+ All Categories
Home > Documents > sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli...

sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli...

Date post: 30-Jan-2017
Category:
Upload: trinhquynh
View: 213 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
5
sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli (concl. conf.); Mola (Avv. Vitaliani, Dina) c. Ronza (Avv. Coggiatti, Casavola). Conferma App. Milano 9 settembre 1994 Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1917/1918-1923/1924 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192656 . Accessed: 28/06/2014 15:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 15:20:09 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli (concl. conf.); Mola (Avv. Vitaliani, Dina) c. Ronza (Avv. Coggiatti, Casavola).

sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli(concl. conf.); Mola (Avv. Vitaliani, Dina) c. Ronza (Avv. Coggiatti, Casavola). Conferma App.Milano 9 settembre 1994Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 1917/1918-1923/1924Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192656 .

Accessed: 28/06/2014 15:20

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 15:20:09 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli (concl. conf.); Mola (Avv. Vitaliani, Dina) c. Ronza (Avv. Coggiatti, Casavola).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

accertato, in maniera non più sindacabile, che il creditore non

aveva ritenuto di manifestare ai debitori le ragioni del suo rifiu

to a ricevere gli assegni circolari e che, addirittura, aveva tratte

nuto due delle lettere raccomandate contenenti gli assegni circo

lari senza accertarsi del loro contenuto.

Questo accertamento e le conseguenze che da esso sono state

ricavate comportano che la sentenza impugnata si è attenuta

ai principi più sopra indicati, perché ha correttamente ritenuto

che esistevano elementi positivi che dimostravano il comporta mento contrario alle regole della correttezza tenuto dal credito

re nella situazione concreta.

La conclusione ora indicata esonera il collegio dall'esame del

secondo motivo del ricorso, relativo all'adempimento che sa

rebbe stato parziale per il fatto stesso di essere stato effettuato

mediante assegni e per non avere compreso le somme che sono

state tempestivamente inviate subito dopo la prima contestazio

ne anche mediante assegni circolari. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 6 feb braio 1998, n. 1286; Pres. Merigciola, Est. Saluzzo, P.M.

Ianneixi (conci, conf.); Mola (Aw. Vitaliani, Dina) c. Ronza

(Aw. Coggiatti, Casavola). Conferma App. Milano 9 set

tembre 1994.

Professioni intellettuali — Responsabilità professionale — Av

vocato — Omissione di adempimenti processuali — Esito del

processo — Nesso di causalità — Fattispecie (Cod. civ., art.

2229, 2236).

Il nesso di causalità tra l'omissione di attività difensiva da parte dell'avvocato e il negativo esito processuale può essere valu

tato, nella causa di risarcimento danni contro quest'ultimo, in termini di semplice probabilità, anziché di certezza (nella specie, è stato ritenuto che, ove non omessa, la citazione di

testimoni avrebbe potuto determinare un esito favorevole al

danneggiato nel processo penale per l'accertamento della re

sponsabilità del danneggiante). (1)

(1) La decisione si inserisce in un nutrito filone giurisprudenziale vol

to a delineare i contorni della responsabilità civile dell'avvocato nei con

fronti del cliente. Nella specie, il professionista aveva omesso di comunicare al patroci

nato — danneggiato da un sinistro stradale per il quale si era configu rata responsabilità penale del danneggiante — la data del dibattimento

e di citare i testimoni dalla cui escussione sarebbe stata provata la con

dotta colposa del terzo. Come conseguenza, il cliente era decaduto dal

la possibilità di costituirsi parte civile ed il danneggiante era stato assol

to con formula piena. Nella causa intentata dal cliente contro l'avvoca

to, i giudici di merito ne avevano riconosciuto la responsabilità civile

per colpa professionale. In particolare, la Corte d'appello di Milano

aveva ritenuto che l'omissione dell'avvocato avesse inciso sull'esito del

processo «con notevole probabilità». La Suprema corte ritiene che il nocciolo della questione ruoti attorno

al grado di «certezza» o «probabilità» richieste per affermare che la

condotta omissiva dell'avvocato abbia avuto attitudine causale alla de

terminazione del danno. Siffatta questione impone, preliminarmente, di chiarire il contenuto dell'obbligazione del professionista prestatore di opera intellettuale.

A tale proposito, ricorre l'affermazione secondo la quale la responsa bilità dell'avvocato è regolata dall'art. 1176 c.c.; tuttavia, risponde solo

per dolo o colpa grave quando la prestazione implichi la soluzione di

problemi tecnici di speciale difficoltà (in questo senso, Cass. 18 giugno

1996, n. 5617, Foro it., Rep. 1996, voce Procedimento civile, n. 116; Trib. Benevento 18 gennaio 1982, id., Rep. 1983, voce Professioni in

tellettuali, n. 56, e Giur. merito, 1983, 620, con nota di Ceniccola, In tema di ingiunzione per onorari e di responsabilità del difensore).

In applicazione di questo principio, si è sviluppata una cospicua casi

stica sulle varie ipotesi in cui è configurabile la responsabilità 'ordina

ria' del bonus patronus di cui all'art. 1176, 2° comma, c.c. o sia invo

cabile la «speciale difficoltà» di problemi tecnici che circoscrivono la

responsabilità dell'avvocato al dolo o alla colpa grave.

Il Foro Italiano — 1998.

Svolgimento del processo. — Con atto notificato il 18 mag

gio 1983 Giampiero Ronza conveniva in giudizio dinanzi il Tri bunale di Vigevano l'aw. Dario Mola ed esponendo che il 17

luglio 1971, verso le ore 4,15, mentre percorreva alla guida del

suo autocarro OM Lupetto la strada Cozzo Lomellina Castel

D'Agogno, si era trovato la strada sbarrata da un autocarro

Fiat 690 con rimorchio, fermo a causa di un'avaria; che, poiché le luci di posizione del rimorchio erano spente e non era stato

collocato il prescritto triangolo, non aveva potuto avvistare tem

pestivamente l'ostacolo e, nonostante la pronta frenata, lo ave

va tamponato riportando lesioni; che il conducente del'autotre

no, Lorenzo Carbonero, era stato sottoposto a procedimento

È stata ritenuta sussistente la colpa grave in un caso in cui l'avvocato

pur avendo ricevuto un documento in bianco contenente una procura, aveva omesso di impugnare il licenziamento subito dal cliente (v. Cass. 1° agosto 1996, n. 6937, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 158). Allo stesso modo, è stata ritenuta colpa grave l'aver esaminato un atto di citazione notificato e aver concluso per la sua ritualità ex art. 143 c.p.c., allorché la semplice disamina della norma alla luce delle risultanze og gettive avrebbe consentito di concludere per l'intempestività della noti fica stessa (v. Trib. Roma 27 novembre 1992, id.. Rep. 1994, voce cit., n. 113, e Nuova giur. civ., 1994, I, 267, con nota di Marinelli, Le nuove frontiere della responsabilità professionale dell'avvocato). Nel senso che la colpa grave del professionista legale può essere integrata dal fat to di aver promosso un appello palesemente infondato e proposto nel

l'interesse di un soggetto diverso dalla persona del cliente, Cass. 19

novembre 1992, n. 12364, Foro it., Rep. 1994, voce Avvocato, n. 53, e Giur. it., 1994, I, 1, 1638, con nota di Traverso, Appunti sulla re

sponsabilità del professionista legale. Nello stesso senso, quanto alla corretta notificazione dell'appello civile a più parti, Trib. Salerno 29

febbraio 1980, Foro it., Rep. 1983, voce Professioni intellettuali, n. 57. È stata affermata la responsabilità dell'avvocato verso il cliente quan do abbia trattenuto immotivatamente la documentazione da quest'ulti mo fornita, precludendo la proposizione di una domanda giudiziale e tacendo sull'eventualità che il diritto da azionare fosse soggetto a pre scrizione (v. Cass. 4 dicembre 1990, n. 11612, id., Rep. 1990, voce

cit., n. 115). È stato considerato problema tecnico di particolare diffi

coltà stabilire se si debba ricorrere alla forma scritta ad probationem di un contratto preliminare ove siffatta forma probatoria sia stata pre vista dalla legge per il contratto definitivo (in questi termini, Pret. Ta ranto 19 febbraio 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 49, e Arch, civ.,

1982, 761; Giur. it., 1982, I, 2, 581). Per contro, Cass. 17 febbraio

1981, n. 969, Foro it.. Rep. 1981, voce cit., n. 34, aveva ritenuto insus

sistente la responsabilità, per difetto di colpa, del difensore di ufficio

che non aveva dato comunicazione all'imputato dell'avviso ricevuto ex art. 533 del (vecchio) c.p.p., sul presupposto dell'inesistenza dell'obbli

go di tale comunicazione. La responsabilità è esclusa, a meno di dolo

o colpa grave, quando l'avvocato sia chiamato a fare applicazione di

leggi o a risolvere questioni non pacifiche (secondo quanto affermato

da Cass. 18 novembre 1996, n. 10068, id., Rep. 1996, voce cit., n. 159). A parte la minuziosa casistica sugli aspetti dell'attività forense, in

tempi recenti la giurisprudenza, con l'avallo della Cassazione anche nel

la pronuncia odierna, «ha cercato di superare, o quanto meno di atte

nuare, la tradizionale contrapposizione» tra obbligazione di mezzi —

che contraddistinguerebbe l'attività del professionista intellettuale (cfr. la già citata Cass. 18 giugno 1996, n. 5617) — ed obbligazione di risultati.

La conseguenza di siffatto sforzo è stata la maggiore attenzione al risultato che per il creditore della prestazione è ragionevole attendersi.

La valutazione dell'esatto adempimento ha richiesto, alla luce di questa mutata prospettiva, un'opera di ridefinizione — all'interno della quale si iscrive la decisione odierna — del nesso di causalità tra l'azione o

l'omissione dell'avvocato ed il «buon esito della lite». Aveva iniziato

Cass. 8 maggio 1993, n. 5325 (id., 1994, I, 3188, con nota di C. M.

Barone), facendo applicazione dei principi di equivalenza delle cause

e della causalità efficiente, mutuati dalla scienza penalistica (su cui cfr., all'interno della concezione 'quadripartita' del reato, e quindi con mag

giore attenzione alle condotte omissive, Fiandaca-Musco, Diritto pe nale, parte generale, Bologna, 1993, 173 ss.; Antolisei, Manuale di

diritto penale, parte generale, 13' ed., Milano, 1994, 216 ss.; sempre valide le pagine di Bettiol e Pettoello Mantovani, Diritto penale, 12" ed., Padova, 1986, 301 ss.), mentre, più timidamente, Cass. 28

aprile 1994, n. 4044 (Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 162, e Resp. civ., 1994, 635,.con nota di Ruta) aveva richiesto, tra l'attività espleta ta dall'avvocato ed il suo esito processuale, la «certezza morale» di

effetti vantaggiosi per il cliente. Da ultimo, Trib. Roma 11 ottobre 1995

(Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 162, e Danno e resp., 1996, 644, con nota di Cosentino, Colpa professionale dell'avvocato e «chance»

di vittoria del diente), relativamente alla tardiva notificazione dell'op

posizione a decreto ingiuntivo, aveva ritenuto sussistente la responsabi lità dell'avvocato ove fosse «ragionevole presumere» che un'opposizio ne tempestiva avrebbe potuto essere accolta, determinando un esito di

verso del ricorso. Ancora, sulla necessità di valutare ex post se una

This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 15:20:09 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli (concl. conf.); Mola (Avv. Vitaliani, Dina) c. Ronza (Avv. Coggiatti, Casavola).

1919 PARTE PRIMA 1920

penale per il reato di lesioni colpose ai suoi danni ed egli si

era costituito parte civile con il ministero del convenuto presso il quale aveva eletto domicilio; che l'aw. Mola non aveva prov veduto ad informarlo della data fissata per il dibattimento ed

a citare i testimoni ammessi Gelindo De Pieri e Bruno Marello, dalle deposizioni dei quali sarebbe stato dimostrato che le luci

del rimorchio dell'autotreno al momento della collisione erano

spente e quindi la sussistenza della condotta colposa contestata

dal Carbonero nel capo di imputazione; che all'udienza dibatti

mentale del 14 luglio 1973 il Pretore di Mortara lo aveva dichia

rato decaduto dalla costituzione di parte civile per assenza e, in mancanza di detta prova testimoniale, aveva assolto il Car

bonero con formula piena, precludendo l'esercizio dell'azione

civile di risarcimento dei danni nei suoi confronti; che successi

vamente lui aveva instaurato contro l'aw. Mola procedimento

civile, definito con sentenza della Corte d'appello di Milano

18 maggio 1982, confermativa di sentenza del Tribunale di Mi

lano 26 febbraio 1980, con la quale il predetto era stato dichia

rato responsabile nei suoi confronti per colpa professionale e

condannato in via generica al risarcimento dei danni; chiedeva

quindi la condanna del Mola al pagamento di somma corri

spondente all'ammontare dei danni alla persona e alle cose su

biti nell'indicato incidente stradale, previa ammissione dei testi

De Pieri e Marello sulle relative modalità.

Il convenuto, costituendosi, chiedeva il rigetto della domanda

deducendo che la sua colpa professionale, accertata con senten

za passata in giudicato, non aveva arrecato al Ronza danno

alcuno.

Assunta la prova testimoniale formulata dall'attore ed ese

guita consulenza tecnica medico-legale d'ufficio sulla persona del medesimo, la causa veniva decisa con sentenza 27 gennaio 1989 con la quale il Tribunale di Vigevano condannava il con

venuto a pagare all'attore, a titolo di risarcimento, la somma

di lire 40.279.177, comprensiva di rivalutazione dalla data del

l'incidente, con interessi legali dal 10 maggio 1974, ed a rifon

dere al medesimo la metà delle spese processuali. Rilevava che l'accertata colpa professionale dell'avv. Mola

aveva, con notevole probabilità, influito sull'esito del procedi mento penale a carico del Carbonero e precluso all'attore la

possibilità di ottenere il risarcimento dei danni nei di lui con fronti ed affermava che l'incidente poteva essere ricollegato a

condotta diversa da quella tenuta avrebbe fornito la «ragionevole cer tezza» di un esito opposto (nella specie, un gravame contro sentenza

sfavorevole), Cass. 5 aprile 1984, n. 2222, Foro it., Rep. 1984, voce

cit., n. 59, e, nel senso che la «"ragionevole certezza" (. . .) come pa rametro alla stregua del quale operare l'accertamento del nesso di cau

salità, altro non può significare se non elevato grado di probabilità», Cosentino, Colpa professionale, cit., 647. Nello stesso filone, quanto meno sulla necessità di ricorrere ad un giudizio ipotetico sulla base di elementi successivamente accertati esistenti, sembra iscriversi Cass. 6

maggio 1996, n. 4196, Foro it., 1996, I, 2384. Di questo mainstream in via di consolidamento, in cui si ridefinisce

il ragionamento del giudice, costringendolo ad un ipotetico 'ritorno al

futuro', la decisione odierna costituisce l'ultima propaggine, dalla quale origina l'affermazione per la quale non è «dato esprimere, in relazione ad un evento esterno e già verificatosi (quale indubbiamente la sentenza intervenuta in un diverso procedimento), certezze di sorta (nemmeno di segno morale) (. . .), ma semplici "probabilità" di un possibile di verso esito» (sulla scia delle più recenti sentenze in materia di perdita di chance nel settore lavoristico, tra cui, ex plurimis, Cass. 15 marzo

1996, n. 2167, id., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 775; 29 aprile 1993, n. 5026, id., Rep. 1994, voce cit., n. 755).

In senso contrario, ritenendo impossibile la quantificazione del dan no per negligente conduzione della causa, in quanto la valutazione di

responsabilità richiederebbe valutazioni meramente ipotetiche, Cass. 10

agosto 1991, n. 8728, id., Rep. 1991, voce Professioni intellettuali, n.

110, e Corriere giur., 1991, 1319. Da complemento ai richiamati orientamenti fungono le decisioni —

che andranno lette, ora, sotto una nuova luce — in cui si afferma la necessità di provare, oltre il comportamento colposo dell'avvocato, la

perdita subita ed il nesso di causalità (cfr. Trib. S. M. Capua Vetere 6 febbraio 1989, Foro it., 1990, I, 3315, e, nel senso che la valutazione

degli elementi oggetto di prova rientrano nella cognizione del giudice di merito, la già citata Cass. 19 novembre 1992, n. 12364). A proposito dell'atteggiarsi della prova sul nesso di causalità, è stato messo in luce che essa risulta più o meno gravosa a seconda che il danneggiato alleghi che l'omissione del professionista ha leso la sua certezza di vittoria ov vero lamenti la perdita di una mera chance (Cosentino, cit., 648). [M. Granieri]

li Foro Italiano — 1998.

colpe concorrenti del Carbonero e del Ronza, valutabili rispetti vamente nel sessanta per cento e nel quaranta per cento.

Determinava varie voci di danno e riconosceva al Ronza il

sessanta per cento dei relativi importi, decurtato del venti per cento in via equitativa.

Proponeva appello il Mola chiedendo in via principale l'asso

luzione dalla domanda della controparte, assumendo che era

incerto che il pretore penale, in base alle disposizioni dei testi

De Pieri e Marello avrebbe adottato una decisione diversa dal

l'assoluzione con formula piena del Carbonero, cosicché non

poteva essere affermato con sicurezza il nesso di causalità tra

la sua colpa professionale e i danni lamentati dal Ronza; e cen

surando in via subordinata la sentenza impugnata per avere li

quidato il danno patrimoniale da invalidità permanente e il danno

biologico sulla base di una percentuale di invalidità maggiore di quella accertata dal c.t.u., per non avere imputato la capita lizzazione della rendita Inail anche al danno biologico e per avere liquidato il danno morale in misura eccessiva.

Il Ronza proponeva a sua volta appello incidentale impugnan do i capi della sentenza relativi all'accertamento del suo concor

so di colpa nella determinazione dell'incidente stradale e alla

rivalutazione monetaria.

La Corte d'appello di Milano, con sentenza 9 settembre 1994

rigettava il motivo fondamentale dell'impugnazione del Mola

ribadendo che era sufficiente la probabilità che il giudice pena

le, ove avesse assunto i testi De Pieri e Marello, avrebbe potuto adottare una decisione diversa da quella dell'assoluzione del Car

bonero; giudicava di eguale entità (cinquanta per cento) il con

corso di colpa del Carbonero e del Ronza nella causazione del

sinistro; escludeva il danno morale, riteneva fondata la censura

relativa alla liquidazione del danno biologico e quella, proposta con l'appello incidentale, relativa alla rivalutazione ed in par ziale riforma della sentenza del tribunale condannava il Mola

al pagamento, a titolo di risarcimento, della somma di lire

70.059.000, con interessi legali dal 10 maggio 1974, nonché al

rimborso delle spese dei due gradi del giudizio. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Mola

affidandone l'accoglimento a due motivi. Il Ronza ha resistito

con controricorso.

Motivi della decisione. — Denuncia il ricorrente con il primo motivo «violazione e falsa applicazione degli art. 2230 e 1223

c.c. e dei principi generali in materia di responsabilità dei pro

fessionisti, nonché in materia di risarcimento del danno per ina

dempimento — violazione e falsa applicazione dell'art. 2687 c.c.

e dei principi generali in materia di onere probatorio — viola

zione e falsa applicazione dell'art. 479 previgente c.p.p. e dei

principi generali in materia di relazione tra il giudicato penale e l'azione civile, con particolare riferimento all'azione di danni — violazione e falsa applicazione degli art. 2043, 2054 e 2697

c.c. e dei principi generali in materia di risarcimento dei danni

e di onere probatorio in ipotesi di danno arrecato dalla circola zione dei veicoli — violazione e falsa applicazione dell'art. 116

c.p.c. dei princpì generali in materia di valutazione delle prove — omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)» deducendo che:

a) la corte di merito avrebbe errato perché in materia di re

sponsabilità del professionista, giusto il costante insegnamento di questa Suprema corte, il cliente è tenuto a provare non solo

di avere sofferto un danno ma anche che questo è stato causato

dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista — in

particolare, trattandosi di difensore, l'affermazione della sua

responsabilità implicava l'indagine, positivamente svolta, sul si

curo e chiaro fondamento dell'azione ed era necessario il rag

giungimento della certezza morale che gli effetti sarebbero stati

più vantaggiosi per il cliente — invece la corte, anziché certez

ze, avrebbe espresso solo probabilità;

ti) in ogni caso il giudizio secondo cui la deposizione del De

Pieri avrebbe potuto portare ad un'assoluzione del Carbonero

per insufficienza di prove sarebbe fondato su motivazione in

sufficiente e contraddittoria e si porrebbe in contrasto con le norme ed i principi in materia — la corte non avrebbe poi mini

mamente considerato che se il pretore avesse ritenuto necessaria ed influente la deposizione del De Pieri avrebbe potuto dispor ne direttamente l'audizione — ed avrebbe inoltre errato perché, riguardando l'eventuale dubbio del giudice penale la sussistenza di un elemento oggettivo, la proposizione dell'azione civile (sia ex art. 2043 c.c., sia, come nella specie, ex art. 2054 c.c.) era

This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 15:20:09 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli (concl. conf.); Mola (Avv. Vitaliani, Dina) c. Ronza (Avv. Coggiatti, Casavola).

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

comunque, giusto il chiaro disposto dell'art. 25 c.p.p., certa

mente preclusa. Il motivo è privo di fondamento e va disatteso. Il nucleo cen

trale della censura, a ben vedere, attiene al fatto che la Corte

d'appello di Milano ha ritenuto che la domanda del Mola non

dovesse avere quale necessario presupposto la «certezza» ba

stando la semplice «probabilità» che un diverso esito processua le sarebbe potuto derivare dal diligente e corretto svolgimento dell'attività difensiva da parte sua.

Il problema, ben più amplio, dal quale occorre prendere le

mosse e che risulta costituire la necessaria premessa dej proble ma del danno, del nesso di causalità tra la condotta del profes sionista ed il pregiudizio che il cliente assume di aver subito

e della relativa prova, è quello della qualificazione dell'obbliga zione professionale dell'avvocato.

Ora, pur dovendosi precisare che nella specie il problema del

la responsabilità professionale dell'avv. Mola è stato affrontato

e risolto in modo positivo dal Tribunale di Vigevano con sen

tenza resa in data 26 febbraio 1980 e confermata dalla Corte

d'appello di Milano con sentenza 6 luglio 1982, passata in cosa

giudicata, occorre ricordare, per ragioni d'ordine logico-positivo, che siffatto problema ha formato oggetto di costante ed appro fondito esame da parte della dottrina e della giurisprudenza e

che questa Suprema corte, in particolare, nell'intento di meglio tutelare la posizione del cliente che risultava oltremodo sacrifi

cata dal genus dell'attività del professionista e dalle particolari connotazioni della stessa ha cercato di superare, o quanto meno

di attenuare, la tradizionale bipartizione obbligazione di mezzi - obbligazione di risultato.

Così, in materia di professione ingegneristica, ha svariate vol

te osservato che essa, frequentemente, si esplica in attività di

retta alla realizzazione di un'opera materiale, costituendo, già di per sé, un risultato per il creditore (cfr. Cass. 28 gennaio

1985, n. 488, Foro it., Rep. 1985, voce Responsabilità civile,

n. 156). Ed ha altresì rilevato (cfr. Cass. 7 maggio 1988, n.

497, id., Rep. 1990, voce Professioni intellettuali, n. 112) che

talvolta l'obbligazione del professionista deve, per suo partico lare contenuto, qualificarsi come un'obbligazione di risultato

avente ad oggetto la realizzazione di un opus, anziché un'obbli

gazione di mezzi.

Sulla stessa scia, avuto riguardo all'obbligazione del medico

chirurgo ha quindi parlato di «obbligazione di scopo» (cfr. Cass.

8 agosto 1985, n. 4394, id., Rep. 1986, voce cit., n. 52) ed

ha evidenziato la necessità di dissipare «le ombre indotte dalla

nozione di obbligazione di mezzi o di diligenza» — la quale risulterebbe qualificante la prestazione del professionista intel

lettuale — giungendo a sottolineare come il c.d. risultato che

si vorrebbe espungere dal paradigma delineato da tali norme,

ne costituisce pur sempre sostrato imprescindibile, quanto me

no nel senso che l'attività da prestarsi con diligenza dal profes sionista deve essere tesa al suo conseguimento.

Più recentemente, siffatti principi sono stati estesi all'ambito

della responsabilità professionale di avvocati e di notai (cfr. Cass.

8 maggio 1993, n. 5325, id., Rep. 1994, voce cit., n. 112; 28

aprile 1994, n. 4044, id., Rep. 1995, voce cit., n. 162), affer mandosi anche per tali categorie di professionisti, pur tenendosi

conto della peculiarità dell'attività da essi svolta, un particolare dovere di diligenza nell'espletamento del mandato loro conferi

to ed ancor più specificamente per gli avvocati l'obbligo di per

seguire il buon esito della lite.

Correlativa l'evoluzione giurisprudenziale in tema di «dan

no», di «nesso eziologico tra inadempimento e pregiudizio pa

trimoniale» e di «onere probatorio».

Così, e mantenendoci solo nell'ambito dell'obbligazione pro fessionale dell'avvocato, mentre le prime pronunce giurispru denziali in tema di responsabilità forense erano nel senso di

negare ogni possibile individuazione di un danno risarcibile an

che in presenza di un'accettata negligenza professionale (per tutte,

v. Cass. 10 febbraio 1931, n. 495, id., Rep. 1931, voce Avvoca

to, n. 110) le successive hanno gradualmente cercato di modifi

care tale orientamento rilevando che l'affermazione secondo cui

non era possibile determinare quale sarebbe stato l'esito finale

di una causa qualora un errore o un'omissione di uno dei difen

sori . . . non avesse impedito l'esame del merito . . . o avesse

portato ad una pronuncia di segno negativo si risolveva in un

mero assioma e che, per altro verso, non si prospettava alcun

problema di rispetto della res iudicata.

Il Foro Italiano — 1998.

In tale scia certamente si colloca la sentenza Cass. 8 maggio

1993, n. 5325, cit., nella quale il Supremo collegio — affron

tando il caso di un difensore che aveva rinunciato al mandato

in appello senza avere chiesto nemmeno in tale sede l'ammissio

ne di mezzi di prova — ha utilizzzato i principi delle equivalen ze delle cause e della causalità efficiente di cui agli art. 40 e

41 c.p. (dalla stessa Cassazione già ritenuti applicabili in mate

ria civile anche se relativamente al nesso di causalità in tema

di responsabilità extracontrattuale) ed ha riconosciuto la sussi

stenza del nesso causale in base alla considerazione che l'indivi

duazione di un nesso di causalità tra evento e l'ultimo fattore

di una serie causale non esclude la rilevanza di quelli anteriori

che abbiano avuto come effetto di determinare la situazione

su cui il successivo è venuto ad innestarsi, e che il limite alla

configurazione del rapporto di causalità tra antecedente ed evento

è rappresentato solo dall'idoneità della causa successiva ad esse

re valutata — per la sua eccezionalità rispetto al decorso causa

le innescato dal fattore remoto — come la causa sufficiente ed

unica del danno.

Nello stesso solco la sentenza (che per altro ricalca le prece denti Cass. 2 agosto 1973, n. 2230, id., Rep. 1973, voce Profes sioni intellettuali, n. 39, e 11 maggio 1977, n. 1831, id., Rep.

1977, voce cit., n. 56) Cass. 28 aprile 1994, n. 4044, cit., che, affrontando identico problema, cerca di operarne il superamen

to, su un piano per così dire più tradizionale, muovendo dal

rilievo che l'affermazione di responsabilità di un legale implica

l'indagine sul sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovu

to essere proposta o diligentemente coltivata e perciò «la certez

za morale» che gli effetti di una diversa attività del professioni sta sarebbero stati vantaggiosi per il cliente.

Infine, un'altra serie di pronunce — tra le quali quelle richia

mate dalla corte d'appello (Cass. 4 maggio 1985, n. 2790, id.,

Rep. 1985, voce Presunzione, n. 1, e 18 settembre 1991, n. 9717,

id., Rep. 1992, voce cit., n. 1) — anche se relative al più gene rale problema della «prova per presunzioni», hanno affermato

il principio secondo cui «non occorre che i fatti su cui la pre sunzione si fonda siano tali da far apparire l'esistenza del fatto

ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in

giudizio secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusi

va, bastando invece che l'operata inferenza sia effettuata alla

stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una

connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequen za e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza colte dal giudice per giungere all'espresso convincimento circa

tale probabilità di sussistenza e la compatibilità del fatto suppo sto con quello accertato».

Tale principio, che segna il passaggio nell'individuazione del

nesso di causalità da un criterio di certezza degli effetti della

condotta a quello della probabilità ed idoneità della condotta

a produrli, ha trovato applicazione nell'ambito della professio ne medica in alcune sentenze (cfr. Cass. pen., sez. IV, 23 gen naio 1989, n. 790, id., Rep. 1989, voce Omicidio e lesioni per sonali colpose, n. 110; sez. IV 16 agosto 1990, n. 11484) nelle

quali è stata enunciata la seguente massima: «Nella ricerca del

nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento, in

materia di responsabilità per colpa professionale sanitaria, al

criterio della certezza degli effetti della condotta si può sostitui

re quello della probabilità di tali effetti e dell'idoneità della con

dotta a produrli. Quindi il rapporto causale sussiste anche quando

l'opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente inter

venuta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì serie ed ap

prezzabili possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata».

Ritiene questa corte che tale principio, che peraltro nel cam

po civilistico ha trovato ripetuta applicazione a svariate ipotesi di «danno da perdita di una chance» (v. così in materia lavori

stica le numerosissime pronunce che hanno operato il riconosci

mento del danno conseguente ad una mancata promozione «a

scelta» in una banca, per violazione delle regole di buona fede

e correttezza contrattuale, ancorandole non all'accertamento del

diritto alla promozione, ossia alla certezza che il rispetto di det

te regole avrebbe comportato la promozione, bensì al solo ac

certamento del nesso di causalità tra la violazione di dette rego

le e la perdita della possibilità di promozione: cfr., fra le tante,

Cass. 15 marzo 1996, n. 2167, id., Rep. 1996, voce Lavoro (rap

porto), n. 775, e 29 aprile 1993, n. 5026, id., Rep. 1994, voce

cit., n. 756) sia esatto e da condividere non essendo dato espri

This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 15:20:09 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sezione III civile; sentenza 6 febbraio 1998, n. 1286; Pres. Meriggiola, Est. Saluzzo, P.M. Iannelli (concl. conf.); Mola (Avv. Vitaliani, Dina) c. Ronza (Avv. Coggiatti, Casavola).

1923 PARTE PRIMA 1924

mere, in relazione ad un evento esterno e già verificatosi (quale indubbiamente la sentenza intervenuta in un diverso procedi

mento), certezze di sorta (nemmeno di segno morale), come si

vorrebbe dal ricorrente, ma semplici «probabilità» di un possi bile diverso esito. E di tale principio la corte di merito ha fatto

buon uso applicandolo, con corretta, adeguata e completa mo

tivazione, che appare immune da vizi logici e/o da errori giuri

dici, alla fattispecie in esame.

Devono con ciò ritenersi ampiamente superate le censure svolte

nella prima parte del dedotto motivo afferenti la pretesa erro

nea applicazione dei pricipì generali in materia di responsabilità dei professionisti, di risarcimento del danno per inadempimento e di quelli in materia di onere probatorio.

Quanto alle successive nelle quali si deduce che il giudizio della corte territoriale sulla mancata deposizione del teste De

Pieri e sull'esito che essa avrebbe avuto sul giudizio pretorile sarebbe fondato su motivazione insufficiente e contraddittoria

ritiene questo Supremo collegio che, oltre ad essere del tutto

generiche e a coinvolgere questioni di merito non denunciabili

in Cassazione, risultano smentite dall'attenta ed articolata rico

struzione operata dai giudici del merito e dalla completa ed as

solutamente immune da vizi logici e da errori giuridici motiva

zione da essi addotta. Ed è anzi opportuno segnalare l'estrema

prudenza che ha caratterizzato il giudizio della corte d'appello

che, a fronte di una diversa conclusione del tribunale (che ave

va ritenuto che la deposizione del teste De Pieri avrebbe potuto indurre il pretore a condannare l'imputato Carbonero in rela

zione agli addebiti contestatigli) ha affermato che, presumibil

mente, l'audizione del predetto teste, introducendo elementi pro batori confliggenti, avrebbe indotto il giudice penale ad espri mere giudizio di non colpevolezza, ma solo con formula

dubitativa. E non è dubbio poi, secondo pacifica giurisprudenza di que

sta Suprema corte, che l'eventuale assoluzione per insufficienza

di prove, non riguardando l'esistenza materiale del fatto o il

rapporto eziologico tra l'operato dell'agente e l'evento danno

so, ma bensì solo l'estremo soggettivo del reato (la colpa per avere o meno lasciato le luci di posizione accese e collocato

il triangolo), non era assolutamente preclusiva alla proposizione dell'azione civile né impediva al Ronza di avvalersi della pre sunzione di cui all'art. 2054, 2° comma, c.c. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 22 gen naio 1998, n. 605; Pres. Sommella, Est. Vittoria, P.M. Ca

fiero (conci, conf.); Soc. Cattolica assicurazioni (Aw. Co

letti) c. Venanzoni; Venanzoni (Aw. Suraci) c. Soc. Catto lica assicurazioni. Conferma App. Roma 3 novembre 1994.

Assicurazione (contratto di) — Dichiarazione di incostituziona lità — Efficacia — Rapporti esauriti — Surrogazione dell'as

sicuratore sociale — Esclusione (Cost., art. 136; 1. 24 dicem

bre 1969 n. 990, assicurazione obbligatoria della responsabili tà civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e

dei natanti, art. 28). Danni in materia civile — Danno biologico — Indennizzo ero

gato dall'assicuratore sociale — Liquidazione dei danni —

Criteri (Cod. civ., art. 2043; d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro

gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, art. 10, 74).

Posto che l'efficacia retroattiva della dichiarazione di incostitu

zionalità dell'art. 28, 2°, 3° e 4° comma, l. 24 dicembre 1969 n. 990, pronunciata con sentenza 6 giugno 1989, n. 319, tro va limite solo per i rapporti esauriti sotto il vigore della nor

ma dichiarata incostituzionale, non è un fatto giuridico ido neo ad essere causa di esaurimento del rapporto la volontà

dell'Inali, manifestata all'assicuratore della responsabilità ci

II Foro Italiano — 1998.

vile, di volersi surrogare nei diritti del proprio assistito-dan

neggiato. (1) Posto che il risarcimento del danno biologico e l'indennizzo ero

gato dall'assicuratore sociale (nella specie, Inail) sono due for me diverse di ristoro di una medesima menomazione psicofì

sica, l'applicazione di adeguati criteri di liquidazione del dan no biologico, che non considerano l'attitudine a ricavare un

reddito dall'esercizio dell'attività lavorativa, esclude che le due

forme di ristoro comportino duplicazione di riparazione di

un medesimo pregiudizio. (2)

(1) L'art. 28 1. n. 990 del 1969, che legittima gli enti esercenti le assicurazioni sociali ad agire per il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato in conseguenza di sinistri derivanti dalla circolazione degli autoveicoli a motore e dei natanti, è stato di chiarato costituzionalmente illegittimo (v. Corte cost. 6 giugno 1989, n. 319, Foro it., 1989, I, 2695, con osservazioni di G. De Marzo), nella parte in cui non esclude che gli enti medesimi possano esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarci mento dei danni alla persona non altrimenti risarciti.

La corte ribadisce che le disposizioni di cui all'art. 136 Cost, e al l'art. 30 1. 11 marzo 1953 n. 87, nella parte in cui stabiliscono che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal

giorno successivo alla pubblicazione della decisione, devono essere in

terpretate nel senso che la decisione dichiarativa di incostituzionalità ha efficacia anche relativamente ai rapporti giuridici sorti anteriormen

te, purché ancora pendenti, ossia non esauriti. Si considerano esauriti i rapporti per i quali non siano decorsi i termini di prescrizione o di decadenza per l'esercizio dei relativi diritti o non si sia formato il giudi cato (v., da ultimo, Cass. 25 marzo 1996, n. 2629, id., 1996, I, 3742, in motivazione; 5 gennaio 1995, n. 145, id., Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n. 465; 15 novembre 1994, n. 9604, id., Rep. 1994, voce Corte

costituzionale, n. 80; 12 agosto 1994, n. 7393, id., Rep. 1995, voce

cit., n. 469, e Arch, civ., 1995, 1092; 5 aprile 1994, n. 3242, Foro

it., Rep. 1994, voce Redditi (imposte), n. 536; 10 novembre 1993, n.

11112, id., Rep. 1995, voce cit., n. 700; 15 ottobre 1992, n. 11317, id., 1993, I, 1148, con nota di S. L. Gentile; 21 gennaio 1991, Morro

ne, id.. Rep. 1992, voce Corte costituzionale, n. 52). Rispetto ai rap porti in corso di giudizio la declaratoria di incostituzionalità di una norma si pone come ìus superveniens, per cui il giudice deve applicarla anche ex officio (v. Cass. 9 luglio 1991, n. 7587, id., 1991, I, 3349, a proposito dell'applicazione da parte del giudice di legittimità di Corte cost. 319/89, cit.; 25 giugno 1990, n. 6414, id., Rep. 1990, voce Regi stro, n. 321).

In dottrina, per alcuni ragguagli sull'efficacia retroattiva delle senten ze dichiarative di illegittimità costituzionale, v. R. Pinardi, La corte, i giudici ed il legislatore - Il problema degli effetti temporali delle sen tenze d'incostituzionalità, Milano, 1993; M. D'Amico, Giudizio sulle

leggi ed efficacia temporale delle decisioni d'incostituzionalità, Milano, 1993; M. Colzani, Alcune riflessioni sull'efficacia sostanziale delle sen tenze della Corte costituzionale, in Dir. regione, 1993, 281; F. Politi, La limitazione degli effetti retroattivi delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale nel recente dibattito dottrinale, in Giur. costit., 1991, 3003; S. P. Panunzio, Incostituzionalità «sopravvenuta», inco stituzionalità «progressiva» ed effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, id., 1989, II, 591.

(2) In linea con un orientamento ormai consolidato (v., da ultimo, Cass. 15 settembre 1995, n. 9761, Foro it., 1995, I, 3140, con nota di D. Poletti; 11 giugno 1994, n. 5683, id., Rep. 1994, voce Infortuni sul lavoro, n. 123; 6 dicembre 1993, n. 12055, ibid., voce Assicurazione (contratto), n. 131, e Resp. civ., 1994, 217, con nota di G. Scalfì) la sentenza esclude che, in caso di danni subiti da un lavoratore infor tunato, esista sovrapposizione, anche parziale, tra la prestazione eroga ta dall'ente gestore di assicurazioni sociali e il risarcimento del danno

biologico (in dottrina, in senso conforme, v. G. Franco, Infortunistica stradale, Milano, 1996, 540, 555; Scalfì, Azione surrogatoria o di re gresso e principio di destinazione del risarcimento al ristoro del danneg giato, cit., 231; G. De Marzo, Pregiudizio della capacità lavorativa generica: danno da lucro cessante o danno alla salute?, in Foro it., 1991,1, 2967; D. Poletti, Il danno «biologico» del lavoratore tra tute la previdenziale e responsabilità civile, ibid., 3292, e, in campo medico, v. M. Barbagna, Lo stato attuale della valutazione del danno alla salu te in medicina legale, in AA.VV., La valutazione del danno alla salute a cura di M. Bargagna e F. D. Busnelli, Padova, 1995, 27). La corte sottolinea che le prestazioni previdenziali indennizzano, all'assistito danneggiato, il pregiudizio subito nell'attitudine a ricavare un reddito dall'esercizio dell'attività lavorativa, mentre il risarcimento del danno biologico è volto a ristorare il danneggiato nel pregiudizio subito nel suo valore personale (cfr. Trib. Trani 25 marzo 1994, Foro it., Rep. 1994, voce Danni civili, n. 130, e Giur. merito, 1994, 598).

Il superamento della regola, che consentiva all'assicuratore sociale di agire sull'intera somma liquidata a titolo di risarcimento a favore del danneggiato senza fare distinzione tra le singole poste del danno,

This content downloaded from 46.243.173.84 on Sat, 28 Jun 2014 15:20:09 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended