessa Cassazione già ritenuti applicabili in mate
ria civile anche se relativamente al nesso di causalità in tema
di responsabilità extracontrattuale) ed ha riconosciuto la sussi
stenza del nesso causale in base alla considerazione che l'indivi
duazione di un nesso di causalità tra evento e l'ultimo fattore
di una serie causale non esclude la rilevanza di quelli anteriori
che abbiano avuto come effetto di determinare la situazione
su cui il successivo è venuto ad innestarsi, e che il limite alla
configurazione del rapporto di causalità tra antecedente ed evento
è rappresentato solo dall'idoneità della causa successiva ad esse
re valutata — per la sua eccezionalità rispetto al decorso causa
le innescato dal fattore remoto — come la causa sufficiente ed
unica del danno.
Nello stesso solco la sentenza (che per altro ricalca le prece denti Cass. 2 agosto 1973, n. 2230, id., Rep. 1973, voce Profes sioni intellettuali, n. 39, e 11 maggio 1977, n. 1831, id., Rep.
1977, voce cit., n. 56) Cass. 28 aprile 1994, n. 4044, cit., che, affrontando identico problema, cerca di operarne il superamen
to, su un piano per così dire più tradizionale, muovendo dal
rilievo che l'affermazione di responsabilità di un legale implica
l'indagine sul sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovu
to essere proposta o diligentemente coltivata e perciò «la certez
za morale» che gli effetti di una diversa attività del professioni sta sarebbero stati vantaggiosi per il cliente.
Infine, un'altra serie di pronunce — tra le quali quelle richia
mate dalla corte d'appello (Cass. 4 maggio 1985, n. 2790, id.,
Rep. 1985, voce Presunzione, n. 1, e 18 settembre 1991, n. 9717,
id., Rep. 1992, voce cit., n. 1) — anche se relative al più gene rale problema della «prova per presunzioni», hanno affermato
il principio secondo cui «non occorre che i fatti su cui la pre sunzione si fonda siano tali da far apparire l'esistenza del fatto
ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in
giudizio secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusi
va, bastando invece che l'operata inferenza sia effettuata alla
stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una
connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequen za e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza colte dal giudice per giungere all'espresso convincimento circa
tale probabilità di sussistenza e la compatibilità del fatto suppo sto con quello accertato».
Tale principio, che segna il passaggio nell'individuazione del
nesso di causalità da un criterio di certezza degli effetti della
condotta a quello della probabilità ed idoneità della condotta
a produrli, ha trovato applicazione nell'ambito della professio ne medica in alcune sentenze (cfr. Cass. pen., sez. IV, 23 gen naio 1989, n. 790, id., Rep. 1989, voce Omicidio e lesioni per sonali colpose, n. 110; sez. IV 16 agosto 1990, n. 11484) nelle
quali è stata enunciata la seguente massima: «Nella ricerca del
nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento, in
materia di responsabilità per colpa professionale sanitaria, al
criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostitui
re quello della probabilità di tali effetti e dell'idoneità della con
dotta a produrli. Quindi il rapporto causale sussiste anche quando
l'opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente inter
venuta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì serie ed ap
prezzabili possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata».
Ritiene questa corte che tale principio, che peraltro nel cam
po civilistico ha trovato ripetuta applicazione a svariate ipotesi di «danno da perdita di una chance» (v. così in materia lavori
stica le numerosissime pronunce che hanno operato il riconosci
mento del danno conseguente ad una mancata promozione «a
scelta» in una banca, per violazione delle regole di buona fede
e correttezza contrattuale, ancorandole non all'accertamento del
diritto alla promozione, ossia alla certezza che il rispetto di det
te regole avrebbe comportato la promozione, bensì al solo ac
certamento del nesso di causalità tra la violazione di dette rego
le e la perdita della possibilità di promozione: cfr., fra le tante,
Cass. 15 marzo 1996, n. 2167, id., Rep. 1996, voce Lavoro (rap
porto), n. 775, e 29 aprile 1993, n. 5026, id., Rep. 1994, voce
cit., n. 756) sia esatto e da condividere non essendo dato espri
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1923 PARTE PRIMA 1924
mere, in relazione ad un evento esterno e già verificatosi (quale indubbiamente la sentenza intervenuta in un diverso procedi
mento), certezze di sorta (nemmeno di segno morale), come si
vorrebbe dal ricorrente, ma semplici «probabilità» di un possi bile diverso esito. E di tale principio la corte di merito ha fatto
buon uso applicandolo, con corretta, adeguata e completa mo
tivazione, che appare immune da vizi logici e/o da errori giuri
dici, alla fattispecie in esame.
Devono con ciò ritenersi ampiamente superate le censure svolte
nella prima parte del dedotto motivo afferenti la pretesa erro
nea applicazione dei pricipì generali in materia di responsabilità dei professionisti, di risarcimento del danno per inadempimento e di quelli in materia di onere probatorio.
Quanto alle successive nelle quali si deduce che il giudizio della corte territoriale sulla mancata deposizione del teste De
Pieri e sull'esito che essa avrebbe avuto sul giudizio pretorile sarebbe fondato su motivazione insufficiente e contraddittoria
ritiene questo Supremo collegio che, oltre ad essere del tutto
generiche e a coinvolgere questioni di merito non denunciabili
in Cassazione, risultano smentite dall'attenta ed articolata rico
struzione operata dai giudici del merito e dalla completa ed as
solutamente immune da vizi logici e da errori giuridici motiva
zione da essi addotta. Ed è anzi opportuno segnalare l'estrema
prudenza che ha caratterizzato il giudizio della corte d'appello
che, a fronte di una diversa conclusione del tribunale (che ave
va ritenuto che la deposizione del teste De Pieri avrebbe potuto indurre il pretore a condannare l'imputato Carbonero in rela
zione agli addebiti contestatigli) ha affermato che, presumibil
mente, l'audizione del predetto teste, introducendo elementi pro batori confliggenti, avrebbe indotto il giudice penale ad espri mere giudizio di non colpevolezza, ma solo con formula
dubitativa. E non è dubbio poi, secondo pacifica giurisprudenza di que
sta Suprema corte, che l'eventuale assoluzione per insufficienza
di prove, non riguardando l'esistenza materiale del fatto o il
rapporto eziologico tra l'operato dell'agente e l'evento danno
so, ma bensì solo l'estremo soggettivo del reato (la colpa per avere o meno lasciato le luci di posizione accese e collocato
il triangolo), non era assolutamente preclusiva alla proposizione dell'azione civile né impediva al Ronza di avvalersi della pre sunzione di cui all'art. 2054, 2° comma, c.c. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 gen naio 1998, n. 605; Pres. Sommella, Est. Vittoria, P.M. Ca
fiero (conci, conf.); Soc. Cattolica assicurazioni (Aw. Co
letti) c. Venanzoni; Venanzoni (Aw. Suraci) c. Soc. Catto lica assicurazioni. Conferma App. Roma 3 novembre 1994.
Assicurazione (contratto di) — Dichiarazione di incostituziona lità — Efficacia — Rapporti esauriti — Surrogazione dell'as
sicuratore sociale — Esclusione (Cost., art. 136; 1. 24 dicem
bre 1969 n. 990, assicurazione obbligatoria della responsabili tà civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e
dei natanti, art. 28). Danni in materia civile — Danno biologico — Indennizzo ero
gato dall'assicuratore sociale — Liquidazione dei danni —
Criteri (Cod. civ., art. 2043; d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro
gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 10, 74).
Posto che l'efficacia retroattiva della dichiarazione di incostitu
zionalità dell'art. 28, 2°, 3° e 4° comma, l. 24 dicembre 1969 n. 990, pronunciata con sentenza 6 giugno 1989, n. 319, tro va limite solo per i rapporti esauriti sotto il vigore della nor
ma dichiarata incostituzionale, non è un fatto giuridico ido neo ad essere causa di esaurimento del rapporto la volontà
dell'Inali, manifestata all'assicuratore della responsabilità ci
II Foro Italiano — 1998.
vile, di volersi surrogare nei diritti del proprio assistito-dan
neggiato. (1) Posto che il risarcimento del danno biologico e l'indennizzo ero
gato dall'assicuratore sociale (nella specie, Inail) sono due for me diverse di ristoro di una medesima menomazione psicofì
sica, l'applicazione di adeguati criteri di liquidazione del dan no biologico, che non considerano l'attitudine a ricavare un
reddito dall'esercizio dell'attività lavorativa, esclude che le due
forme di ristoro comportino duplicazione di riparazione di
un medesimo pregiudizio. (2)
(1) L'art. 28 1. n. 990 del 1969, che legittima gli enti esercenti le assicurazioni sociali ad agire per il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato in conseguenza di sinistri derivanti dalla circolazione degli autoveicoli a motore e dei natanti, è stato di chiarato costituzionalmente illegittimo (v. Corte cost. 6 giugno 1989, n. 319, Foro it., 1989, I, 2695, con osservazioni di G. De Marzo), nella parte in cui non esclude che gli enti medesimi possano esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarci mento dei danni alla persona non altrimenti risarciti.
La corte ribadisce che le disposizioni di cui all'art. 136 Cost, e al l'art. 30 1. 11 marzo 1953 n. 87, nella parte in cui stabiliscono che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione, devono essere in
terpretate nel senso che la decisione dichiarativa di incostituzionalità ha efficacia anche relativamente ai rapporti giuridici sorti anteriormen
te, purché ancora pendenti, ossia non esauriti. Si considerano esauriti i rapporti per i quali non siano decorsi i termini di prescrizione o di decadenza per l'esercizio dei relativi diritti o non si sia formato il giudi cato (v., da ultimo, Cass. 25 marzo 1996, n. 2629, id., 1996, I, 3742, in motivazione; 5 gennaio 1995, n. 145, id., Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n. 465; 15 novembre 1994, n. 9604, id., Rep. 1994, voce Corte
costituzionale, n. 80; 12 agosto 1994, n. 7393, id., Rep. 1995, voce
cit., n. 469, e Arch, civ., 1995, 1092; 5 aprile 1994, n. 3242, Foro
it., Rep. 1994, voce Redditi (imposte), n. 536; 10 novembre 1993, n.
11112, id., Rep. 1995, voce cit., n. 700; 15 ottobre 1992, n. 11317, id., 1993, I, 1148, con nota di S. L. Gentile; 21 gennaio 1991, Morro
ne, id.. Rep. 1992, voce Corte costituzionale, n. 52). Rispetto ai rap porti in corso di giudizio la declaratoria di incostituzionalità di una norma si pone come ìus superveniens, per cui il giudice deve applicarla anche ex officio (v. Cass. 9 luglio 1991, n. 7587, id., 1991, I, 3349, a proposito dell'applicazione da parte del giudice di legittimità di Corte cost. 319/89, cit.; 25 giugno 1990, n. 6414, id., Rep. 1990, voce Regi stro, n. 321).
In dottrina, per alcuni ragguagli sull'efficacia retroattiva delle senten ze dichiarative di illegittimità costituzionale, v. R. Pinardi, La corte, i giudici ed il legislatore - Il problema degli effetti temporali delle sen tenze d'incostituzionalità, Milano, 1993; M. D'Amico, Giudizio sulle
leggi ed efficacia temporale delle decisioni d'incostituzionalità, Milano, 1993; M. Colzani, Alcune riflessioni sull'efficacia sostanziale delle sen tenze della Corte costituzionale, in Dir. regione, 1993, 281; F. Politi, La limitazione degli effetti retroattivi delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale nel recente dibattito dottrinale, in Giur. costit., 1991, 3003; S. P. Panunzio, Incostituzionalità «sopravvenuta», inco stituzionalità «progressiva» ed effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, id., 1989, II, 591.
(2) In linea con un orientamento ormai consolidato (v., da ultimo, Cass. 15 settembre 1995, n. 9761, Foro it., 1995, I, 3140, con nota di D. Poletti; 11 giugno 1994, n. 5683, id., Rep. 1994, voce Infortuni sul lavoro, n. 123; 6 dicembre 1993, n. 12055, ibid., voce Assicurazione (contratto), n. 131, e Resp. civ., 1994, 217, con nota di G. Scalfì) la sentenza esclude che, in caso di danni subiti da un lavoratore infor tunato, esista sovrapposizione, anche parziale, tra la prestazione eroga ta dall'ente gestore di assicurazioni sociali e il risarcimento del danno
biologico (in dottrina, in senso conforme, v. G. Franco, Infortunistica stradale, Milano, 1996, 540, 555; Scalfì, Azione surrogatoria o di re gresso e principio di destinazione del risarcimento al ristoro del danneg giato, cit., 231; G. De Marzo, Pregiudizio della capacità lavorativa generica: danno da lucro cessante o danno alla salute?, in Foro it., 1991,1, 2967; D. Poletti, Il danno «biologico» del lavoratore tra tute la previdenziale e responsabilità civile, ibid., 3292, e, in campo medico, v. M. Barbagna, Lo stato attuale della valutazione del danno alla salu te in medicina legale, in AA.VV., La valutazione del danno alla salute a cura di M. Bargagna e F. D. Busnelli, Padova, 1995, 27). La corte sottolinea che le prestazioni previdenziali indennizzano, all'assistito danneggiato, il pregiudizio subito nell'attitudine a ricavare un reddito dall'esercizio dell'attività lavorativa, mentre il risarcimento del danno biologico è volto a ristorare il danneggiato nel pregiudizio subito nel suo valore personale (cfr. Trib. Trani 25 marzo 1994, Foro it., Rep. 1994, voce Danni civili, n. 130, e Giur. merito, 1994, 598).
Il superamento della regola, che consentiva all'assicuratore sociale di agire sull'intera somma liquidata a titolo di risarcimento a favore del danneggiato senza fare distinzione tra le singole poste del danno,
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